Argentina, ritrovato il 138esimo nipote rapito durante la dittatura
L'annuncio dell'organizzazione per i diritti umani Nonne di Plaza de Mayo
L'organizzazione per i diritti umani Nonne di Plaza de Mayo ha annunciato il ritrovamento del nipote numero 138, che era stato rapito durante la dittatura argentina tra il 1976 e il 1983. Era il figlio di una coppia di attivisti politici rapiti nel 1976 e da allora scomparsi. "È il figlio di Marta Enriqueta Pourtalé e Juan Carlos Villamayor, nato nel dicembre 1976. Questo porta a 138 il numero di casi risolti in questi 47 anni di instancabile ricerca della verità e dell'identità", ha affermato la presidente delle Nonne di Plaza de Mayo, Estela de Carlotto, durante una conferenza stampa. "Il 10 dicembre 1976, la coppia - ha sottolineato - fu rapita dalla loro casa nella città di Buenos Aires in un'operazione condotta da uomini in abiti civili. Lei era incinta di otto mesi e mezzo".
Pourtalé e Villamayor erano membri del gruppo guerrigliero Montoneros (Movimento di sinistra peronista). Dopo il rapimento, la coppia è stata vista nel centro clandestino di tortura e sterminio della 'Escuela superior de mecánica de la armada' (Esma), dove erano detenuti più di 5.000 prigionieri politici, di cui solo un centinaio sono sopravvissuti, secondo le organizzazioni di difesa dei diritti umani. "Potrebbe essere qui che è nato il nipote numero 138. Finora, in questo centro clandestino sono state registrate più di 30 nascite", ha aggiunto Carlotto, negli uffici dell'Esma. La Commissione nazionale per il diritto all'identità (CoNaDi) lavora dal 1999 alle indagini che puntavano a ritrovare il figlio di Pourtalé e Villamayor che è stato identificato attraverso test del Dna.
La scoperta di questo 138esimo nipote è la prima scoperta segnalata dal primo settembre del 2023, quando fu annunciato che erano stati risolti quattro casi di famiglie alla ricerca di bambini nati durante la prigionia della madre. E' anche il primo caso a essere risolto sotto la presidenza di Javier Milei, che si oppone al trattamento storico riservato alla dittatura argentina. Lui e la sua vicepresidente, Victoria Villarruel, vicina all'esercito, mettono in dubbio il numero di persone scomparse dichiarato dalle organizzazioni per i diritti umani.
Esteri
Cecilia Sala arrestata, il compagno Daniele Raineri:...
La giornalista si trova nella prigione di Evin, in Iran
"Arrivano moltissimi messaggi di solidarietà indirizzati a Cecilia. Appena sarà possibile, saprà di tutto questo affetto", così Daniele Raineri, giornalista de Il Post e compagno di Cecilia Sala, scrive su Instagram il giorno dopo la diffusione della notizia dell'arresto della giornalista di Chora Media e Il Foglio. Insieme a queste parole ha condiviso una foto della ventinovenne, mentre tiene in braccio un cucciolo di cane.
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Nel post sul social network Raineri ha voluto riassumere le informazioni principali della vicenda. "Cecilia Sala è andata a lavorare in Iran con un visto giornalistico. Al penultimo giorno - ha scritto - è stata arrestata dalle autorità iraniane e rinchiusa in una cella d’isolamento nella prigione di Evin, a Teheran. La prima visita in carcere è stata autorizzata soltanto dopo otto giorni in isolamento".
Giorgia Meloni: "Costante attenzione"
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni segue "con costante attenzione la complessa vicenda di Cecilia Sala" fin dal giorno del fermo, avvenuto in Iran il 19 dicembre scorso. E si tiene "in stretto collegamento con il Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e con il Sottosegretario Alfredo Mantovano", al fine di "riportare a casa al più presto la giornalista italiana". Lo fa sapere Palazzo Chigi, in una nota.
Chi è Cecilia Sala
Sala è uno dei volti più noti del giornalismo italiano. Nata a Roma nel 1995, è da sempre molto attiva sui social e da anni ormai tratta di politica estera documentando quello che succede in varie zone di conflitto. Sala si è recata diverse volte in Ucraina per raccontare la guerra ancora in corso con la Russia, ma si trovava anche in Afghanistan nel 2021 durante il ritorno al potere dei Talebani. In quella occasione dovette interrompere una diretta con La7 a causa di alcuni spari contro l'hotel dove si trovava. Una scena che è diventata subito virale sui social.
Sala inizia a interessarsi al giornalismo quando ancora studiava economia all'Università Bocconi di Milano. A pochi esami dalla laurea decise di interrompere gli studi e dedicarsi alla sua nuova passione, iniziando a trattare in particolare la politica estera. Nel 2015 comincia a lavorare nella redazione di Vice e negli anni successivi comincia a collaborare con Vanity Fair, L'Espresso e Il Foglio. Diventa presto anche un volto televisivo, apparendo in diverse trasmissioni su La7.
Cecilia Sala ha da sempre avuto un'attenzione particolari alle nuove frontiere del giornalismo digitale. Molto attiva sui social network, nel 2020 ha esordito con il podcast 'Polvere', un'inchiesta condotta insieme a Chiara Lalli che trattava dell'omicidio di Marta Russo, giovane uccisa alla Sapienza nel 1997. Il podcast ha avuto tanto successo da essere trasformato in un libro pubblicato, con lo stesso titolo, da Mondadori nel 2021. L'anno successivo diviene protagonista di un altro podcast, 'Stories', prodotto da Chora Media, in cui ogni giorno racconta storie dal mondo.
Esteri
Cecilia Sala, il giornalismo è meno difeso e più...
L'informazione ha un problema di credibilità, investe di meno e ha perso la protezione dell'opinione pubblica
Cecilia Sala è una brava giornalista. Le parole che si stanno usando in queste ore, da quando è stata diffusa la notizia del suo arresto in Iran, sono tutte appropriate: intelligente, curiosa, preparata, prudente. Provano a descriverla, a raccontarla a chi ancora non la conosce e provano a dare conforto a chi la conosce, a chi deve dare un senso a quello che sta succedendo. Le parole aiutano sempre, anche quando si concedono alla retorica o alla celebrazione.
Le parole diventano invece pericolose quando sono fuori posto e finiscono al servizio della disinformazione. Sta avvenendo anche questo, come accade spesso, in Rete e sui social, dove la tentazione di esprimere gli istinti peggiori trova lo spazio per prevalere sul buon senso. Nel mirino dei fenomeni da tastiera ci sono la giornalista e il giornalismo. Gli argomenti che si usano sono contaminati dalla banalizzazione e dall'approssimazione ma anche da una sgangherata ideologia anti sistema, che ha l'ansia di depotenziare e delegittimare l'informazione, a maggior ragione quella di qualità che fanno giornalisti come Cecilia Sala.
L'arresto in Iran di una professionista affermata, che lavora per Il Foglio e per Chora Media, è un evento che rimette al centro dell'attenzione la funzione e la missione del giornalismo. A maggior ragione perché si lega al profilo di una giornalista giovane, 29 anni, e che ha una reputazione costruita anche sulla Rete, grazie alla capacità di raccontare quello che vede in giro per il Mondo su tutti i supporti disponibili, dalla carta al video, dai podcast ai reel. Nel caso di Cecilia Sala, non ci può essere la critica al 'vecchio' giornalismo, al presunto privilegio di una casta, alla rendita di posizione di una penna che spiega il mondo con una celebrata carriera alle spalle.
Cecilia Sala è il volto di un giornalismo 'nuovo', moderno, capace di mettersi in discussione quotidianamente per tenere insieme la professionalità con l'innovazione, le regole sacre del mestiere con la sperimentazione di tutti i mezzi disponibili per arrivare al lettore, allo spettatore, all'ascoltatore, all'utente.
Quello che rappresenta Cecilia Sala è però anche un giornalismo meno difeso e più ingombrante. Meno difeso, e più difficile da difendere, perché è meno forte, nel mondo e a maggior ragione in Italia, il peso delle testate, perché si sono ridotti, nel mondo e a maggior ragione in Italia, gli investimenti sull'informazione e perché, nel mondo e a maggior ragione in Italia, la reputazione e la credibilità del giornalismo è sempre più messa in discussione e ha perso la protezione dell'opinione pubblica. Il lavoro di Cecilia Sala è più ingombrante perché è più visibile, proprio lì nei luoghi dove la disinformazione, la censura e la propaganda sono più forti. E' più ingombrante, e più esposto, anche perché sono poche le altre voci capaci di portare il giornalismo lì dove serve, dove è più sottile la soglia fra quello che è vero e quello che si vuole rappresentare.
Questo aspetto del giornalismo porta oltre il caso specifico di Cecilia Sala e oltre il caso specifico dell'Iran. Tutti i giorni, in qualsiasi contesto, c'è una verità da cercare, più difficile da raccontare, perché è scomoda per qualcuno, e c'è una rappresentazione della realtà più accessibile, disponibile e conveniente. I giornalisti, il giornalismo, e anche l'editoria, si trovano continuamente di fronte a questa scelta. Cecilia Sala, e chi ha scelto di investire sul suo lavoro, hanno dimostrato che si può scegliere da quale parte andare, lavorando per avvicinarsi il più possibile alla verità. Una scelta che non è mai scontata, che comporta dei costi e dei rischi, che va ribadita tutti i giorni e che non rende immune dagli errori, che qualsiasi testate e qualsiasi giornalista devono mettere in conto.
L'unica opzione disponibile per difendere i giornalisti e il giornalismo è lavorare per recuperare credibilità e ridare peso alla funzione principale dell'informazione: vedere, conoscere, verificare e raccontare. Oggi però la storia di Cecilia Sala dice che è diventato più difficile farlo. E da qui si deve ripartire. (Di Fabio Insenga)
Esteri
In Italia numero più alto di imprenditrici in Ue, sono 1,6...
Nonostante il Paese continui ad avere il tasso di occupazione femminile più basso d'Europa, presenta, in termini assoluti, il numero più elevato di lavoratrici indipendenti
Nonostante l'Italia continui ad avere il tasso di occupazione femminile più basso d'Europa, presenta, in termini assoluti, il numero più elevato di lavoratrici indipendenti. Nel 2023, le donne italiane in possesso di partita Iva che lavorano come artigiane, commercianti, esercenti o libere professioniste ammontano a 1.610.000, a fronte di 1.433.100 presenti in Francia e 1.294.100 occupate come autonome in Germania. Un record europeo che evidenzia ulteriormente la notevole propensione degli italiani, sia maschi che femmine, all'imprenditorialità. A segnalarlo è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre.
L'assoluto primato delle imprenditrici assume una rilevanza ancor più significativa se consideriamo che la popolazione femminile italiana in età lavorativa, compresa tra i 20 e i 64 anni, è costituita da 17.274.250 persone; al contrario, la Francia registra un surplus di 1,9 milioni di donne rispetto a tale cifra e la Germania supera addirittura il nostro dato di ben 7,3 milioni.
Circa il 56% delle donne imprenditrici attive nel nostro Paese è impiegato nel settore dei servizi alla persona (quali parrucchiere, estetiste, tatuatrici, massaggiatrici, pulitintolavanderie, ecc.) e nei servizi alle imprese (in qualità di titolari o socie di agenzie di viaggio, agenzie immobiliari, imprese di pulizie, noleggio di veicoli, agenzie pubblicitarie, fotografe, video maker, studi di commercialisti e consulenti del lavoro). Inoltre, poco meno del 20% opera nel commercio, mentre poco oltre il 10% è attivo nell'Horeca e circa un ulteriore 6% nell'industria, medesima percentuale si riscontra anche nell'agricoltura.
Il basso tasso di occupazione femminile in Italia è principalmente attribuibile all'elevato carico di lavoro domestico che grava sulle spalle delle donne. Tuttavia, numerosi studi a livello internazionale dimostrano come l'imprenditoria femminile possa rappresentare una chiave per incrementare l'occupazione femminile; infatti le donne che fanno impresa tendono ad assumere altre donne in misura significativamente maggiore rispetto ai loro colleghi maschi.
La letteratura specializzata evidenzia almeno due fattori che motivano le donne a intraprendere un percorso imprenditoriale. Il primo è strutturale ed è correlato alla condizione socio-economica: situazioni di disoccupazione, tradizioni familiari o la presenza di incentivi economici inducono a considerare l'imprenditorialità come necessità. Il secondo fattore è motivazionale e concerne ragioni intrinseche che spingono le donne ad abbracciare tale opportunità; questo aspetto sembra rispecchiare maggiormente la sensibilità femminile. Grazie all’autoimprenditorialità, le donne possono gestire con maggiore flessibilità gli impegni lavorativi insieme a quelli familiari. Inoltre, coloro che si trovano in condizioni di inattività a causa della nascita di un figlio incontrano notevoli difficoltà nel reinserirsi nel mercato del lavoro.
Da Sud a Nord, il punto sulle imprenditrici
In Italia sono le province del Mezzogiorno a registrare l’incidenza percentuale più elevata di imprese a conduzione femminile sul totale delle attività presenti in ciascuna delle 105 realtà territoriali monitorate dall’Ufficio studi della Cgia. A guidare la graduatoria nazionale è Cagliari con il 40,5% delle attività guidate da donne sul totale provinciale (in valore assoluto sono 13.340). Seguono Benevento con 30,5% (9.227), Avellino con il 30,2% (11.149), Nuoro con il 29,3% (6.743) e Chieti con il 28,9% (11.009).
La prima provincia del Nord è La Spezia che si colloca al 18° posto a livello nazionale con una incidenza del 26,4% (4.582). Se, invece, riformuliamo la classifica nazionale in base al numero assoluto di imprese femminili, in vetta scorgiamo la Città Metropolitana di Roma con 76.519 attività “in rosa” (pari al 22,7% del totale delle imprese presenti a livello provinciale). Seguono Milano con 57.341 (17,9%), Napoli con 55.904 (21,7%), Torino con 44.051 (22,4%) e Bari con 27.975 (28,9%).