Aids, infettivologo Guaraldi: “Con terapie long acting cambia percezione malattia”
‘Sono 140mila italiani con virus Hiv. L’idea di un’iniezione ogni 2 mesi ha cambiato lo stigma associato all’infezione’
“In Italia sono 140.000 le persone che vivono con Hiv. Grazie alle terapie antiretrovirali questa malattia adesso è divenuta cronica, le persone con Hiv hanno la stessa speranza di vita delle persone Hiv negative, questo almeno per quei pazienti che iniziano la terapia antiretrovirale in una condizione immunologica buona. Inoltre, abbiamo a disposizione terapie long acting, con somministrazione intramuscolare ogni 8 settimane: farmaci che avevamo già sotto forma di compresse, essenzialmente appartenenti a classi già disponibili da almeno dieci anni. Tuttavia, l’idea di una somministrazione long acting, in cui il paziente non deve più assumere una compressa quotidianamente, ma riceve un’iniezione ogni 2 mesi, ha completamente trasformato il livello di percezione. Ha cambiato lo stigma associato all’infezione da Hiv, percepita dal paziente stesso”.
Lo ha detto Giovanni Guaraldi, professore di malattie infettive all’Università di Modena e Reggio Emilia, uno tra i maggiori studiosi di clinica metabolica e immunosenescenza, intervistato da Mondosanità in occasione del World Aids Day 2024, la giornata mondiale dedicata ad accrescere la coscienza dell'epidemia mondiale di Aids dovuta alla diffusione del virus Hiv, che si celebra il primo dicembre di ogni anno.
“Le terapie attualmente disponibili – spiega Guaraldi – sono combinazioni di due o più principi attivi. Esistono studi comparativi che analizzano l’efficacia di associazioni di due e tre farmaci. Le attuali linee guida riconoscono come caposaldo la classe degli inibitori dell’integrasi, che possono essere associati a varie altre classi, come i farmaci nucleosidici o gli inibitori delle proteasi. L’obiettivo della terapia antiretrovirale non è più semplicemente quello di ‘uccidere’, in pratica neutralizzare il virus, ma punta a salvaguardare la salute del paziente nella sua complessità. Pertanto, una terapia efficace deve essere orientata verso il benessere complessivo del paziente. In passato, eravamo principalmente preoccupati per le tossicità dei farmaci, e la scelta terapeutica si concentrava nell’evitare la tossicità renale, la tossicità cardiaca o il rischio di dislipidemia. Oggi, piuttosto, ci si aspetta una terapia che consideri l’intero stato di salute del paziente, integrando gli antiretrovirali, a seconda dei casi con statine, con farmaci GLP-1, con antipertensivi o con gli antidepressivi”.
La scelta della terapia, secondo lo specialista “è dettata da criteri spefici”. Quando “valutiamo il beneficio della terapia e il suo impatto sulla salute – sottolinea Guaraldi - cercherò di comprendere quali sono i patient reported outcome, le condizioni che fanno sì che una specifica terapia, per un paziente specifico (non esisterà mai una terapia adatta a tutti), ottenga il miglior successo. Oggi questa condizione è stata analizzata attraverso un approccio mirato, che non solo consente di ridurre il carico farmacologico a una singola compressa, ma soprattutto offre la possibilità di terapie somministrate in modo dilazionato”.
“Attualmente, abbiamo a disposizione terapie long acting, con somministrazione intramuscolare ogni 8 settimane ma già sappiamo che avremo terapie long acting orali, con una compressa a settimana, e ultra long acting, che rappresentano il nostro grande obiettivo futuro, in cui potrò gestire la terapia antiretrovirale essenzialmente con un’iniezione ogni sei mesi. Questo rappresenta un cambiamento significativo, che si avvicina a quello che teoricamente mi sarei aspettato da un vaccino terapeutico, nel quale avrei sicuramente dovuto effettuare anche dei booster vaccinali”.
Infine, sul fronte prevenzione dell’infezione. “In Italia siamo un po’ un fanalino di coda rispetto al resto dell’Europa – sottlinea l’infettivologo - è soltanto da un anno che il nostro Ssn ha riconosciuto la profilassi pre-esposizione (PrEP) come strumento di sanità pubblica per la prevenzione delle infezioni da Hiv. È importante chiarire che le strategie di prevenzione dell’Hiv non vanno in una unica direzione, ma offrono un ventaglio di possibilità per consentire a ogni persona di tutelarsi, soprattutto nel contesto delle malattie a trasmissione sessuale, essendo l’Hiv una malattia principalmente di questo tipo”.
“Noi sappiamo di avere a disposizione una terapia antiretrovirale, una combinazione di soli due farmaci, in grado virtualmente di azzerare il rischio di infezione per le persone che, pur avendo avuto comportamenti sessuali a rischio, non si infettano se assumono questa terapia in modo continuativo, con una compressa ogni giorno, oppure nella modalità on demand, ossia solo in occasione di un comportamento sessuale a rischio. Questa terapia - conclude Guaraldi - è uno degli strumenti di prevenzione basilari. Ricordiamo che il condom è un altro strumento efficace di prevenzione, così come gli stili di vita rientrano nella prevenzione”.
Salute e Benessere
Cardiologi, ‘anche atleta sano può avere anomalie...
La vicenda del centrocampista della Fiorentina Edoardo Bove, crollato a terra privo di sensi durante il match contro l'Inter, ripropone importanza della prevenzione delle malattie cardiovascolari, prima causa di morte a livello globale. Il tema, che interessa anche il mondo dello sport professionistico ma anche amatoriale, è tra le priorità della Fondazione Cesare Bartorelli per lo sviluppo della ricerca e della terapia cardiovascolare. "Anche un atleta, amatoriale o professionista, pur apparendo sano, può essere affetto da anomalie cardiache celate, potenzialmente pericolose durante l'attività fisica". Lo spiega il vicepresidente della Fondazione Cesare Bartorelli, Daniele Andreini, ordinario all'Università degli Studi di Milano, responsabile della Cardiologia clinica ed Imaging cardiaco e di Cardiologia dello sport presso l'Irccs Ospedale Galeazzi - Sant'Ambrogio di Milano.
In Italia lo sport viene praticato da più di una persona su 4 (25,5%), valore che ha superato i livelli pre-pandemici (nel 2019 era pari al 23,4%). Anche sulla scorta di queste premesse la Fondazione, riconosciuta come Ente del terzo settore, ha posto tra le sue priorità quella di finanziarie studi avanzati in una branca specialistica che interessa milioni di cittadini. "La Federazione medico sportiva italiana ha attivato il modello italiano del 'Preparticipation screening' sulla popolazione, anche giovanissima, per indagare sulla natura degli incidenti cardiaci specialmente in ambito sportivo; una strategia che ha contribuito alla riduzione delle morti improvvise da sport in Italia rispetto al resto del mondo in un rapporto di 1 a 1 milione e mezzo versus 1 a 100mila", ricorda la Fondazione Cesare Bartorelli.
'Le anomalie di origine delle coronarie pur rimanendo spesso inosservate possano avere implicazioni critiche negli atleti'
"Indagare vicende come quella avvenuta ieri - sottolinea il presidente della Fondazione, Antonio Bartorelli, ordinario all'Università degli Studi di Milano e responsabile della Cardiologia interventistica universitaria presso l'Irccs Ospedale Galeazzi - Sant'Ambrogio di Milano - è cruciale per l'intera disciplina cardiologica. Studi pubblicati dal nostro board scientifico hanno esplorato le anomalie di origine delle coronarie dimostrando come queste, pur rimanendo spesso inosservate nella popolazione generale, possano avere implicazioni critiche negli atleti". Da qui l'importanza di screening cardiaci mirati.
"Sostenere i progetti di ricerca nella cardiologia dello sport - evidenzia lo specialista - significa investire in una comprensione più approfondita della fisiologia cardiaca, della prevenzione e della cura delle malattie cardiovascolari. I progressi ottenuti hanno un impatto diretto non solo sugli atleti, ma anche sulla popolazione più ampia e contribuiscono a migliorare la salute cardiovascolare globale e a ridurre i rischi legati all’esercizio fisico. I progetti di ricerca nella cardiologia sportiva - conclude Andreini - hanno dimostrato come screening più specifici e tecniche diagnostiche avanzate siano in grado di rilevare queste condizioni. Tali conoscenze non solo migliorano la sicurezza per gli atleti, ma hanno applicazioni più ampie nella prevenzione precoce delle malattie cardiovascolari nella popolazione generale".
Salute e Benessere
Cardiologo Grimaldi, ‘proteggere anche sportivi non...
La vicenda del calciatore della Fiorentina Edoardo Bove, colpito da malore durante il match con l'Inter, "sembra essere stata gestita bene: se il ragazzo, come è stato riportato, non ha alterazioni di tipo neurologico, vuol dire che hanno mantenuto efficacemente il circolo, perché altrimenti dopo un paio di minuti si iniziano ad avere danni cerebrali. Quindi sono stati tempestivi e bravi. Il problema è che questo tipo di situazione si può riscontrare su qualsiasi campo di calcio, di qualsiasi categoria, ma anche nei dilettanti, cioè anche in chi fa calcio o qualsiasi altro sport a livello amatoriale, non agonistico. Il mio pensiero dunque si rivolge all'enorme schiera di sportivi non agonisti". Lo evidenzia all'Adnkronos Salute Massimo Grimaldi, presidente designato dell'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco) e direttore Cardiologia dell'Ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti (Bari).
Cosa si può fare? "La cosa migliore è diffondere la cultura della rianimazione cardiopolmonare, una cosa che secondo me andrebbe insegnata nelle scuole, almeno per quanto riguarda i rudimenti di rianimazione cardiopolmonare - illustra l'esperto - E poi andrebbe curata particolarmente anche la diffusione dei defibrillatori automatici. Ora averli è obbligatorio nei centri sportivi, grazie ad una legge vera e propria. Ma la diffusione potrebbe essere anche più estensiva, e vi sono degli esempi virtuosi in Italia, come il progetto avviato a Piacenza con una capillare diffusione di questi strumenti. Un defibrillatore automatico tra l'altro - chiosa l'esperto - ha ormai un costo molto accessibile, dai 500 ai mille euro circa, meno di un telefonino di ultima generazione, ed è uno strumento che può salvare una vita".
Salute e Benessere
Cardiologo su malore Bove, ‘ecco cosa si prospetta...
Cosa potrebbe essere successo a Edoardo Bove, il centrocampista della Fiorentina colpito ieri da malore durante la partita che si stava giocando contro l'Inter allo stadio Artemio Franchi di Firenze? "Sicuramente ce lo diranno i colleghi dell'ospedale Careggi, dove vi è un'ottima cardiologia, ma anche un'ottima aritmologia", sottolinea all'Adnkronos Salute Massimo Grimaldi, presidente designato dell'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco) e direttore Cardiologia dell'Ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti (Bari), che tiene a fare una premessa: "L'Italia è probabilmente la nazione più virtuosa al mondo dal punto di vista del rilascio di idoneità sportiva agonistica, qui abbiamo una normativa estremamente precisa che protegge molto bene gli sportivi", assicura l'esperto.
"Purtroppo, però - continua - vi sono alcune patologie cardiache che sono difficili da riscontrare o non proprio riscontrabili all'elettrocardiogramma o alla prova da sforzo. Mi riferisco a piccole alterazioni o del tessuto cardiaco oppure proprio del sistema elettrico del cuore. Questi problemi potrebbero essere slatentizzati da esami più approfonditi come una risonanza magnetica nucleare o test genetici, ma è difficilmente pensabile al momento che tutta la popolazione sportiva, molto ampia in Italia, si sottoponga a questi tipi di test che sono particolarmente avanzati. E se anche facessimo questi test, troveremmo qualche altro soggetto a rischio, ma comunque qualcuno potrebbe sempre sfuggire". Sicuramente, continua Grimaldi, ora "i colleghi" che stanno seguendo il giovane calciatore viola "individueranno con precisione le cause di questo arresto cardiaco. Finora si è parlato di torsione di punta e di contusione toracica. Se si è ipotizzata davvero una torsione di punta è perché probabilmente in ambulanza si è verificata di nuovo qualche aritmia che è stata documentata come torsione di punta".
Perché, chiarisce l'esperto aritmologo, "la torsione di punta è un evento 'fugace', nel senso che quando insorge è un'aritmia talmente veloce che o esita in un arresto cardiaco, ovvero fibrillazione ventricolare (e quindi il cuore ha praticamente una contrazione pressoché continua con impulsi estremamente rapidi), oppure esita in una risoluzione spontanea, in genere dopo pochi secondi dalla sua insorgenza. Questa aritmia può essere causata da un basso livello di alcuni elettroliti, in particolare il potassio e il magnesio, ma il potassio soprattutto. Tale rischio aumenta se c'è una predisposizione genetica che si chiama QT lungo, ma immagino che lui non l'avesse perché quando ha fatto la visita di idoneità sportiva l'elettrocardiogramma l'avrebbe evidenziata".
Si parla poi di una contusione toracica. Ma, analizza Grimaldi, "da un lato" Bove "è stato sottoposto al massaggio cardiaco, quindi la contusione toracica riscontrata potrebbe essere secondaria anche al massaggio cardiaco. Ho letto anche" nelle ricostruzioni di stampa "che pochi minuti prima" il giocatore viola "avrebbe avuto uno scontro di gioco con un colpo al torace. Cosa può succedere in questi casi? Un colpo al torace, che viene definito in termini medici anche 'commotio cordis', è un trauma che può esitare in nulla, come succede nella maggior parte dei casi. Oppure, se il trauma avviene investendo l'area cardiaca e il colpo è in una fase particolare del ciclo cardiaco, può innescare una tachicardia ventricolare che magari potrebbe essere inizialmente non veloce e poi degenerare. Tant'è che il calciatore, da quello che ho letto, dopo il colpo al torace sarebbe passato dalla panchina per dire di non sentirsi bene. In genere, però, dopo il colpo al torace, se parte l'aritmia ventricolare il disturbo è immediato, non ritardato di alcuni minuti".
Che cosa potrebbe prospettarsi ora per il giovane calciatore della Fiorentina? "Sicuramente ci saranno una serie di indagini al Careggi e si farà una diagnosi - spiega Grimaldi - Se questa diagnosi rileva una causa completamente rimovibile, per esempio se si arriva alla conclusione che l'arresto cardiaco sia stato dovuto solo a livelli di potassio molto, molto bassi (e quindi questa è una causa rimovibile), il calciatore potrebbe tornare alla sua attività. Di contro, se si individuano delle alterazioni strutturali del miocardio, delle cause genetiche o altre problematiche, il calciatore in quel caso non potrà, ahimè, più continuare la sua pratica sportiva".
Anche se, analizza il cardiologo, "l'esempio del calciatore danese Christian Eriksen", che dopo un arresto cardiaco in campo ha continuato a giocare, "ci insegna che in altre nazioni con un defibrillatore" impiantato "si può tornare alla pratica sportiva agonistica. Ma vorrei sottolineare che l'Italia è estremamente protettiva nella tutela della vita umana. È vero che un defibrillatore elimina il rischio di morte improvvisa, ma è anche vero che ci sono delle cardiopatie, delle miocardiopatie, che peggiorano più velocemente se il cuore viene sottoposto a stress fisico. E' vero dunque che Ericksen non ha più il rischio di morte improvvisa, perché è tutelato benissimo dal defibrillatore. Però ci sono delle cardiomiopatie che peggiorano più velocemente se il soggetto continua a praticare l'attività sportiva, e l'Italia tutela molto non solo dal rischio di morte improvvisa, ma anche dal rischio di peggioramento della cardiopatia sottostante".