Al via Congresso Sir, primo documento prevenzione attiva in reumatologia
In Italia oltre 5 milioni di pazienti e costi socio-sanitari per 4 miliardi euro all’anno, esperti: "Attenzione a dieta peso fumo e infezioni"
Prevenire le malattie reumatologiche è possibile, e oggi necessario, per ridurne il forte impatto sul nostro Sistema Paese: i costi per farmaci, ricoveri ospedalieri, riabilitazioni, perdita di produttività e pensionamenti anticipati ammontano a oltre 4 miliari di euro l’anno. Del resto, sono patologie molto diffuse: solo l’artrosi e l’artrite riguardano il 14% dell’intera popolazione. È quindi prioritario promuovere campagne di prevenzione attiva a livello nazionale ed educare la popolazione a evitare i fattori di rischio specifici. Al tempo stesso le malattie vanno integrate nei piani sanitari nazionali-regionali favorendo così le diagnosi precoci e l’accesso ai trattamenti innovativi. Sono i contenuti del documento ‘La prevenzione in reumatologia’ - si legge in una nota - redatto e promosso dalla Società italiana di reumatologia (Sir) presentato in occasione della prima giornata del 61.esimo Congresso nazionale della società scientifica che si apre oggi a Rimini.
“Oltre 5 milioni di persone in Italia sono afflitti da una forma più o meno grave di malattia reumatologica - sottolinea Giandomenico Sebastiani, presidente nazionale Sir - Per esempio, l’osteoporosi colpisce più di 3,5 milioni di donne e nel 2022 ha causato oltre 89mila ospedalizzazioni per fratture del collo del femore tra gli anziani. Vi sono poi i casi più severi e disabilitanti di malattia reumatologica che ammontano a oltre 734mila e questi pazienti hanno bisogno di costanti monitoraggi clinici-ambulatoriali. Come per molte altre patologie la componente genetica riveste un ruolo importante nell’insorgenza. Infatti colpiscono anche uomini e donne giovani, apparentemente in buono stato di salute e senza pericolosi vizi. Esistono però dei fattori di rischio individuali modificali sui quali intervenire. Tra questi ricordiamo il fumo di sigaretta, una dieta troppo ricca di grassi animali, la tendenza alla sedentarietà, l’obesità e l’eccesso di peso, il sovraccarico articolare e alcune infezioni. Per esempio, una scarsa igiene orale è collegata all’artrite reumatoide e potrebbe favorire anche il lupus eritematoso sistemico o la sindrome di Sjogren. Ciò è dovuto ad alcuni batteri in grado di colonizzare la mucosa orale e le gengive e incentivare la produzione di autoanticorpi”.
Gli stili di vita sani “influiscono anche sul benessere dell’apparato muscolo-scheletrico - aggiunge Andrea Doria, presidente eletto Sir - Il fumo non provoca solo tumori, disturbi respiratori o patologie cardio-vascolari, è il fattore ambientale più strettamente associato allo sviluppo di malattie reumatologiche immunomediate. Le sigarette influiscono su alcuni enzimi coinvolti nella patogenesi dell'artrite reumatoide e aumentano del 50% il rischio di lupus eritematoso sistemico. Diversi studi stanno indagando sul ruolo che il pericoloso vizio può avere nelle miopatie infiammatorie idiopatiche o nella malattia di Sjögren”.
Ad esempio “una gestione corretta del peso - illustra il professore - attraverso una dieta equilibrata e l'esercizio fisico, può aiutare a ridurre l'infiammazione sistemica e migliorare la salute generale. Lo sport poi favorisce la mobilità articolare, incrementa la massa muscolare, migliora la funzione immunitaria e riduce lo stress. Può ridurre il rischio o ritardare l’insorgenza di alcune malattie. Per questo come reumatologi lo consigliamo a tutti, sia ai nostri pazienti che a tutti i cittadini. Lo stesso vale per la dieta mediterranea che risulta la migliore e la più salutare anche per prevenire molte forme di artriti. Quindi via libera al consumo di verdure e cereali, olio d’oliva, pesce, latticini e zuccheri semplici”.
A tale proposito, “oltre alla prevenzione primaria attiva è fondamentale anche quella secondaria - ossserva Ennio Lubrano di Scorpaniello, vicepresidente Sir - Per arrestare il decorso, ed evitare l’aggravamento delle malattie, sono cruciali una diagnosi precoce e la tempestiva presa in carico da parte dello specialista. A differenza di alcuni tumori, per le malattie reumatologiche non sono disponibili programmi di screening. È importante sensibilizzazione la popolazione sui primi campanelli d’allarme che devono far pensare all’esordio di una patologia. Da questi bisogna arrivare il prima possibile ad una visita e ad esami diagnostici come, ad esempio, alcuni test ematochimici. In particolare vi è il dosaggio degli indici bioumorali di infiammazione e degli autoanticorpi. Tra l’imaging ha invece assunto grande importanza l’ecografia muscoloscheletrica come esame di primo livello”. Infine, “vi è la prevenzione terziaria che si pone l’obiettivo di gestire e migliorare la qualità della vita del paziente e vuole anche contenere gli esiti ed il progressivo danno causato delle malattie reumatologiche - sostiene Carlomaurizio Montecucco, presidente di Fira, Fondazione italiana per la ricerca in reumatologia - Le strategie disponibili sono diverse e comprendono alcuni trattamenti farmacologici avanzati, la riabilitazione, la complicata gestione del dolore e più in generale un supporto continuo e qualificato al paziente. Anche nell’evitare complicanze e ricadute della malattia un ruolo importante è quello degli stili di vita. L’attività fisica, un’alimentazione sana, il controllo del peso corporeo, la cessazione del fumo o un consumo limitato di alcol sono tutti fattori che influiscono sul decorso della patologia”.
Il 61.esimo congresso nazionale della Sir vede per tre giorni riuniti a Rimini oltre 1.500 specialisti da tutta Italia. Sono previsti più di 160 relatori per un totale di 60 sessioni e 8 Hands On. “Il programma scientifico, del nostro più importante meeting, prevede momenti di approfondimento dedicati a tutte le principali malattie - conclude Sebastiani - In reumatologia registriamo continui e rapidissimi progressi scientifici a livello clinico-diagnostico ma anche nello studio della patogenesi. Si rende perciò necessario un aggiornamento costante e di elevata qualità ed è compito della nostra Società Scientifica garantirlo a tutti i professionisti che lavorano nel nostro Paese”.
Cronaca
Addio a un gigante della neurologia: il professor Giancarlo...
C’è un vuoto enorme, immenso e non si riesce proprio a descriverlo. E sapete una cosa? Cercare di trovare le parole giuste è dura, anzi, quasi impossibile. Come fai a spiegare una perdita così grande? Come? Il professor Giancarlo Comi – uno di quelli che non dimentichi, che ti rimangono dentro per sempre, una di quelle menti luminose che nascono una volta ogni tanto, una di quelle anime che metteva il cuore in tutto quello che faceva, soprattutto nella battaglia contro la sclerosi multipla – se n’è andato. Il 26 novembre 2024. Così, senza preavviso. Un colpo secco, che ci ha tolto il fiato. Nessuno se lo aspettava, nessuno era pronto. E adesso? Adesso siamo qui: giornalisti, colleghi, pazienti, amici, tutti col cuore in frantumi, pieni di domande che, chissà, forse non troveranno mai risposta.
Perché Comi non era solo un medico, no. Era molto di più. Era uno che ci credeva davvero, uno che aveva il fuoco dentro. Un pioniere, un visionario, uno che ci metteva tutto, anima e corpo, senza mai, mai tirarsi indietro. Uno di quelli che, quando tutto va a rotoli, ti prendono per mano e non ti mollano. Per chi vive ogni giorno con la sclerosi multipla, quella malattia che è come un’ombra che non ti lascia mai, Comi era una luce accesa in mezzo al buio. Era un punto fermo, qualcosa a cui aggrapparsi quando tutto sembra scivolare via. Qualcuno che, anche nei giorni più neri, riusciva a farti credere che c’era una speranza. E ora, senza di lui? Sì, tutto sembra più buio. Ma sapete una cosa? Il suo spirito è ancora qui. Rimane. Resta in ogni piccola battaglia quotidiana, nelle storie di chi non si arrende mai, nelle mani che non smettono di lottare. Perché quello che ci ha lasciato non è solo un ricordo: è una fiamma viva, che continuerà a bruciare. Dentro ognuno di noi che ha avuto la fortuna di conoscerlo, di vedere da vicino quanto era grande, quanto era straordinariamente umano.
Una vita al servizio della ricerca e dei pazienti
Comi non passava mai inosservato, mai. Era uno di quei nomi che, appena lo senti, ti fa fermare. Cioè, davvero, uno di quei nomi che ti fa dire: “Wow, questo qui fa la differenza“. Professore Onorario di Neurologia, Direttore Scientifico… certo, tutti quei titoli altisonanti, roba grossa, roba importante. Ma sapete cosa? Non erano i titoli a farlo chi era, per niente. Non erano quelle targhe lucide, quelle pergamene incorniciate. No. Comi era quello che ogni mattina si alzava, magari con il sonno ancora addosso, ma con un solo pensiero fisso in testa: come posso fare la differenza per chi oggi conta su di me? Come posso migliorare la vita di chi mi affida tutto? E ci metteva tutto. Non solo il cervello, ma il cuore, l’anima, ogni piccolo pezzo di se stesso. Ogni singolo giorno. E ce l’ha fatta. Alla grande. Non è facile dire questo, ma ce l’ha fatta davvero. Ha scritto più di mille articoli scientifici, roba che ti fa girare la testa solo a pensarci. Un h-index sopra il 100, numeri che sembrano quasi irreali. Ma alla fine, cosa contano quei numeri, veramente? Anche se non avete la minima idea di cosa sia un h-index, lasciate che vi dica una cosa: quei numeri parlano di uno che non si è mai fermato, che ha lasciato un segno indelebile. Uno che non si è mai girato dall’altra parte, mai, nemmeno una volta.
Ma, sapete, quello che lo rendeva davvero speciale non erano i numeri, non erano i titoli. Era la sua dedizione, così semplice, così pura. Era l’umanità che ci metteva, il modo in cui riusciva a farti sentire ascoltato, capito, come se fossi l’unico al mondo. Ogni paziente, ogni collega che gli è stato vicino, tutti hanno visto oltre lo scienziato. Hanno visto l’uomo. Quello vero. Quello che non si fermava alla malattia ma vedeva la persona dietro. E forse è proprio questo il più grande regalo che ci ha lasciato: far sentire ognuno di noi importante, nonostante tutto.
Riconoscimenti che raccontano una storia
Comi, nel corso della sua carriera, ha raccolto premi e onorificenze come pochi altri. E non parliamo di premi qualunque. C’era l’Ambrogino d’Oro che ha ricevuto dal Comune di Milano nel 2016 e poi il titolo di Ufficiale della Repubblica Italiana nel 2018, per i suoi meriti scientifici. Ma non è tanto per vantarsi. Non è di quei riconoscimenti che si mettono in vetrina per far bella figura. Sono la prova di quanto fosse grande il suo lavoro. Di quanto fosse cruciale. Perché Comi è stato davvero un leader. Uno di quelli che, quando ci sono, senti che tutto è possibile. Una guida vera, una luce che brillava per tutta la comunità scientifica. Non è un’esagerazione dire che quello che ha fatto lui ha cambiato tutto. Ha segnato un’epoca. Ha aperto strade nuove. E questo, alla fine, è quello che conta di più.
Il vuoto e l’eredità di un grande uomo
Con la sua scomparsa, la comunità scientifica ha perso un un punto di riferimento che ora non c’è più e fa male. Il Centro Studi Sclerosi Multipla di Gallarate, che ha avuto l’onore di averlo come guida, ha espresso tutto il suo dolore, ricordando quanto lui fosse una fonte di ispirazione inesauribile. Non solo per i medici ma per tutti, pazienti compresi. Accettare che una persona così fondamentale se ne sia andata non è per niente facile. Però c’è una cosa che possiamo dirci per consolarci un po’: il suo lavoro, la sua eredità, continueranno a vivere. Nei suoi studi, certo, ma anche nelle vite di tutte quelle persone che ha toccato, nei ricercatori che seguiranno le sue orme.
La lotta contro la sclerosi multipla e altre malattie neurodegenerative non finisce qui. Non può fermarsi qui. Le prossime generazioni raccoglieranno il testimone. L’impegno di Comi, la sua passione, quella forza indomabile… tutto questo resterà vivo. E così, il professor Comi sarà per sempre parte di questa battaglia, un esempio da seguire, una presenza che, anche se invisibile, continuerà a fare la differenza. Non è facile dire addio ma è confortante sapere che, grazie a persone come Giancarlo Comi, il mondo è un po’ migliore. Grazie, professore.
Cronaca
G7, Gemmato: “Antibiotico-resistenza è criticità, 40...
All’evento conclusivo del G7 Salute in corso a Bari
"L’antimicrobico-resistenza è una minaccia: in Europa si stima che sia responsabile di circa 35.000 decessi all’anno, di cui un terzo solo in Italia (circa 12.000). Le cause di questa emergenza sono numerose e complesse e necessitano un impegno di tutti. Ecco perché il Governo, attraverso il Piano triennale di contrasto all'antimicrobico-resistenza, ha investito 40 milioni di euro l'anno: quindi un investimento strutturale di 120 milioni di euro". Così il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato nel suo intervento di apertura della seduta plenaria 'Antimicrobico-resistenza: la strada da seguire' nell’ambito dell’evento conclusivo del G7 Salute oggi e domani a Bari. Tema della due giorni, l’urgenza di contrastare l'antibiotico-resistenza.
"Secondo una stima Ocse, fra il 2015 e il 2050 se le attuali tendenze non cambieranno, il trattamento delle infezioni resistenti nei Paesi del G7 comporterà in media una spesa straordinaria, ogni anno, di circa 7 milioni di giorni di degenza ospedaliera in più – ricorda Gemmato - e l’Italia contribuirà a questo calcolo con circa 1,3 milioni di giorni di degenza ospedaliera in più ogni anno. Vi è la necessità di investire in ricerca su nuovi antibiotici così come la ricerca va avanti per altre patologie ritenute invincibili".
Per il sottosegretario alla Salute il tema centrale resta quello degli incentivi. "Segnalo l’ingresso per la prima volta dell’Italia a livello internazionale nel sistema strutturale di incentivi per favorire lo sviluppo di nuovi antibiotici attraverso i 21 milioni per il finanziamento della partnership globale no profit CarbX. In questo modo promuoviamo gli incentivi push per incoraggiare gli investitori privati ad allocare risorse nella fase di ricerca di nuovi antibatterici".
"Le cause dell’antibiotico-resistenza sono numerose e complesse e necessitano un impegno di tutti. Ecco perché a livello nazionale con le misure in Legge di Bilancio 2025 il Governo intende destinare fino a 100 milioni di euro del Fondo farmaci innovativi per lo sviluppo di agenti antinfettivi per infezioni da germi multi-resistenti".
"Il 50% del consumo di antibiotici in Italia è nella filiera zootecnica e dobbiamo essere fieri che tale utilizzo, contrariamente al settore umano, è in sensibile riduzione (oltre il 46% rispetto al 2016) e questo grazie ad un rigoroso sistema di tracciatura dei medicinali reso possibile dalla ricetta elettronica veterinaria e all’applicazione di precise stewardship previste dal Piano nazionale di contrasto all’antibiotico-resistenza (Pncar), sul quale non a caso abbiamo destinato un finanziamento di 40 milioni di euro annui, 120 milioni totali".
"La strategia veterinaria di contrasto all’antibiotico-resistenza è ad oggi tra le più all’avanguardia. Basti pensare che grazie al sistema informativo Classyfarm siamo in grado di classificare gli allevamenti sulla base del rischio di sviluppo e diffusione di resistenza agli antibiotici – sottolinea Gemmato - premiando gli allevatori virtuosi con un fondo annuale di 376 milioni nell’ambito della Politica agricola comune (Pac 2023-2027)".
È "importante anche parlare delle buone pratiche" e "soprattutto ringraziare chi ne è fautore, ovvero i medici veterinari che svolgono un lavoro eccezionale di sorveglianza e prevenzione, nel nostro Sistema sanitario nazionale pubblico come in quello produttivo. Nessun Governo prima del Governo Meloni aveva investito in antibiotico resistenza con incentivi push and pull. Tuttavia, accanto alle risorse è necessario agire per un loro corretto impiego ed è quanto immagino sarà maturato dai tavoli tematici di oggi".
Cronaca
L’Udu contro la riforma del test di medicina:...
L'Unione degli Univesitari critica il ddl, 'il rischio è che si aggravi la situazione degli atenei italiani'
"Questa riforma, pur sembrando un cambiamento positivo, rischia di illudere gli studenti e aggravare ulteriormente le difficoltà delle università italiane." Così Noemi Cottone, membro dell'esecutivo dell'Udu, l'Unione degli universitari, sul disegno di legge, approvato ieri in Senato, che modifica l'accesso ai corsi universitari di Medicina.
Nella nota dell'Udu, si sottolinea come ogni anno circa 60.000 studenti affrontano il test di ingresso in Medicina. Un numero in aumento. Le università, prosegue Cottone, "non sono in grado di gestire un aumento delle immatricolazioni. Il rinvio del numero chiuso non affronta i problemi strutturali alla base del sistema. I tagli al Servizio Sanitario Nazionale e la carenza di medici aggravano una situazione già critica, e il cosiddetto 'turismo universitario' non dipende solo dal numero chiuso, ma da una visione più ampia, legata alla mancanza di opportunità e di un futuro stabile per i professionisti della sanità".
L'idea che il numero chiuso premi il merito è 'fallace' e non considera le disuguaglianze sociali, economiche e culturali degli studenti. Il sistema attuale aumenta le barriere per chi proviene da contesti svantaggiati e favorisce chi ha maggiori risorse. Per garantire un accesso equo a Medicina, è necessario - conclude - investire nelle infrastrutture accademiche e nel sistema sanitario. Solo dopo, quando le risorse saranno adeguate, si potrà davvero parlare di un accesso meritocratico."