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Tony Effe, tutto esaurito al Palaeur per il concerto di Capodanno

L'evento 'low cost' aprirà i cancelli alle 20. Si parte con un dj set, poi ospiti e sorprese

Tony Effe - Fotogramma

Il popolo di Tony Effe si mobilita per celebrare l'arrivo del nuovo anno. Il 'contro concerto' organizzato dal rapper romano, dopo l'esclusione dal Capodanno di Roma al Circo Massimo per volere della Giunta capitolina, l'evento è tutto esaurito.

Il concerto 'low cost' (il costo del biglietto è di 10 euro) per la notte di San Silvestro al Palaeur di Roma, aprirà i suoi cancelli alle 20, dando il via alla festa alle 21.30 con un djset di Sick Luke.

Tony Effe ha condiviso su Instagram la scaletta dell'evento, promettendo una serata ricca di ospiti e sorprese. Tra le 22 e le 23.30, si susseguiranno esibizioni di quattro artisti ospiti, seguite dallo spettacolo principale del rapper con la partecipazione di ospiti speciali. Dopo la mezzanotte, il djset sarà affidato a Brina Knauss.

Chi salirà sul palco

I dettagli sugli artisti che si uniranno a Tony Effe sul palco sono ancora top secret, ma è possibile che tra questi ci siano figure che recentemente hanno mostrato il loro sostegno al rapper, come Mahmood e Mara Sattei, che hanno scelto di non partecipare al Capodanno ufficiale in segno di solidarietà. Quest'ultimo, a seguito dell'esclusione del rapper, si svolgerà al Circo Massimo con un cast alternativo che include Gabry Ponte, la Pfm, L'Orchestraccia, l'Orchestra Popolare La Notte della Taranta e i Culture Club, con Boy George alla guida.

Gualtieri: "Tony Effe? Un errore ma domani sarà una grande festa della musica"

"Tony Effe? Meglio riconoscere l'errore e correggerlo che fare finta di niente. Dopodiché, quello di cui vorrei parlare è che domani avremo un bellissimo concerto. Ci saranno Gabry Ponte, i Culture Club e Boy George, La Notte della Taranta, L'Orchestraccia, la PFM e giovani gruppi emergenti romani: sarà una grande festa della musica e invito tutti a godersela al Circo Massimo", ha detto il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, ospite a Tagadà su La7.

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Esteri

Esplosione Cybertruck Tesla a Las Vegas, Fbi: “Caso...

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Matthew Aaln Livelsberger, 37 anni, si è sparato un colpo in testa prima di far esplodere il veicolo

Il Cybertruck Tesla esploso a Las Vegas - Agenzia Fotogramma / Ipa

L'esplosione del Cybertruck Tesla nella notte di Capodanno davanti al Trump Hotel di Las Vegas è stato un caso di suicidio. A confermarlo è stata l'Fbi, che, tramite l'investigatore Spencer Evans, ha parlato di "un tragico caso di suicidio che ha coinvolto un veterano decorato afflitto da sindrome post traumatica da stress". L'ex berretto verde che aveva servito anche in Afghanistan, Matthew Aaln Livelsberger, 37 anni, si è sparato un colpo in testa prima di far esplodere il veicolo. Viene così definitivamente escluso ogni collegamento con la strage di New Orleans, dove un altro veterano, Shamsud-Din Jabbar, ha ucciso 14 persone schiantandosi con la sua auto contro la folla a Bourbon Street

Lo sceriffo Dori Koren del Dipartimento di Polizia di Las Vegas in una conferenza stampa ha svelato che gli ultimi messaggi trovati nel cellulare dell'uomo mostravano il sostegno al presidente americano eletto Donald Trump, a Elon Musk e a Robert F. Kennedy Jr., un pensiero agli Stati Uniti come "malati terminali" vicini "al collasso" e il "bisogno di ripulire la mente" dai "fratelli che ho perso" e "dal peso delle vite che ho preso".

Gli investigatori hanno anche recuperato una lettera di Matthew Alan Livelsberger, descritta come "un campanello d'allarme" in cui l'ex militare parlava di come "gli americani prestano attenzione solo agli spettacoli e alla violenza" e sosteneva che "esplosivi e fuochi d'artificio" fossero i mezzi migliori per far passare il suo messaggio. Monitorando il "diario delle attività" di 10 giorni conservato su uno dei telefoni di Livelsberger, dal 21 al 31 dicembre, gli investigatori hanno affermato che il militare ha registrato i suoi acquisti di armi da fuoco, attrezzature da campeggio e altri articoli. L'esplosione della Tesla è stata causata da un insieme di fuochi d'artificio, serbatoi di gas e carburante da campeggio.

Un membro della famiglia ed ex collega dell'esercito ha parlato alla Cnn a condizione di anonimato e descritto Livelsberger come un veterano di guerra altamente decorato che amava il suo Paese tanto quanto Trump. "Quando il presidente Trump era in carica, Livelsberger commentava sulla sua pagina Facebook le cose che il presidente Trump aveva detto o fatto o come stava aiutando l'esercito", ha spiegato la fonte alla Cnn. "Matt aveva molto rispetto per Trump, amava quell'uomo", ha aggiunto.

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Spettacolo

Tullio De Piscopo: “Dieci anni senza Pino Daniele,...

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"Adesso staremmo insieme sicuramente a suonare in qualche posto"

Pino Daniele, Tullio De Piscopo - Fotogramma/IPA

Tullio De Piscopo ricorda Pino Daniele e il decennale della sua morte: “Sono passati dieci anni, rivivo con amore e con nostalgia i momenti passati assieme, il tempo è come se si fosse fermato al 22 dicembre 2014, al Forum di Assago: è stato uno degli ultimi concerti assieme, un'esibizione strepitosa che ha preceduto quella nella nostra Napoli. Pino ancora oggi è sempre presente nella mia vita quotidiana”. Così il percussionista e batterista ricorda il collega all’Adnkronos.

Il ricordo di Pino Daniele

Tullio De Piscopo è stato uno dei musicisti più vicini al cantautore napoletano, con cui ha suonato più volte tra la fine degli anni ‘70, poi negli anni ‘80 e anche nell’ultima parte della carriera di Pino, formando una band di caratura forse irripetibile con James Senese (sassofono), Joe Amoruso (tastiere), Tony Esposito (basso) e Rino Zurzolo (contrabbasso). Un sestetto d’assi in giro per l’Italia e per l’Europa.

“L’altra notte, mentre tutti dormivano a casa mia, ho avuto la necessità di ascoltare la musica di Pino, le sue poesie e la mente è volata al 1977, l’anno che ci siamo conosciuti. Avevo subito compreso le sue potenzialità artistiche - racconta il musicista - Ricordo quando si discuteva della scaletta dei concerti, mentre il barbiere in albergo faceva la barba prima a lui, poi a me. Adesso staremmo insieme sicuramente a suonare in qualche posto, lui era sempre accompagnato dalla sua chitarra". "Siamo stati in simbiosi, c’era un tempismo tra chitarra, batteria e voce inimitabile”, sospira il batterista napoletano, nato a Porta Capuana, centro storico di Napoli, a poche centinaia di metri da Santa Maria La Nova, luogo di nascita e formazione di Pino.

Sul rapporto, a volte tormentato, tra il “Nero a metà” e Napoli, De Piscopo confida: “Era innamorato di Napoli come me d'altronde, scriveva di Napoli. Non gli piaceva l'autoindulgenza, né la rassegnazione ai mali storici della città. Quando ci ha lasciato era in preparazione un album insieme interamente in lingua napoletana. Sarebbe stato un salto all’indietro di decenni, ma non sui suoni, i suoni non sarebbero mai cambiati, abbiamo sempre avuto il nostro sound, che era frutto delle nostre conoscenze”.

Il feeling tra Tullio e Pino non era certo solo musicale: “Spesso, quando sorseggio un bicchiere di vino, ripenso a quella volta che andammo in una pizzeria vicino casa sua, a Roma: appena seduti, Pino chiese al cameriere una bottiglia di vino rosso, bianco e di birra, iniziai a ridere e gli chiesi: nun è che ci farà male? E lui: “nun te preoccupà, ogni tanto nun fa’ mal”.

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Cronaca

Capodanno piazza Duomo: ribellione passeggera o rischio...

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Per Marco Strano si cela una bomba a orologeria sociale. Vittorino Andreoli inquadra invece l’episodio come una tipica ribellione adolescenziale

Capodanno piazza Duomo: ribellione passeggera o rischio banlieue? L'opinione degli esperti

Gli slogan contro le forze dell'Ordine, il "vaffanculo all'Italia", la bandiera tunisina issata in piazza Duomo. Il caso del Capodanno di Milano, con italiani di prima e seconda generazione e alcuni nordafricani, tutti attorno ai vent’anni d'età, che si arrampicano sul monumento di Vittorio Emanuele II per insultare il Paese fa discutere anche gli esperti. Per il criminologo Marco Strano, dietro gli slogan e la bandiera tunisina sventolata in Piazza Duomo si cela una bomba a orologeria sociale: giovani di terza generazione, esclusi e rabbiosi, pronti a imboccare la strada della violenza urbana o, peggio, della radicalizzazione islamista. Lo psichiatra Vittorino Andreoli inquadra invece l’episodio come una tipica ribellione adolescenziale, amplificata dall’atmosfera festosa e dal bisogno di sfidare le regole per affermare se stessi. Ribellione (ingiustificata ma passeggera) o preludio a un dramma sociale? Il dibattito è aperto.

La teoria di Marco Strano: "La nostra identità costa troppo, quei ragazzi rischiano di diventare potenziali foreign fighters"

L'allarme del criminologo Marco Strano all'Adnkronos: "Quando quei ragazzi gridano 'vaffanculo Italia', non stanno semplicemente insultando un Paese: stanno rifiutando un modello di vita che li seduce ma che sanno di non poter mai raggiungere. È un grido contro l’identità europea, con il suo consumismo scintillante, che ha un prezzo che loro non possono permettersi. Ma attenzione: il rischio non è solo quello di vivere le rivolte sul modello delle banlieue francesi. In questo vuoto di prospettive, si insinua un pericolo ancora più insidioso: la radicalizzazione islamista e il fenomeno dei foreign fighters". "Molti di questi giovani - spiega - appartengono alla terza generazione di famiglie immigrate, mentre altri sono giunti in Italia da soli, spesso senza il supporto di un nucleo familiare. È proprio l’assenza di un controllo da parte della famiglia, considerata un’importante “agenzia di socializzazione primaria”, a rappresentare un fattore cruciale. Le famiglie della prima generazione di immigrati, arrivate in Europa nel secondo dopoguerra, puntavano all’integrazione attraverso il lavoro e la stabilità economica. Tuttavia, con il passare del tempo, la crisi economica e il cambiamento delle dinamiche sociali, molte di queste reti familiari si sono indebolite o frammentate", sottolinea.

"I giovani delle generazioni successive, spesso cresciuti in contesti di precarietà, percepiscono un forte senso di esclusione", afferma. "Esposti ai modelli proposti dai social media – auto di lusso, abbigliamento firmato, tecnologia di ultima generazione – si trovano di fronte a uno stile di vita che appare irraggiungibile. Loro non vivono il consumismo, ma l’idea del consumismo”, spiega l'esperto, sottolineando come questo divario tra desideri e realtà alimenti una rabbia profonda. Una rabbia che si manifesta in atteggiamenti di ribellione nei confronti di una società vista come ostile e irraggiungibile. "Questo mix di esclusione sociale, precarietà e mancanza di prospettive alimenta il rischio di una escalation di violenza urbana", spiega “Vedono i loro coetanei italiani con l’ultimo iPhone o vestiti firmati, consapevoli che non potranno mai permetterselo,” osserva. "Questo sentimento di frustrazione può trasformarsi in atti di devianza, come rapine, aggressioni o danneggiamenti, diretti contro simboli di quel benessere percepito come irraggiungibile".

Il fenomeno non è nuovo in Europa. "La Francia, che ospita da decenni una forte immigrazione nordafricana, ha vissuto con particolare intensità le rivolte delle banlieue, scatenate proprio dalla terza generazione di immigrati", spiega. "A differenza della prima generazione, che ambiva a integrarsi attraverso il lavoro, e della seconda, che si trovava a fronteggiare la disoccupazione degli anni ’70 e ’80, la terza generazione è definita dagli esperti come una mina vagante, priva di un punto di riferimento culturale o sociale. In Italia, episodi di micro-violenza urbana, come quelli registrati nei quartieri periferici di Milano, rappresentano segnali preoccupanti di un fenomeno in crescita", evidenzia. Secondo l'esperto la Francia ha impiegato decenni per arrivare alla situazione di aperte rivolte urbane nelle banlieue, ma un simile scenario potrebbe manifestarsi in Italia nel giro di vent’anni, se non si interviene per affrontare il problema.

“Qualche micro-insurrezione sporadica potrebbe già verificarsi nei prossimi anni,” avverte, aggiungendo che episodi di questo tipo potrebbero essere ulteriormente strumentalizzati da gruppi estremisti per scopi politici o ideologici. Ed è infatti il rischio di radicalizzazione che il criminologo mette nel mirino: "I giovani più vulnerabili, privi di un’identità culturale definita, possono diventare bersagli facili per organizzazioni islamiste radicali. Questi gruppi offrono un modello alternativo e un senso di appartenenza, presentandosi come una “terza via” per chi non si sente né parte del paese d’origine né integrato nella società occidentale".

L’identità europea costa, rimarca l'esperto, evidenziando come il senso di esclusione renda questi giovani particolarmente esposti a messaggi estremisti. Il fenomeno dei foreign fighters – giovani europei reclutati per combattere con l’Isis – ha mostrato quanto sia forte l’attrazione esercitata da questi modelli alternativi. Molti di questi combattenti provenivano proprio dalle periferie urbane, figli di una terza generazione di immigrati cresciuta senza il supporto di una rete sociale o familiare stabile".

La tesi di Vittorino Andreoli: "Vedere quanto di adolescenziale c'è in queste manifestazioni"

L'opinione dello psichiatra e scrittore Vittorino Andreoli all'Adnkronos: "La prima ipotesi che mi sentirei di prendere in considerazione è quella di vedere quanto di adolescenziale c'è in queste manifestazioni". Secondo Andreoli occorre soffermarsi sull'età "e quindi sulla caratteristica che è propria dell'adolescenza, indipendentemente dalla nazionalità: un'età che si caratterizza per 'essere contro' e questo 'essere contro' vuol proprio dire la necessità di avere un nemico".

Si tratta, spiega, di una funzione che serve proprio a sviluppare un'identità, un ruolo. "Questo essere contro - rimarca Andreoli- è tanto più posto in evidenza quanto maggiore è la frustrazione dell'adolescente, tenendo conto però che non c'è un adolescente che non sia frustrato, un adolescente che si piaccia per esempio già dal punto di vista della dimensione corporea, delle caratteristiche, della personalità. Dopodiché - chiosa lo scrittore - noi vediamo che gli adolescenti fanno anche cose insopportabili e inaccettabili..".

Lo psichiatra non nega il fenomeno sociale della mancata integrazione e delle difficoltà economiche "ma prima di vedere rischi di tipo politico o terroristico - evidenzia - mi sembra che serva soprattutto soffermarsi su un'atmosfera che è quella dell'ultimo dell'anno dove, magari con la complicità di qualche bicchiere di troppo, mettere in scena una manifestazione che abbia più il senso dello spettacolo, dell'eroe del capodanno", prosegue. "Io - conclude - non voglio negare le preoccupazioni che possano scaturire da eventi di questo tipo, però l'ultimo dell'anno è proprio la festa dove è più forte la spinta a fare cose fuori dalla regola". (di Andrea Persili)

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