WhatsApp down, problemi oggi anche per Instagram e Facebook: cosa è successo
Boom di segnalazioni non solo in Italia
WhatsApp down oggi in Italia. La popolare app di messaggistica ha avuto problemi - anche su WhatsApp web - oggi 11 dicembre 2024, a giudicare dalle segnalazioni su Downdetector, il sito che monitora i guasti sulla rete.
I disservizi si sono estesi anche a Instagram e Facebook, altre app della galassia Meta: in base alla 'mappa' delle segnalazioni di Downdetector, i problemi non sono limitati all'Italia. Dalla Germania alla Spagna, dagli Stati Uniti al Brasile, dall'Australia al Giappone, il down si è rivelato di portata internazionale.
La prima conferma dei problemi è arrivata da @WABetaInfo, profilo X sempre informato su novità e guasti dell'app. "WhatsApp è attualmente alle prese con gravi problemi, report indicano che anche le altre piattaforme Meta, come Facebook e Instagram, stanno segnalando down", si legge in un post pubblicato poco dopo le 19 italiane. Verso le 19.30, il primo aggiornamento con buone notizie: "WhatsApp sta ripristinando il servizio di messaggistica. Tuttavia alcune funzioni, compreso l'ultimo accesso e lo status online, potrebbero risultare indisponibili per alcuni utenti".
Quindi, il post di Meta: "Un problema tecnico sta condizionando l'accesso di alcuni utenti alle nostre app. Stiamo lavorando per riportare tutto alla normalità nel più breve tempo possibile e ci scusiamo per qualsiasi disagio".
A molti utenti, WhatsApp non ha consentito il regolare invio di messaggi, che sono rimasti in stand by a lungo prima della spedizione. Si è verificato, così, una sorta di ingorgo e quando l'app ha ripreso a funzionare a singhiozzo sono inviati a raffica i messaggi 'congelati'.
Su X, consueto 'rifugio' degli utenti quando si verificano problemi a WhatsApp e ai social principali, decollano rapidamente gli hashtag con l''allarme' #whatsappdown e #instagramdown.
Ultima ora
Esplosione Calenzano, escluso sabotaggio: vittima aveva...
Il deposito Eni è stato sequestrato dalla Procura di Prato
Dai primi rilievi tecnici disposti dalla Procura, non è stato trovato esplosivo nel deposito di carburante Eni a Calenzano (Firenze), quindi, è stato escluso che l'esplosione sia da attribuire a un possibile sabotaggio. L'intero deposito Eni è stato posto sotto sequestro al fine di poter svolgere le indagini tecniche necessarie per stabilire le cause dello scoppio alle pensiline di carico delle autocisterne. Eni, si è appreso da fonti inquirenti, avrebbe chiesto di intervenire per smaltire correttamente le acque potenzialmente inquinanti, ma tutta l'attività di approvvigionamento, stoccaggio e distribuzione carburanti "deve restare ferma" fino a che le indagini tecniche non saranno concluse.
Le indagini sulle cause dell'esplosione
Secondo una prima ricostruzione sulle cause dell'esplosione, sarebbe avvenuta una fuoriuscita di carburante nella parte anteriore della pensilina di carico, "in qualche modo dovuto alla chiara inosservanza delle rigide procedure previste", dove erano in corso opere di manutenzione affidate a una ditta esterna.
Le conseguenze di tale scellerata condotta - è l'ipotesi della Procura di Prato che conduce le indagini - "non potevano non essere note o valutate dal personale che operava in loco. La circostanza che fosse in atto una attività di manutenzione di una linea di benzina corrobora l'ipotesi che vi siano state condotte connesse all'evento di disastro", come si legge in un atto con cui il procuratore Luca Tescaroli ha ordinato l'acquisizione di documenti presso gli uffici Eni e la ditta che eseguiva i lavori di manutenzione.
La Procura, che indaga per le ipotesi di reato di omicidio colposo plurimo, lesioni gravi, crollo doloso di costruzioni o altri disastri e rimozione dolosa delle cautele contro gli infortuni sul lavoro, ha affidato l'incarico di svolgere questi accertamenti nel deposito, posto sotto sequestro, a due esperti di esplosivi, Roberto Vassale e Renzo Cabrino, che in passato hanno lavorato come periti nell'inchiesta sulla strage di Capaci, con cui Tescaroli aveva già collaborato all'epoca in cui era pm a Caltanissetta.
La lettera scritta da una delle vittime
Agli atti dell'indagine potrebbe finire anche una lettera scritta poco più di due mesi fa da una delle vittime, Vincenzo Martinelli, nella quale l'autotrasportatore 51enne segnalava anomalie proprio alla pensilina di carico 6 del deposito Eni di Calenzano, quella in cui si sarebbe verificata l'esplosione. La lettera è indirizzata alla Bt Trasporti, la società di autotrasporti di cui Martinelli era dipendente, ed era stata scritta per contestare un procedimento disciplinare che la Bt aveva aperto nei confronti del 51enne dopo un mancato carico di carburante.
"Alle 10,30 del 1° ottobre - scriveva Martinelli - mi apprestavo a caricare il secondo viaggio alla corsia 6 del deposito, per un viaggio costituito da 4 scarichi per una durata di circa 5 ore e 30 minuti. Mentre effettuavo il carico, il braccio della benzina non erogava prodotto, per cui mi sono recato presso le sale controllo per risolvere il problema. L’addetto al controllo verificava che effettivamente la corsia non erogava benzina, dopo vari tentativi decidevano di farmi sospendere il carico facendomi staccare tutti i dispositivi". Anomalie segnalate alle 10,21 di lunedì 9 dicembre, pochi istanti prima della deflagrazione, anche da un altro autotrasportatore in coda alle pensiline, che è riuscito a mettersi in salvo, e la cui testimonianza è già stata raccolta dagli investigatori.
Sindaco: "Impianto figlio di una stagione che abbiamo alle spalle"
Il Comune di Calenzano ha attivato un conto corrente di solidarietà a favore delle famiglie delle vittime. L’iban del conto, presso Unicredit spa, tesoriere del Comune, è IT43Y0200838103000107278108.
"Anche l’abbraccio attraverso un piccolo gesto - ha spiegato il sindaco Giuseppe Carovani in collegamento con il Consiglio della Città Metropolitana di Firenze - dà voce alla comunità per esprimere vicinanza e memoria delle vittime. Ringrazio i vigili del fuoco, le forze dell'ordine e quanti sono stati preposti a scongiurare esiti ancora più drammatici per quanto accaduto".
Le indagini della magistratura metteranno in evidenza le cause specifiche dell'esplosione. Per Carovani "ci si chiede se la tragedia poteva essere prevenuta. Purtroppo si continuano a usare da anni gli stessi sistemi e tecnologie per carico e scarico delle autobotti. Che su questo ci siano stati pochi avanzamenti è un elemento di riflessione a favore di tecnologie sicure", così come lo è prendere atto della condizione dell'area industriale a servizio della Piana, di Firenze e di Prato. Quando l'impianto Eni fu aperto era in piena campagna anche se era già vicina la ferrovia. "E’ compatibile questo impianto con il contesto attuale e la Piana che è giunta a un livello di saturazione?", ha chiesto Carovani.
Ci vogliono "scelte radicali di pianificazione, in un territorio molto delicato dal punto di vista idrogeologico. Eni rifletta sulla compatibilità con il contesto. Abbiamo chiesto che si apra un tavolo di discussione e di confronto per interventi che possano migliorare questo stato di cose. L’onda d’urto ha investito abitazioni, fabbriche, generando sgomento. Bisogna trarne un insegnamento: quell'impianto è figlio di una stagione che abbiamo alle spalle, di mobilità legata alle fonti fossili. Trovo deleterio resistere alla transizione energetica. Il nostro invito è a interrogarsi sul modello di sviluppo che vogliamo perseguire".
A Calenzano ieri è stato il giorno del lutto cittadino e regionale e della manifestazione dei sindacati per reclamare più sicurezza nei suoi luoghi di lavoro.
Esteri
Siria, Israele e i raid: tra nodo sicurezza e nuovo rischio...
Dopo il crollo del regime di Bashar al-Assad, la 'risposta' israeliana in nome della "sicurezza" attira critiche e solleva preoccupazione fra gli analisti per le possibili ripercussioni
Una campagna di operazioni militari in Siria "eccezionale per forza e portata". Che aggiunge "un'altra pericolosa variabile alla situazione in rapida evoluzione" nel Paese". Scrivono così i giornali americani dopo il crollo del regime siriano di Bashar al-Assad che ha innescato una 'risposta' da parte di Israele, in nome della "sicurezza", con raid contro obiettivi militari e truppe nel Golan siriano per la prima volta in 50 anni. Nessun commento, nessuna reazione, almeno per ora da Hayat Tahrir al-Sham (Hts), il gruppo che ha guidato l'offensiva fulminante delle forze anti-Assad.
Intanto, il Cremlino non risparmia critiche a Israele e torna a insistere per la rapida "stabilizzazione" della Siria, assicurando che Mosca - che negli anni passati è stata tra i principali sostenitori di Bashar al-Assad - è in contatto con tutte le forze politiche attualmente presenti nel Paese arabo. Diversi Paesi arabi hanno accusato di sfruttare la situazione della Siria per occupare altri territori.
Campagna israeliana "nuova pericolosa variabile"
La campagna militare israeliana, evidenzia il Nyt, è stata "eccezionale per forza e portata", nel tentativo di "assicurare che chiunque finisca al potere in Siria sia significativamente disarmato". Gli analisti sottolineano come i bombardamenti su vasta scala di questa settimana siano stati molto più ampi e devastanti rispetto a quelli condotti in passato. Hanno colpito anche l'infrastruttura in Siria che l'Iran ha utilizzato per trasferire armi a Hezbollah in Libano. Immagini arrivate ieri dalla Siria mostravano navi affondate, hangar e edifici crollati.
La Repubblica Islamica, ha detto ieri la Guida Suprema dell'Iran, Ali Khamenei, "è forte e potente e diventerà solo più potente". Israele sta "smantellando l'asse del male dell'Iran", ha replicato il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, in dichiarazioni apparse come una forma di risposta indiretta all'85enne Khamenei.
"La campagna aerea intensificata, in parallelo alla prima operazione di terra israeliana in territorio siriano dalla guerra dello Yom Kippur del 1973, ha attirato le condanne internazionali e aggiunto un'altra pericolosa variabile alla situazione in rapida evoluzione in Siria, dove i gruppi armati stanno cercando di creare un nuovo ordine politico", scrive il Washington Post.
Il giornale sottolinea come Hts resti per lo più preoccupato dalla gestione della transizione da forza militare a politica, mentre fa i conti con casse vuote e carenza di generi alimentari. Nel Paese, dove restano circa 900 militari americani, altri gruppi armati - come evidenzia il giornale - sono ancora in lotta per l'influenza.
Raid, rischio ripercussioni con altra benzina sul fuoco
Martedì i militari israeliani hanno confermato di aver effettuato circa 480 raid in Siria in due giorni e il ministro della Difesa, Israel Katz, ha parlato delle attività della Marina, che "ha operato con grande successo la notte scorsa per distruggere la flotta siriana". Israele afferma di distruggere asset per evitare che finiscano in mano agli estremisti.
Tutto dopo anni di raid attribuiti a Israele e mesi in cui si erano intensificate le notizie di operazioni contro depositi di armi di Iran e degli Hezbollah libanesi, che con la Russia di Vladimir Putin sono stati tra i principali sostenitori del leader siriano Bashar al-Assad.
Le operazioni militari israeliane in Siria rischiano di avere "ripercussioni oltre le intenzioni degli israeliani", ha avvertito Ryan C. Crocker, ex ambasciatore Usa in Siria, durante un evento al Middle East Institute. E sul Golan ha chiarito che una presenza a lungo termine nell'area "potrebbe aggiunge benzina al fuoco".
Quindi, è il ragionamento di Crocker, gli israeliani "devono stare molto attenti a non innescare un nuovo attivismo diretto contro di loro".
La Siria sarà con tutta probabilità al centro della prossima visita in Turchia - annunciata da Ankara per venerdì - del segretario di Stato Usa, Antony Blinken, che negli ultimi giorni ha sentito almeno due volte il capo della diplomazia turca, Hakan Fidan, per parlare degli sviluppi nel Paese arabo.
Era ad Ankara il riferimento di ieri di Khamenei, che non ha puntato direttamente il dito contro la Turchia, ma ha accusato "un Paese vicino della Siria" di aver "chiaramente avuto un ruolo in questa vicenda" e di continuare "ad averlo" nell'ambito di un "complotto" che per la Guida Suprema vede in Usa e Israele "i principali responsabili".
Esteri
Ucraina-Russia, Orban: “Zelensky rifiuta...
Il premier ungherese sente Putin e addossa a Zelensky la responsabilità per la prosecuzione del conflitto
L'Ucraina rifiuta la tregua di Natale nella guerra con la Russia? Tutto falso. Ad alimentare il caso sono le parole di Viktor Orban. Il premier ungherese monopolizza l'attenzione con una telefonata a Vladimir Putin e chiama in causa Volodymyr Zelensky. Sarebbe stato il presidente ucraino a rifiutare l'ipotesi di una tregua di Natale con scambio di prigionieri.
"Alla fine della presidenza ungherese dell'Ue, abbiamo compiuto nuovi sforzi per la pace. Abbiamo proposto un cessate il fuoco a Natale e uno scambio di prigionieri su larga scala. È triste che il presidente Zelensky abbia chiaramente respinto ed escluso questa possibilità. Abbiamo fatto quello che potevamo", le parole di Orban.
A stretto giro, Kiev ha smentito categoricamente di aver affrontato il tema con Orban, che a luglio ha fatto visita a Zelensky nella capitale ucraina e si è sostanzialmente proposto come mediatore senza nessun mandato dell'Ue.
La smentita di Kiev
Il consigliere della presidenza ucraina Dmytro Lytvyne, in un messaggio ai media, ha giudicato totalmente prive di fondamento le esternazioni di Orban: "Come sempre, la parte ungherese non ha discusso con l'Ucraina e, come sempre, l'Ungheria non ha avvertito Kiev dei suoi scambi con Mosca", si legge nel messaggio.
Zelensky, del resto, anche nei recenti incontri con il nuovo presidente americano Donald Trump e con il presidente francese Emmanuel Macron ha ribadito la posizione di Kiev: per dire sì ad una tregua e fermare la guerra servono garanzie e, in particolare, serve l'invito della Nato all'Ucraina, che ritiene indispensabile agganciarsi al treno dell'Alleanza Atlantica.
La telefonata Orban-Putin
Orban ha fornito la sua versione dopo il contatto diretto con il Cremlino. "Ho avuto una conversazione telefonica di un'ora con il presidente Putin. Queste sono le settimane più pericolose della guerra Russia-Ucraina. Stiamo adottando tutte le misure diplomatiche possibili per sostenere un cessate il fuoco e colloqui di pace", ha scritto il premier ungherese su X dopo il colloquio con il presidente russo.
Anche il Cremlino ha reso nota la telefonata spiegando che Putin e Orban si sono scambiati i loro punti di vista sulla situazione in Ucraina. Il premier ungherese, che lunedì ha visto Donald Trump a Mar-a-Lago, ha proposto una "soluzione politico diplomatica" grazie ai suoi "contatti con i dirigenti occidentali". Putin ha denunciato "la linea distruttiva del regime di Kiev" che esclude una soluzione pacifica del conflitto.
Zelensky: "Ecco come finisce la guerra"
Zelensky ha bollato tutto come propaganda e ha chiosato ironicamente: "Ci auguriamo tutti che Viktor Orban non chiami Assad a Mosca per ascoltare anche le sue lezioni lunghe un'ora", ha commentato chiamando in causa l'ex dittatore siriano, che dopo la caduta del regime ha chiesto e ottenuto asilo in Russia.
"È assolutamente chiaro che per raggiungere una vera pace e una sicurezza garantita sono necessari la determinazione dell'America, l'unità dell'Europa e l'impegno incrollabile di tutti i partner nei confronti degli scopi e dei principi della Carta delle Nazioni Unite", ha ribadito il presidente ucraino, che poi, in un riferimento al premier ungherese, ma forse anche al cancelliere tedesco Olaf Scholz che lo scorso mese aveva telefonato al presidente russo, ha ammonito: "Nessuno dovrebbe promuovere la propria immagine a spese dell'unità: tutti dovrebbero concentrarsi sul successo condiviso".