Bove: “Il calcio una comunità, l’affetto per me è la parte genuina di questo sport”
Il centrocampista della Fiorentina è tornato a parlare sui social dopo il malore: "Ci vediamo presto in campo"
Edoardo Bove torna a parlare e prepara il ritorno in campo che, dice, avverrà "presto". Dopo il malore che lo ha colpito durante la partita tra Fiorentina e Inter, il centrocampista viola ha pubblicato un lungo messaggio sul proprio profilo Instagram: "Ciao a tutti, in questi giorni difficili ho avuto modo di pensare molto. Seppur la condivisione sui social non sia nella mia natura, vorrei esternare un pensiero che mi ha colpito nel profondo. Lo spiacevole episodio avvenuto durante Fiorentina-Inter, mi ha dimostrato, ancor più di quanto pensassi, che il calcio è molto più di una partita, di un campionato, o di una carriera. Il calcio è una comunità di persone, legate dalla stessa passione, che condividono momenti di gioia, commozione, rabbia, delusione e sofferenza".
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"Proprio in questi momenti mi rendo conto di quanto questo sport sia genuino, di quanto, al dì la dei risultati, della competizione o della concorrenza siamo tutti uniti. Uniti da un legame che a maggior ragione, una volta creato, si rafforza nei momenti di difficoltà, diventando quasi indissolubile. Un legame che ti trasmette amore ed emozioni difficili da spiegare. Un legame che ti dà la forza di superare qualsiasi ostacolo", ha scritto il 22enne, "ne parlo perché l’ho vissuto sulla mia pelle in questi giorni: l’affetto che ho ricevuto, il calore dei tifosi, il supporto da parte dei compagni e degli avversari, la vicinanza di tutto il mondo del calcio è stato un qualcosa che mi ha dato una forza e un coraggio incredibili".
Bove ha continuato: "Mi sono sentito circondato da un’energia positiva che mi ha permesso di rimanere tranquillo, di non sentire la solitudine che spesso è presente in questo tipo di difficoltà. Per questo motivo, vorrei che tutti ci impegnassimo a non dimenticare la vera essenza del nostro sport, a non lasciarci offuscare troppo dal suo lato commerciale e a non dare per scontato il suo spirito autentico. Perché nonostante tutto, quello che è successo domenica è la testimonianza della parte genuina del calcio: quella che si nutre di emozioni vere, di storie personali e di un forte legame tra chi gioca e chi tifa. Detto questo, sono veramente grato di appartenere a questo mondo e vi ringrazio dal profondo del cuore per l’affetto e la vicinanza che mi avete dimostrato! Io sto bene e questa è la cosa più importante! Ci vediamo presto… In Campo! Edo".
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Lazio-Inter 0-6, valanga nerazzurra all’Olimpico
I campioni d'Italia travolgono i biancocelesti
L'Inter batte 6-0 la Lazio nel posticipo del lunedì della 16/a giornata di Serie A, disputato oggi 16 dicembre allo stadio Olimpico di Roma. Per i nerazzurri a segno Calhanoglu su rigore al 41', Dimarco al 45', Barella al 51', Dumfries al 53', Carlos Augusto al 77' e Thuram al 90'. In classifica i nerazzurri sono terzi con 34 punti, tre in meno dell'Atalanta capolista e uno in meno del Napoli, con una partita da recuperare (in trasferta con la Fiorentina). I biancocelesti restano invece fermi a quota 31 in quarta posizione insieme alla Fiorentina.
La partita
La squadra di casa parte con il piede schiacciato sull'acceleratore con gli ospiti costretti a difendersi. Al 3' prima accelerazione di Isaksen che trova spazio e mette in mezzo, Bisseck allontana anticipando Zaccagni. Al 7' Nuno Tavares si accentra e calcia di destro, conclusione deviata e parata da Sommer. Al 12' altra fiammata di Isaksen che punta l'uomo, rientra sul sinistro e calcia, Sommer para in tuffo. Al quarto d'ora altra conclusione biancoceleste con Noslin, palla deviata in angolo. Al 21' Rovella mette in mezzo un gran pallone, arriva Noslin che schiaccia troppo la conclusione da distanza ravvicinata e spreca tutto. Al 23' ancora Noslin, cercato dalla destra questa volta da Isaksen, va a concludere con un colpo di testa: palla alta oltre la traversa.
Al 24' ammonizione per Calhanoglu per un'entrata in ritardo su Rovella. Al 28' il primo cambio del match, esce Gila per un malessere, entra Gigot. Al 32' secondo giallo per i nerazzurri, è Bastoni per una trattenuta su Isaksen. Dopo un monologo laziale è l'Inter a sbloccare la partita al 41' su calcio di rigore concesso per un fallo di mano di Gigot. Nell'occasione Chiffi ammonisce Rovella per proteste. Dagli 11 metri conclusione impeccabile di Calhanoglu. Al 45' arriva il raddoppio. Ripartenza micidiale dell'Inter con Calhanoglu che cede a Dumfries, cross sul secondo palo, arriva Dimarco che al volo batte Provedel. La Lazio accusa il doppio colpo e Calhanoglu potrebbe triplicare ma sul suo tiro è pronto Provedel.
La ripresa inizia con un cambio per parte: tra i nerazzurri Darmian al posto di Bisseck, tra i biancocelesti Lazzari per Gigot che esce dopo poco più di un quarto d'ora decisamente negativo. I padroni di casa non riescono a reagire e nel giro di due minuti l'Inter segna altri due gol e chiude di fatto la partita. Al 6' arriva il tris: Calhanoglu vede Barella in posizione centrale, gli cede palla e il centrocampista lascia partire una gran conclusione che si infila all'incrocio dei pali. All'8' il poker: Bastoni incrocia una gran palla verso il secondo palo, Dumfries salta in testa a Nuno Tavares e batte ancora Provedel.
Al 12' Baroni toglie Pedro e Isaksen, entrano Tchaouna e Dele Bashiru. AL 17' doppio cambio anche per Inzaghi. Escono Bastoni e Calhanoglu, al loro posto Carlos Augusto e Asllani. Al 20' Tchaouna recupera un buon pallone e calcia da fuori, palla a lato. Al 24' ancora i biancocelesti in attacco con Rovella che però calcia in maniera scoordinata con il sinistro e spedisce il pallone in curva. Al 32' il quinto gol nerazzurro: Carlos Augusto recupera un ottimo pallone che finisce a Dimarco il quale serve ancora il brasiliano che con un tocco sotto supera Provedel.
Al 36' altri cambi con Castrovilli per Zaccagni tra i padroni di casa e Buchanan per Dimarco tra gli ospiti. Nel finale c'è tempo per la sesta rete dei ragazzi di Inzaghi: Mkhitaryan pesca Thuram che si infila tra Lazzari e Marusic e segna batte Provedel. Sipario.
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Roma, De Rossi: “Un errore rimanere tutta la...
L'ex centrocampista ha ripercorso il suo passato giallorosso
Daniele De Rossi si racconta. Ospite del nuovo episodio della serie 'Overlap' condotta da Gary Neville, Roy Keane, Jamie Carragher e Ian Wright, l'ex allenatore della Roma ha parlato del presente e del futuro. Al momento della registrazione l'ex centrocampista era ancora l'allenatore giallorosso e ha iniziato parlando proprio dell'amore per la Roma e della grande pressione che c'è intorno alla squadra: "È l'amore per questo club, il modo in cui siamo. Se io fossi uno chef sarei così, se cucinassi una carbonara e non ci fosse tanto guanciale mi arrabbierei (ride, ndr). Il calcio è molto importante per gli italiani, soprattutto a Roma. Sappiamo che non siamo il Real Madrid e molti tifosi accettano di non vincere trofei. Loro amano la lealtà di un giocatore, l'impegno profuso in campo anche se non sei di Roma. Ovviamente, poi vorrebbero vincere. Abbiamo trascorso 10/12 anni senza vincere ma andandoci molto vicino, con 9 secondi posti ed è folle, contro club costruiti con 200 milioni più di noi. Non abbiamo mai vinto ma in quelle stagioni avevamo vinto tante partite e alla gente andava comunque bene perché apprezzavano la prestazione".
"Tutti qui vorrebbero giocare per la Roma", ha raccontato De Rossi, "qualche volta succede e poi devi fare una scelta: se sei abbastanza fortunato puoi permetterti di scegliere se andare in un club migliore o rimanere qui. Io ho fatto la mia decisione, calcisticamente una decisione sbagliata ma per me è andata bene così. Non ho rimpianti. Quando ho iniziato con la Roma nelle giovanili e avevo 12 anni. Mi allenavo a Trigoria, nella stessa struttura che viene utilizzata ora ma ovviamente è stata modernizzata. Non giocavo mai, ero sempre in panchina per i primi 3/4 anni. Ero un giocatore diverso, un attaccante molto leggero, tecnico ma non aggressivo. Poi ho capito che se avessi voluto giocare avrei dovuto cambiare ruolo".
De Rossi ha raccontato la sua metamorfosi, da attaccante a centrocampista: "Avevo 16 anni, stavamo perdendo contro l'Arezzo e io ero in panchina. Il capitano era un centrocampista e venne espulso, quindi il mister mi disse di entrare e giocare nella stessa sua posizione. Andò bene, vincemmo 2-1. Nella gara successiva giocai sempre in quella posizione ed era contro il Pescara. Ricordo tutto perché cambiò la mia vita. Poi andai in Primavera con lo stesso allenatore e trovai spazio perché durante la preparazione estiva sette centrocampisti della Primavera vennero chiamati in prima squadra. Quando tornarono pensai che non avrei più giocato, ma l'allenatore invece continuò a credere in me e io continuai a giocare. Poi Fabio Capello mi vide giocare in Primavera e non sono più tornato indietro".
Su Capello: "All'inizio mi chiamava soltanto negli allenamenti e quella fu la stagione migliore della nostra vita perché vincemmo lo Scudetto. Quell'anno andai un paio di volte in panchina e mi sono sentito una piccola parte di quella stagione. Nessuno si ricorda di me ovviamente, ma io ricordo tutte le emozioni vissute in quell'annata. L'anno successivo sarei dovuto andare in prestito, poi rimasi e giocai 4/5 partite. Nella stagione ancora successiva Capello cercò di prendere Davids dalla Juventus e i bianconeri chiesero 4/5 giovani giocatori come pedine di scambio, ma l'affare non andò in porto e non so precisamente il motivo. Avevo delle squadre che mi volevano tra cui Chievo, Empoli e Reggina ma decisi di rimanere perché credevo di poter giocare. Tutti mi dicevano che ero matto e che non avrei mai giocato con calciatori del calibro di Emerson, Dacourt, Tommasi, Zanetti... Giocai 25/26 partite alla fine, un numero importante per un giovane calciatore".
Sulla possibilità di volare in Premier League: "Sono stato molto vicino, sarebbe stata la prima opzione in caso di addio alla Roma. Fui vicino al Manchester United, la consideravo la squadra migliore in Inghilterra. Inoltre ho avuto ulteriori occasioni per andare in altri club".
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Milan, scoppia la contestazione: perché i tifosi ce...
Dopo lo 0-0 con il Genoa, San Siro ha fischiato giocatori e dirigenti nel giorno del 125° compleanno del club. I motivi alla base della protesta
Nel giorno delle celebrazioni per i 125 anni di storia del Milan, scoppia la contestazione dei tifosi verso il club. Lo 0-0 di San Siro contro il Genoa è stato la classica ultima goccia per i sostenitori rossoneri, che dopo mesi di delusioni e diversi segnali hanno alzato la voce nei confronti della società. Ma quali sono i motivi alla base del malcontento?
Milan, la contestazione dei tifosi
Il primo discorso è relativo al campo. Fin qui, pesa per la squadra soprattutto l’andamento in campionato: il Diavolo oggi è ottavo, ha 23 punti (con una partita da recuperare) e i numeri mettono in fila un impietoso –14 dall’Atalanta capolista e un provvisorio –8 dall’Inter, che dovrà giocare in serata contro la Lazio. I rossoneri hanno poi la quinta difesa della Serie A e il sesto attacco, insieme al Napoli. A salvare l’inizio di annata deludente, dopo il secondo posto della passata stagione, il ritorno al successo nel derby contro l’Inter e un ottimo percorso in Champions, con 12 punti conquistati in 6 partite e lo scalpo del Real Madrid, battuto al Bernabeu in una notte da ricordare.
Detto dei risultati, ai tifosi non va giù nemmeno l’atteggiamento dei giocatori, spesso svogliati in campo e senza grinta e personalità. Come lamentato da Fonseca dopo la vittoria con la Stella Rossa e come raccontato da alcuni provvedimenti presi proprio dal tecnico, che non si è fatto problemi a mandare in panchina leader come Rafael Leao e Theo Hernandez.
Contro la società
L’altro tema è relativo alla dirigenza. Ai tifosi non va giù, e non da oggi, la poca presenza della proprietà americana nei momenti delicati. La società parla poco, sembra assente e nel mirino è finito anche Zlatan Ibrahimovic, senior advisor di RedBird e braccio destro del numero uno del fondo americano Gerry Cardinale. Solo un anno e mezzo fa, lo svedese era idolatrato dal pubblico di San Siro dopo essere stato uno dei protagonisti del ritorno al vertice, certificato dallo scudetto vinto con Stefano Pioli nel 2022. Ieri, nel giorno di festa del club, anche lui è stato fischiato in maniera clamorosa.
L'allenatore e le mosse di mercato
C'è poi un discorso relativo all’operato del club sul campo. Il tifo rossonero non ha digerito la separazione dall'ex direttore dell'area tecnica ed emblema di "milanismo" Paolo Maldini, avvenuta all’improvviso nel 2023, e dopo la rottura con Pioli ha invocato un nome forte per la panchina. Su tutti, Antonio Conte. La società ha invece scelto prima Lopetegui, virando su Fonseca dopo una rivolta consistente sui social. E poi, sul mercato, tante volte è stata contestata una mancanza di forza e un’eccessiva attenzione al bilancio negli acquisti. In estate non è arrivato per esempio il grande colpo in attacco e la società ha preso Morata. Un giocatore di livello internazionale, forse però non l’uomo giusto per sostituire l’apporto in zona gol di Giroud. E con questo, nelle ultime due stagioni sono arrivati anche investimenti che hanno convinto poco o nulla. Come Chukwueze, Okafor, Pavlovic ed Emerson Royal. Insomma, in casa rossonera sono diversi i problemi da risolvere per far pace con San Siro. (di Michele Antonelli)