Tragedia nel cielo kazako: una scia di dolore e domande senza risposta
Ci sono notizie che ti lasciano senza parole, ti prendono allo stomaco e ti tolgono il respiro. Ti fermi, anche se non vuoi, anche se è Natale e tutto dovrebbe essere luci, risate, calore. Stamattina è arrivata una di quelle. Un aereo, un Embraer 190 della Azerbaijan Airlines, partito da Baku e diretto a Grozny, si è schiantato vicino ad Aktau, sul Mar Caspio. Sessantasette persone. Sessantasette vite. E la mente vola subito lì, tra quei posti a sedere, tra quelle facce sconosciute. Chi erano? Stavano tornando a casa? O forse stavano andando verso qualcosa di nuovo? Forse ridevano, forse dormivano. E ora? Ora è solo silenzio. Uno di quei silenzi che pesa troppo, che non sai come sopportare.
Poi leggi i dettagli e ti si stringe ancora di più il cuore. Alle 8:35, l’aereo manda un segnale di emergenza: qualcosa nel sistema di controllo non funziona. Un guasto. Un errore. Chissà. Pochi minuti dopo, scompare dai radar. E alle 9:30 arriva la conferma che nessuno voleva. Lo schianto. Fuoco, fumo, soccorsi che arrivano di corsa. I racconti delle autorità kazake sono come un film che non vorresti vedere: sirene, vigili del fuoco, il fumo nero che sale alto. Un aereo distrutto. E quelle vite, quelle storie, tutto in cenere.
Vite spezzate, speranze residue
I numeri, in questi casi, hanno un peso che schiaccia. Si contano 42 vittime. Quarantadue vite interrotte in un modo che nessuno merita. Tra i 25 sopravvissuti, 22 sono stati ricoverati in ospedale. Alcuni di loro combattono ancora tra la vita e la morte. E intanto, immaginiamo il caos: le ambulanze che sfrecciano, i medici che fanno l’impossibile, i familiari che aspettano con il cuore in gola una telefonata, una speranza. Sul luogo dell’incidente, circa 150 vigili del fuoco hanno lottato per ore contro le fiamme. Ma il fuoco non è solo una sfida fisica. È anche simbolico, è il dolore che consuma chi resta.
Cause ancora incerte
Le prime ipotesi parlano di un bird strike, una collisione con uno stormo di uccelli. Una fatalità rara, ma non impossibile. I motori di un aereo non sono invincibili. Le autorità stanno già analizzando i dati di volo e se saranno recuperate, le scatole nere. Ma qui entra in gioco anche un altro elemento: l’umanità. Perché non è solo una questione tecnica. Dietro ogni analisi, ogni indagine, ci sono persone che cercano risposte, che vogliono sapere cosa è andato storto.
Azerbaijan Airlines non ha perso tempo. La compagnia ha sospeso temporaneamente tutti i voli degli Embraer 190, una misura che è insieme pratica e simbolica. Anche il governo azero ha reagito proclamando una giornata di lutto nazionale. Eppure, non basta. La sicurezza nei cieli è una promessa che si rinnova ogni volta che saliamo a bordo di un aereo. E ogni incidente come questo è un monito: c’è ancora tanto da fare.
Il peso della memoria
Certe storie fanno male solo a leggerle. E non è nemmeno la prima volta che succede, che il Kazakistan diventi lo sfondo di una tragedia nei cieli. Ti ricordi di quel Fokker 100 della Bek Air? Era il dicembre del 2019. Pochi secondi dopo il decollo da Almaty, tutto si è fermato. Vite perse, famiglie distrutte. E ora, eccoci di nuovo qui, cinque anni dopo, con un altro capitolo di dolore che si scrive su queste rotte maledette. Fa rabbia, vero? Perché queste cose non dovrebbero succedere più. Eppure eccoci qui, ancora una volta a domandarci: perché?
Ma cosa resta, dopo tutto questo? Resta quel vuoto che non puoi riempire, quella sensazione di impotenza che ti schiaccia il petto. E quella domanda, scomoda, che non ti lascia in pace: cosa possiamo fare per cambiare tutto questo? Le autorità stanno scavando, cercando risposte. E noi? Noi possiamo solo sperare che un giorno, non troppo lontano, non ci sia più bisogno di raccontare queste storie. Che i cieli diventino davvero sicuri, per tutti. Ma oggi è dura. Perché oggi abbiamo davanti agli occhi solo macerie, dolore e quella fragilità umana che non smette mai di ricordarci quanto sia preziosa la vita.
Oggi, però, siamo qui. A fare i conti con il dolore, con le immagini di un aereo distrutto, con le vite spezzate. E in fondo, con la fragilità della nostra stessa esistenza.
Cronaca
Natale, 400 persone in basilica di Santa Maria in...
E' una famiglia di 400 persone quella che si è sefuta tavoli allestiti nella basilica di Santa Maria in Trastevere per il pranzo di Natale della comunità di Sant'Egidio. Qui, dove 42 anni fa si era appena in venti, tra bisognosi e volontari, si ripete come da tradizione un banchetto che non ha confini, al quale partecipano senza fissa dimora ed ex senza fissa dimora che hanno trovato una sistemazione grazie alle opere della comunità, anziani, famiglie in difficoltà, ma anche rifugiati venuti coi corridoi umanitari e oggi perfettamente integrati nel tessuto sociali, in una tavolata in cui si confonde chi aiuta e chi è aiutato.
All’inizio del Giubileo sono 80mila le persone a pranzo in Italia e 250mila in tutto il mondo per un forte messaggio di pace e solidarietà. E' un Natale che supera la rassegnazione e la solitudine, fanno sapere dalla Comunità di Sant'Egidio, una grande festa che, a partire da Santa Maria in Trastevere dove nel 1982 si tenne il primo pranzo di Natale con i poveri, si svolger in tanti altri quartieri della capitale e in un centinaio di città italiane. Lo stesso appuntamento, nel giorno di Natale, viene vissuto in una settantina di paesi del mondo, con 250mila invitati.
Per il banchetto della festa, in cui le persone della Comunità si siedono a pranzo con gli invitati, previsto il menù tradizionale: lasagne, polpettone, lenticchie, dolci natalizi. Una tavola in cui si confonde chi serve e chi è servito e in cui ciascuno riceverà un dono personalizzato, come avviene in ogni famiglia. Tutte le iniziative previste sono possibili grazie al sostegno di numerosi volontari e al numero solidale 45586 (attivo fino al 29 dicembre), per lanciare un forte messaggio di speranza non solo a chi vive difficoltà personali e familiari, ma a tutti in un tempo segnato da profonde crisi in diverse parti del mondo e da troppe guerre. Numerose le iniziative solidali che si stanno organizzando, per tutto il periodo natalizio, con distribuzione di pasti e regali, anche nelle carceri italiane, come a Roma, il 26 dicembre, a Rebibbia e a Regina Coeli, dove verranno portate lasagne e regali.
Cronaca
“Ti taglio la testa”, picchia la compagna a...
Violenza a Ischia, donna ferita dal partner e salvata dai carabinieri in strada
"Oggi ti taglio la testa", poi picchia la compagna: i carabinieri la salvano alla Vigilia di Natale, un uomo di 46 anni finisce in manette in provincia di Napoli. Nella serata di ieri a Forio d'Ischia, i carabinieri in strada hanno incrociato una donna ferita che barcollava. In evidente stato di agitazione, la 42enne è stata soccorsa subito: perdeva sangue dal sopracciglio, aveva un grosso livido sullo zigomo ormai gonfio e sulla mano che sanguina c’è un taglio. La donna, spaventata, ha raccontato di essere stata appena aggredita dal compagno.
L’aggressione sarebbe avvenuta in casa e non sarebbe la prima volta anche se non lo aveva mai denunciato. I carabinieri contattano il 118 e, una volta che i sanitari prendono in cura la donna, decidono di raggiungere l’abitazione. Porta aperta, nel salone era presente un uomo, 46 anni, seduto in silenzio su una sedia mentre la tv accesa trasmetteva un film natalizio. In casa sedie rotte, mobili danneggiati e macchie di sangue sul pavimento. In cucina i carabinieri hanno trovato anche una bottiglia di birra rotta e il telecomando sporco di sangue. Bloccato dopo una colluttazione, il 46enne è stato arrestato. Dalla ricostruzione, è emerso che i due vivevano insieme da 10 anni e da tempo la donna subiva offese e veniva picchiata. Nella serata di ieri, l'uomo l'avrebbe aggredita mentre la donna tentava di andare via da casa. L'avrebbe afferrata per il collo, spingendola contro il frigo, prendendola a schiaffi, pugni e ferendola con il coccio di una bottiglia rotta. "Oggi ti taglio la testa" le avrebbe urlato, prima che la donna riuscisse a divincolarsi e a fuggire. Ora l'uomo è in carcere a disposizione dell’autorità giudiziaria mentre la donna, visitata dai medici dell’ospedale di Lacco Ameno, fortunatamente ne avrà per pochi giorni.
Cronaca
Dal medico di base al pronto soccorso, la sanità pubblica...
Un'inchiesta empirica sulle risposte che si ottengono avendo necessità di cure nei giorni di Natale
Attese troppo lunghe, ritardi insostenibili, risorse e strumenti che mancano, piccoli e grandi episodi di malasanità. Gli ospedali, a partire dai pronto soccorso, e tutta la filiera della sanità pubblica che parte dal medico di base sono dentro una crisi strutturale che i tanti fatti di cronaca documentano puntualmente. C'è però anche una strenua resistenza, fatta di medici, infermieri e operatori, che continua ad assicurare un servizio essenziale, nonostante il contesto e nonostante gli errori e le scelte sbagliate che si sono stratificate nel tempo.
Avere necessità di cure a ridosso di Natale, e quindi frequentare l'ospedale e lo studio del medico di base per cercare l'assistenza che serve, favorisce un punto di osservazione privilegiato che consente un'inchiesta empirica, ma efficace, sullo stato di salute della nostra sanità. Siamo a Roma, in una zona centrale, e questo diventa un dato da considerare, perché la situazione cambia non solo da Regione a Regione e tra una città e l'altra, ma anche tra una struttura più grande e una più piccola, tra un quartiere e l'altro.
Il pronto soccorso, frontiera aperta
All'interno di un pronto soccorso si sentono solo nomi e cognomi, persone, e i relativi problemi da risolvere. Senza sosta, senza tregua. Infarto in corso, principio di ischemia, trauma, dolori incomprensibili, altri traumi. Mal di testa, pruriti vari, distorsioni immaginarie. Umanità ferita, senza altro appiglio, e umanità più agiata che cerca comunque conforto. Richieste di aiuto e risposte da dare a tutti, sempre. Medici e infermieri, operatori, camminatori, addetti alle pulizie.
Il pronto soccorso è una frontiera dove tutto è ammesso e dove quasi tutto è affrontato, nonostante il tempo che scorre, nonostante le risorse che mancano, nonostante la perfida sproporzione tra i mezzi a disposizione e quelli che servirebbero. Nonostante l’arroganza di qualcuno e la supponenza di qualcun altro. Nonostante la disperata presenza, che diventa occupazione indebita, di chi non sa dove altro andare.
Arriva di tutto dietro al vetro dell’accettazione. Li’ si alternano donne e uomini che si muovono con apparente indolenza ma sono capaci di improvvise prove di efficienza quando la situazione lo richiede. E succede più spesso di quanto si possa immaginare. Il passaggio dal cazzeggio lento e strascicato all’adrenalina dell’emergenza è immediato, come un interruttore che scatta. Si accende la luce e si cerca di fare tutto quello che è possibile fare. Il Pronto soccorso di un ospedale è l’ultima frontiera aperta. Entrano tutti, anche quando sono troppi, entrano tutti uguali di fronte all’emergenza, anche se sono già diversi. Poi, in uscita, le distanze inevitabilmente si allargano ancora, rispetto al passo successivo, che presuppone quasi sempre scelte in cui le relazioni, a anche il denaro, tornano subito ad avere il loro peso.
Il medico di base, alleato fondamentale o peggior nemico
Dallo studio del medico di base passa tutto quello che precede o che segue all'ospedale. Ma anche tutto quello che è quotidiano, ordinario, dentro la vita di tutti i giorni. Visite, diagnosi, prescrizioni, ricette, consigli e rassicurazioni. In ordine sparso, in presenza, via telefono, via mail o via whatsapp, tutte le richieste, i dubbi, le aspettative e le frustrazioni, si riversano sulla stessa persona, che ha centinaia di pazienti. Di qualsiasi età e con qualsiasi patologia, dal raffreddore alla malattia terminale. Domande continue, più o meno cortesi, e risposte, più o meno accurate. Evidente, anche in questo, quanto possa fare la differenza l'approccio del singolo medico, che può essere un alleato fondamentale, imprescindibile, se fa bene il suo lavoro, o anche il peggiore nemico, se al contrario rompe il rapporto di fiducia e disattende le aspettative.
Qualità e accesso al servizio, pesano le persone e il denaro
Una prima sintesi mette insieme la premessa e la conclusione di questo 'viaggio' a tappe forzate e obbligate: quello che funziona lo si deve alla quota di professionalità, di attenzione e di dedizione che mettono in più alcune persone; quello che non funziona, al netto delle carenze strutturali e delle disfunzioni croniche del sistema, viene amplificato dalla quota di superficialità, approssimazione, e sciatteria che altre persone fanno pesare.
Altro aspetto generale che si percepisce chiaramente è che le condizioni attuali impongono scelte continue. Di fronte alla sproporzione tra quello che servirebbe e quello che si riesce a fare, le emergenze vengono trattate e le urgenze differibili, che sono sempre di più perché la soglia sensibile diventa più alta, vengono tralasciate o archiviate il più velocemente possibile. Il risultato è che se si sta molto male, in linea di massima, si trovano risposte ma se ci sono problemi o disturbi di media intensità il rischio di rimanere senza l'assistenza necessaria sale.
C'è poi il dato più sensibile e più 'politico', quello dell'equità. Restando rigorosamente nel servizio pubblico, la qualità e purtroppo anche l'accesso ai servizi, in alcuni casi, dipendono dalle condizioni economiche. Le prestazioni gratuite sono sempre di meno, i tempi per accedere alle prestazioni gratuite sono sempre più lunghi, le opzioni a pagamento, si parli di visite specialistiche, di farmaci o di dispositivi medici, possono fare la differenza. (Di Fabio Insenga)