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Lutto per Cecchi Paone: è morta la mamma Paola Maria Marini. La dedica sui social

Tanti i messaggi di condoglianze ricevuti sotto al post condiviso su Instagram

Lutto per Cecchi Paone: è morta la mamma Paola Maria Marini. La dedica sui social

È morta la mamma di Alessandro Cecchi Paone. Con un post su Instagram il giornalista ha reso pubblica la scomparsa della mamma, Paola Maria Marini, un giorno dopo la sua morte, avvenuta ieri, mercoledì 27 novembre.

La dedica per la mamma

"Ciao mamma", così Alessandro Cecchi Paone ha condiviso sui social il dolce saluto per la madre, Paola Maria Marini. Lo ha fatto pubblicando una foto della donna, seduta in giardino, mentre sorride verso la telecamera. A corredo dello scatto, Cecchi Paone ha aggiunto il nome e la data di nascita del genitore: Paola Maria era nata l'8 luglio del 1936. La donna aveva 88 anni.

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Un post condiviso da Alessandro Cecchi Paone (@cecchi.paone)

Tanti i follower che si sono uniti al giornalista nel dolore. Non mancano sotto al post i messaggi di condoglianze da parte di personaggi del mondo dello spettacolo e della politica: da Luigi di Maio, al comico Max del duo Fichi d'India fino a Giovanni Terzi, giornalista e marito di Simona Ventura. Tra i commenti, spunta anche quello del marito di Alessandro Cecchi Paone, Simone Antolini che ha lasciato un cuore rosso.

Alessandro Cecchi Paone e Simone Antolini dopo due anni di convivenza, convolarono a nozze il 22 dicembre dello scorso anno nella Sala d’onore del Maschio Angioino del Comune di Napoli. Lo aveva annunciato in esclusiva all’Adnkronos Alessandro Cecchi Paone.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Cronaca

Test medicina, Bernini ai Rettori: “Gestiamo gli...

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Il ministro da Trieste, "con riforma addio a inaccettabile lancio della monetina su domande come 'chi era Sandra Milo?'"

Test medicina, Bernini ai Rettori:

"Chiedo a tutti di collaborare: la mia preoccupazione non è quella di avere aule troppo piene ma troppo vuote, come sta succedendo adesso. Agli amici Rettori dico 'non lamentiamoci di non avere abbastanza studenti e poi quando si apre il numero chiuso diciamo sono troppi', cerchiamo di gestirli. Per il loro bene, per il bene del nostro sistema paese e per il bene del sistema sanitario nazionale". Così il ministro dell'Università e della Ricerca Anna Maria Bernini a margine del 2° Forum Scientifico Italia-Serbia a Trieste.

Per quanto riguarda i test di ammissione a medicina, "da ora non ci sarà più quel terribile test a crocette - prosegue il ministro - che faceva solo spendere soldi agli studenti e alle famiglie per prepararli su domande come 'chi era Sandra Milo?' Cose sinceramente inaccettabili. Ora tutte le studentesse e gli studenti si prepareranno durante un semestre in cui studieranno materie caratterizzanti, materie propedeutiche e potranno accedere ad una graduatoria. Noi stiamo allargando in maniera progressiva, programmata e sostenibile il numero chiuso senza creare una rottura del sistema ma rendendo possibile valorizzare il talento, il merito e i sogni delle studentesse e degli studenti che legavano il loro destino al lancio della monetina. Perché questo era il test a crocette. Adesso non esiste più". Una riforma che servirà, secondo il ministro, a ridurre la mancanza di medici nel nostro Paese: "Dovremmo aspettare otto anni perché questi medici siano in grado di operare in corsia. Ma è altrettanto vero che se non si comincia mai non si producono mai nuovi medici".

"So che è una strada complicata perché non sono tutti favorevoli: ci sono posizioni ormai radicate che si fa fatica a convincere a cambiare. Però il mio obiettivo sono le studentesse, gli studenti, il loro futuro e il benessere del servizio sanitario nazionale. Soprattutto, bisogna evitare che i nostri studenti siano costretti ad un esilio forzato all'estero, per andare a studiare medicina in luoghi che non sono l'Italia per poi ritornare, dopo aver speso tanti soldi, e non essersi giovati della grande qualità dell'offerta formativa italiana".

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Cronaca

Anpi, polemica con gaffe contro il francobollo per Sergio...

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Pagliarulo: "Scelta politica ricordare lui e non Piazza della Loggia e Italicus". Ma in realtà il francobollo per le due stragi è stato emesso nel 2024. La famiglia: "Fascismo non c'entra, è elogio alla normalità di una vita che purtroppo è andata sprecata"

Anpi, polemica con gaffe contro il francobollo per Sergio Ramelli

Dall'Anpi polemica con gaffe sul francobollo annunciato per il 2025 in occasione del cinquantenario dell'omicidio di Sergio Ramelli, lo studente di destra aggredito a colpi di chiave inglese da un gruppo di militanti della sinistra extraparlamentare a Milano nel 1975 e morto dopo 47 giorni di agonia.

La gaffe dell'Anpi

"Per le stragi del 1974 di Piazza della Loggia o del treno Italicus, non è stato fatto alcun francobollo", contesta il presidente dell'Anpi Gianfranco Pagliarulo. Un'affermazione che in realtà non corrisponde al vero perché per le due stragi sono stati emessi francobolli commemorativi nel 2024, appunto in occasione del 50esimo anniversario. "Lo ignoravo", si limita a replicare Pagliarulo, che non rinuncia però a parlare di strumentalizzazione. "Non è mai stato fatto alcun francobollo per le centinaia di ragazze e di ragazzi uccisi dai fascisti in quel decennio. E nel momento in cui si sceglie una sola persona, per di più di quella parte, si fa una palese scelta politica - dice all'Adnkronos - Qui non è in discussione la gravità dell'evento, cioè l'assassinio efferato di Ramelli. È in discussione la strumentalizzazione di quella morte, un tentativo di ridisegnare gli anni Settanta in un modo che non corrisponde alla realtà". 

Insomma, secondo l'Anpi, "non ha senso fare un francobollo su Sergio Ramelli, su cui è stato istituito una sorta di culto neofascista, in mancanza di iniziativa 'di memoria postale' rispetto ad altri eventi gravissimi che sono avvenuti in quella fase storica come per esempio le grandi stragi che oggi sono rimosse, a cominciare da piazza Fontana fino a Bologna, con in mezzo Brescia, l'Italicus e tante altre".

La famiglia di Ramelli: "Fascismo non c'entra, è elogio a normalità di una vita andata sprecata"

Di tutt'altro avviso la famiglia di Ramelli. "Sergio era un ragazzo normalissimo che ha manifestato alcune idee che per quella età erano 'abbozzate'. Il destino ha voluto che diventasse un martire, ma nel ricordare la sua morte si celebra non un ragazzo che ha manifestato idee fasciste ma un ragazzo che avrebbe potuto diventare quello che voleva ma e che invece per la sventura, per la delinquenza, per il clima di quei tempi, è diventato un martire", dice all'Adnkronos Massimo Turci, parlando a nome della sorella di Ramelli. "Quello in memoria di Sergio potrebbe essere un francobollo in elogio alla normalità di una vita che è invece andata sprecata", sottolinea, bocciando la polemica sollevata dall'Anpi come "priva di senso".

D'altronde, aggiunge poi, non senza amarezza nella voce, "la famiglia di Sergio, relativamente al francobollo, è indifferente: non è che per la sorella, unica rimasta, possa essere considerato un voto in più sul registro: ormai la vita quello che doveva fare ha fatto, la famiglia tutta ne ha risentito. Certo non le dà fastidio l'emissione, ma sicuramente non aggiunge nulla alla sua vita né leva nulla al suo dolore". (di Silvia Mancinelli)

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Cronaca

Caos al Corvetto. Tommy Kuti: “Da noi solo per gravi...

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Caos al Corvetto. Tommy Kuti:

"Da noi solo per gravi fatti di cronaca. Ascoltateci e stop al gioco dei politici''. Tommy Kuti, rapper afroitaliano non ha dubbi nel prendere una posizione dopo i fatti accaduti nel quartiere Corvetto di Milano negli scorsi giorni, protagonista di disordini e vandalismi in seguito alla morte del 19enne di origine egiziana Ramy Elgaml. Secondo il cantante troppo spesso “si finisce a parlare di ragazzi di seconda generazione dopo situazioni o fatti di cronaca estremi e i – dice all’Adnkronos Tommy Kuti, il rapper afroitaliano, qui da quando aveva 2 anni– oltre a essere un problema, è un sintomo dell’arretratezza dell’Italia su questi temi”. Per i ragazzi e le ragazze figli di immigrati è difficile sentirsi italiani al 100%, “ci vuole un grande sforzo”.

Tommy ha passato l’infanzia sulle sponde del lago di Garda, in provincia di Brescia, in una comunità di persone nigeriane cresciute in Italia. Il suo quotidiano è differente da quello degli altri: “Il 98% dei miei amici se ne sono andati dall’Italia perché non si sono mai sentiti integrati”. Una conseguenza dettata dal clima di diffidenza verso ciò che non si conosce. “Quando un italiano incontra un nero – spiega – viene quasi naturale pensare cose negative. È così che si crea quella tensione che porta poi alla perdita di persone, come i miei amici”. Mentre si parla di sbarchi, maranza e criminalità giovanile “diventiamo miopi e ignoriamo quello che questi ragazzi possono realmente offrire”.

Secondo Tommy c'è un problema: il Paese è spesso abituato a interagire con gli italiani di seconda e terza generazione solo quando si tratta di problemi da risolvere, mentre “non c’è una narrazione che tratti storia di normalità o quotidianità”. Quello che serve fare, per il rapper, è “confrontarsi e cambiare la narrativa così che anche i parlamentari di destra smetterebbero di dire che è sempre colpa dell’immigrazione”.

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