Coppie, figli e genitori soli: così cambiano le famiglie italiane
Il tessuto sociale italiano, da sempre fortemente ancorato alla famiglia, si sta trasformando. I dati del Censimento permanente del 2021 dell’Istat tracciano un quadro di cambiamento che, pur mantenendo alcune radici nel passato, riflette le dinamiche di una società in evoluzione. In Italia si contano oggi 26.206.246 famiglie, con un aumento del 6,5% rispetto al 2011. Questo dato, però, non è sinonimo di una maggiore stabilità o espansione dei nuclei familiari: al contrario, i nuclei stessi risultano ridotti e più flessibili rispetto al passato.
Osservando le famiglie, possiamo distinguerle in tre grandi categorie: quelle composte da un solo nucleo (59,7%), da due o più nuclei (1,5%) e quelle senza alcun nucleo, come le famiglie unipersonali o formate da individui senza legami diretti di parentela (38,8%). Il numero totale di nuclei familiari è sceso a 16.438.655, in calo rispetto al 2011. Ma il dato davvero interessante è rappresentato dal tipo di nuclei: se da un lato calano le coppie con figli (di oltre un milione in dieci anni), dall’altro aumentano le famiglie monogenitoriali, spinte da trasformazioni demografiche e sociali come l’instabilità delle relazioni e l’allungamento della vita.
Le coppie con figli, pur rappresentando ancora il 45,8% del totale, continuano a diminuire: erano il 57,5% nel 2001 e il 52,7% nel 2011. È invece stabile il numero delle coppie senza figli, mentre crescono significativamente i nuclei composti da un solo genitore. Le madri sole con figli, che rappresentano il 18,1% dei nuclei familiari, sono cresciute del 35,5% dal 2011, mentre i padri soli sono quasi raddoppiati (+85%). Questo cambiamento racconta una società in cui le donne assumono sempre più spesso il ruolo di principali o uniche figure genitoriali, anche se non mancano i segnali di una maggiore partecipazione maschile.
Un’Italia a due velocità
Le differenze territoriali confermano l’esistenza di due Italie, anche sul fronte familiare. Nel Mezzogiorno, le coppie con figli sono ancora il modello prevalente, rappresentando il 50,5% dei nuclei, con picchi in Basilicata (51,8%), Campania (51,4%) e Puglia (50,7%). Al contrario, nel Nord, e in particolare nel Nord-Ovest, domina il modello delle coppie senza figli, che raggiungono il 34,5% nel Piemonte e nel Friuli-Venezia Giulia. Liguria e Valle d’Aosta presentano invece i numeri più bassi di coppie con figli, rispettivamente al 37,2% e 40,7%.
Il decennio 2011-2021 ha visto un calo significativo delle coppie con figli in tutto il territorio nazionale, ma con variazioni regionali marcate. La Sardegna, ad esempio, registra una diminuzione di 10 punti percentuali, seguita da Campania e Calabria (-8 punti). Al contempo, aumentano le famiglie monogenitoriali, con il Centro e il Sud Italia a guidare questa crescita. Fenomeni come i “pendolari della famiglia” – lavoratori che vivono lontano dal nucleo familiare e tornano periodicamente – contribuiscono a creare situazioni in cui madri (e meno frequentemente padri) gestiscono da sole la casa e i figli.
Un altro aspetto interessante riguarda la composizione interna dei nuclei. La presenza di figli maggiorenni è particolarmente rilevante nelle regioni del Sud, dove le difficoltà economiche e occupazionali spingono molti giovani a prolungare la permanenza nella casa di origine. In Molise e Basilicata, ad esempio, oltre il 66% delle coppie con un figlio ha figli maggiorenni, segno di una coabitazione spesso necessaria per affrontare sfide economiche o per garantire assistenza reciproca tra generazioni.
Il peso dell’età e dei modelli familiari non tradizionali
Un altro fattore chiave nella trasformazione delle famiglie italiane è l’invecchiamento della popolazione. Le coppie ultrasessantacinquenni rappresentano oggi il 27,1% del totale, in aumento rispetto al 20,8% del 2011. Al contrario, le coppie con entrambi i partner sotto i 45 anni si riducono drasticamente, dal 27,3% al 19,2%. Questo cambiamento è legato sia all’allungamento della vita, che permette alle coppie di rimanere unite più a lungo, sia alla crescente instabilità delle relazioni giovanili, che spesso non portano alla coabitazione stabile.
Un segnale dei cambiamenti sociali è dato anche dall’aumento delle coppie dello stesso sesso. Dal 2011 al 2021, queste sono passate da 7.513 a 9.795, con una maggiore concentrazione nel Nord Italia. La loro presenza, seppur ancora limitata, rappresenta un passo importante verso una società più inclusiva, che riconosce la diversità dei modelli di coppia e famiglia.
Le famiglie italiane di oggi, quindi, non sono più quelle di una volta: il modello “tradizionale” è affiancato e talvolta superato da nuove configurazioni, capaci di rispondere a bisogni e situazioni sempre più complessi.
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Violenza sulle donne, +57% di chiamate al 1522 nel 2024. La...
Da gennaio a settembre 2024, le chiamate al 1522 sono aumentate del 57% rispetto allo stesso periodo del 2023 per un totale di 48.000 chiamate. Il dato dimostra come il numero anti violenza e stalking 1522, gestito dal Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, si configuri sempre più come un argine contro la violenza di genere e l’aumento delle chiamate è anche un segnale di trasformazione culturale.
In particolare, si è registrato un notevole aumento di chiamate al numero anti-stalking dopo l’approvazione del Codice Rosso Rafforzato, soprattutto per avere informazioni sui nuovi strumenti normativi a disposizione delle donne vittime di violenza.
I dati venivano pubblicati poche ora prima che Impagnatiello venisse condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Tramontano, incinta di sette mesi, e la procura chiedesse la stessa pena per Filippo Turetta, omicida di Giulia Cecchettin: in Italia, il 1522 riceve mediamente 800 contatti al giorno.
Pochi giorni prima la denuncia di Giulia Balistreri su TikTok (“preferisco registrarmi da viva prima di diventare l’ennesimo caso di femminicidio”) lanciava un appello importante alle istituzioni: bisogna agire prima che sia troppo tardi. Il video della giovane ragazza emiliana ha anche dimostrato come le donne stiano sempre più prendendo coraggio nel denunciare le minacce e le violenze, dando una scossa all’operato e all’opinione pubblica. Le sue parole sono diventate fatti concreti: pochi giorni fa il suo ex Gabriel Constantin, scappato dai domiciliari, è stato arrestato in Romania dove era latitante.
I dati Istat di maggio-luglio 2023 dimostravano che già l’anno scorso ci si vergognasse meno di parlare di violenza sulle donne, seppure la strada è ancora lunga.
1522, chi sono le donne che chiedono aiuto
Il profilo di chi si rivolge al 1522 è cambiato nel tempo. La fascia d’età tra i 35 e i 50 anni resta predominante, ma cresce il numero di giovani donne che cercano supporto. La provenienza è prevalentemente italiana, con una significativa presenza di donne dell’Est Europa e del Sud America, che generalmente si sono stabilite da più tempo nel nostro Paese. Le donne indiane, pakistane, bengalesi, cingalesi, invece, contattano il 1522 nel momento dell’emergenza o su segnalazione di ospedali, insegnanti o servizi sociali.
Un dato allarmante riguarda anche la capillarità della violenza: sempre più spesso, i minori sono testimoni involontari di dinamiche familiari drammatiche con inevitabili ricadute sulla loro psiche.
La violenza economica
I dati confermano la presenza della violenza economica, sfaccettatura spesso sottovalutata della violenza di genere.
Donne over 50, spesso escluse dal mercato del lavoro, e genitori preoccupati per le figlie minorenni rappresentano le nuove “sentinelle” di un fenomeno dai contorni sempre più sfumati. Come ricordato dalla presidente dell’associazione Donne in rete contro la violenza (D.i.Re), Antonella Veltri, si tratta di “ una forma di violenza che impedisce alle donne di assumere la volontà di liberarsi da altre forme di violenza proprio perché in difficoltà economica”. Parlando con l’Adnkronos, la presidente Veltri ha spiegato: “Dall’ultima rilevazione che abbiamo effettuato come Rete nazionale dei Centri antiviolenza, la più grande rete nazionale di centri antiviolenza in Italia, la violenza economica incide per oltre il 35% delle oltre 20mila donne che vengono incontrate e accolte, in media ogni anno, dalle 107 organizzazioni di donne che gestiscono i centri antiviolenza. Incide in quanto molte volte è un fattore che inibisce l’emersione della violenza”. Per approfondire: Violenza su donne, Veltri (D.i.Re): “Quella economica incide su 35% ospiti centri antiviolenza”.
Le parole della ministra Roccella
La ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità Eugenia Roccella interpreta questi l’aumento delle chiamate al 1522: “se da un lato deve preoccuparci perché fotografa l’entità di un fenomeno che rappresenta una autentica emergenza, dall’altro è un segnale positivo. Significa che la conoscenza del numero che il dipartimento Pari Opportunità della presidenza del Consiglio mette a disposizione delle donne vittime di violenza e stalking si sta diffondendo, e significa che le donne stanno recependo il messaggio che stiamo cercando in ogni modo di trasmettere loro: non siete sole, lo Stato è al vostro fianco”.
Sull’operato dell’esecutivo, la ministra aggiunge: “La corrispondenza dei dati alle politiche messe in campo ci incoraggia ad andare avanti: la lieve flessione che ad oggi si registra sui femminicidi, con il 12% in meno di donne uccise dal partner o dall’ex partner rispetto allo scorso anno, può considerarsi anche un effetto delle nuove norme che hanno avuto vasta applicazione sul territorio; l’aumento del 5% dei centri anti-violenza negli ultimi due anni segue l’aumento dei fondi che il governo ha quasi raddoppiato fin dal suo insediamento; e anche il ricorso al 1522 significa che questo strumento è sempre più conosciuto e che le campagne di diffusione hanno avuto impatto”.
Garanzie e prospettive
L’anonimato e la tutela della privacy restano pilastri fondamentali del servizio 1522. Spesso sono gli amici, i parenti, gli stessi operatori sociali a farsi promotori di un primo contatto, diventando ponte verso l’emancipazione delle vittime.
Se il trend attuale venisse confermato, le stime prefigurerebbero un raddoppio dei contatti rispetto al 2022 e 2023, un dato che fotografa una presa di coscienza collettiva contro la violenza di genere.
Il 1522, infatti, non è solo un numero di telefono. È la cartina tornasole di una società che lentamente, ma inesorabilmente, sta cambiando approccio verso le dinamiche di potere e sopraffazione. Ogni chiamata è un passo verso la rottura del silenzio, ogni contatto una possibile via di fuga
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Giornata contro la violenza sulle donne, un omicidio ogni...
La violenza contro le donne non conosce tregua. Ogni anno, statistiche e rapporti offrono uno specchio impietoso della realtà, ma nonostante le denunce e l’impegno crescente delle istituzioni, i numeri sembrano crescere. Oggi 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, si torna a parlare di un problema che sembra ancora lontano da una soluzione. I numeri raccontano una realtà inquietante: un crescendo di violenze, stalking, maltrattamenti, fino ai tragici casi di femminicidio, che troppo spesso avvengono tra le mura di casa. Ma cosa ci dicono esattamente i dati e come possiamo interpretarli per comprendere meglio le dinamiche di questa emergenza?
L’aumento degli abusi
Nei primi sei mesi del 2024, le denunce per violenza sessuale sono aumentate dell’8%, un dato che non lascia spazio a interpretazioni: le vittime, nel 91% dei casi, sono donne, e ben il 28% di queste sono minorenni. Quasi una su tre. Ancora più inquietante è la distribuzione degli autori: nel 44% dei casi si tratta di stranieri, una cifra che spesso alimenta discorsi divisivi, ma che va letta alla luce della loro rappresentanza nella popolazione italiana, pari al 9%. Questi dati mostrano che il fenomeno della violenza non conosce confini di nazionalità, ma si nutre di dinamiche culturali e sociali che colpiscono trasversalmente.
Anche gli atti persecutori, o stalking, hanno registrato un incremento del 6%, colpendo le donne nel 74% dei casi. È un dato che conferma come il controllo e la pressione psicologica siano strumenti di dominio spesso usati in relazioni tossiche o situazioni di rifiuto. I maltrattamenti contro familiari e conviventi, che coinvolgono le donne nell’81% dei casi, mostrano un aumento ancora più marcato, pari al 15%. Questi crimini, spesso perpetrati tra le mura domestiche, sono indicativi di un ambiente che dovrebbe proteggere ma che, al contrario, diventa una gabbia.
A livello globale, nel 2023 sono stati registrati 85.000 omicidi intenzionali di donne e ragazze, come emerge dal rapporto “Femicides nel 2023: Global Estimate of Intimate Partner/Family Member” Femicides di UN Women e UNODC. Di questi omicidi, il 60% (circa 51.100 vittime) è stato perpetrato da un partner intimo o da un membro della famiglia. I dati rivelano che ogni giorno 140 donne e ragazze perdono la vita a causa della violenza domestica, con una vittima ogni 10 minuti.
Femminicidi
I dati sui femminicidi, purtroppo, non sono migliori. Nel 2023, 117 donne sono state uccise, e nel primo semestre del 2024 la situazione non sembra migliorare: il 56% delle donne vittime di omicidio è stata uccisa dal partner o dall’ex partner. Questo dato rappresenta un lieve miglioramento rispetto al 62% registrato nello stesso periodo del 2023, ma non basta a stemperare la gravità del fenomeno. Il contesto italiano presenta alcune peculiarità rispetto al resto d’Europa. Sebbene il nostro Paese abbia il tasso di omicidi più basso a livello continentale nel 2022, il fenomeno della violenza di genere rimane una piaga endemica. Secondo l’Istat, i femminicidi rappresentano l’82% degli omicidi di donne, con una maggiore incidenza tra le italiane rispetto alle straniere (51,5% contro 68,7%).
È interessante notare come, alla diminuzione degli omicidi commessi da partner o ex partner, corrisponda un aumento di quelli perpetrati da genitori o figli, che hanno rappresentato il 33% dei casi nel 2024 rispetto al 25% dell’anno precedente. Anche le modalità con cui vengono commessi gli omicidi raccontano una storia inquietante: l’uso di armi improprie e bianche prevale (19 casi nel 2024), seguito da asfissia, strangolamento e percosse.
Cosa spinge un uomo a uccidere la donna con cui ha condiviso parte della sua vita? La risposta è complessa, ma si lega indissolubilmente alla questione del controllo, del possesso, della gelosia morbosa che sfocia nella tragedia. La possessività, la paura di perdere il proprio “bene”, diventa un motore di azioni estreme. Le armi utilizzate, spesso improprie come coltelli o strumenti da casa, sono il segno di una violenza che vuole lasciare segni indelebili, non solo fisici, ma anche psicologici.
La geografia della violenza
I numeri non sono uniformi su tutto il territorio nazionale. Alcune province mostrano tassi preoccupanti di violenza contro le donne. Secondo un report dell’Istat sulle vittime di omicidio nel 2023, Enna è la provincia più a rischio per le donne. In generale, le zone dove la concentrazione è più alta sono l’Abruzzo, il Trentino-Alto Adige con le Province Autonome di Trento e Bolzano/Bozen e l’Umbria. Ma i dati più recenti ci mostrano anche una notevole diminuzione in alcune aree, come la Pianura Padana, dove i fenomeni di violenza sembrano rallentare. Tuttavia, queste isole di speranza non devono distogliere l’attenzione da quelle aree dove la violenza non si arresta e dove le donne sono ancora prigioniere del silenzio.
La geografia della violenza ha un volto diverso a seconda della classe sociale, dell’età e della condizione economica delle vittime. Le donne più anziane, ad esempio, sono più vulnerabili agli omicidi da parte di partner o familiari. Il movente, nella maggior parte dei casi, è legato a squilibri psicologici o alla volontà di “porre fine alla sofferenza” della donna. Le vittime più giovani, invece, sono maggiormente esposte a motivi passionali o, più frequentemente, a liti per futili motivi, che scatenano la violenza senza alcuna giustificazione apparente.
I delitti introdotti dal Codice Rosso
Il Codice Rosso, introdotto per rafforzare la tutela delle donne vittime di violenza, ha mostrato luci e ombre. Nei primi sei mesi del 2024 si è registrato un incremento del 67% dei casi di costrizione o induzione al matrimonio, un dato che evidenzia una violenza culturale ancora radicata. Cresce anche del 22% il revenge porn, ovvero la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, una forma di violenza psicologica che sfrutta le tecnologie per distruggere la dignità delle vittime. Al contrario, i casi di deformazione dell’aspetto della persona tramite lesioni permanenti al viso hanno subito una lieve diminuzione del 2%.
Questi dati dimostrano che, sebbene siano stati fatti passi avanti sul fronte normativo, il problema rimane difficile da arginare. La legislazione, pur essendo fondamentale, non può da sola risolvere una questione che affonda le sue radici in diseguaglianze di genere e modelli culturali sbagliati.
Mattarella: “Nessuna scusa”
“La violenza contro le donne presenta numeri allarmanti. È un comportamento che non trova giustificazioni, radicato in disuguaglianze, stereotipi di genere e culture che tollerano o minimizzano gli abusi, che si verificano spesso anche in ambito familiare”. Così il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sottolineato durante la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. La sua affermazione mette in evidenza un fenomeno che, purtroppo, non sembra arrestarsi nonostante l’impegno delle istituzioni e della società civile. La violenza, infatti, è un comportamento che si radica profondamente in visioni errate della donna come oggetto da possedere e controllare, un retaggio che persiste anche nei contesti familiari, dove dovrebbe prevalere il rispetto reciproco.
“Quanto fatto finora non è, tuttavia, sufficiente a salvaguardare le donne”, ha aggiunto il Capo dello Stato, evidenziando che, nonostante i progressi, la strada è ancora lunga. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, meglio conosciuta come Convenzione di Istanbul, ha rappresentato un punto di svolta. “È il primo strumento giuridicamente vincolante a riconoscere la violenza di genere come una violazione dei diritti umani”, ha ricordato Mattarella. L’Italia ha ratificato la Convenzione nel 2013, dotandosi di strumenti giuridici e normativi per garantire una protezione più solida alle vittime. Tuttavia, la continua presenza di violenza e abusi mostra che, nonostante le leggi, le politiche e le campagne di sensibilizzazione, la realtà quotidiana delle donne rimane pervasa da un costante senso di insicurezza e vulnerabilità. La violenza colpisce donne di tutte le età, ma in particolare le giovani, che spesso subiscono le violenze in silenzio, senza il coraggio di denunciare.
Il presidente Mattarella ha ricordato come l’emergenza della violenza contro le donne non sia solo un problema giuridico, ma una questione che riguarda la dignità e la libertà delle donne: “Si tratta di madri, sorelle, figlie, persone con sogni e progetti che vedono violato il diritto di poter vivere una vita libera e dignitosa”. La lotta contro la violenza è una battaglia che riguarda ogni membro della società, un impegno che deve andare oltre la semplice condanna dei singoli atti violenti, ma che deve interrogarsi su come cambiare il sistema culturale che li alimenta.
Il tema proposto dalle Nazioni Unite per celebrare questa giornata, “Nessuna scusa”, è la sintesi perfetta di ciò che deve essere il cuore di ogni azione: nessuna giustificazione, nessuna tolleranza per chi abusa, per chi perpetra la violenza, per chi la minimizza. “Occorrono azioni concrete”, ha ribadito Mattarella, indicando la necessità di un impegno costante per eradicare i pregiudizi e gli atteggiamenti discriminatori che, ancora oggi, pongono le donne in una posizione di debolezza in ambito familiare, sociale e lavorativo. È un impegno che deve coinvolgere ogni settore della società, comprese le istituzioni, le forze dell’ordine e la società civile, affinché tutte le donne possano trovare il coraggio di denunciare e ricevere adeguato supporto.
“Le istituzioni, le forze della società civile devono sostenere le donne nella denuncia di qualsiasi forma di sopruso”, ha concluso Mattarella, invitando a garantire la piena protezione delle vittime e a promuovere una cultura che metta al centro la dignità e i diritti umani delle donne. Questo è un valore che deve essere condiviso dall’intera società, perché solo in un ambiente che rispetta i diritti delle donne si può parlare di una vera comunità giusta e equa.
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Gravidanza e bellezza: i rischi nascosti di smalti e trucco
Attenzione all’uso di smalti per le unghie, trucco, se siete in gravidanza. Potreste aumentare l’esposizione a sostanze chimiche tossiche, con tutte le conseguenze per la salute vostra e del vostro bambino. Una ricerca della Brown University School of Public Health, la scuola di salute pubblica della Brown University, un’università di ricerca privata nel Rhode Island (USA), ha infatti trovato una correlazione tra l’uso di prodotti per la cura della persona (PCP) e le concentrazioni di PFAS nelle donne in gravidanza o in allattamento.
In sostanza, più prodotti per l’igiene personale si usano, più si rischia di accumulare alti livelli di sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, PFAS appunto, nel plasma sanguigno e nel latte materno.
Cosa sono i PFAS, onnipresenti e dannosi per la salute
I PFAS sono sostanze chimiche sintetiche utilizzate fin dagli anni ’50 nei prodotti di consumo e in contesti industriali, grazie alla loro capacità di resistere a olio, acqua e calore. Il lato negativo è che sono stati associati a una tutta una serie di effetti negativi sulla salute, tra cui malattie epatiche, problemi cardiometabolici e cardiovascolari e vari tipi di cancro. Inoltre, possono contribuire a esiti avversi alla nascita, come il calo del peso alla nascita, il parto pretermine, alcuni disturbi dello sviluppo neurologico e una ridotta risposta ai vaccini nei bambini. Effetti in parte dovuti al trasferimento dei PFAS attraverso la placenta e il latte materno, che facilita l’esposizione durante la gestazione e l’infanzia.
I PFAS sono persistenti nell’ambiente, onnipresenti e, sottolinea lo studio, rilevabili in quasi il 100% dei canadesi – la ricerca ha riguardato il Paese nordamericano, ma certamente il problema ci riguarda tutti. Ognuno di noi entra in contatto con i PFAS ingerendo cibo contaminato, bevendo anche semplice acqua, o attraverso gli imballaggi alimentari, le pentole, i mobili e PCP come trucco, prodotti per capelli e smalto per unghie.
Occorre sottolineare che i PFAS continuano a essere prodotti a livelli elevati a livello globale, con volumi annuali superiori a 230mila tonnellate di fluoropolimeri e 46mila tonnellate di acidi perfluoroalchilici. “Sebbene i PFAS siano onnipresenti nell’ambiente, il nostro studio indica che i prodotti per la cura della persona sono una fonte modificabile di PFAS“, ha affermato l’autrice dello studio Amber Hall, ricercatrice associata post-dottorato in epidemiologia presso la Brown University School of Public Health. Per modificabile si intende che si può ridurre l’esposizione limitando l’uso dei prodotti a rischio.
L’uso di trucco, smalti e tinture aumenta i livelli di PFAS nel corpo
L’analisi della Brown University School of Public Health, recentemente pubblicata su Environment International, ha utilizzato i dati del Maternal-Infant Research on Environmental Chemicals Study, che ha esaminato solo quattro tipi di PFAS tra i migliaia utilizzati nell’industria e nel commercio, e che dunque probabilmente sottostima l’entità del problema. La ricerca ha coinvolto 2001 donne incinte in 10 città del Canada tra il 2008 e il 2011.
L’effetto dei prodotti per la cura delle persone sui livelli di PFAS è stato analizzato nel plasma prenatale (da sei a 13 settimane di gestazione) e nel latte materno (da due a 10 settimane dopo il parto). Le partecipanti dovevano riferire la frequenza di utilizzo di otto categorie di prodotti in tre momenti: durante il primo e il terzo trimestre di gravidanza, da uno a due giorni dopo il parto e da due a dieci settimane dopo il parto.
I risultati dimostrano che nelle donne incinte al primo trimestre, un uso maggiore di prodotti per la cura delle unghie, profumi, trucco, tinture per capelli e lacche o gel per capelli era associato a concentrazioni plasmatiche di PFAS, PFOA, PFOS e PFHxS più elevate. Risultati simili sono stati osservati per l’uso di prodotti per la cura personale nel terzo trimestre e per le concentrazioni di PFAS nel latte materno da due a 10 settimane dopo il parto.
Ancora, le partecipanti che si truccavano ogni giorno nel primo e nel terzo trimestre avevano concentrazioni di PFAS nel plasma e nel latte materno rispettivamente del 14% e del 17% più elevate rispetto alle persone che non lo facevano ogni giorno.
Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che chi usava tinture colorate permanenti uno o due giorni dopo il parto aveva livelli di PFAS più elevati (16%-18%) rispetto a chi non le utilizzava mai nelle concentrazioni del latte materno. In generale, un maggiore utilizzo di PCP è stato associato a livelli più elevati di PFOS, PFOA, PFNA e PFHxS nel post-partum.
Risultati allarmanti, che possono servire, si augurano i ricercatori, per stabilire una regolamentazione dei PFAS e, più nel piccolo, a guidare le scelte individuali in modo da ridurre l’esposizione a queste sostanze tossiche laddove possibile.