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Rivoluzione Trump, all’insediamento invitati anche leader stranieri: prima volta dal 1874

La sua portavoce conferma anche l'invito al presidente cinese Xi Jinping. E il tycoon scherza: "Ci piace rischiare un po'"

Donald Trump - Fotogramma /Ipa

Donald Trump rivoluziona anche la tradizione della cerimonia di insediamento, invitando capi di Stato e di governo stranieri a Washington per la sua, seconda, inaugurazione il 20 gennaio prossimo. Secondo Cbsnews, infatti gli archivi del dipartimento di Stato, che risalgono al 1874, mostrano che un leader straniero non ha mai partecipato ad una cerimonia di giuramento, dove solitamente sono invitati gli ambasciatori.

L'invito a Xi Jinping: "Ci piace rischiare un po'"

Ora Trump per il suo secondo insediamento ha invitato Xi Jinping, secondo quanto rivelato da Cbs e poi confermato dalla futura portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt. "E' vero e questo è un esempio di come il presidente Trump crei un dialogo aperto con Paesi che non sono solo nostri alleati ma anche avversari e competitori", ha detto a Fox News. Leavitt ha poi sottolineato che il tycoon ha avuto questo atteggiamento già nel primo mandato: "Si è guadagnato molte critiche per questo, ma ha portato la pace nel mondo, è disposto a parlare con tutti ma metterà sempre gli interessi americani al primo posto".

La portavoce, infine, ha sostenuto che non è vero che non ci sono precedenti di leader stranieri invitati a insediamenti, ma non avrebbe fornito dettagli. Sulla questione è intervenuto, a modo suo, Trump con una battuta dal New York Stock Exchange, dove ha suonato la campana per l'apertura dei mercati: "Sto pensando di invitare alcune persone all'inaugurazione e c'è chi dice, 'wow è rischioso, no?, e io dico che forse lo è, vedremo. Ma ci piace rischiare un po'".

L'invito a Xi è stato fatto all'inizio di novembre, poco dopo la vittoria, ha rivelato ancora Cbs ma non è chiaro se il presidente cinese abbia accettato l'invito del tycoon che continua a minacciare una nuova, e rafforzata, guerra dei dazi con Pechino. E anche la portavoce di Trump non si è sbilanciata su questo.

Da Orban a Meloni, gli inviti di Trump

Il team di Trump sta invitando anche altri leader e tra questi - aggiunge Cbs - Viktor Orban, il premier ungherese che tre giorni fa è volato a Mar a Lago per incontrare il suo grande amico e alleato ideologico e che, secondo fonti vicine al leader ungherese, "sta ancora considerando" se partecipare alla cerimonia. E un invito sarebbe stato rivolto a Giorgia Meloni durante il colloquio che la premier ha avuto sabato a Parigi, a margine del ricevimento all'Eliseo, con il presidente eletto, un "grande incontro" ha detto Trump con parole di apprezzamento per Meloni "piena di energia".

"Leader mondiali stanno facendo la fila per incontrare il presidente Trump perché sanno che ritornerà al potere e ristabilirà la pace con la forza americana in tutto il globo", aveva detto nei giorni scorsi Leavitt.

In queste settimane successive alla vittoria del 5 novembre, il tycoon ha ricevuto a Mar a Lago il premier canadese Justin Trudeau, anche lui oggetto di minacce di guerra commerciale e non certo un alleato ideologico, come invece è Javier Milei, il presidente argentino che è stato ospite della festa di gala organizzata il 15 novembre per la vittoria elettorale.

A Parigi, dove Trump è stato il vero ospite d'onore tra i leader invitati da Emmanuel Macron per la riapertura di Notre Dame, ha avuto anche un importantissimo incontro con Volodymyr Zelensky ed un colloquio con il principe William.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Esteri

Siria, ex capo carcere incriminato in Usa per torture

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Samir Ousman al-Sheikh è stato incriminato da una giuria federale della California

Carcere in Siria (Fotogramma/Ipa)

L'ex capo del famigerato carcere siriano di Adra, il 72enne Samir Ousman al-Sheikh, è stato incriminato da una giuria federale della California con diverse accuse relative a torture. L'uomo, che è stato responsabile della gestione del carcere dal 2005 al 2008, era stato arrestato il 10 luglio all'aeroporto internazionale di Los Angeles per frode sui visti.

Come direttore della prigione di Adra, al-Sheikh avrebbe ordinato ai suoi subordinati di infliggere dolore ed era direttamente coinvolto nell'infliggere gravi sofferenze fisiche e mentali ai prigionieri. Ordinò ad esempio ai prigionieri di recarsi nell'"ala punitiva", dove venivano picchiati mentre erano appesi al soffitto con le braccia tese e sottoposti a un dispositivo che piegava i loro corpi a metà all'altezza della vita, provocando talvolta la frattura della colonna vertebrale, secondo quanto riportato dai funzionari federali.

Al-Sheikh ha iniziato la sua carriera lavorando nei posti di comando della polizia prima di essere trasferito all'apparato di sicurezza dello stato siriano, che si è concentrato sulla lotta al dissenso politico, hanno detto i funzionari. In seguito è diventato capo della prigione di Adra e generale di brigata nel 2005. Nel 2011 è stato nominato governatore di Deir ez-Zour, una regione a nord-est della capitale siriana di Damasco dove si sono verificate violente repressioni contro i manifestanti.

"E' un enorme passo avanti verso la giustizia", ​​ha affermato Mouaz Moustafa, direttore esecutivo della Syrian Emergency Task Force con sede negli Stati Uniti. "Il processo di Samir Ousman al-Sheikh ribadirà che gli Stati Uniti non permetteranno ai criminali di guerra di venire a vivere qui senza che ne venga accertata la responsabilità, anche se le loro vittime non erano cittadini statunitensi", ha aggiunto citato dalla Cbs News.

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Esteri

Soldati Ue in Ucraina, dibattito aperto su richiesta di...

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Il Paese ha iniziato a chiedere un dispiegamento di caschi blu europei in caso di tregua

Il leader ucraino Voldymyr Zelensky e il premier polacco Donald Tusk a Kiev - Fotogramma /Ipa

Un contingente di caschi blu europeo da dispiegare in Ucraina dopo un accordo per una tregua nella guerra con la Russia, che viene oramai considerato imminente. E' questa la richiesta avanzata da Kiev e sulla quale i Paesi Ue hanno iniziato a discutere, come hanno fatto ieri a Varsavia il presidente francese Emmanuel Macron e il premier polacco Donald Tusk.

L'ipotesi piace a Donald Trump. Il nuovo presidente degli Stati Uniti, nel recente incontro a Parigi con Macron e con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, secondo il Wall Street Journal ha chiarito che la creazione di una forza di pace compete all'Europa: per il team del neopresidente, servono 200mila uomini per presidiare il fronte.

Inviare peacekeeper in Ucraina potrebbe placare i timori di Kiev, preoccupata che i suoi alleati possano tirarsi indietro nel caso di una ripresa della guerra con la Russia di Vladimir Putin. La ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock ha affrontato la questione 'peacekeeping' la scorsa settimana: "Naturalmente tutto ciò che serve alla pace in futuro" sarà "sostenuto dalla parte tedesca con ogni sforzo". Tuttavia, la posizione ufficiale di Berlino rimane contraria a qualsiasi invio di truppe.

Polonia frena

Anche Tusk ha tenuto a "porre fine alle speculazioni sulla presenza di militari di questo o quel Paese in Ucraina dopo un possibile accordo di pace o in caso di cessate il fuoco", dopo che mercoledì scorso il quotidiano polacco 'Rzeczpospolita' ha anticipato il possibile invio di decine di migliaia di soldati di una forza di peacekeeping. "Ne abbiamo discusso e decisioni su azioni saranno prese a Varsavia, solo a Varsavia. E per il momento nulla di tutto questo è in programma". Ma l'argomento è comunque sul tavolo, come riferiscono a Politico un diplomatico dell'Unione Europea e un funzionario francese.

Cosa ha detto Macron

Il presidente francese Macron, dal canto suo, ha dichiarato durante la breve visita a Varsavia che è necessario “trovare un percorso” di pace in Ucraina che “tenga conto” degli interessi di Kiev e degli europei.

“L'amministrazione Trump ha indicato la sua volontà di cercare di cambiare il corso di questo conflitto, quindi dobbiamo lavorare a stretto contatto con gli americani, e ovviamente con l'Ucraina, per trovare un possibile percorso che tenga conto degli interessi dell'Ucraina, della sua sovranità e degli interessi e della sicurezza degli europei”, le parole del presidente francese dopo l'incontro col premier polacco.

''Dobbiamo lavorare a stretto contatto con gli americani e ovviamente con l'Ucraina per trovare un modo che tenga conto degli interessi dell'Ucraina, della sua sovranità e allo stesso tempo degli interessi degli europei e della loro sicurezza'', ha aggiunto Macron, sottolineando la necessità di ''una pace negoziata per gli ucraini che possa garantire loro una pace duratura''. E ''ovviamente una pace duratura in Ucraina significa una pace duratura per l'Europa'', ha aggiunto, auspicando una stretta collaborazione tra i Paesi europei.

Caschi blu europei come "garanzia" per la pace con Mosca

Il dispiegamento di una tale forza per Kiev potrebbe essere "una delle garanzie" per una pace futura con la Russia, come ha spiegato all'Afp un alto dirigente a Kiev. "Partiamo dal principio che un cessate il fuoco non sarà sufficiente a risolvere il problema. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di garanzie e la presenza di contingenti militari può esserne una".

Un diplomatico europeo e una fonte francese hanno confermato che la visita di Macron era in parte dedicata a questo argomento. Lo stesso Macron ha detto che i colloqui con Tusk si sono concentrati sull'Ucraina e sul "giorno dopo" la guerra. "La prossima amministrazione Trump ha dimostrato la sua volontà di cambiare la traiettoria del conflitto e dobbiamo lavorare con l'Ucraina e l'Europa per prendere in considerazione gli interessi europei e ucraini", ha detto Macron che pochi giorni fa a Parigi ha visto Volodymir Zelensky e Donald Trump.

40mila soldati Ue in Ucraina, l'ipotesi

"È vero", ha confermato un diplomatico Ue quando gli è stata chiesto un parere sull'articolo del quotidiano polacco Rzeczpospolita, secondo cui i due Paesi starebbero discutendo di una potenziale forza di pace di 40.000 uomini composta da truppe di Paesi stranieri.

Tuttavia, un diplomatico polacco si è detto sorpreso dalla proposta di Macron. "Questa non è una formula che ci permetterebbe di prendere una decisione del genere", e ha aggiunto che le missioni di pace dovrebbero essere decise nell'ambito delle Nazioni Unite o dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), non in una discussione bilaterale con il presidente francese. L'invio di truppe polacche in Ucraina "avrebbe senso solo nel quadro della Nato", ha sottolineato.

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Esteri

Siria, dalla guerra contro Assad al governo: i ribelli ce...

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La coalizione di gruppi, guidata da Hayat Tahrir al-Sham, si trova di fronte alla sfida più ampia: quella della governance e del pluralismo

Ribelli siriani - Afp

Dopo la svolta, la Siria ora deve costruire. L'offensiva contro le forze di Assad è stata lampo. Ma adesso per la coalizione di gruppi, guidata da Hayat Tahrir al-Sham (Hts), che ha posto fine al regime, si prospetta il compito più arduo, quello della governance e del pluralismo.

I ribelli hanno diffuso messaggi con l'obiettivo di rassicurare le minoranze e sottolineare l'impegno per una Siria per tutti i siriani. Hts, evidenzia il Washington Post, dovrà consolidare il controllo su un insieme di forze ribelli, dare prova di inclusività a livello politico e placare le paure di chi teme che rimpiazzeranno il sistema assadista con la loro forma di dominio assoluto. Hts dovrà dimostrare di voler dare rappresentazione politica alle diverse confessioni e minoranze della Siria e a un insieme di gruppi che hanno contribuito alla caduta di Assad.

Le necessità immediate

Per ora sono tutti concentrati sulla distribuzione del pane, sulla necessità di trovare carburante per i bus e denaro per le casse siriane. Per ora, prosegue l'analisi del giornale, il piano politico del gruppo si concentra sull''esportazione' del suo governo da Idlib, nel nordovest della Siria, a Damasco. Ed è troppo presto per dire come si tradurrà a livello nazionale il modello di amministrazione locale di Hts, che allarga la sua area di controllo da una piccola enclave sunnita a un territorio più ampio e variegato.

Tra gli interrogativi cruciali c'è quello sul ruolo che avrà Abu Mohammed al-Jawlani, leader enigmatico di Hts che ha rinnegato Is e al-Qaeda e viene descritto dagli osservatori come un opportunista e campione di 'restyling'. E, osserva Aaron Zelin del Washington Institute for Near East Policy, contribuirà a determinare il futuro della Siria la scelta di Jawlani, insistere per avere l'ultima parola o acconsentire a stare sullo sfondo.

Un governo 'per tutti i siriani'

A Damasco i 'nuovi arrivati' sono per lo più sconosciuti. C'è chi vuole elezioni. Fuori dagli uffici del ministero degli Interni, racconta il Post, gli agenti sono tutti di Idlib e hanno i distintivi del 'governo' di Idlib. Si chiedono chi sia oggi alla guida del ministero di Damasco, dove non si vedono più le forze di polizia di Assad. Su quella poltrona c'è Mohammed Abdulrahman, ex ministro degli Interni del 'governo di salvezza' di Hts a Idlib. Il consigliere per i media, Ahmed Badawi, assicura che ci sarà un "coordinamento" con elementi del vecchio regime. "Non siamo venuti per prendere il potere - dice -. Il governo è per tutti i siriani".

I segnali da Aleppo

Ad Aleppo, conquistata dalle forze guidate da Hts una settimana prima di Damasco, si 'intravedono' segnali sulla forma di governo, con i servizi ripresi rapidamente.

E, aggiunge il Post, i 'tecnici' che Hts aveva inviato ad Aleppo sono ora a Damasco, con l'incarico di ricostruire le istituzioni siriane, mentre alcuni ministri sono stati lasciati ai loro incarichi e ai dipendenti è stato chiesto di tornare a lavorare. Ma se oggi Hts appare fermamente al controllo del Paese e molti siriani sembrino volergli dare un'opportunità, gli analisti affermano che a Idlib ci si è fermati ben prima degli standard democratici. Il premier scelto da Jawlani, Mohammed al-Bashir, ha assicurato che resterà in carica 'solo' fino a marzo.

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