Alzheimer, lo studio: mortalità più bassa per tassisti e autisti di ambulanze
I lavori richiedono frequenti elaborazioni spaziali e di navigazione e tutelano dalla malattia
I tassisti e gli autisti di ambulanze, i cui lavori richiedono frequenti elaborazioni spaziali e di navigazione, hanno livelli più bassi di mortalità attribuita al morbo di Alzheimer rispetto ad altre occupazioni. E' quanto rileva uno studio pubblicato sul numero di Natale del 'British Medical Journal' (Bmj). Per ricavare i dati gli autori hanno 'interrogato' il National Vital Statistics System, un registro basato sulla popolazione di tutti i decessi negli Stati Uniti dall'1 gennaio 2020 al 31 dicembre 2022, e sono riusciti così ad esaminare 443 occupazioni.
E' importante approfondire questi temi, evidenziano gli esperti - ricercatori di Harvard Medical School, Brigham and Women's Hospital di Boston, Massachusetts General Hospital di Boston e National Bureau of Economic Research, Cambridge - soprattutto alla luce del fatto che "i decessi attribuiti all'Alzheimer sono raddoppiati negli ultimi 3 decenni, e probabilmente aumenteranno con l'invecchiamento della popolazione". L'analisi degli studiosi parte da alcune evidenze già disponibili: uno studio di neuroimaging aveva infatti dimostrato che i tassisti di Londra, nel Regno Unito, hanno sviluppato miglioramenti funzionali nell'ippocampo. E l'ippocampo, fanno notare gli autori, è la regione del cervello coinvolta sia nella creazione di mappe spaziali cognitive sia nello sviluppo del morbo di Alzheimer, che è associato ad un'atrofia ippocampale accelerata.
I dati dello studio
Nell'ambito del nuovo studio, delle 8,9 mln di persone decedute per le quali erano disponibili informazioni occupazionali, il 3,88% (348.328) aveva la malattia di Alzheimer elencata come causa di morte. Tra i tassisti, l'1,03% (171 su 16.658) è morto di Alzheimer, mentre tra gli autisti di ambulanze, il tasso era dello 0,74% (10/1.348).
Dopo l'aggiustamento, gli autisti di ambulanze (0,91%) e i tassisti (1,03%) avevano comunque la percentuale più bassa di decessi dovuti ad Alzheimer rispetto a tutte le occupazioni esaminate. Questa tendenza, precisano gli autori, non è stata osservata in altri lavori correlati al trasporto che sono meno dipendenti dall'elaborazione spaziale e di navigazione in tempo reale o per altri tipi di demenza. I risultati erano coerenti indipendentemente dal fatto che la malattia di Alzheimer fosse registrata come causa di morte sottostante o contribuente.
Salute e Benessere
Pregliasco: “Forse ho avuto un’ischemia, gli...
Il virologo ricoverato da ieri al San Raffaele: "Sono caduto come una pera. Natale? Forse ce la faccio a tornare a casa ma i miei colleghi sono pessimisti"
Fabrizio Pregliasco potrebbe aver avuto un attacco ischemico transitorio. Il virologo, ricoverato al San Raffaele, fa il punto dopo il malore accusato nella giornata del 16 dicembre. "Ieri mattina ho spaventato da morire mia moglie, ero in bagno, ho finito di lavarmi i denti e sono caduto come una pera, per fortuna senza sbattere la testa da qualche parte", ha detto Pregliasco, rispondendo a 'Un Giorno da Pecora', la trasmissione di Rai Radio1, che ieri, senza conoscere la situazione che stava vivendo, lo aveva raggiunto telefonicamente apprendendo del malore avuto poche ore prima.
Cosa è successo "non si sa bene - ha spiegato l'esperto - sembra un Tia", attacco ischemico transitorio, "un problema contingente che mi ha fatto perdere i sensi. Un po' di terapia e dovrebbe tornare tutto a posto". Ce la farà dunque il virologo a passare le feste con i cari? "I miei colleghi sono un po' pessimisti sul mio ritorno a casa per Natale ma ce la dovrei fare", ha detto. Paura? "No, tutto sommato no. Non ho sentito dolore, ricordo solo mia moglie spaventata mentre io ero a terra".
In questo momento delicato, Pregliasco non ha ricevuto solo messaggi di supporto. Anche gli haters che spesso lo prendono di mira via social non hanno mancato di farsi sentire: "Alcuni - racconta - mi hanno scritto che stavo male a causa dei vaccini, altri invece dicevano che era impossibile stessi male a causa dei vaccini, perché in quanto medico io in realtà non ne avrei fatto nessuno sapendo che mi avrebbero fatto male…".
Salute e Benessere
Rene a uno sconosciuto, parla il donatore: “Ho avuto...
L'uomo che ha regalato il suo rene a uno sconosciuto racconta la sua scelta: "In questa partita abbiamo giocato in molti e abbiamo vinto 3 a zero"
La spinta a donare un rene a uno sconosciuto, gesto di una generosità estrema quasi difficile da comprendere, viene dall'amore per la vita "quella con la V maiuscola". Dalla consapevolezza di "aver avuto molto" dall'esistenza: "Amore, successo, amici". E' "il mio modo di ringraziarla". Spiega così la sua scelta l'uomo che - sottoponendosi a controlli e a un intervento - ha donato il suo organo avviando così una catena che ha portato a salvare tre vite. E lui stesso a raccontarlo, pur mantenendo la riservatezza sull'identità, oggi durante la conferenza stampa del Centro nazionale trapianti a Roma per la prima donazione samaritana dal 2019. "A me - ha detto - è spettato l'onore di dare il calcio di inizio alla partita. Ma per questa vittoria abbiamo giocato in molti. Ognuno efficacemente nel suo ruolo. Ed è stata una bella vittoria. Abbiamo vinto 3-0".
"Ho saputo - racconta - casualmente della donazione samaritana da una familiare di un trapiantato. Inizialmente ho cercato di avere delle informazioni. Ma pur essendo pugliese la risposta è arrivata dal centro trapianti di Padova". Qui è cominciato il percorso fatto di esami medici per accertare la buona salute, l'idoneità e per individuare "il ricevente e gli incroci possibili con altri donatori e riceventi all'interno della rete" dei trapianti. Per cinque giorni "ho anche potuto condividere del tempo con chi è stato trapiantato, partecipare alla nuova vita che per loro stava per iniziare. Ma sono stati anche cinque giorni per osservare la cura e la competenza di tutto il personale sanitario", evidenzia l'uomo ricordando il motivo profondo della sua scelta.
"Ho ricevuto salute, soddisfazione professionale, amore e amicizia. E mi sono chiesto - dice l'uomo che ha avuto diverse esperienze di volontariato - posso fare qualcosa perché questo grazie sia completo? Quando ho saputo della possibilità di donazione di un rene ho percepito che era possibile collaborare ancora di più come il buon samaritano, immagine del Gesù Evangelico. E per me, che sono un credente, è stata una gran bella opportunità di vita".
"Il donatore samaritano - ha continuato - non destina il suo rene a una singola persona. Destinataria della donazione è la comunità che, attraverso criteri sanitari, decide a chi donare a sua volta l'organo. Amo ricordare quello che diceva Papa Francesco a commento della parabola del buon samaritano, ovvero 'è meglio non fare da soli'. E lo stesso buon samaritano della parabola evangelica cerca i collaboratori, come l'albergatore che accoglie il ferito".
"Sinceramente, questo credo possa valere per tutti". La donazione degli organi dopo la morte "è una scelta di fiducia e di solidarietà che tutti possiamo fare. Che alla fine direi che costa poco", ha aggiunto evidenziando però, che "in tutta questa vicenda, siamo tre donatori di organi. Tre malati li hanno ricevuti. Abbiamo la grande competenza di più unità operative complesse in tre zone d'Italia, persino la Polizia di Stato che garantisce il trasporto del rene e di altri organi", ha concluso sottolineano l'importanza del 'gioco di squadra'.
Salute e Benessere
Sanità, Patriarca (FI): “Nuova frontiera welfare non...
L'intervento al convegno per i 30 anni di Lundbeck: "Necessario approccio integrato One Health"
"La salute del cervello sappiamo bene non è più soltanto un concetto legato all'assenza di malattia ma è qualcosa in più, è un'attenzione verso tutta una serie di azioni che mirano alla protezione e al buon funzionamento cerebrale. La nuova frontiera del welfare non è più legata soltanto al benessere fisico ma ancora di più alla componente psichica. Quando parliamo di benessere psicofisico la parte psichica ha assunto oggi nella nostra società una componente predominante, non solo per i numeri ma anche per le conseguenze nel vivere sociale che determina. Quindi è necessario oggi avere un approccio generale, avere un approccio integrato 'One Health' , come è stato ribadito più volte anche durante il G7 Salute che si è tenuto in Italia". Lo ha detto Annarita Patriarca (FI), componente Commissione Affari sociali della Camera e co-presidente dell'Intergruppo per le Neuroscienze e l'Alzheimer, intervendo da remoto al convegno 'La salute parte dal cervello. Le neuroscienze in Italia: passato, presente e futuro", un incontro organizzato a Roma dalla biofarmaceutica danese Lundbeck, specializzata nelle neuroscienze, che celebra così il 30esimo anniversario di attività e impegno nel nostro Paese.
"Dobbiamo lavorare insieme su più direttrici - ha poi aggiunto Patriarca - Innanzitutto puntare sulla prevenzione, perché attraverso la prevenzione abbiamo maggiori possibilità di guarigione dei pazienti e una serie enorme di risparmi per il Ssn. Quello che si investe in prevenzione oggi ci ritorna 5 volte dopo in termini di risparmio per il Sistema sanitario. "Il risparmio fondamentale è la ricerca, ancora di più quando parliamo di cervello, perché è dalla ricerca che arrivano le luci di speranza ed è compito anche della politica cercare di supportare la ricerca nella migliore maniera possibile". E poi c'è tutta la "gestione delle cronicità e delle cure domiciliari, con una sfida importante per la politica che è quella di garantire a tutti cure e servizi in modo omogeneo e universale su tutto il territorio" conclude.