Bologna, 12 brasiliani chiedono la cittadinanza perché hanno un’antenata nata in Italia nel 1876
12 brasiliani hanno chiesto al tribunale di Bologna la cittadinanza italiana. La parte anomala della vicenda è che la richiesta si basa su un’antenata in comune, nata a Marzabotto nel 1876.
Una richiesta formalmente legittima, ma di dubbia ragionevolezza giuridica, tanto che, con ordinanza, il tribunale di Bologna “ha sollevato d’ufficio l’eccezione di illegittimità costituzionale della disciplina italiana in materia di cittadinanza, nella parte in cui prevede il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis senza alcun limite temporale”. Come spiegato dal presidente del tribunale Pasquale Liccardo, i giudici chiedono se sia legittimo riconoscere la cittadinanza anche se l’avo di riferimento sia nato molte generazioni prima (in questo caso quasi 150 anni fa) e i discendenti non abbiano alcun legame con la cultura, le tradizioni e la lingua italiana.
L’ordinanza del tribunale di Bologna
A firmare l’atto è stato il giudice Marco Gattuso, lo stesso che un mese fa aveva sollevato alla Corte di Giustizia Ue il rinvio pregiudiziale del decreto Paesi sicuri, attirandosi le critiche dell’esecutivo. In questo caso, Gattuso spiega che “la cittadinanza identifica l’elemento costitutivo del popolo, cui la Carta costituzionale riconosce la sovranità”, “il criterio che consente di distinguere il ‘popolo’ rispetto agli altri popoli”.
Da qui la questione di costituzionalità sullo ius sanguinis, che si applica senza alcun limite temporale purché la trasmissione di cittadinanza non sia mai stata interrotta con un atto formale di rinuncia. Il tribunale chiede alla Consulta di verificare se “tale disciplina sia o meno in contrasto con le nozioni di popolo e di cittadinanza richiamati nella Costituzione, con il principio di ragionevolezza e con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia anche nell’ambito dell’Unione europea”, sottolineando implicitamente l’illogicità del meccanismo.
I 12 brasiliani, spiega ancora il tribunale di Bologna “chiedono l’accertamento della cittadinanza italiana per la sola presenza di un’antenata italiana, fra le decine di loro antenati non italiani, nata nel 1876 e partita da giovane dal nostro Paese”.
Il confronto con gli altri Paesi e il rischio di un precedente
Recentemente, il dibattito politico si è acceso sul tema della cittadinanza tra ius scholae, ius soli e ius sanguinis. Il Referendum Cittadinanza proposto da +Europa ha superato agevolmente le 500.000 firme necessarie per far iniziare l’iter. Gli italiani saranno chiamati a votare probabilmente nella primavera 2025, comunque entro tre mesi dalla vidimazione delle firme. La modifica proposta punta a facilitare l’ottenimento della cittadinanza per 2,5 milioni di extracomunitari che dovrebbero risiedere in Italia per cinque anni, invece di dieci, prima di poter richiedere la cittadinanza italiana.
Intanto, tranne rare eccezioni, vige uno ius sanguinis particolare: “l’ordinamento italiano è uno dei pochissimi al mondo a riconoscere lo ius sanguinis senza prevedere alcun limite”, scrive ancora il tribunale di Bologna nell’ordinanza spedita a Roma. I giudici si rivolgono alla Consulta non solo in merito alla richiesta dei 12 brasiliani, ma anche considerando che l’Italia “presenta all’estero, secondo le stime più accreditate, diverse decine di milioni di discendenti da un antenato italiano”. Un precedente in tal senso potrebbe generare un effetto a cascata nonostante la dubbia ragionevolezza giuridica del meccanismo.
Seguendo una interpretazione restrittiva della legge, i richiedenti possono diventare italiani pur non avendo mai visto l’Italia se non in video o in foto. Nel frattempo, milioni di immigrati nati e cresciuti in Italia non riescono ad ottenere la cittadinanza perché, tranne in rare eccezioni, non vige lo ius soli, né lo ius scholae o lo ius culturae.
L’analogia con il “caso veneto”
La questione sollevata dal tribunale di Bologna ricorda il “caso veneto”, dove 92mila bambini e ragazzi, figli di genitori stranieri, vivono e studiano senza avere la cittadinanza, mentre 300mila oriundi nati all’estero, con un trisavolo veneto, riescono a ottenerla. Il fenomeno pone interrogativi sul senso di appartenenza e cittadinanza nel nostro Paese, ma anche sui criteri con cui vengono stabiliti i diritti civili.
Il Veneto è una delle regioni italiane più colpite da questa dinamica, a causa del suo passato di forte emigrazione verso le Americhe tra Ottocento e Novecento. Molti discendenti di emigranti veneti, principalmente in Brasile e Argentina, richiedono la cittadinanza italiana grazie alla legge sullo ius sanguinis. Salvatore Laganà, presidente del Tribunale di Venezia, ha confermato che il 43% delle richieste per discendenza in tutta Italia proviene proprio dal Veneto. Dal trasferimento della competenza nel 2022, il Tribunale ha gestito oltre 23mila pratiche, con ancora 18mila richieste pendenti.
La regione oggi si trova a gestire migliaia di richieste di cittadinanza, un compito che grava pesantemente sui piccoli Comuni. Il paradosso demografico è evidente: in un territorio in cui nascono sempre meno bambini – circa 30mila all’anno – il numero di nuovi cittadini per discendenza supera di gran lunga quello delle nuove nascite.
Per approfondire: Alcuni comuni veneti hanno più richieste di cittadinanza che nuovi nati
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Giulia Salemi, il messaggio al figlio contro la violenza...
Giulia Salemi ha condiviso un commovente messaggio rivolto al figlio nella giornata della violenza contro le donne: “Caro amore mio – dice sui social – ancora non ti conosco, ma ogni giorno che passa ti immagino. Sarai il mio piccolo uomo, il cuore che batte fuori dal mio corpo, e il motivo per cui spero in un mondo migliore”.
La nascita del figlio di Giulia Salemi e del compagno Pierpaolo Petrelli, conosciuto nella Casa del Grande Fratello, è prevista per gennaio, e la modella italo-persiana si prepara così a diventare mamma per la prima volta.
Il videomessaggio di Giulia Salemi
“Oggi, mentre ti scrivo, è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. È una giornata dolorosa, perché ci ricorda quante ferite restano ancora da guarire. Ma è anche una giornata importante, perché ci insegna una cosa che voglio trasmetterti con tutta me stessa: il rispetto. Il rispetto per le donne – ricorda Giulia Salemi nel messaggio condiviso il 25 novembre – non è solo una parola, è un modo di vivere. È imparare a vedere il valore in chi hai accanto, a parlare con gentilezza anche quando è difficile, a essere un uomo capace di amare senza mai far sentire nessuno inferiore o in pericolo”.
Le parole della modella classe ’93 si inseriscono in un contesto di cambiamento sociale, dove si moltiplicano le segnalazioni al numero anti violenza e stalking 1522. Come dimostrano i dati pubblicati dal Dipartimento Pari Opportunità, da gennaio a settembre 2024, le chiamate al 1522 sono aumentate del 57% rispetto allo stesso periodo del 2023 per un totale di 48.000 chiamate. Qualcosa sta cambiando, ma la mutazione più profonda richiede un cambiamento culturale, un nuovo modo di concepire i rapporti.
Lo ribadisce Giulia Salemi nella sua lettera al figlio nascituro: “Sarai piccolo, poi grande, e un giorno forse sarai tu ad amare… Voglio che tu sappia che l’amore non è mai possesso, che la forza non è mai violenza, e che la libertà dell’altro è il dono più prezioso che puoi custodire”.
L’analogia con le parole di Gino Cecchettin
Le parole della modella fanno da eco a quelle di Gino Cecchettin, che, in un’intervista a La Stampa, ricorda di essere cresciuto in un contesto fortemente patriarcale. “Quando penso alla mia infanzia mi chiedo se mio padre fosse patriarca, e la risposta è sì, tantissimo. Per esempio, chi aveva il compito dell’educazione era mia madre. Mio padre si sentiva esentato, salvo per le punizioni corporali. Invece l’educazione è un lavoro che devono portare avanti entrambi i genitori”, dice Gino Cecchettin che insiste sul concetto di educazione sentimentale: serve “un’educazione all’altruismo, dove non si tolleri nessuna forma di violenza dei confronti di qualsiasi altro tipo di persona”.
Il papà di Giulia sottolinea quanto ciascuno di noi sia il frutto di ciò che vive. Parlando del padre, dice di averlo perdonato quando è diventato genitore anche lui: “Ho capito che mi voleva bene ma che aveva a disposizione mezzi per educare diversi dai miei. È cresciuto in un contesto in cui mio nonno diceva a mia nonna: ‘Taci tu che sei una donna’”.
Prendere una strada diversa dall’educazione ricevuta è difficile ma non impossibile: “Io e mia moglie sicuramente abbiamo peccato nei primi tempi, siamo stati anche noi patriarcali. Ci abbiamo lavorato tanto. Per questo servono i seminari e soprattutto il dialogo con i giovani”.
Anche Gino Cecchettin, insomma, ha rischiato di incarnare la trappola del patriarcato, ma è riuscito a uscirne nonostante i modelli di “Stallone, Rambo, James Bond che paragonava le automobili alle donne. Alla fine – spiega – non mi sono ritrovato nel ruolo di maschio alpha, forse non ne avevo il carattere. Non puoi risolvere sempre tutto con la forza, alla lunga è estenuante e ti porta alla solitudine”. Il tenore delle sue parole ricorda il messaggio di Giulia Salemi quando dice al figlio che porta in grembo che “la forza non è mai violenza, e che la libertà dell’altro è il dono più prezioso che puoi custodire”.
Una speranza per il futuro
L’influencer conclude il suo toccante messaggio al nascituro con una promessa e una speranza: “Io sarò qui, a insegnarti con tutto l’amore che posso. E spero che quando crescerai, nel mondo che ti accoglierà, ci saranno meno giorni come questo. Ti aspetto, piccolo grande uomo. Con tutto il mio cuore, Mamma”.
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Come riconoscere la violenza di genere, il decalogo Lines e...
Un decalogo per riconoscere potenziali situazioni di violenza di genere, che sia psicologica, economica o sociale. Lo ha stilato Lines con WeWorld, organizzazione no profit italiana indipendente attiva in 26 Paesi compreso il nostro. Sostenuta dal 2020 da Lines, brand di Fater – joint venture paritetica tra Angelini Industries e Procter & Gamble – punta a promuovere lo sviluppo umano ed economico di chi si trova a vivere ai margini della società e in particolare che donne, bambine e bambini abbiano uguali opportunità e diritti, accesso alle risorse, alla salute, all’istruzione e a un lavoro degno.
In Italia, ricorda WeWorld, solo l’11% delle donne che subiscono violenza denuncia l’accaduto, di queste quasi il 40% addirittura non ne parla con nessuno, spesso per vergogna o perché le situazioni vissute sono ritenute la normalità. Si tratta di un problema ampio e molto sfaccettato, la cui soluzione passa intanto dalla consapevolezza da parte delle donne che certe situazioni non sono ‘normali’.
I ‘10 campanelli d’allarme’ della violenza di genere
Lines con WeWorld ha dunque stilato 10 ‘campanelli d’allarme’ che le donne non devono sottovalutare, ovvero quei segnali che indicano che ci si possa trovare di fronte a una forma di violenza:
1. Quando si rivolge a me è spesso aggressivo ed utilizza un tono di voce molto alto.
2. Quando siamo con gli altri, mi contraddice in continuazione e sminuisce quello che dico.
3. Di fronte ad impegni concordati, li nega e dice che sono io che ho capito male.
4. Quando esco con le mie amiche, mi dice che non sono una buona madre e/o una buona compagna.
5. Vuole accompagnarmi sempre e dappertutto, non mi permette di uscire da sola.
6. Quando non sono con lui, devo tenere il cellulare sempre a portata di mano per rispondere subito a messaggi e chiamate da parte sua.
7. Vuole conoscere tutte le mie password di accesso (pc, social media, cellulare).
8. Qualsiasi tipo di abbigliamento io indossi viene giudicato inadeguato, perché il mio partner ritiene che attiri l’attenzione.
9. Non vuole che esca con le mie amiche perché le giudica stupide e ha paura che possano avere una cattiva influenza su di me.
10. Quando gli dico che mi interessa un lavoro, mi dice che io non sono capace e che non mi serve perché tanto provvede lui a me.
Lines per gli ‘Spazio Donna WeWorld’
L’iniziativa si inserisce in un contesto più ampio di collaborazione tra Lines e WeWorld, di cui il sostegno del brand all’apertura degli ‘Spazio Donna WeWorld’ di Bologna nel 2021 e di Pescara nel 2022 è un altro esempio. In questo caso, l’idea alla base è che sostenere le donne a rischio di violenza e in situazioni di fragilità passi attraverso Spazi che offrano percorsi di supporto psicologico e per l’empowerment femminile.
I risultati ci sono: oltre 2500 donne, dall’apertura del primo degli otto spazi operativi presenti in Italia (Napoli, Roma, Bologna, Pescara, Cosenza e Brescia) hanno chiesto aiuto agli operatori dei diversi centri e di queste più di 700 lo hanno fatto in quelli sostenuti da Lines a Pescara e Bologna.
L’impegno di Lines con le scuole
L’impegno di Lines contro la violenza di genere non finisce qui, c’è tanto da fare anche sotto il profilo culturale, che è alla base del fenomeno. E proprio per diffondere una visione paritaria ed equa dei rapporti interpersonali Lines ha promosso il programma ‘Domande Scomode @School’, che ad oggi ha raggiunto oltre 200mila studenti. L’iniziativa mira a diffondere l’educazione all’affettività e ad aiutare i ragazzi, assieme ai docenti, a trovare risposte a quesiti importanti, dal ciclo mestruale e la sessualità alla gestione dei rapporti affettivi, fino ad altri temi delicati di cui spesso è difficile parlare.
Fater estende il congedo per le donne vittime di violenza
Anche Fater intende supportare la lotta alla violenza di genere, infatti ha appena annunciato l’estensione del congedo per le donne vittime di violenza dai 3 mesi previsti dal CCNL chimico-farmaceutico a 6 mesi, una misura che permetterà anche a chi si trova in questa drammatica situazione di far partire più velocemente il congedo. Un’azione tempestiva infatti, sottolinea l’azienda, in questi casi è fondamentale.
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Coppie, figli e genitori soli: così cambiano le famiglie...
Il tessuto sociale italiano, da sempre fortemente ancorato alla famiglia, si sta trasformando. I dati del Censimento permanente del 2021 dell’Istat tracciano un quadro di cambiamento che, pur mantenendo alcune radici nel passato, riflette le dinamiche di una società in evoluzione. In Italia si contano oggi 26.206.246 famiglie, con un aumento del 6,5% rispetto al 2011. Questo dato, però, non è sinonimo di una maggiore stabilità o espansione dei nuclei familiari: al contrario, i nuclei stessi risultano ridotti e più flessibili rispetto al passato.
Osservando le famiglie, possiamo distinguerle in tre grandi categorie: quelle composte da un solo nucleo (59,7%), da due o più nuclei (1,5%) e quelle senza alcun nucleo, come le famiglie unipersonali o formate da individui senza legami diretti di parentela (38,8%). Il numero totale di nuclei familiari è sceso a 16.438.655, in calo rispetto al 2011. Ma il dato davvero interessante è rappresentato dal tipo di nuclei: se da un lato calano le coppie con figli (di oltre un milione in dieci anni), dall’altro aumentano le famiglie monogenitoriali, spinte da trasformazioni demografiche e sociali come l’instabilità delle relazioni e l’allungamento della vita.
Le coppie con figli, pur rappresentando ancora il 45,8% del totale, continuano a diminuire: erano il 57,5% nel 2001 e il 52,7% nel 2011. È invece stabile il numero delle coppie senza figli, mentre crescono significativamente i nuclei composti da un solo genitore. Le madri sole con figli, che rappresentano il 18,1% dei nuclei familiari, sono cresciute del 35,5% dal 2011, mentre i padri soli sono quasi raddoppiati (+85%). Questo cambiamento racconta una società in cui le donne assumono sempre più spesso il ruolo di principali o uniche figure genitoriali, anche se non mancano i segnali di una maggiore partecipazione maschile.
Un’Italia a due velocità
Le differenze territoriali confermano l’esistenza di due Italie, anche sul fronte familiare. Nel Mezzogiorno, le coppie con figli sono ancora il modello prevalente, rappresentando il 50,5% dei nuclei, con picchi in Basilicata (51,8%), Campania (51,4%) e Puglia (50,7%). Al contrario, nel Nord, e in particolare nel Nord-Ovest, domina il modello delle coppie senza figli, che raggiungono il 34,5% nel Piemonte e nel Friuli-Venezia Giulia. Liguria e Valle d’Aosta presentano invece i numeri più bassi di coppie con figli, rispettivamente al 37,2% e 40,7%.
Il decennio 2011-2021 ha visto un calo significativo delle coppie con figli in tutto il territorio nazionale, ma con variazioni regionali marcate. La Sardegna, ad esempio, registra una diminuzione di 10 punti percentuali, seguita da Campania e Calabria (-8 punti). Al contempo, aumentano le famiglie monogenitoriali, con il Centro e il Sud Italia a guidare questa crescita. Fenomeni come i “pendolari della famiglia” – lavoratori che vivono lontano dal nucleo familiare e tornano periodicamente – contribuiscono a creare situazioni in cui madri (e meno frequentemente padri) gestiscono da sole la casa e i figli.
Un altro aspetto interessante riguarda la composizione interna dei nuclei. La presenza di figli maggiorenni è particolarmente rilevante nelle regioni del Sud, dove le difficoltà economiche e occupazionali spingono molti giovani a prolungare la permanenza nella casa di origine. In Molise e Basilicata, ad esempio, oltre il 66% delle coppie con un figlio ha figli maggiorenni, segno di una coabitazione spesso necessaria per affrontare sfide economiche o per garantire assistenza reciproca tra generazioni.
Il peso dell’età e dei modelli familiari non tradizionali
Un altro fattore chiave nella trasformazione delle famiglie italiane è l’invecchiamento della popolazione. Le coppie ultrasessantacinquenni rappresentano oggi il 27,1% del totale, in aumento rispetto al 20,8% del 2011. Al contrario, le coppie con entrambi i partner sotto i 45 anni si riducono drasticamente, dal 27,3% al 19,2%. Questo cambiamento è legato sia all’allungamento della vita, che permette alle coppie di rimanere unite più a lungo, sia alla crescente instabilità delle relazioni giovanili, che spesso non portano alla coabitazione stabile.
Un segnale dei cambiamenti sociali è dato anche dall’aumento delle coppie dello stesso sesso. Dal 2011 al 2021, queste sono passate da 7.513 a 9.795, con una maggiore concentrazione nel Nord Italia. La loro presenza, seppur ancora limitata, rappresenta un passo importante verso una società più inclusiva, che riconosce la diversità dei modelli di coppia e famiglia.
Le famiglie italiane di oggi, quindi, non sono più quelle di una volta: il modello “tradizionale” è affiancato e talvolta superato da nuove configurazioni, capaci di rispondere a bisogni e situazioni sempre più complessi.