Infertilità, cosa sanno gli italiani e quali ostacoli restano
L’infertilità continua a rimanere un tema di discussione difficile, un tabù che troppo spesso non trova spazio nel dibattito pubblico. Eppure, è un problema che riguarda milioni di persone e che ha effetti significativi non solo sulla salute fisica ma anche su quella emotiva, sociale ed economica. I dati emersi dall’indagine ‘Il fenomeno dell’infertilità: percezioni e vissuti degli italiani’ condotta dall’Istituto Piepoli, e presentati durante il Congresso Nazionale della Società Italiana della Riproduzione (Sidr), sono un campanello d’allarme. La ricerca ha rivelato che la maggior parte degli italiani riconosce l’infertilità come una difficoltà reale e trasversale, che non riguarda solo le donne ma coinvolge anche gli uomini in misura significativa. Sebbene ci sia una crescente consapevolezza del fenomeno, persiste una scarsissima conoscenza delle soluzioni disponibili e, soprattutto, dei costi e delle barriere che le persone devono affrontare per poter accedere alle cure.
Con il 74% degli italiani che considera la fecondazione assistita come uno strumento utile a contrastare il calo demografico, la domanda di un’azione concreta e di un maggior supporto da parte delle istituzioni è sempre più forte. Non si tratta semplicemente di una questione medica, ma di una vera e propria emergenza sociale. In Italia, la natalità è in continuo calo, e le previsioni per il 2024 parlano di ben 200mila bambini in meno, un dato che segna un futuro sempre più incerto per il Paese. L’infertilità, dunque, è anche una minaccia alla sopravvivenza stessa della democrazia, come affermato dal presidente dell’Istituto Piepoli, Livio Gigliuto. Questo fenomeno, che colpisce in modo crescente le nuove generazioni, è legato a una molteplicità di fattori: dall’età avanzata alla scarsa informazione, passando per gli stili di vita dannosi e l’inquinamento ambientale.
Si stima che solo il 25% della popolazione italiana abbia consapevolezza delle opzioni terapeutiche esistenti e, ancor di più, di come queste possano realmente supportare chi è colpito da infertilità. Le terapie, per quanto efficaci, rimangono un miraggio per tanti, spesso frenato da barriere economiche o culturali: le disuguaglianze nell’accesso ai trattamenti, che sono ancora condizionati da costi elevati e da una disparità regionale significativa, peggiorano ulteriormente la situazione.
Le cause percepite dell’infertilità
L’indagine condotta dall’Istituto Piepoli ha anche evidenziato come la maggior parte degli italiani (69%) percepisca l’infertilità come un problema diffuso e in continua espansione, che coinvolge entrambi i sessi. Questo dato, già significativo, assume contorni ancora più preoccupanti quando si analizzano le cause identificate dalla popolazione. Se la causa principale è rappresentata dall’età avanzata, con il 39% degli italiani che la considera un fattore determinante, altre motivazioni non sono meno rilevanti. Gli squilibri ormonali (34%) e le malattie pregresse (29%) sono altre cause ritenute cruciali. A queste si aggiungono i fattori legati allo stile di vita, come il fumo (26%) e l’abuso di alcol (23%), ma anche fattori psicologici ed emotivi (24%), inquinamento e stress (23%).
Questo quadro suggerisce una crescente consapevolezza dei legami tra le abitudini quotidiane e la fertilità, ma al contempo evidenzia una grande difficoltà nel prevenire il problema. Si parla di infertilità come di un “problema moderno”, legato all’incapacità di modificare comportamenti dannosi, spesso legati alla frenesia della vita urbana o al peggioramento delle condizioni ambientali. Ma la percezione del problema non è sufficiente a risolverlo. La popolazione, infatti, sembra disposta a investire nella prevenzione, ma questo impegno non sempre trova un riscontro nelle politiche pubbliche e nella consapevolezza individuale. Solo il 23% degli intervistati ritiene che l’infertilità debba essere affrontata fin da giovane, ma l’incapacità di attuare politiche preventive concrete, come l’educazione nelle scuole, rimane una lacuna che il Paese non può più permettersi.
Ciò che emerge con chiarezza dall’indagine è l’urgenza di una maggiore informazione e sensibilizzazione, in modo da ridurre il divario tra consapevolezza e azione. La consapevolezza sulle cause dell’infertilità, infatti, non basta: è fondamentale che i cittadini ricevano un supporto concreto, non solo in termini di accesso a trattamenti ma anche in termini di educazione alla salute riproduttiva.
Il futuro della fertilità in Italia
In un contesto così complesso e frammentato, le aspettative degli italiani sono chiare e forti. Secondo l’indagine dell’Istituto Piepoli, la maggior parte della popolazione ritiene che la risposta al calo demografico e alle difficoltà legate all’infertilità debba passare da un’azione concreta sul fronte dell’accessibilità e della sensibilizzazione. Ben il 36% degli intervistati ha indicato la necessità di facilitare l’accesso ai trattamenti attraverso il Sistema Sanitario Nazionale, mentre il 34% sottolinea l’importanza di formare i medici per affrontare al meglio la patologia. Altri suggeriscono di incrementare il numero di centri specializzati e di destinare più risorse alla ricerca medica (29%), elementi tutti imprescindibili per garantire un reale miglioramento.
Le politiche pubbliche, infatti, devono fare i conti con una realtà che non può più essere ignorata: la crescente domanda di interventi contro l’infertilità, che non può essere soddisfatta dai mezzi e dalle strutture attuali. Ma il miglioramento delle politiche di accesso non è sufficiente se non accompagnato da un vero e proprio cambio di mentalità a livello sociale e culturale. L’infertilità non può essere più vista come una questione privata o una difficoltà da affrontare in solitudine. Occorre un’educazione alla fertilità che parta dalle scuole e che prosegua nelle campagne di sensibilizzazione. Il tema deve essere affrontato in modo aperto e informato, per ridurre lo stigma e la vergogna che spesso circondano chi non riesce ad avere figli.
Ermanno Greco, presidente della Società Italiana della Riproduzione, ha più volte ribadito che l’infertilità non è solo un problema medico, ma è una sfida sociale ed emotiva che richiede il massimo impegno delle istituzioni e della società nel suo complesso. Per questo motivo, è fondamentale non solo abbattere i tabù, ma anche garantire il massimo supporto alle coppie che si trovano ad affrontare questo delicato percorso.
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Il fascino (pericoloso) di merendine e cibi...
In Italia, terra di tradizioni culinarie e patria della dieta Mediterranea, i bambini sembrano essere sempre più attratti da energy drink, merendine e cibi ultra-trasformati, creando un cortocircuito tra cultura alimentare e realtà moderna. Secondo un recente rapporto Coldiretti-Censis, l’82% delle famiglie italiane chiede un piano pubblico per contrastare questa tendenza pericolosa, che minaccia la salute e lo sviluppo delle nuove generazioni. Il fenomeno dei cibi ultra-trasformati non è solo una questione di gusto o praticità: coinvolge profondamente la salute pubblica, toccando corde emotive e sociali. Dai genitori che si sentono impotenti di fronte al marketing aggressivo delle industrie alimentari, fino alle istituzioni che tentano di porre limiti efficaci, il panorama è complesso e urgente.
Perché i bambini amano i cibi ultra-trasformati?
Nonostante il 75,8% dei genitori dichiari di promuovere la dieta mediterranea, più della metà ammette di trovarsi in difficoltà. Il 55,3% nota una forte attrazione dei figli per i cibi spazzatura e quasi il 48% osserva che appena possono, i bambini scelgono alimenti poco salutari. Ma cosa rende questi prodotti così irresistibili?
Gli alimenti ultra-trasformati sono progettati per conquistare i consumatori, a partire dai bambini, grazie a combinazioni di zuccheri, grassi e sale che stimolano il cervello a voler “di più”. L’impatto è ulteriormente amplificato da strategie di marketing mirate: mascotte accattivanti, packaging colorati e spot pubblicitari che parlano il linguaggio dei più piccoli. Le famiglie, spesso, non riescono a opporsi a queste influenze esterne. I ritmi frenetici della vita moderna favoriscono scelte alimentari rapide e pratiche, sacrificando tempo ed energie per cucinare piatti sani e bilanciati. Questo quadro genera una spirale che allontana i più giovani da abitudini alimentari tradizionali, come quelle proprie della dieta mediterranea.
I pericoli di barrette ed energy drink
Un altro aspetto allarmante legato al consumo eccessivo di cibi ultra-trasformati, come barrette energetiche ed energy drink, riguarda il loro potenziale impatto sulla fertilità maschile. Secondo gli esperti della Società Italiana di Andrologia (SIA), una dieta troppo ricca di proteine, soprattutto quelle derivate da alimenti addizionati, potrebbe compromettere la qualità e la quantità degli spermatozoi.
Le barrette e gli energy drink, spesso arricchiti con proteine sintetiche, sono diventati una scelta popolare, soprattutto tra i giovani, per il loro apporto rapido di energia e nutrienti. Tuttavia, l’eccesso di proteine, sebbene inizialmente possa sembrare benefico per l’organismo, può avere effetti collaterali negativi, in particolare sulla salute riproduttiva. “Un consumo eccessivo di proteine non aumenta necessariamente la produzione di spermatozoi; anzi, potrebbe aumentare lo stress ossidativo nell’organismo, con un impatto negativo sulla concentrazione e sulla qualità degli spermatozoi”, ha spiegato Alessandro Palmieri, presidente della SIA.
Inoltre, l’assunzione massiccia di questi prodotti potrebbe alterare l’equilibrio nutrizionale complessivo, compromettendo l’assorbimento di vitamine e minerali essenziali per la salute, oltre ad aumentare i rischi legati a patologie cardiovascolari, renali e osteoporosi. Le risposte individuali all’elevato apporto proteico possono variare, ma è fondamentale seguire una dieta equilibrata, che includa proteine di alta qualità, provenienti da fonti naturali come carne magra, pesce e legumi, senza eccedere in alimenti addizionati e processati. La moderazione è la chiave per preservare non solo la fertilità, ma anche la salute generale.
Dieta mediterranea ed educazione alimentare
Coldiretti ha avanzato diverse proposte per invertire questa tendenza: dalle etichette che identifichino chiaramente i prodotti ultra-trasformati, all’aumento delle ore di educazione alimentare nelle scuole. L’introduzione di divieti sui cibi ultra-trasformati nelle mense scolastiche e nei distributori automatici rappresenta un altro passo avanti, ma potrebbe non bastare.
Il Regno Unito ha già intrapreso la strada dei divieti, limitando la pubblicità di cibi spazzatura nelle fasce orarie più seguite da bambini e adolescenti. In Italia, però, i divieti sembrano avere un impatto limitato: solo il 37% delle famiglie impone restrizioni severe sui junk food. È evidente che, accanto alle norme, sia necessario un cambio culturale, supportato da campagne di sensibilizzazione che coinvolgano scuole, famiglie e piattaforme digitali.
In un contesto dominato dai cibi industriali la dieta mediterranea, simbolo di equilibrio e salute, può rappresentare una soluzione concreta. Questo modello alimentare, basato su alimenti freschi e naturali come frutta, verdura, legumi, cereali integrali, olio d’oliva e pesce, è il risultato di una tradizione millenaria che ha dimostrato benefici straordinari per la salute. Tuttavia, la sua sopravvivenza dipende dalla capacità di trasmettere alle nuove generazioni l’importanza di mangiare in modo semplice ma nutriente.
La ricerca Coldiretti-Censis ha dimostrato che molte famiglie sono già impegnate in questa battaglia culturale, ma serve un supporto più ampio. ” L’educazione alimentare è il pilastro di una vita in salute. Bisogna imparare da bambini che mangiare in modo corretto e sano significa migliorare il proprio stato di salute. È per questo che stiamo potenziando le politiche di prevenzione, a partire dalla promozione della corretta alimentazione e degli stili di vita sani, attraverso la collaborazione con i professionisti sanitari sul territorio e molteplici iniziative di comunicazione e informazione” ha sottolineato il ministro della Salute, Orazio Schillaci, durante il Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione. “Proprio per contrastare informazioni fuorvianti, sosteniamo in particolare campagne sui social sulla dieta sana e partecipiamo a tutte quelle iniziative utili a veicolare messaggi legati agli stili di vita corretti”, ha aggiunto.
Il parere della nutrizionista
Ma come riportare i bambini su questa strada? Intervenendo su questi temi, la nutrizionista Marta Menelao sottolinea che la chiave per un’alimentazione sana risiede nella prevenzione: “È fondamentale agire fin da piccoli per educare i bambini a una dieta equilibrata, che non solo protegge la loro salute, ma costruisce anche una base solida per il loro benessere futuro. La dieta mediterranea, infatti, non è solo un modello alimentare, ma un vero e proprio stile di vita, riconosciuto dall’Unesco come Patrimonio Culturale dell’Umanità. Ricca di nutrienti essenziali, questa dieta è in grado di promuovere salute e benessere, e può essere un ottimo punto di partenza per tutta la famiglia”.
L’approccio della dieta mediterranea è estremamente flessibile e non richiede preparazioni complesse. Promuove l’uso di alimenti semplici e genuini, che possono essere facilmente integrati nella routine quotidiana. La nutrizionista consiglia di pianificare pasti semplici e vari, includendo alimenti come verdure fresche, legumi, cereali integrali e proteine magre. Un esempio pratico potrebbe essere alternare piatti di pasta integrale con verdure a zuppe di legumi o insalate colorate. Un altro suggerimento è sostituire le merendine confezionate con snack più salutari, come frutta fresca, frutta secca o snack fatti in casa, come muffin integrali o chips di verdure.
Inoltre, coinvolgere i bambini nella scelta e nella preparazione dei pasti è fondamentale: “Se i più piccoli sono coinvolti, saranno più motivati ad accettare con entusiasmo i cibi sani. Giocare con i colori e le forme dei cibi è un altro trucco che funziona: trasformare le verdure in un ‘arcobaleno di peperoni’ o preparare dei bastoncini di carote con salse come yogurt naturale può trasformare il pasto in un momento divertente e creativo”.
Incoraggiare i bambini a partecipare alla spesa, portandoli al mercato e spiegando l’importanza di scegliere alimenti freschi e locali, è un altro passo importante. “La stagione gioca un ruolo fondamentale nella dieta mediterranea: in inverno, cavoli, arance e legumi sono ideali, mentre in estate pomodori, zucchine e melanzane sono protagonisti.” L’uso dell’olio extravergine d’oliva, che è un pilastro della dieta mediterranea, rappresenta anche un’alternativa sana a burro e margarina, mentre la frutta secca come mandorle e noci può essere un ottimo spuntino.
La nutrizionista suggerisce anche di ridurre il consumo di proteine animali trasformate e aumentare le fonti proteiche salutari, come il pesce (2-3 volte a settimana) e i legumi, che possono diventare protagonisti di piatti unici come zuppe, insalate o polpette vegetali.
Per contrastare il consumo di bibite zuccherate e bevande confezionate, la dieta mediterranea promuove l’acqua come principale fonte di idratazione, magari arricchita con fette di limone o menta per renderla più invitante. “L’obiettivo non è solo fare scelte alimentari sane, ma creare un ambiente che favorisca queste scelte. Limitare l’acquisto di cibi ultra-trasformati e sostituirli con alimenti freschi e nutrienti incoraggia i bambini a fare scelte migliori”.
Gli alimenti ultra-trasformati, progettati per essere irresistibili, sfruttano tecniche precise per conquistare il palato e l’emotività dei bambini. “Sapori intensificati, confezioni colorate e praticità di consumo rendono questi cibi difficili da resistere. È fondamentale, però, offrire alternative attraenti e gustose, come snack fatti in casa o piatti colorati e divertenti, che siano altrettanto soddisfacenti”.
Infine, la nutrizionista consiglia di educare senza pressioni, parlando ai bambini dell’importanza di un’alimentazione corretta in modo semplice e positivo. “Premiare i progressi con attività divertenti, invece di ricorrere ai dolci, aiuta a consolidare buone abitudini senza dipendenze da cibo spazzatura”.
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Ambra Angiolini: “Sa cosa significa la parola ‘pace’?”,...
Stare insieme e lasciarsi. Senza farsi male. Né prima, né dopo, né durante la relazione. Lo sfogo di Ambra Angiolini verso un’utente social va oltre la vicenda personale e diventa un esempio concreto di quanto sia importante la maturità emotiva a pochi giorni dalla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Ambra risponde sui social, cosa è successo
Ambra Angiolini e Francesco Renga sono separati dal 2015. Dal loro matrimonio (2004) sono nati Jolanda, ora ventenne, e Leonardo, da poco maggiorenne. Nonostante il divorzio, i due continuano a trattarsi da persone mature, ma qualcuno non è pronto ad accogliere il concetto di famiglia allargata e ci tiene a farlo sapere.
Tutto è partito dalle dichiarazioni di Francesco Renga riportate qualche giorno fa dalla pagina Instagram di Chedonna.it. Le parole sono prese da un’intervista rilasciata dal cantante tre anni fa a Verissimo, ma il loro contenuto è senza tempo: “Io, Ambra, Jolanda e Leonardo non smetteremo mai di essere una famiglia anche se certi meccanismi sono cambiati. Credo che la cosa migliore che deve circolare in una famiglia sia il rispetto dei ruoli e il rispetto della felicità dell’altro”. Concetti che a troppe persone sembrano irreali o persino ingiusti, ma ricordano quelli condivisi da Giulia Salemi e da Gino Cecchettin e quanto sia importante insegnare il vero amore.
Le famiglie italiane stanno diventando più flessibili, ma c’è ancora molta strada da fare per accettare la fine di un rapporto senza che questo diventi un problema per sé stessi e per gli eventuali figli.
La trappola del nichilismo emotivo e dell’immaturità affettiva può sfociare in tragedia, come dimostra la cronaca. Il seme della discordia serpeggia tra molte famiglie italiane e in molti commenti sotto il post: “Tutti a scrivere frasi sdolcinate dopo aver fatto guerre l’uno contro l’altra, ormai ho notato che avete preso tutti la stessa piega…Ma al popolo???”, ha scritto una signora.
Ambra Angiolini non è rimasta in silenzio: “Signora, mi dispiace distruggere la sua giornata con una notizia: non ci siamo mai fatti la guerra, non ricevo assegni di mantenimento, abbiamo scelto di non stare più insieme e ci rispettiamo. Lei sa cosa significa la parola ‘pace’? È quel diritto che tutti siamo invocando, ma che nessuno riesce a mettere in pratica nemmeno nelle proprie vite, soprattutto sui social”, ha scritto l’attrice prima di concludere con un cuore rosa e ricevere l’affetto dei suoi fan.
Il commento della signora è stato uno dei tanti ostili alle parole di Renga, ma molti sono stati anche i commenti a favore della coppia, capace di volersi bene anche se è finito l’amore: “Ma è così difficile da capire che due persone possono smettere di essere coppia ma non di essere genitori? Il bene dei figli è avere due genitori che li amano, se riescono a farlo anche amandosi tra loro è stupendo ma se non riesce più, meglio prendere strade diverse”, ha scritto un utente rispondendo ai tanti hater sotto il post.
L’immaturità emotiva nelle famiglie italiane
L’immaturità affettiva è un tema di crescente rilevanza nel contesto delle famiglie italiane, come evidenziato da uno studio del Centro di Psicoterapia e Psicologia Clinica di Torino. Questo fenomeno si manifesta quando i giovani, a causa di dinamiche familiari disfunzionali, non riescono a sviluppare le competenze emotive necessarie per affrontare le sfide della vita adulta. Dinamiche che sono alla base di eventi tragici, come i maltrattamenti e i femminicidi, quasi sempre commessi da ex partner che non accettato la separazione.
Uno dei principali fattori che contribuiscono a questa immaturità, spiega lo studio, è l’iperprotezione da parte dei genitori. In un contesto socio-economico caratterizzato da precarietà e instabilità, molti genitori tendono a controllare eccessivamente le vite dei propri figli, limitando la loro autonomia. Questo comportamento, sebbene motivato da buone intenzioni, impedisce ai giovani di sperimentare fallimenti e successi, elementi fondamentali per la crescita personale.
Secondo i risultati raccolti dal Centro, la fase adolescenziale si sta allungando, con molti giovani che faticano a lasciare il “nido” familiare e a sviluppare un senso di indipendenza. Il modello educativo attuale raramente favorisce l’esplorazione autonoma del mondo reale. Spesso, pur di tenerli buoni e “al sicuro”, i figli vengono lasciati davanti agli schermi di tv e smartphone, con evidenti ricadute sulla loro intelligenza (emotiva e non).
I bambini che crescono in ambienti in cui sono i genitori a risolvere i loro problemi possono sviluppare una dipendenza emotiva che ostacola la loro capacità di affrontare le difficoltà della vita. La fragilità emotiva che può manifestarsi in ansia, depressione e difficoltà relazionali. Il Centro sottolinea anche l’importanza della “separazione-individuazione”, un processo evolutivo descritto da Margaret Mahler, che è cruciale per il sano sviluppo psichico del bambino. Quando questo processo viene interrotto da genitori iper-controllanti o oppressivi, il bambino può rimanere intrappolato in una condizione di immaturità affettiva, incapace di riconoscere i propri limiti e di affrontare le sfide esterne.
Con il loro esempio concreto, Ambra Angiolini e Francesco Renga dimostrano che le relazioni non devono tradursi in dipendenza, ma nella ricerca della propria e dell’altrui libertà. Forse, il più grande insegnamento che si possa lasciare ai propri figli.
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Giulia Cecchettin, la lista dei motivi per lasciare...
Una lista dei comportamenti controllanti e ossessivi che il suo fidanzato Filippo Turetta metteva in atto nei suoi confronti, ovvero quindici ottimi motivi che hanno portato Giulia Cecchettin a prendere le distanze e troncare una relazione che era diventata soffocante. Non è bastato: come ultimo atto di potere e possesso, Turetta la uccise a coltellate l’11 novembre 2023, scatenando un’ondata di indignazione e commozione in tutta Italia.
Scriveva Cecchettin l’estate del 2023: “L’ho lasciato, spero di rimanere fedele alla mia scelta. Non perché io odi Filippo, tutto il contrario, ma perché ho capito che non siamo fatti l’uno per l’altra”. E aggiungeva: “Adesso faccio una lista di cose che non andavano perché devo autoconvincermi di aver fatto la cosa giusta, anche se mi manca e sto morendo dentro al pensiero di farlo soffrire”.
Dopo che lunedì scorso il pm ha chiesto l’ergastolo per il ragazzo, imputato per omicidio volontario pluriaggravato, sequestro di persona e occultamento di cadavere, la famiglia di Giulia ha diffuso tramite Repubblica il suo diario contenente una lista di comportamenti che l’avevano portata a chiudere il rapporto e che è anche parte degli atti processuali proprio perché indicativa dell’approccio violento e controllante di Turetta.
La lista: alcuni comportamenti non sono normali e non sono ‘amore’
L’obiettivo della famiglia della studentessa è quello di sensibilizzare sul tema della violenza di genere e aumentare la consapevolezza che alcuni comportamenti non sono normali, che non dovrebbero rientrare mai nella definizione di ‘amore’ o di ‘coppia’ e che perciò devono suonare come dei fortissimi campanelli d’allarme se ci si trova di fronte anche solo a uno di essi.
La lista infatti è un compendio di gelosia, possesso, mania del controllo e ossessione messa in atto da Turetta verso la studentessa 22enne, che infatti ne aveva preso le distanze:
• Abbiamo litigato per il fatto che non lo avessi fatto venire al compleanno della Elena (la sorella di Cecchettin)
• Ha sostenuto più volte fosse mio dovere aiutarlo a studiare
• Si lamentava quando mettevo meno cuori del solito
• Necessitava di messaggi molte volte al giorno
• Ha idee strane riguardo al farsi giustizia da soli per i tradimenti, alla tortura, robe così.
• Quando lui ha voglia tu non puoi non averne se no diventa insistente
• Non accetta le mie uscite con la Bea e la Kiki (amiche di Cecchettin)
• Non accetterebbe mai una vacanza mia in solitaria con maschi nel gruppo
• Tendenzialmente i tuoi spazi non esistono
• Lui deve sapere tutto, anche quello che dici di lui alle tue amiche e allo psicologo
• Durante le litigate dice cattiverie pesanti e quando l’ho lasciato mi ha minacciato solo per farmi cambiare idea
• C’è stato un periodo in cui dopo esserci detti “Buonanotte” mi mandava sticker finché non vedeva che non ricevevo più messaggi per controllare che fossi davvero andata a dormire
• Tutto quello che gli dici per lui è una promessa e prova a vincolarti così
• Prendeva come un affronto il fatto che volessi tornare a casa prendendo l’autobus alla fermata più vicina e non in stazione
• Una volta si è arrabbiato perché scesa dall’autobus volevo fare 5 minuti a piedi da sola mentre lui era da un’altra parte senza aspettarlo
Quindici comportamenti assillanti, invadenti, possessivi, di cui la ragazza non ne poteva più, e che l’hanno indotta a troncare la relazione, per arrivare poi al tragico epilogo del novembre 2023, quando si è consumato uno dei femminicidi che ha impressionato di più l’opinione pubblica italiana.
Questo non solo per la storia in sé, che purtroppo non è un caso isolato, ma anche per la decisione della famiglia di Giulia, in particolare del padre Gino e della sorella Elena, di portare la cosa a livello ‘pubblico’ e di scuotere le coscienze di tutti, politici e persone comuni.
La missione della Fondazione Giulia Cecchettin
In questo solco si inserisce la Fondazione Giulia Cecchettin, creata dal padre e dalla sorella proprio per combattere in maniera concreta la violenza di genere: la Fondazione, si legge sul suo profilo Instagram che ad oggi conta 106mila follower, “nasce perché non ci siano altre Giulia, per promuovere un cambiamento socio/culturale che permetta di prevenire e contrastare la violenza di genere”. Il simbolo è un disegno uscito proprio dalla penna della studentessa, un vaso di fiori che “rappresenta l’essenza di Giulia: la sua dolcezza, la sensibilità e la capacità di vedere la bellezza nel mondo”.
Eppure sui social la scelta di diffondere le parole private di Cecchettin è stata criticata e definita “agghiacciante”, e c’è anche chi ha parlato di una “speculazione ulteriore” sulla morte della ragazza.
Ma la lista si inserisce proprio nell’idea di Gino e di Elena Cecchettin di sensibilizzare le persone, nel senso che può essere d’aiuto per far capire quanto sia diffusa e vista come ‘normale’ una cultura basata sul possesso e il controllo, e quanto sia fondamentale chiedere aiuto e allontanarsi se si finisce coinvolte con persone che vedono il mondo in questo modo.
Fondazione Libellula: per metà dei ragazzi la gelosia non è violenza
Il problema infatti è radicato e, cosa molto preoccupante, riguarda anche i giovani. La recentissima Survey Teen 2024 condotta da Fondazione Libellula su 1592 gli adolescenti tra i 14 e i 19 anni rivela dati sconvolgenti: per metà dei ragazzi la gelosia non è violenza e quasi uno su tre pensa che inviare messaggi insistentemente non sia stalking. E ancora: per 1 adolescente su 5 non è violenza Toccare o baciare una persona senza il suo consenso, per oltre uno su 4 non è violenza Raccontare ad amici e amiche dettagli intimi del o della partner senza il suo consenso.
“Questi dati riflettono una percezione distorta della violenza di genere e del consenso per una buona parte di adolescenti. Il fatto che il 20-25% di loro non consideri comportamenti come il toccare, baciare o rivelare dettagli intimi senza consenso come violenza è preoccupante, poiché sono chiaramente atti invasivi e non rispettosi dell’integrità personale”, ha spiegato la Fondazione.
Gino Cecchettin: “Offeso dalla requisitoria della difesa, memoria di Giulia umiliata”
Martedì scorso in aula si è tenuta la requisitoria della difesa di Turetta la quale, anche se non ha cercato scuse, ha comunque sottolineato, tra le altre cose: “Questo è un amore ‘tossico’ dove la vittima ‘intelligente e solare, con un enorme spessore umano’ lascia il ragazzo ‘timido, insicuro, che marca il territorio’”, aggiungendo che Giulia Cecchettin non aveva paura di Turetta, altrimenti non sarebbe andata all’appuntamento con lui, tanto meno da sola.
“Io ieri mi sono nuovamente sentito offeso e la memoria di Giulia umiliata”, ha scritto sui social il padre della ragazza: “La difesa di un imputato è un diritto inviolabile, garantito dalla legge in ogni stato e grado del procedimento. Tuttavia, credo che nell’esercitare questo diritto sia importante mantenersi entro un limite che, pur non essendo formalmente codificato, è dettato dal buon senso e dal rispetto umano”.
Prima della requisitoria, Gino Cecchettin aveva detto a Rai Radio2, ai microfoni di Serena Bortone e del ‘consigliere’ Francesco Cundari a ‘5 in Condotta’: “Mi aspetto solo che vengano applicate le leggi. Io sono già morto dentro di fatto, la mia battaglia, ma preferirei chiamarla il mio percorso, è fuori dall’aula. Per me non cambierà nulla, Giulia non la rivedrò più. L’unica cosa che posso fare è prodigarmi, come farebbe Giulia, per fare in modo che ce ne siano il meno possibile di casi come il suo, di genitori che debbano piangere una figlia morta. Io so cosa vuol dire e lavorerò per questo”.
Giulia Cecchettin uccisa da un italiano
Parole che si inseriscono nel contesto ancora più ampio di quelle pronunciate pochi giorni prima dell’udienza per Turetta dal ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara, che proprio in occasione della presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin alla Camera dei deputati aveva sostenuto che siano gli immigrati irregolari i maggiori responsabili delle violenze sessuali: “(il fenomeno, ndr) È legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale”.
Un’opinione che dimostra come ci sia ancora bisogno di riportare il discorso sul piano della realtà come ce la consegnano da una parte le statistiche – secondo l’Istat il 94,3% delle donne italiane uccise in quanto donna è vittima di italiani, sono 96 finora nel 2024 – e dall’altra le parole spontanee, private e dunque senza nessun doppio fine o mala fede, di una ragazza che nel suo diario raccontava pezzi di vita vissuta, una vita di cui poi è stata privata. Da un italiano.