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Aziende sanitarie, le migliori 5 si trovano al Nord: quali sono

Report sulle performance manageriale dell'Agenas: per 27 aziende performance 'buona', per 53 'intermedia' e per 30 'migliorabile'

Medici - (Fotogramma)

Aziende ospedaliere e territoriali pubbliche in Italia, quali sono le migliori? La fotografia, rispetto all’attività di 110 aziende territoriali e 51 aziende ospedaliere, arriva dal report sulle performance manageriale nelle aziende ospedaliere e territoriali pubbliche dell'Agenas presentato oggi ad Arezzo al Forum risk management. Non una classifica ma una sorta di 'pagelle' al lavoro fatto dalle aziende del Ssn.

Le 5 Aziende migliori: quali sono e dove si trovano

Il report contiene i dati aggiornati al 2023 del modello di valutazione multidimensionale della performance manageriale riguardo le aziende sanitarie pubbliche, ospedaliere e territoriali. "Il risultato del mix di tutte le aree analizzate porta all’individuazione di 27 aziende con una valutazione complessiva buona, 53 con valutazione intermedia, 30 con una valutazione migliorabile", si legge nel report. Secondo la fotografia dell'Agenas, le 5 Aziende che raggiungono un livello maggiore di performance sono l’Azienda Ulss n.8 Berica; l’Ats di Bergamo​; l’Azienda Ulss N.6 Euganea; l’Azienda Uls N.1 Dolomiti​ e l’Azienda Usl Bologna.

Per le aziende territoriali il monitoraggio si basa sulla valutazione di 34 indicatori classificati in 6 aree (prevenzione, distrettuale, ospedaliera, sostenibilità economica-patrimoniale, outcome) e 12 sub-aree; in merito alle aziende ospedaliere, gli indicatori presi in considerazione sono 27 classificati in 4 aree (accessibilità, gestione dei processi organizzativi, sostenibilità economico-patrimoniale, investimenti) e 10 sub-aree. Le aziende sanitarie territoriali, inoltre, sono state suddivise in cluster in considerazione del numero di cittadini presi in carico, ovvero meno di 250.000 abitanti; tra i 250.000 e i 400.000 abitanti; trai i 400.000 e i 700.000 abitanti; superiori a 700.000 abitanti.

Le aree analizzate

Di seguito le aree analizzate dal lavoro dell'Agenas. "Nell'area assistenza distrettuale, la valutazione degli indicatori (dotazione dei servizi territoriali; cure primarie; presa in carico del territorio; ospedalizzazioni evitabili e il consumo di prestazioni di specialistica ambulatoriale) ha evidenziato che la situazione risulta essere molto omogenea a livello nazionale con la maggioranza delle Asl che risulta avere un livello di performance medio", si legge nel report.

Area assistenza ospedaliera. "La valutazione degli indicatori (degenza media nei reparti di medicina interna e geriatria; l’indice di fuga per prestazioni di media e bassa complessità; il rispetto dei tempi di attesa per gli interventi di colecistectomia, protesi all’anca, ginocchio e spalla) evidenzia un comportamento variegato con il raggiungimento di alti livelli di performance sia al Nord che al Sud".

Area Sostenibilità economico-patrimoniale: "La valutazione degli indicatori (costi pro-capite e l’indice di tempestività dei pagamenti) riportano performance delle Asl del Centro- Nord registrano dei livelli maggiori rispetto a quelle del Sud - prosegue il report - Area Investimenti: la valutazione degli indicatori (capacità di rinnovamento tecnologico e lo stato del patrimonio) riporta come pressoché tutte le asl registrano bassi livelli di performance con pochissime eccezioni. Area Outcome (esiti): la valutazione degli indicatori (mortalità prevenibile e trattabile) osserva come i tassi di mortalità siano molto più bassi al Centro – Nord con l’eccezione delle Asl della Regione Lazio rispetto al Sud".

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Cronaca

Addio a un gigante della neurologia: il professor Giancarlo...

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C’è un vuoto enorme, immenso e non si riesce proprio a descriverlo. E sapete una cosa? Cercare di trovare le parole giuste è dura, anzi, quasi impossibile. Come fai a spiegare una perdita così grande? Come? Il professor Giancarlo Comi – uno di quelli che non dimentichi, che ti rimangono dentro per sempre, una di quelle menti luminose che nascono una volta ogni tanto, una di quelle anime che metteva il cuore in tutto quello che faceva, soprattutto nella battaglia contro la sclerosi multipla – se n’è andato. Il 26 novembre 2024. Così, senza preavviso. Un colpo secco, che ci ha tolto il fiato. Nessuno se lo aspettava, nessuno era pronto. E adesso? Adesso siamo qui: giornalisti, colleghi, pazienti, amici, tutti col cuore in frantumi, pieni di domande che, chissà, forse non troveranno mai risposta.

Perché Comi non era solo un medico, no. Era molto di più. Era uno che ci credeva davvero, uno che aveva il fuoco dentro. Un pioniere, un visionario, uno che ci metteva tutto, anima e corpo, senza mai, mai tirarsi indietro. Uno di quelli che, quando tutto va a rotoli, ti prendono per mano e non ti mollano. Per chi vive ogni giorno con la sclerosi multipla, quella malattia che è come un’ombra che non ti lascia mai, Comi era una luce accesa in mezzo al buio. Era un punto fermo, qualcosa a cui aggrapparsi quando tutto sembra scivolare via. Qualcuno che, anche nei giorni più neri, riusciva a farti credere che c’era una speranza. E ora, senza di lui? Sì, tutto sembra più buio. Ma sapete una cosa? Il suo spirito è ancora qui. Rimane. Resta in ogni piccola battaglia quotidiana, nelle storie di chi non si arrende mai, nelle mani che non smettono di lottare. Perché quello che ci ha lasciato non è solo un ricordo: è una fiamma viva, che continuerà a bruciare. Dentro ognuno di noi che ha avuto la fortuna di conoscerlo, di vedere da vicino quanto era grande, quanto era straordinariamente umano.

Una vita al servizio della ricerca e dei pazienti

Comi non passava mai inosservato, mai. Era uno di quei nomi che, appena lo senti, ti fa fermare. Cioè, davvero, uno di quei nomi che ti fa dire: “Wow, questo qui fa la differenza“. Professore Onorario di Neurologia, Direttore Scientifico… certo, tutti quei titoli altisonanti, roba grossa, roba importante. Ma sapete cosa? Non erano i titoli a farlo chi era, per niente. Non erano quelle targhe lucide, quelle pergamene incorniciate. No. Comi era quello che ogni mattina si alzava, magari con il sonno ancora addosso, ma con un solo pensiero fisso in testa: come posso fare la differenza per chi oggi conta su di me? Come posso migliorare la vita di chi mi affida tutto? E ci metteva tutto. Non solo il cervello, ma il cuore, l’anima, ogni piccolo pezzo di se stesso. Ogni singolo giorno. E ce l’ha fatta. Alla grande. Non è facile dire questo, ma ce l’ha fatta davvero. Ha scritto più di mille articoli scientifici, roba che ti fa girare la testa solo a pensarci. Un h-index sopra il 100, numeri che sembrano quasi irreali. Ma alla fine, cosa contano quei numeri, veramente? Anche se non avete la minima idea di cosa sia un h-index, lasciate che vi dica una cosa: quei numeri parlano di uno che non si è mai fermato, che ha lasciato un segno indelebile. Uno che non si è mai girato dall’altra parte, mai, nemmeno una volta.

Ma, sapete, quello che lo rendeva davvero speciale non erano i numeri, non erano i titoli. Era la sua dedizione, così semplice, così pura. Era l’umanità che ci metteva, il modo in cui riusciva a farti sentire ascoltato, capito, come se fossi l’unico al mondo. Ogni paziente, ogni collega che gli è stato vicino, tutti hanno visto oltre lo scienziato. Hanno visto l’uomo. Quello vero. Quello che non si fermava alla malattia ma vedeva la persona dietro. E forse è proprio questo il più grande regalo che ci ha lasciato: far sentire ognuno di noi importante, nonostante tutto.

Riconoscimenti che raccontano una storia

Comi, nel corso della sua carriera, ha raccolto premi e onorificenze come pochi altri. E non parliamo di premi qualunque. C’era l’Ambrogino d’Oro che ha ricevuto dal Comune di Milano nel 2016 e poi il titolo di Ufficiale della Repubblica Italiana nel 2018, per i suoi meriti scientifici. Ma non è tanto per vantarsi. Non è di quei riconoscimenti che si mettono in vetrina per far bella figura. Sono la prova di quanto fosse grande il suo lavoro. Di quanto fosse cruciale. Perché Comi è stato davvero un leader. Uno di quelli che, quando ci sono, senti che tutto è possibile. Una guida vera, una luce che brillava per tutta la comunità scientifica. Non è un’esagerazione dire che quello che ha fatto lui ha cambiato tutto. Ha segnato un’epoca. Ha aperto strade nuove. E questo, alla fine, è quello che conta di più.

Il vuoto e l’eredità di un grande uomo

Con la sua scomparsa, la comunità scientifica ha perso un un punto di riferimento che ora non c’è più e fa male. Il Centro Studi Sclerosi Multipla di Gallarate, che ha avuto l’onore di averlo come guida, ha espresso tutto il suo dolore, ricordando quanto lui fosse una fonte di ispirazione inesauribile. Non solo per i medici ma per tutti, pazienti compresi. Accettare che una persona così fondamentale se ne sia andata non è per niente facile. Però c’è una cosa che possiamo dirci per consolarci un po’: il suo lavoro, la sua eredità, continueranno a vivere. Nei suoi studi, certo, ma anche nelle vite di tutte quelle persone che ha toccato, nei ricercatori che seguiranno le sue orme.

La lotta contro la sclerosi multipla e altre malattie neurodegenerative non finisce qui. Non può fermarsi qui. Le prossime generazioni raccoglieranno il testimone. L’impegno di Comi, la sua passione, quella forza indomabile… tutto questo resterà vivo. E così, il professor Comi sarà per sempre parte di questa battaglia, un esempio da seguire, una presenza che, anche se invisibile, continuerà a fare la differenza. Non è facile dire addio ma è confortante sapere che, grazie a persone come Giancarlo Comi, il mondo è un po’ migliore. Grazie, professore.

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Cronaca

G7, Gemmato: “Antibiotico-resistenza è criticità, 40...

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All’evento conclusivo del G7 Salute in corso a Bari

Marcello Gemmato - (Fotogramma)

"L’antimicrobico-resistenza è una minaccia: in Europa si stima che sia responsabile di circa 35.000 decessi all’anno, di cui un terzo solo in Italia (circa 12.000). Le cause di questa emergenza sono numerose e complesse e necessitano un impegno di tutti. Ecco perché il Governo, attraverso il Piano triennale di contrasto all'antimicrobico-resistenza, ha investito 40 milioni di euro l'anno: quindi un investimento strutturale di 120 milioni di euro". Così il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato nel suo intervento di apertura della seduta plenaria 'Antimicrobico-resistenza: la strada da seguire' nell’ambito dell’evento conclusivo del G7 Salute oggi e domani a Bari. Tema della due giorni, l’urgenza di contrastare l'antibiotico-resistenza.

"Secondo una stima Ocse, fra il 2015 e il 2050 se le attuali tendenze non cambieranno, il trattamento delle infezioni resistenti nei Paesi del G7 comporterà in media una spesa straordinaria, ogni anno, di circa 7 milioni di giorni di degenza ospedaliera in più – ricorda Gemmato - e l’Italia contribuirà a questo calcolo con circa 1,3 milioni di giorni di degenza ospedaliera in più ogni anno. Vi è la necessità di investire in ricerca su nuovi antibiotici così come la ricerca va avanti per altre patologie ritenute invincibili".

Per il sottosegretario alla Salute il tema centrale resta quello degli incentivi. "Segnalo l’ingresso per la prima volta dell’Italia a livello internazionale nel sistema strutturale di incentivi per favorire lo sviluppo di nuovi antibiotici attraverso i 21 milioni per il finanziamento della partnership globale no profit CarbX. In questo modo promuoviamo gli incentivi push per incoraggiare gli investitori privati ad allocare risorse nella fase di ricerca di nuovi antibatterici".

"Le cause dell’antibiotico-resistenza sono numerose e complesse e necessitano un impegno di tutti. Ecco perché a livello nazionale con le misure in Legge di Bilancio 2025 il Governo intende destinare fino a 100 milioni di euro del Fondo farmaci innovativi per lo sviluppo di agenti antinfettivi per infezioni da germi multi-resistenti".

"Il 50% del consumo di antibiotici in Italia è nella filiera zootecnica e dobbiamo essere fieri che tale utilizzo, contrariamente al settore umano, è in sensibile riduzione (oltre il 46% rispetto al 2016) e questo grazie ad un rigoroso sistema di tracciatura dei medicinali reso possibile dalla ricetta elettronica veterinaria e all’applicazione di precise stewardship previste dal Piano nazionale di contrasto all’antibiotico-resistenza (Pncar), sul quale non a caso abbiamo destinato un finanziamento di 40 milioni di euro annui, 120 milioni totali".

"La strategia veterinaria di contrasto all’antibiotico-resistenza è ad oggi tra le più all’avanguardia. Basti pensare che grazie al sistema informativo Classyfarm siamo in grado di classificare gli allevamenti sulla base del rischio di sviluppo e diffusione di resistenza agli antibiotici – sottolinea Gemmato - premiando gli allevatori virtuosi con un fondo annuale di 376 milioni nell’ambito della Politica agricola comune (Pac 2023-2027)".

È "importante anche parlare delle buone pratiche" e "soprattutto ringraziare chi ne è fautore, ovvero i medici veterinari che svolgono un lavoro eccezionale di sorveglianza e prevenzione, nel nostro Sistema sanitario nazionale pubblico come in quello produttivo. Nessun Governo prima del Governo Meloni aveva investito in antibiotico resistenza con incentivi push and pull. Tuttavia, accanto alle risorse è necessario agire per un loro corretto impiego ed è quanto immagino sarà maturato dai tavoli tematici di oggi".

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Cronaca

L’Udu contro la riforma del test di medicina:...

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L'Unione degli Univesitari critica il ddl, 'il rischio è che si aggravi la situazione degli atenei italiani'

L'Udu contro la riforma del test di medicina:

"Questa riforma, pur sembrando un cambiamento positivo, rischia di illudere gli studenti e aggravare ulteriormente le difficoltà delle università italiane." Così Noemi Cottone, membro dell'esecutivo dell'Udu, l'Unione degli universitari, sul disegno di legge, approvato ieri in Senato, che modifica l'accesso ai corsi universitari di Medicina.

Nella nota dell'Udu, si sottolinea come ogni anno circa 60.000 studenti affrontano il test di ingresso in Medicina. Un numero in aumento. Le università, prosegue Cottone, "non sono in grado di gestire un aumento delle immatricolazioni. Il rinvio del numero chiuso non affronta i problemi strutturali alla base del sistema. I tagli al Servizio Sanitario Nazionale e la carenza di medici aggravano una situazione già critica, e il cosiddetto 'turismo universitario' non dipende solo dal numero chiuso, ma da una visione più ampia, legata alla mancanza di opportunità e di un futuro stabile per i professionisti della sanità".

L'idea che il numero chiuso premi il merito è 'fallace' e non considera le disuguaglianze sociali, economiche e culturali degli studenti. Il sistema attuale aumenta le barriere per chi proviene da contesti svantaggiati e favorisce chi ha maggiori risorse. Per garantire un accesso equo a Medicina, è necessario - conclude - investire nelle infrastrutture accademiche e nel sistema sanitario. Solo dopo, quando le risorse saranno adeguate, si potrà davvero parlare di un accesso meritocratico."

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