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Siria, Khamenei accusa Israele e Usa: “Il piano è loro”

Khamenei accusa Israele e Usa: "Il piano è loro". La Guida Suprema dell'Iran punta il dito e solleva dubbi anche sulla Turchia, senza mai citarla. Ribelli conquistano anche Deir Ezzor, nell'est del Paese

Al Jawlani - Fotogramma /Ipa

Il leader dei ribelli siriani Mohammed al Jawlani ha annunciato che tutti quelli coinvolti nella tortura dei detenuti sotto il regime di Bashar al-Assad non saranno graziati. “Non perdoneremo coloro che sono coinvolti nella tortura dei detenuti”, ha dichiarato al Jawlani, che ora usa il suo vero nome Ahmed al-Sharaa, esortando “i Paesi a consegnare tutti i criminali che potrebbero essere fuggiti in modo che possano essere consegnati alla giustizia”.

Khamenei accusa Israele e Usa: "Il piano è loro"

Nuove accuse a Israele e Stati Uniti dalla Guida Suprema dell'Iran, Ali Khamenei. "Uno dei Paesi vicini alla Siria ha avuto un ruolo" nel rovesciamento del regime, ma "i principali responsabili del piano sono gli Stati Uniti e il regime sionista", ha detto Khamenei nel suo discorso incentrato sugli sviluppi in Medio Oriente, il primo dopo la fine dell'era Assad in Siria. Lo riferisce l'iraniana Press Tv.

L'Iran è stato uno dei più forti sostenitori di Bashar al-Assad. "Non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che quanto accaduto in Siria è il risultato di un piano congiunto" di Usa e Israele, ha affermato Khamenei, sostenendo che la Repubblica Islamica ha "le prove".

"Sì, un Paese vicino della Siria ha chiaramente avuto un ruolo in questa vicenda e continua ad averlo, è visibile a tutti - ha affermato Khamenei, senza puntare esplicitamente il dito contro la Turchia - Ma il principale responsabile del complotto, della pianificazione e il centro d comando sono in America e nel regime sionista". "Abbiamo indicazioni che non lasciano spazio a dubbi per arrivare a questa conclusione", ha sostenuto.

"Il dominio della resistenza coprirà l'intera regione, più di prima", ha detto ancora, aggiungendo che "più" il "fronte della resistenza" è "sotto pressione, più si rafforza" e "più viene combattuto, più si allarga". "Quanti più crimini vengono commessi, più sarà motivato - ha continuato -. Con la forza divina, il dominio della resistenza coprirà tutta la regione".

Non sono mancate critiche agli "ignoranti" che "credono che indebolire la resistenza significhi indebolire l'Iran". La Repubblica Islamica, ha detto nelle dichiarazioni riportate da Press Tv, "è forte e potente e diventerà solo più potente".

Data alle fiamme la tomba dell'ex presidente Hafez Assad a Qardaha

La tomba di Hafez al-Assad, padre del deposto presidente siriano Bashar al-Assad, è stata data alle fiamme nella sua città natale di Qardaha. Lo si apprende da immagini dell'Afp, in cui si vedono combattenti ribelli in tuta e giovani che guardano la tomba bruciare.

L'Osservatorio siriano per i diritti umani ha rivelato all'Afp che i ribelli avevano precedentemente dato fuoco al mausoleo dell'ex presidente, situato a Latakia, cuore della comunità alawita di Assad.

Ribelli conquistano Deir Ezzor

I ribelli siriani hanno intanto annunciato di aver preso la città di Deir Ezzor, nell'est del paese. "Le nostre forze hanno catturato l'intera città di Deir Ezzor", hanno detto i ribelli in un comunicato. L’Osservatorio siriano per i diritti umani (OSDH) ha segnalato che le forze curde si erano ritirate verso le città circostanti, prima della presa del potere da parte dei combattenti arabi locali che si sono uniti alle fila dei ribelli dopo la loro offensiva lampo lanciata il 27 novembre.

Premier al Bashir: "Garantiremo diritti di tutti, siriani ritornino"

"Resteremo solo fino a marzo del 2025. Il debito è enorme, la sfida ciclopica". E "garantiremo i diritti di tutte le genti e tutti i popoli della Siria", dice intanto Muhammad al Bashir, che ha dato al Corriere della Sera la sua prima intervista a un media occidentale. Indica tre obiettivi per la Siria del dopo-Assad, ovvero "ristabilire la sicurezza e la stabilità in tutte le città" perché "la gente è esausta di ingiustizia e tirannia", far "tornare i milioni di profughi siriani che sono all’estero" perché "la Siria è ora un Paese libero" e un lavoro "a livello di pianificazione strategica" perché "i siriani non possono vivere nella precarietà di servizi essenziali come elettricità, pane e acqua".

"Sappiamo di ereditare un’amministrazione elefantiaca tormentata dalla corruzione. In fondo il regime si è divorato da solo, ma nel frattempo la gente viveva male - dice dopo aver incontrato ieri mattina "tutti gli ex ministri per cominciare il lavoro", ad eccezione di Interni e Difesa, in un "clima di collaborazione" - Nei forzieri ci sono solo sterline siriane che valgono poco o niente". E, "quindi sì, finanziariamente stiamo molto male".

Sui diritti, che promette saranno garantiti, osserva che "comportamenti sbagliati di alcuni gruppi islamisti hanno portato molte persone soprattutto in Occidente ad associare i musulmani al terrorismo e l’Islam all’estremismo". "Si è trattato di comportamenti errati e di mancanza di comprensione - afferma - Così è stato travisato il significato di Islam, che è 'religione della giustizia'. E noi proprio perché islamici garantiremo i diritti di tutte le genti e tutti i popoli della Siria". In politica estera, "non abbiamo problemi con nessuno, Stato, partito o setta, che si sia tenuto lontano dal regime di Assad assetato di sangue". E alla domanda se sarà "islamica" la nuova Costituzione, risponde: "Chiariremo i dettagli durante il processo costituente".

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Esteri

Siria, Israele e i raid: tra nodo sicurezza e nuovo rischio...

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Dopo il crollo del regime di Bashar al-Assad, la 'risposta' israeliana in nome della "sicurezza" attira critiche e solleva preoccupazione fra gli analisti per le possibili ripercussioni

Siria, militare israeliano nel Golan - Afp

Una campagna di operazioni militari in Siria "eccezionale per forza e portata". Che aggiunge "un'altra pericolosa variabile alla situazione in rapida evoluzione" nel Paese". Scrivono così i giornali americani dopo il crollo del regime siriano di Bashar al-Assad che ha innescato una 'risposta' da parte di Israele, in nome della "sicurezza", con raid contro obiettivi militari e truppe nel Golan siriano per la prima volta in 50 anni. Nessun commento, nessuna reazione, almeno per ora da Hayat Tahrir al-Sham (Hts), il gruppo che ha guidato l'offensiva fulminante delle forze anti-Assad.

Intanto, il Cremlino non risparmia critiche a Israele e torna a insistere per la rapida "stabilizzazione" della Siria, assicurando che Mosca - che negli anni passati è stata tra i principali sostenitori di Bashar al-Assad - è in contatto con tutte le forze politiche attualmente presenti nel Paese arabo. Diversi Paesi arabi hanno accusato di sfruttare la situazione della Siria per occupare altri territori.

Campagna israeliana "nuova pericolosa variabile"

La campagna militare israeliana, evidenzia il Nyt, è stata "eccezionale per forza e portata", nel tentativo di "assicurare che chiunque finisca al potere in Siria sia significativamente disarmato". Gli analisti sottolineano come i bombardamenti su vasta scala di questa settimana siano stati molto più ampi e devastanti rispetto a quelli condotti in passato. Hanno colpito anche l'infrastruttura in Siria che l'Iran ha utilizzato per trasferire armi a Hezbollah in Libano. Immagini arrivate ieri dalla Siria mostravano navi affondate, hangar e edifici crollati.

La Repubblica Islamica, ha detto ieri la Guida Suprema dell'Iran, Ali Khamenei, "è forte e potente e diventerà solo più potente". Israele sta "smantellando l'asse del male dell'Iran", ha replicato il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, in dichiarazioni apparse come una forma di risposta indiretta all'85enne Khamenei.

"La campagna aerea intensificata, in parallelo alla prima operazione di terra israeliana in territorio siriano dalla guerra dello Yom Kippur del 1973, ha attirato le condanne internazionali e aggiunto un'altra pericolosa variabile alla situazione in rapida evoluzione in Siria, dove i gruppi armati stanno cercando di creare un nuovo ordine politico", scrive il Washington Post.

Il giornale sottolinea come Hts resti per lo più preoccupato dalla gestione della transizione da forza militare a politica, mentre fa i conti con casse vuote e carenza di generi alimentari. Nel Paese, dove restano circa 900 militari americani, altri gruppi armati - come evidenzia il giornale - sono ancora in lotta per l'influenza.

Raid, rischio ripercussioni con altra benzina sul fuoco

Martedì i militari israeliani hanno confermato di aver effettuato circa 480 raid in Siria in due giorni e il ministro della Difesa, Israel Katz, ha parlato delle attività della Marina, che "ha operato con grande successo la notte scorsa per distruggere la flotta siriana". Israele afferma di distruggere asset per evitare che finiscano in mano agli estremisti.

Tutto dopo anni di raid attribuiti a Israele e mesi in cui si erano intensificate le notizie di operazioni contro depositi di armi di Iran e degli Hezbollah libanesi, che con la Russia di Vladimir Putin sono stati tra i principali sostenitori del leader siriano Bashar al-Assad.

Le operazioni militari israeliane in Siria rischiano di avere "ripercussioni oltre le intenzioni degli israeliani", ha avvertito Ryan C. Crocker, ex ambasciatore Usa in Siria, durante un evento al Middle East Institute. E sul Golan ha chiarito che una presenza a lungo termine nell'area "potrebbe aggiunge benzina al fuoco".

Quindi, è il ragionamento di Crocker, gli israeliani "devono stare molto attenti a non innescare un nuovo attivismo diretto contro di loro".

La Siria sarà con tutta probabilità al centro della prossima visita in Turchia - annunciata da Ankara per venerdì - del segretario di Stato Usa, Antony Blinken, che negli ultimi giorni ha sentito almeno due volte il capo della diplomazia turca, Hakan Fidan, per parlare degli sviluppi nel Paese arabo.

Era ad Ankara il riferimento di ieri di Khamenei, che non ha puntato direttamente il dito contro la Turchia, ma ha accusato "un Paese vicino della Siria" di aver "chiaramente avuto un ruolo in questa vicenda" e di continuare "ad averlo" nell'ambito di un "complotto" che per la Guida Suprema vede in Usa e Israele "i principali responsabili".

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Esteri

Ucraina-Russia, Orban: “Zelensky rifiuta...

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Il premier ungherese sente Putin e addossa a Zelensky la responsabilità per la prosecuzione del conflitto

Volodymyr Zelensky

L'Ucraina rifiuta la tregua di Natale nella guerra con la Russia? Tutto falso. Ad alimentare il caso sono le parole di Viktor Orban. Il premier ungherese monopolizza l'attenzione con una telefonata a Vladimir Putin e chiama in causa Volodymyr Zelensky. Sarebbe stato il presidente ucraino a rifiutare l'ipotesi di una tregua di Natale con scambio di prigionieri.

"Alla fine della presidenza ungherese dell'Ue, abbiamo compiuto nuovi sforzi per la pace. Abbiamo proposto un cessate il fuoco a Natale e uno scambio di prigionieri su larga scala. È triste che il presidente Zelensky abbia chiaramente respinto ed escluso questa possibilità. Abbiamo fatto quello che potevamo", le parole di Orban.

A stretto giro, Kiev ha smentito categoricamente di aver affrontato il tema con Orban, che a luglio ha fatto visita a Zelensky nella capitale ucraina e si è sostanzialmente proposto come mediatore senza nessun mandato dell'Ue.

La smentita di Kiev

Il consigliere della presidenza ucraina Dmytro Lytvyne, in un messaggio ai media, ha giudicato totalmente prive di fondamento le esternazioni di Orban: "Come sempre, la parte ungherese non ha discusso con l'Ucraina e, come sempre, l'Ungheria non ha avvertito Kiev dei suoi scambi con Mosca", si legge nel messaggio.

Zelensky, del resto, anche nei recenti incontri con il nuovo presidente americano Donald Trump e con il presidente francese Emmanuel Macron ha ribadito la posizione di Kiev: per dire sì ad una tregua e fermare la guerra servono garanzie e, in particolare, serve l'invito della Nato all'Ucraina, che ritiene indispensabile agganciarsi al treno dell'Alleanza Atlantica.

La telefonata Orban-Putin

Orban ha fornito la sua versione dopo il contatto diretto con il Cremlino. "Ho avuto una conversazione telefonica di un'ora con il presidente Putin. Queste sono le settimane più pericolose della guerra Russia-Ucraina. Stiamo adottando tutte le misure diplomatiche possibili per sostenere un cessate il fuoco e colloqui di pace", ha scritto il premier ungherese su X dopo il colloquio con il presidente russo.

Anche il Cremlino ha reso nota la telefonata spiegando che Putin e Orban si sono scambiati i loro punti di vista sulla situazione in Ucraina. Il premier ungherese, che lunedì ha visto Donald Trump a Mar-a-Lago, ha proposto una "soluzione politico diplomatica" grazie ai suoi "contatti con i dirigenti occidentali". Putin ha denunciato "la linea distruttiva del regime di Kiev" che esclude una soluzione pacifica del conflitto.

Zelensky: "Ecco come finisce la guerra"

Zelensky ha bollato tutto come propaganda e ha chiosato ironicamente: "Ci auguriamo tutti che Viktor Orban non chiami Assad a Mosca per ascoltare anche le sue lezioni lunghe un'ora", ha commentato chiamando in causa l'ex dittatore siriano, che dopo la caduta del regime ha chiesto e ottenuto asilo in Russia.

"È assolutamente chiaro che per raggiungere una vera pace e una sicurezza garantita sono necessari la determinazione dell'America, l'unità dell'Europa e l'impegno incrollabile di tutti i partner nei confronti degli scopi e dei principi della Carta delle Nazioni Unite", ha ribadito il presidente ucraino, che poi, in un riferimento al premier ungherese, ma forse anche al cancelliere tedesco Olaf Scholz che lo scorso mese aveva telefonato al presidente russo, ha ammonito: "Nessuno dovrebbe promuovere la propria immagine a spese dell'unità: tutti dovrebbero concentrarsi sul successo condiviso".

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Esteri

Fbi, si dimette il direttore Wray. Trump: “Gran...

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Trump ha già annunciato la sua intenzione di nominare al suo posto il suo fedelissimo Kash Patel

Christopher Wray (Afp)

Il direttore dell'Fbi Chris Wray si dimetterà il mese prossimo, al termine del mandato dell'amministrazione di Joe Biden. Lo ha reso noto in un comunicato il Federal Bureau of investigation. Nei giorni scorsi, il presidente eletto Donald Trump aveva annunciato la sua intenzione di nominare a capo dell'Fbi Kash Patel, suo fedelissimo, ex procuratore federale, che aveva già ricoperto diversi ruolo nell'ambito della sicurezza nazionale nella prima amministrazione Trump. La fine del mandato di Wray era prevista nel 2027.

La reazione di Trump

"Le dimissioni di Christopher Wray sono un grande giorno per l'America, perché metteranno fine all'uso come arma di quello che è diventato noto come dipartimento di ingiustizia degli Stati Uniti" scrive in un post su Truth Social Donald Trump.

"Non so proprio cosa gli sia successo. Ora ripristineremo lo stato di diritto per tutti gli americani", afferma Trump, ricordando che sotto la direzione di Wray, "l'Fbi ha fatto irruzione illegalmente nella mia casa, senza motivo, ha lavorato diligentemente per l'impeachment e la mia incriminazione illegale e ha fatto di tutto per interferire con il successo e il futuro dell'America".

Ancora il presidente eletto ha denunciato che all'Fbi hanno usato "i loro vasti poteri per minacciare e distruggere molti americani innocenti, alcuni dei quali non saranno mai in grado di riprendersi da ciò che è stato fatto loro". Quindi Trump ha citato Kash Patel, da lui indicato nei giorni scorsi, definendolo "il candidato più qualificato a guidare l'Fbi nella storia dell'agenzia, impegnato a garantire che la legge, l'ordine e la giustizia tornino di nuovo e presto nel nostro Paese".

"Come tutti sanno, ho un grande rispetto per i membri dell'Fbi e loro hanno un grande rispetto per me. Vogliono vedere questi cambiamenti tanto quanto me ma, soprattutto, il popolo americano chiede un sistema di giustizia forte ma equo. Vogliamo riavere la nostra Fbi - ha concluso - e questo accadrà. Attendo con ansia la conferma di Kash Patel, in modo che il processo per rendere l'Fbi di nuovo grande possa iniziare. Grazie!".

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