Nuova legge sul velo, arrestata Parastoo Ahmadi che aveva cantato senza hijab
La nuova legge dell’Iran sul velo obbligatorio è entrata in vigore venerdì 13 dicembre ed è l’ennesimo attacco alla libertà delle donne iraniane. In 74 articoli, divisi in cinque diversi capitoli, la legge, approvata dalle autorità iraniane lo scorso 30 novembre, rende ancora più cupo il quadro normativo del Paese a due anni dall’uccisione della giovane Mahsa Amini, ‘rea’ di non indossare bene il velo.
Lo stesso velo che oggi significa sanzioni più severe, comprese quelle corporali, per le donne che non rispettano il rigido codice di abbigliamento obbligatorio in vigore nella Repubblica islamica dal 1980 e per chiunque si opponga al regime, uomini inclusi.
Iran, le nuove sanzioni per le donne
La nuova legge sul “velo e la castità” non obbliga le donne solo a coprire il capo e i capelli: sia nella vita reale che online sono vietati anche “indumenti succinti o attillati, che mostrano parti del corpo più in basso del collo, sopra le caviglie o sopra gli avambracci”.
Chi non rispetta la nuova legge può subire una sanzione di 8 milioni di rial (circa 180 euro), che raddoppiano se non pagate entro 30 giorni. In caso di recidiva, le sanzioni aumentano da un minimo di 80 rial (1.800 euro) fino a 165 milioni di rial (oltre 3.725 euro) in base all’entità dell’irregolarità. Qualsiasi donna considerata ‘nuda’ in luoghi pubblici potrà essere arrestata. I casi di disobbedienza più gravi prevedono pene il carcere da 2 a 6 anni di carcere e ben 74 frustate.
Non solo: chi non paga le sanzioni in tempo, rischia di essere esclusa dall’accesso ai servizi amministrativi, finanziari e sociali, inclusi il rilascio del passaporto, l’immatricolazione del veicolo e il rinnovo della patente di guida. La nuova legge dell’Iran sul velo obbligatorio prevede inoltre che tutte le ragazze tra i 9 e 15 anni che non rispettano le regole saranno soggette dovranno anche seguire delle non meglio precisate “misure educative”.
Il Grande Fratello iraniano
La legge prevede sanzioni anche per chiunque (anche uomo) protesti contro il governo, non collabori con le autorità o inciti le donne a non rispettare le regole. Il governo iraniano vuole creare una sorta di Grande Fratello dove nessuna disobbedienza resti impunita: se un amministratore condominiale si rifiuta di fornire alle autorità i filmati di sorveglianza delle donne che si oppongono alle nuove misure rischia multe da 18 a 36 milioni di rial (da 400 a oltre 800 euro); se un tassista, o un conducente di vetture a noleggio o di servizi di trasporto digitali non denuncia le passeggere che violano le regole sul velo obbligatorio va incontro a sanzioni pecuniarie e al mancato rinnovo della licenza; qualsiasi dipendente pubblico e titolare di attività commerciale che non contribuisca al rispetto delle regole rischia la sospensione dal servizio pubblico per cinque o sei anni, oltre alle sanzioni pecuniarie.
La nuova legge dell’Iran sul velo obbligatorio autorizza inoltre il ministero dell’Intelligence, l’unità di intelligence della polizia (Faraja) e l’Organizzazione di intelligence del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche di visionare e mettere a disposizione delle autorità competenti dati e filmati di chiunque violi le regole.
Il parlamento presieduto da Mohammad Bagher Ghalibaf vuole rendere capillarizzare al massimo il controllo nel Paese. A tal fine, la legge prevede anche la formazione di gruppi popolari incaricati di inviare avvertimenti verbali e scritti alle e ai disobbedienti, e li autorizza a intervenire in pubblico. Potranno essere arruolati anche cittadini non iraniani ma con documenti validi per l’Iran così da allargare il bacino dei “controllori”.
La legge sul “velo e la castità” si applica anche agli spazi culturali e creativi iraniani dove saranno vietati design, giocattoli, opere d’arte e manichini ritenuti non in linea con le nuove norme. I trasgressori rischiano multe, divieti di spostamento e restrizioni sulle attività online.
La legge incarica il ministero delle Strade e dello Sviluppo Urbano di costruire alloggi “in linea con la cultura islamica” e promuove la creazione di punti vendita permanenti di capi di abbigliamento “appropriati”, ai “valori islamici”.
Presidente contrario (ma conta poco)
L’iter della legge è durato circa un anno, attirandosi le critiche della comunità internazionale, la preoccupazione delle donne iraniane e persino l’opposizione del presidente della Repubblica iraniana. Il 2 dicembre, intervenendo sulla tv pubblica, il ‘riformista’ Masoud Pezeshkian ha detto: “Cercando di regolare qualcosa, con questo intervento si potrebbe finire per danneggiare molto altro. Ho molte riserve… Se non posso difendere bene quello che devo fare, potrebbe essere peggio”. Il suo parere, però, conta poco in Iran dove la legge entra in vigore anche senza la promulgazione del presidente, che può essere sostituita da quella parlamentare. In pratica, le nuove norme sul velo obbligatorio entrano in vigore da oggi, a prescindere dalla volontà del presidente Pezeshkian, detto ‘il dottore’.
Il concerto di Parastoo Ahmadi, “un atto di resistenza”
A poche ore dall’entrata in vigore della nuova legge, la cantautrice iraniana Parastoo Ahmadi ha eseguito un concerto senza indossare l’hijab e con le braccia scoperte, trasmettendolo poi sul suo canale YouTube. Il video pubblicato ieri, 12 dicembre, ha già totalizzato quasi un milione di visualizzazioni provocando l’indignazione e la rabbia del governo iraniano. Durante il ‘Caravanserai Concert’, la cantante si esibisce per trenta minuti insieme ai tre uomini, membri del suo gruppo, per lanciare al mondo quello che lei stessa definisce “un atto di resistenza”.
Tra gli altri brani, Parastoo ha eseguito la canzone “Az Khoon-e Javanan-e Vatan” (“Dal sangue della gioventù della patria”), che già dall’anno scorso è diventato un simbolo di resistenza delle donne iraniane, che continuano a lottare coraggiosamente contro il governo di stampo teocratico. La magistratura iraniana ha annunciato di aver avviato un’indagine su Parastoo Ahmadi, sostenendo che il suo sia stato un “concerto illegale” perché “non rispettava gli standard legali e culturali del Paese”.
Già tra il 2022 e il 2023, l’artista, molto seguita sui social, aveva condiviso sui suoi profili canali diverse ballate a sostegno delle proteste di massa che stavano interessando l’Iran a seguito della morte di Mahsa Amini.
All’inizio del suo ‘Caravanserai Concert’, Parastoo Ahmadi si rivolge a un pubblico immaginario, con uno sfondo nero e un messaggio chiaro alle autorità iraniane: “Sono Parastoo, la ragazza che non riesce a stare zitta e si rifiuta di smettere di cantare per il Paese che ama. Ascoltate la mia voce in questo concerto e sognate una nazione libera e bella. Un atto di resistenza”. La dissidente iraniana in esilio Masih Alinejad ha definito “storico”, il nuovo concerto pubblicato dall’artista a poche ore dalla nuova legge iraniana sull’hijab: “La voce di Parastoo è un inno contro la tirannia”.
Poche ora dopo il suo concerto, Parastoo Ahmadi è stata arrestata dalle autorità iraniane.
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Come evitare che il tuo cervello invecchi prima del tempo,...
Ormai anche i sassi sanno che lo stile di vita è tutto, se si vuole vivere e invecchiare in salute, scattanti e a lungo. E ora uno studio della Oxford University aggiunge un tassello al puzzle di come rimanere sempre giovani e soprattutto con un cervello funzionante: i ricercatori hanno individuato ben 15 cause di invecchiamento della nostra preziosa materia grigia, e la buona notizia è che su molte di esse possiamo farci qualcosa. Perché, assodato che anche il cervello invecchia, possiamo almeno provare a rallentare il processo. No, guardare serie Netflix fino alle 3 di mattina purtroppo non aiuta.
Lo studio di Oxford sulle aree del cervello che invecchiano più rapidamente
Il nuovo studio in questione, dal titolo ‘The effects of genetic and modifiable risk factors on brain regions vulnerable to ageing and disease’, è stato condotto dai ricercatori del Nuffield Department of Clinical Neurosciences dell’Università di Oxford (Manuello, J., Min, J., McCarthy, P. e altri) e pubblicato su Nature Communications (Nat Commun 15, 2576 (2024)). La ricerca ha usato le scansioni cerebrali di circa 40mila persone sopra i 45 anni partecipanti alla UK Biobank, focalizzandosi sulle aree che invecchiano più rapidamente, risultate allo stesso tempo più vulnerabili alla schizofrenia e al morbo di Alzheimer.
Queste patologie hanno anche delle cause genetiche, che però non sono ancora chiare. Ma, emerge dallo studio, ci sono anche fattori di rischio modificabili molto deleteri per questa rete cerebrale vulnerabile. Basti pensare che una commissione di Lancet, aggiornata nel 2020 per includere, ad esempio, l’inquinamento tra gli elementi che favoriscono la demenza, ha esaminato l’impatto relativo di 12 fattori di rischio modificabili e ha dimostrato che possono rappresentare il 40% dei casi in tutto il mondo.
La prevenzione si può fare: i 15 fattori di rischio modificabili
In poche parole, la prevenzione si può fare: modificare i fattori di rischio attraverso il cambiamento nel proprio stile di vita aiuta a procurarsi un invecchiamento più sano. Ed ecco le grandi categorie in cui rientrano i fattori di rischio (ben 161 quelli individuati dai ricercatori) che sono nelle nostre mani, in parte o del tutto:
1. diabete
2. colesterolo
3. pressione sanguigna
4. peso
5. consumo di alcol
6. fumo
7. umore depressivo
8. infiammazione
9. inquinamento
10. udito
11. sonno
12. socializzazione
13. dieta
14. attività fisica
15. istruzione.
Ma sono soprattutto il diabete, l’inquinamento legato al traffico e l’alcol i fattori di rischio modificabili (MRF) più deleteri sulle regioni cerebrali particolarmente vulnerabili, avvisa lo studio.
Ovviamente dietro ognuno di questi fattori c’è un mondo, e molti si intersecano tra loro. Ma se andiamo a sintetizzare, ciò che dobbiamo fare è quello che ormai sappiamo benissimo di dover fare, e che spesso non vogliamo fare.
Conosciamo anche i motivi: rimandare una gratificazione certa e immediata per qualcosa di incerto e futuro è difficile, perché per farlo servono disciplina e costanza, parole che ultimamente sono un po’ in ribasso (la prima è in ripresa, ma nella sua accezione negativa), e perché la vita frenetica che conduciamo, diciamo la verità, non è amica del benessere, anzi ci costringe a fare una fatica bestiale se vogliamo davvero mantenerci in salute.
Non serve essere salutisti talebani, bastano modifiche sostenibili
Forse però potremmo iniziare da piccole cose, in modo sostenibile e realistico, abbandonando la mentalità del ‘o tutto o niente’ che ci fa pensare, ad esempio, che se non andiamo sei volte a settimana in palestra allora meglio non andarci per nulla. Ecco qualche suggerimento, senza la pretesa di esaurire un argomento così vasto.
Per quanto riguarda il diabete, vera epidemia della nostra epoca, per prevenirlo è necessario adottare uno stile di vita sano su più fronti, da una dieta equilibrata alla gestione della pressione fino all’esercizio fisico.
In generale, eliminare o ridurre molto lo zucchero è una cosa che tutti dovremmo fare: negli ultimi anni sono diventati sempre più chiari i danni degli zuccheri in eccesso, così come anche la difficoltà di toglierli dalla nostra alimentazione. Non solo perché danno una vera e propria dipendenza, ma pure perché spesso se ne trova in cibi insospettabili, rendendo la cosa ancora più complessa.
Per quanto riguarda invece l’inquinamento dato dal traffico, questo aspetto è ovviamente più complesso da gestire, ma si può agire tramite l’uso di mascherine e soprattutto cercando di ‘compensare’ passando più tempo possibile in mezzo alla natura, fosse anche il parco vicino casa.
Sull’alcool invece poco da dire, nessuno demonizza il bicchiere bevuto a cena con gli amici o in un’occasione speciale: il problema nasce quando il bicchiere diventa una bottiglia, soprattutto se è un’abitudine quotidiana o quasi. Si può però iniziare eliminando i superalcolici e riducendo i cocktail agli aperitivi.
Tra gli altri fattori individuati dallo studio, anche il sonno è importantissimo, e spesso sottovalutato. Dormiamo poco e male, mentre sarebbe importante andare a letto mezz’ora o un’ora prima – che sulla lunga fa tante ore in più accumulate – e curare l’ambiente in cui riposiamo in modo da passare la notte nel modo più sereno possibile. Ovviamente, a monte, dovremmo imparare a gestire lo stress, cosa che impatta sulla nostra qualità di vita e sulla nostra salute a 360 gradi.
Ovviamente, poi, il fumo va bandito, e in questo i fumatori verranno sempre più aiutati (o costretti) da normative locali, vedi Milano, o europee, che puntano a un futuro ‘smoke free’.
Inoltre, anche avere una vita sociale piena è un aspetto fondamentale: richiede tempo ma ripaga di ogni ‘sforzo’ fatto e arricchisce tutta la vita: l’uomo è un animale sociale, diceva Aristotele, e avere una rete con cui condividere gioie e dolori, pensieri ed esperienze, aiuta decisamente a stare bene.
Ultimo capitolo, l’attività fisica. Anche qui una buona notizia: secondo gli ultimi studi, non è necessario sfiancarsi per ore. Basta un esercizio moderato, ad esempio camminare un po’ di più, evitare l’ascensore, svolgere brevi sessioni di allenamento anche a casa, per fare la differenza.
E se sembra tutto un po’ punitivo, che va a scapito dei piaceri della vita, ricordiamoci due cose: la prima è la massima latina secondo cui ‘la virtù è nel mezzo’, e dunque non occorre diventare cyborg asettici e superdisciplinati ma basta il buonsenso, e la seconda che se il nostro cervello invecchia prima del tempo o sfuma nella demenza, a quel punto ci sarà ben poco da godersi.
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Il tour della Natalità fa tappa a Milano, l’impegno di...
Gli Stati Generali della Natalità, il tour organizzato dalla Fondazione per la Natalità per promuovere la ricerca di soluzioni per contrastare il calo demografico, fa tappa a Milano. Tra gli argomenti di cui si è parlato oggi, presso la sede della Regione Lombardia, le buone pratiche delle aziende.
Tra queste, Prénatal, marchio di PRG Retail Group e leader in Italia nel settore dei prodotti per l’infanzia, rinnova il suo supporto alla Fondazione a agli Stati generali, condividendo la necessità di mettere a fattor comune progetti concreti e organici a sostegno delle famiglie e della cultura della natalità.
Obiettivi che sono anche alla base del progetto Generazione G – Generazione Genitori – avviato dall’azienda nel 2023 in collaborazione con il Moige – Movimento Italiano Genitori – proprio per rispondere ai bisogni delle famiglie in difficoltà.
Un anno di Generazione G: i risultati
In dodici mesi, Generazione G ha raccolto oltre 800mila euro, grazie alle donazioni dei clienti e all’alleanza tra le insegne di PRG Retail Group (che oltre Prénatal comprende Toys Center, Bimbostore, FAO Schwarz) e del Moige e con partner come Chicco, Clementoni, Fater, MAM, Mattel e Okbaby. Questi fondi hanno permesso di:
• sostenere 264 famiglie fragili in 29 città italiane di 14 regioni, di cui oltre il 70% alla prima gravidanza. Tra queste, la Lombardia si distingue con 16 famiglie coinvolte: 6 a Milano e 10 a Monza e Brianza
• accogliere 52 nuovi bambini, di cui 3 in Lombardia, accompagnando i neogenitori con aiuti concreti – basket di beni di prima necessità – ed emotivi.
• costruire una rete di 53 genitori esperti che affiancano le famiglie, con focus sull’ascolto attivo, supporto alla salute e cura dei bambini, e incontri di gruppo.
A un anno dal suo lancio, la raccolta fondi continua a crescere e l’obiettivo di arrivare a 500 famiglie è quasi raggiunto.
Il Progetto sta inoltre restituendo una fotografia reale dei bisogni delle famiglie italiane, evidenziando come la mancanza di rete, le paure della genitorialità, il senso di solitudine, siano oggi ostacoli rilevanti alla natalità e alla nascita di nuovi genitori. Le richieste di supporto più frequenti includono:
• supporto emotivo e ascolto attivo (36%)
• incontri tra genitori (16%)
• cura e salute dei bambini (15%)
• incontri conoscitivi e di approfondimento (6%)
• coinvolgimento in attività civili e sociali (6%)
• accompagnamento alla nascita (5%)
• supporto nella gestione della casa e delle faccende domestiche (3%)
• proposte di attività di formazione e supporto alla ricerca del lavoro (2%).
E’ per questo che Generazione G non si limita agli aiuti pratici: promuove anche la coesione sociale tra le famiglie, offre opportunità di formazione e organizza attività speciali come gli incontri di vicinanza e, in questo periodo, i mercatini natalizi.
Parità di genere e sostegno alle lavoratrici
Altro aspetto fondamentale per incentivare la natalità è la conciliazione tra maternità e carriera. Anche in questo campo Prénatal è attiva, portando avanti specifiche politiche aziendali orientate a garantire pari opportunità. PRG Retail Group è infatti tra le prime società retail italiane ad aver ottenuto la Certificazione di Parità di Genere (UNI/PdR 125:2022).
Inoltre, l’adozione del “Codice di Autodisciplina di Imprese Responsabili in favore della maternità” promosso dal Ministero per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità assicura alle lavoratrici un supporto adeguato per affrontare le sfide della genitorialità senza compromettere le proprie opportunità professionali.
Per PRG Group l’impegno sulla parità di genere crea infatti un ambiente di lavoro equo e inclusivo, ma è anche un sostegno alle famiglie proprio perché favorisce un equilibrio tra lavoro e vita privata.
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La sociologa: “La denatalità non è più un’emergenza, è un...
La denatalità non è più un’emergenza, è un problema strutturale. E non è (solo) un problema di tipo economico. Lo ha chiarito Emiliana Mangone, professoressa di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’università di Salerno, intervenuta al convegno ‘Essere genitori oggi, tra scienza e welfare’, il nuovo appuntamento di Adnkronos Q&A organizzato in collaborazione con Demografica e Merck, con il sostegno di Medical service consulting, Ivi, Nuova collaborazione e WindTre.
La denatalità è un problema strutturale e non solo economico
La sociologa ha utilizzato i risultati della ricerca svolta dall’Ateneo e commissionata da Fondazione Magna Grecia sulla propensione alla genitorialità per sottolineare come innanzitutto i trend della natalità siano in discesa “già quasi dagli anni ‘70, e continuano a scendere di anno in anno, quindi parlare di emergenza oggi è un errore assolutamente: dovevamo parlare di emergenza almeno 30 anni fa”.
Stabilito questo primo punto, la professoressa è andata al nocciolo: perché i giovani non fanno figli? “Le risposte che in questo momento si stanno dando sono tutte legate ad aspetti di carattere economico ma quello che invece è emerso dalla nostra ricerca è un tantino diverso o meglio si aggiunge un pezzetto”.
Mangone ha chiarito che i giovani in età fertile – dai 18 ai 35 anni – coinvolti dalla ricerca pur essendo autonomi economicamente vivono quasi tutti ancora con la famiglia “e decidono di fare un figlio solo se avvertono questo grosso senso di diventare genitori. Questo è il primo aspetto, poi c’è un aspetto estremamente paradossale e cioè questi giovani si fidano solo delle relazioni di prossimità e cioè alla domanda ‘a chi ti rivolgeresti in caso di difficoltà nel momento in cui avrai un figlio’ la risposta è la famiglia, gli amici e il partner. Non si rivolgono alle amministrazioni pubbliche, né alle istituzioni private e neanche alla chiesa”.
Inoltre, “l’altro aspetto che è emerso in maniera molto forte al di là dell’individualismo – che c’è – è la loro necessità di poter continuare a fare quello che fanno senza figli, cioè lavorare, avere il tempo libero per le proprie passioni e avere una responsabilità condivisa, ma la responsabilità condivisa la vogliono condividere solo ed esclusivamente con le relazioni di prossimità”.
Quindi, per Mangone, vanno bene tutti gli incentivi, ma occorre creare reti prossimali che non possono essere più solo la famiglia, occorre rendere il sistema di welfare un sistema di welfare comunitario. Soprattutto, “bisogna tornare alle relazioni umane: questo significa creare un’educazione nei giovani che li faccia sentire anche parte di una comunità con cui condividere le responsabilità”.
Serve l’educazione alla fertilità
Ma a monte c’è innanzitutto un problema di salute riproduttiva, fino ad oggi molto sottovalutato. Eppure, è emerso dalla mattinata di lavori, la prevenzione è fondamentale e deve cominciare presto, in un’età in cui non ci si pensa e non si è pronti ad affrontare questo argomento. Lo ha spiegato chiaramente Francesco Gebbia, coordinatore medico Medical affairs Ivirma Italia nel suo intervento: “Le coppie non sono assolutamente preparate a avere informazioni sulla loro fertilità e spesso siamo noi in epoca anche tardiva a dare delle prime informazioni. Quello che notiamo è che non c’è purtroppo aderenza rispetto alle aspettative che si hanno riguardo alla propria fertilità e alla potenzialità di avere un figlio”.
“Oggi in Italia si fanno i figli sempre più tardi. L’età media in cui si fa il primo figlio è quasi 33 anni che è tardissimo da un punto di vista biologico, ci sembra strano dire che a 33 anni sia tardi, ma da un punto di vista riproduttivo effettivamente lo è. Siamo il paese in Europa in cui si fanno figli più tardi e quello che dovremmo appunto insegnare è anche l’educazione alla fertilità, dare gli strumenti alle donne e agli uomini per decidere della propria vita, ma in maniera consapevole e informata”, ha continuato l’esperto.
Gebbia ha anche ricordato come “il momento migliore da un punto di vista biologico per concepire sarebbe tra i 20 e 30 anni con una probabilità di concepimento ogni mese, quando tutto va bene nella coppia, di circa un 25%. La stessa coppia di individui sani a 40 anni ogni mese ha un 5% di probabilità di concepire e a 45 anni siamo sotto l’uno per cento. E questo senza che ci siano altre fattori e altre patologie ginecologiche o non”, ma “tutto questo è ignorato dalla maggior parte delle coppie”, un problema che prosegue anche quando si approccia un trattamento medico, perché spesso le coppie credono che si possa risolvere tutto sottoponendosi a un trattamento e invece non è sempre così.
La fecondazione assistita insomma è un aiuto ma non può essere data per scontata nei suoi esiti. Nonostante questo, il ricorso alla Pma è in continua crescita e negli ultimi 10 anni, ha ricordato Gebbia, ha fatto nascere più di 200 mila bambini, 17mila nel 2022. A tal proposito il medico ha sottolineato come il trattamento vada comunque adeguato alla coppia e come dai 43-44 anni “la strada che viene consigliata prevede l’utilizzo di ovociti donati da parte di donatrici in maniera anonima, cosa che si può fare in Italia dal 2014, non sempre le coppie ne sono informate”.
L’importanza del welfare aziendale
Altro aspetto fondamentale per la genitorialità è il welfare, statale come aziendale. Al convegno ha portato la sua esperienza e le sue best practices Fater, azienda che in questo ambito ha messo in campo una seria di innovazioni, a partire dal programma ‘People First’. Antonio Fazzari, general manager Fater, ha raccontato le diverse iniziative e sottolineato soprattutto come esse nascano dall’ascolto attraverso survey o focus group e veri e propri incontri di persona con i dipendenti. Questa è la chiave del successo di quanto poi Fater ha introdotto o sta introducendo: non si tratta di iniziative calate dall’alto ma provenienti dalle reali esigenze delle persone. E l’esigenza principale dei genitori emersa dall’ascolto, ha spiegato Fazzari, è una maggiore flessibilità nel coniugare le necessità professionali con la vita privata.
Da qui è nata l’offerta di lavoro ibrido 5 su 5 ma anche un programma di welfare specifico per i genitori con l’estensione del congedo parentale a tre mesi, al quale il 100% dei papà ha aderito pur non essendo obbligatorio, il bonus asilo da 250 euro al mese, il coaching alle neomamme o l’ultima novità: Kids ad Campus.
Quest’ultima iniziativa prevede che tutte le persone che lavorano nel campus possano portare i loro figli di almeno sei anni nel campus stesso, prenotando lo spazio; quindi, i figli potranno spendere delle ore in posti sicuri, ma anche divertenti e quindi rilassarsi o fare i compiti o tutto quello di cui c’è bisogno e i genitori potranno continuare la loro attività lavorativa. Il progetto “nasce proprio oggi e quindi ve lo diamo in anteprima e possiamo solo immaginarci che può essere un campus aperto con la energia dei nostri figli”.
Un altro importante esempio di come si possa declinare il welfare l’ha portato Franca Guglielmetti, che per Welfare come te coordina le attività del comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio sui bisogni di welfare di lavoratrici e lavoratori con responsabilità di cura. “Welfare come te è un provider di welfare aziendale specializzato soprattutto su quei servizi che possono aiutare il lavoratore che ha responsabilità di cura verso i figli a continuare a lavorare a mantenere il proprio profilo professionale”, ha spiegato Guglielmetti.
Anche per Welfare come te tutto parte dall’ascolto dei bisogni reali delle persone, e proprio da qui nasce l’osservatorio, “un’indagine che noi facciamo ogni due anni, quest’anno abbiamo fatto la prima, e che ci ha portato un disegno abbastanza interessante e cioè che il 70% delle persone che lavorano ha anche responsabilità di cura”, ha evidenziato Guglielmetti sottolineando come queste persone siano nella continua fatica di bilanciare lavoro e famiglia, ambito in cui può validamente intervenire il welfare aziendale.
I modi possono essere disparati: dal piano sanitario personale alle attività di supporto nel percorso di crescita dei figli, come lo sportello genitori e lo sportello per l’adolescenza fino ad interventi di formazione e sensibilizzazione sui disturbi del comportamento alimentare, sul tema dello svezzamento e della nutrizione nei bambini, oppure ancora sui problemi legati a disturbi specifici dell’apprendimento che, ha sottolineato Guglielmetti, “purtroppo sono in grandissimo aumento pare in conseguenza dell’uso eccessivo del web e che molto spesso preoccupano i genitori che non sanno come fare”.
“Il fatto che l’azienda offre loro degli strumenti di orientamento nella complessità che incontrano nell’essere genitori, secondo noi può essere un elemento che favorisce e supporta la genitorialità”, ha concluso.
Sul tema è intervenuto anche Tommaso Vitali, direttore B2C marketing e new business di Windtre, che si è concentrato sull’importanza dell’educazione digitale, tema fondamentale perché “chiaramente siamo tutti immersi in questo mondo che è sempre più digitalizzato, non c’è soluzione di continuità fra reale e digitale e questo ha chiaramente un impatto non trascurabile anche sulle famiglie, sui bambini, sui genitori”.
“WindTre è la prima porta di accesso a Internet in Italia e in un’ottica di un’azienda che vuole avere una responsabilità in termini sociali vogliamo che internet sia un luogo di benessere. L’obiettivo del progetto ‘Neo connessi’ è quello di generare consapevolezza sullo strumento internet, delle opportunità e dei rischi. Abbiamo deciso di partire con una focalizzazione specifica sui più piccoli: sappiamo che fra gli 8 e 10 anni i bambini entrano per la prima volta in possesso di uno smartphone, che è in realtà una porta piccolina ma che apre a un mondo infinito. Abbiamo strutturato nel tempo degli strumenti formativi che si rivolgono primariamente alle famiglie, quindi agli educatori e genitori passando anche dalle scuole, attraverso dei kit didattici che abbiamo costruito in collaborazione con la Polizia di Stato, l’ordine nazionale degli psicologi e anche dei pediatri per poter mettere a disposizione degli strumenti che facilitino appunto l’educazione digitale”.
Il lavoro domestico costa troppo
Un altro problema affrontato nella mattinata è stato poi quello legato al lavoro domestico, spesso fondamentale per affrontare il carico di cura familiare. Ne ha parlato Filippo Breccia Fratadocchi, vice presidente di Nuova Collaborazione, Associazione Nazionale Datori di Lavoro Domestico nata nel 1969: “I rapporti di lavoro domestico regolari ogni anno si stanno riducendo, quindi aumenta il numero e l’entità del lavoro nero. Sono stime, però grosso modo sappiamo che abbiamo 830 mila circa rapporti di lavoro dichiarati all’Inps e ce n’è più di un milione che non è dichiarato. Quando ci concentriamo sulle baby-sitter la situazione peggiora”.
Da un’indagine commissionata recentemente dall’associazione su un campione di 700 famiglie con figli under 12 è emerso che solo il 36% aveva un rapporto regolarizzato. Il motivo principale è sempre il costo del lavoro, gravoso per l’anziano ma anche per la giovane coppia all’inizio della vita lavorativa: si parla di circa 1500 euro al mese, quindi, ha affermato Fratadocchi, “quello che noi insieme alle altre associazioni datoriali chiediamo da ormai da vent’anni ai governi che si sono succeduti è un maggiore riconoscimento fiscale di questo rapporto di lavoro”.
“Questo è sicuramente un sistema che non favorisce l’assunzione di una baby-sitter e noi sappiamo che è un problema quasi sempre femminile e che poi le scelte che si fanno sono quella di rinunciare al lavoro per poter far fronte agli impegni domestici”, una decisione ingiusta, ha rimarcato Fratadocchi, sia a livello etico sia strettamente economico: “Se rimango a casa abbiamo zero rapporti di lavoro. Se io invece assumo una baby-sitter e Conserve un mio posto di lavoro abbiamo due posti di lavoro con tutto ciò comporta sotto il profilo contributivo fiscale produttivo consumi e via dicendo”.
“Quindi è chiaro che allora da un lato apprezziamo gli sforzi del governo che però sono concentrati più sull’assistenza alle persone anziane, sul fronte del baby-sitter invece siamo rimasti assolutamente indietro”, ha concluso.
Il governo punta sul lavoro
E per il governo è intervenuta la viceministra al lavoro e alle politiche sociali Maria Teresa Bellucci, che ha sottolineato come l’esecutivo abbia ha puntato sul lavoro, perché è “uno strumento di risposta sociale e di libertà”, e che l’obiettivo deve essere quello di “rendere le persone libere dai sussidi di Stato per raggiungere una propria realizzazione”.
Un discorso che ha riguardato “soprattutto le donne di poter partecipare alla crescita di questa nazione: l’Istat ci dice che, se le donne venissero maggiormente inserite nel mercato del lavoro, avremmo una crescita del 7% e su questo quindi abbiamo dato tante risposte di decontribuzione mettendo maggiori soldi nelle tasche delle donne occupate. Abbiamo raggiunto un record di occupazione femminile che non basta: abbiamo raggiunto il 53%, io penso ogni giorno al 47% di donne che ancora aspettano di poter scegliere di realizzare la loro vita permanendo nel lavoro o essendo inserita nel lavoro, ma questa sicuramente è una priorità di questo governo una mia priorità: la libertà delle donne di poter scegliere di lavorare e la libertà delle donne di poter insieme al proprio compagno marito di poter fare figli”.
La viceministro ha sottolineato che “l’ufficio parlamentare di bilancio ci dice che nei due anni c’è stato un beneficio per le famiglie totale anche con gli strumenti diretti che è arrivato a 16 miliardi di euro, quindi parliamo comunque di un importo assolutamente significativo. Abbiamo spinto sul welfare aziendale perché i contesti del lavoro sono uno strumento prioritario per riconoscere il benessere alle persone alle famiglie”.
Nella nuova legge di bilancio il governo sta dando attenzione anche a chi per lavoro deve trasferirsi e quindi deve sostenere spese più alte, ha ricordato Bellucci aggiungendo: “Sto seguendo con molto interesse l’iter parlamentare per quanto riguarda la partecipazione agli utili di azienda del lavoratore perché credo anche che questo sia un altro strumento fondamentale per sentirsi comunità, per superare quella contrapposizione oggi assolutamente troppo presente che fa sì che il lavoratore sia contrapposto all’imprenditore, cose che io trovo non congrue e che appartengono a un altro secolo”.
“Io credo che questo debba essere il tempo di pacificazione, non di rivolte sociali, ma di alleanza sociale, di pace sociale, di costruzione insieme perché stiamo parlando di valori importanti come il diritto al lavoro, il diritto alla vita, il diritto alla serenità”, ha concluso ricordando anche lo Stato, le aziende, il privato sociale da soli non possano fare nulla ma che “insieme con una forte alleanza quello che finora è sembrato impossibile può diventare possibile”.
La chiave della fiscalità
Proprio ‘alleanza’ è la parola ripresa da Antonio Affinita, direttore del Moige, che ha chiuso i lavori del convegno auspicando che questa sia la linea centrale del prossimo futuro. “Ci siamo in questa alleanza, ci siamo con il mondo dell’informazione, ci siamo con il mondo dell’Industria e delle comunicazioni, ci siamo con il mondo della ricerca con il mondo dell’università, però dinanzi a tutta questa dinamica abbiamo bisogno di appendere tutti questi provvedimenti che sono importanti e sicuramente tutelanti intorno al chiodo centrale di una fiscalità che sia rispettosa del fatto che non posso pagare le stesse tasse se ho zero figli, un figlio, due figli, tre figli, quattro figli”. Mediamente, ha sottolineato Affinita, “un figlio costa circa 15mila euro, dati Federconsumatori. Questa della fiscalità è la vera sfida ed è questo quello che portiamo nei dialoghi con il governo con il Ministero delle Finanze”, anche per scardinare quella connessione che si è ormai creata che se fai un figlio diventi povero.
E dove indirizzare la fiscalità è una questione di scelte: “Bisogna dirlo se preferite mettere i cappotti alle case anziché mettere i bambini nelle case”, ha affermato Affinita. Scelte che vanno fatte, secondo il direttore del Moige, tenendo presente che “il figlio non è mio, è della società. Quanto vale un figlio cresciuto a 25 anni laureato, pronto per entrare nel mondo del lavoro? Ha un valore infinito. Allora per chiudere questa riflessione, io dico noi vogliamo essere trattati come famiglia come aziende produttive e noi produciamo il ponte più importante d’Italia”, quello verso il futuro.