Saldi invernali 2025, quando iniziano e come fare acquisti sicuri
Il conto alla rovescia è ormai iniziato: sabato 4 gennaio 2025 prende il via la stagione dei saldi invernali, con le vetrine dei negozi che si preparano a offrire sconti che faranno felici tanti consumatori. Se durante le feste natalizie ci siamo ritrovati a fare i conti con la lista dei regali da acquistare, ora è il momento di pensare a se stessi, approfittando delle offerte che invadono i negozi di tutta Italia. Ma attenzione, non tutto ciò che luccica è oro, e il Codacons, come ogni anno, ha diffuso il suo immancabile vademecum per lo shopping a prezzi scontati. Perché, si sa, i saldi sono un’occasione imperdibile, ma non sempre è facile orientarsi tra i vari negozi e le tentazioni della moda a prezzi stracciati.
Acquisti sicuri e regole d’oro
La prima regola d’oro: conservare lo scontrino. Un consiglio che sembra scontato, ma che molte volte viene sottovalutato. Non c’è niente di più frustrante che voler restituire o cambiare un capo acquistato in saldo e scoprire che il negoziante non accetta il reso, anche se il prodotto è difettoso. È bene sapere che, anche in periodo di saldi, il negoziante ha l’obbligo di sostituire la merce difettosa e, se non possibile, restituire il denaro (non solo un buono). La garanzia per i difetti di fabbrica dura ben due mesi, non solo pochi giorni come talvolta si crede.
E se il negozio cerca di farvi passare un prodotto invenduto come saldo, ricordate che l’articolo deve essere un vero avanzo di stagione e non fondi di magazzino rimasti lì per mesi. Ogni anno ci sono le solite storie di negozi che, proprio prima dei saldi, svuotano gli scaffali e poi li riempiono con nuovi articoli che, miracolosamente, appaiono in saldo. Ecco un altro suggerimento del Codacons: girare per i negozi prima dell’inizio dei saldi. Prendete nota dei prezzi e verificate che lo sconto sia davvero reale. In questo modo, eviterete di fare acquisti impulsivi e scoprire che un capo che sembrava a metà prezzo è in realtà solo un “ripiego” in saldo, già prezzato con un ricarico esagerato. Non fermatevi al primo negozio, ma confrontate. Sembra un gioco da ragazzi, ma spesso una piccola passeggiata in più vi permetterà di evitare il tanto temuto “acquisto sbagliato”.
Poi, un altro punto che non passa mai di moda: attenzione alla qualità. Il fatto che un capo abbia un prezzo elevato non significa necessariamente che sia di alta qualità. Le fibre naturali, che costano di più rispetto a quelle sintetiche, sono più delicate, ma non sempre il prezzo alto è giustificato. È bene quindi prestare attenzione alle etichette che descrivono la composizione del prodotto. E, soprattutto, diffidare dei marchi troppo simili a quelli noti, perché potrebbero essere delle imitazioni a prezzi esorbitanti. I veri affari, spesso, si trovano nei negozi di fiducia o quando si conosce già il prezzo di quel capo che avete puntato da tempo.
Ogni negozio deve esporre chiaramente il cartellino del prezzo, e non solo quello finale: il prezzo originale, lo sconto applicato e il nuovo prezzo devono essere leggibili e visibili. Se vi imbattete in vetrine che nascondono la merce con manifesti o cartelloni, probabilmente c’è qualcosa da nascondere. Inoltre, la merce in saldo deve essere separata dalla merce nuova, per evitare confusione. Un altro consiglio utile: controllate che il prezzo praticato non sia il medesimo di quello degli ultimi 30 giorni. Se notate che il prodotto che avete adocchiato è stato venduto allo stesso prezzo durante il mese precedente, è possibile che lo sconto sia solo un’illusione.
Se la tentazione di fare shopping online è forte, anche in periodo di saldi, il Codacons raccomanda di acquistare solo da siti certificati e di pagare con carte tracciabili, possibilmente prepagate o virtuali. Non solo per una maggiore sicurezza nei pagamenti, ma anche per evitare possibili addebiti nascosti. Inoltre, prima e dopo i saldi, è sempre utile fare una comparazione dei prezzi, per essere certi che la promozione online non sia solo una mossa di marketing per attrarre i consumatori. Non dimenticate mai di leggere le recensioni e le politiche di reso.
Il calendario dei saldi invernali
I saldi invernali 2025 sono finalmente alle porte, pronti a dare il via a un periodo di occasioni imperdibili per gli amanti dello shopping a prezzi scontati. Come ogni anno, però, le date di inizio e fine possono variare a seconda della regione, quindi, è fondamentale sapere quando partire alla ricerca dei migliori affari. In generale, i saldi partiranno sabato 4 gennaio 2025, ma la durata effettiva dipende dalle normative regionali.
La legge stabilisce che la durata massima dei saldi sia di 60 giorni, ma non tutte le regioni seguono lo stesso calendario. In alcune, come la Valle d’Aosta, i saldi sono iniziati già il 2 gennaio e dureranno fino al 31 marzo, offrendo così un ampio arco temporale per fare acquisti. Altre regioni, come la Liguria e la Sicilia, hanno date più ristrette, con la fine dei saldi fissata per metà febbraio. In Lazio i saldi dureranno 6 settimane, mentre in Piemonte la durata è limitata a 8 settimane. In Lombardia, Campania, Toscana, Sardegna e Molise i saldi si estendono per i consueti 60 giorni. Inoltre, alcune regioni, come il Friuli Venezia Giulia e l’Umbria, offrono la possibilità di effettuare vendite promozionali in qualsiasi periodo dell’anno.
In generale, è sempre bene verificare le date specifiche per la propria regione, così da non perdere l’occasione di approfittare degli sconti più vantaggiosi. E se il calendario regionale varia, non dimenticate che la durata dei saldi non potrà mai superare i 60 giorni, quindi sarà sempre possibile fare acquisti a prezzi ribassati fino a inizio marzo, ma è fondamentale navigare tra le promozioni con attenzione. Con qualche precauzione, un po’ di pazienza e magari una bella passeggiata tra i negozi, l’esperienza dello shopping può diventare davvero vantaggiosa. Perché, come si dice, “una buona occasione non è solo quella che ci sembra più vantaggiosa, ma quella che sappiamo valutare meglio”.
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Se persino la Corea del Sud diventa vecchia
La Corea del Sud è ufficialmente diventata una “società super anziana”, una definizione riservata a quei Paesi in cui almeno il 20% della popolazione è over 65. Questo passaggio, ultimato nel 2023, segna un momento storico per uno dei Paesi che fino a pochi decenni fa era caratterizzato da una popolazione giovane e in rapida crescita. Con una popolazione totale di circa 51,22 milioni di persone, gli over 65 coreani hanno raggiunto quota 10,24 milioni. Le cause del drastico calo delle nascite sono diverse e la politica (ora in crisi per il caso del presidente Yoon) prova a correre ai ripari prima che il sistema produttivo del Paese subisca danni difficilmente riparabili.
Corea del Sud, cambiamento demografico epocale
Il raggiungimento del 20% di popolazione anziana pone la Corea del Sud accanto a Paesi come il Giappone, l’Italia e il Portogallo, già noti per il loro avanzato processo di invecchiamento. In Giappone, ad esempio, la percentuale di over 65 ha raggiunto il record mondiale del 28,2%, mentre l’Italia e il Portogallo si attestano intorno al 24% e registrano il record di anzianità a livello europeo. La media globale, invece, è di circa il 10%, un dato che mette in evidenza quanto il fenomeno sia accentuato nei Paesi sviluppati e, in particolare, in quelli asiatici.
Ciò che rende unico il caso sudcoreano è la velocità con cui è avvenuto questo cambiamento. Mentre il Giappone ha impiegato oltre vent’anni per passare dalla soglia del 14% al 20% di popolazione anziana, la Corea del Sud ha raggiunto questo non invidiabile traguardo in meno di quindici anni.
Le cause del calo demografico
Uno dei fattori principali dietro l’invecchiamento della popolazione è il tasso di natalità estremamente basso del paese. Nel 2023, la Corea del Sud ha registrato un tasso di fecondità di appena 0,72 figli per donna, il più basso al mondo, pari a un terzo del tasso di sostituzione generazionale, fissato a 2,1 figli per donna.
Questa crisi di natalità deriva da una combinazione di fattori sociali, culturali ed economici, tra cui:
- Alti costi di vita: i costi crescenti per l’acquisto della casa e per l’educazione dei figli rendono difficile per molte famiglie pianificare il futuro;
- Disuguaglianza di genere: le donne sudcoreane spesso affrontano discriminazioni sul lavoro, con difficoltà nel rientrare nel mercato del lavoro dopo la maternità;
- Pressioni culturali: la società coreana è ancora fortemente influenzata da norme che richiedono standard elevati in termini di successo lavorativo e scolastico, un fattore che scoraggia le coppie dal formare famiglie.
Le conseguenze economiche dell’invecchiamento
Come stiamo imparando in Italia, l’invecchiamento della popolazione pone sfide significative al sistema economico del Paese. Una forza lavoro ridotta potrebbe tradursi in una diminuzione della produttività e del potenziale economico complessivo. Studi recenti stimano che, senza interventi adeguati, il Pil della Corea del Sud potrebbe ridursi fino al 28% entro il 2050. Si stima che l’Italia perderà 5,4 milioni di persone in età lavorativa entro il 2040, nonostante l’immigrazione. Questo calo demografico potrebbe tradursi in una riduzione del Pil del 13% secondo i calcoli di Bankitalia.
Analogamente al Belpaese, anche in Corea del Sud, il sistema di welfare è sotto pressione a causa dell’aumento dei costi legati alle pensioni e alla sanità. Il peso fiscale per sostenere una popolazione anziana sempre più ampia potrebbe gravare in modo sproporzionato sulle generazioni più giovani, già alle prese con salari stagnanti e un mercato del lavoro altamente competitivo.
Le politiche di Seul per contrastare il calo demografico
Prima della bufera sul deposto presidente Yoon, il governo sudcoreano ha dichiarato un’emergenza nazionale per il calo demografico e ha implementato una serie di misure volte a invertire questa tendenza:
- Sostegno economico alle famiglie: incentivi finanziari sono stati introdotti per incoraggiare la nascita di nuovi figli, tra cui assegni familiari e sovvenzioni per l’educazione;
- Permessi parentali estesi: il congedo di paternità è stato raddoppiato per incoraggiare un maggiore coinvolgimento dei padri nelle attività familiari;
- Politiche sul lavoro: Sono in corso programmi per migliorare la flessibilità lavorativa e favorire il ritorno delle donne sul mercato del lavoro dopo la maternità.
Nonostante questi sforzi, i risultati non sono ancora evidenti. Gli analisti sottolineano che una trasformazione culturale sarà necessaria per affrontare in modo strutturale il problema.
Gli esempi dal Giappone e da altri Paesi asiatici
Guardando al vicino Giappone, è possibile trarre alcune lezioni utili. Tokyo ha adottato misure tecnologiche per supportare gli anziani, come la robotica per l’assistenza sanitaria, e strategie per attrarre lavoratori stranieri. Tuttavia, anche il Giappone continua a lottare con le stesse sfide che oggi stanno emergendo in Corea del Sud, dimostrando che la soluzione a questi problemi è complessa e multifattoriale.
Le analogie con il Paese nipponico sono diverse. Anche la società giapponese è altamente competitiva e spesso rende difficile conciliare la vita privata con il lavoro. Per molti, la pressione è così alta da generare un senso di inadeguatezza ed esclusione che sfocia nel fenomeno degli hikikomori. L’eccessivo lavoro è considerata una delle cause principali della crisi demografica giapponese, tanto che Tokyo ha introdotto la settimana corta per i dipendenti pubblici nel tentativo di riempire nuovamente le culle. Anche in questo caso, gli esperti sottolineano la necessità di un approccio olistico che punti su far concepire diversamente il ruolo della famiglia e della genitorialità. Situazione ancora più complessa in Cina, dove dopo oltre trent’anni di politiche anti-natalità, Xi Jinping sta provando in tutti i modi a rilanciare le nascite. Anche con tentativi quasi disperati come i corsi d’amore introdotti nelle università cinesi.
Una sfida globale, non solo asiatica
Per la Corea del Sud, il futuro dipenderà dalla capacità di sostenere una popolazione sempre più anziana, offrendo opportunità alle nuove generazioni e garantendo che nessuno resti indietro in questo processo di transizione. La Silver economy è un settore che va implementato e parte dell’indotto può tornare utile alle politiche pro natalità.
Il successo o il fallimento delle misure adottate dalla Corea del Sud rappresenteranno non solo una lezione per il Seul, ma anche per gli altri Paesi alle prese con la sfida demografica.
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Bonus Nascite e incentivi per le famiglie, cosa cambia nel...
Non è la prima volta che il governo italiano si trova a cercare soluzioni per arginare il calo demografico. Eppure, ogni volta che si presenta un provvedimento per sostenere le famiglie, ci si imbatte inevitabilmente in un po’ di scetticismo. Ecco che, come parte della Manovra 2025, il “Bonus Nascite” entra in scena, un contributo di 1.000 euro che vuole ridare un po’ di fiato a chi si appresta a diventare genitore. Ma sarà davvero sufficiente per scongiurare l’irreversibile declino della natalità in Italia, o si tratta di un altro espediente temporaneo per provare a lenire una ferita profonda?
Questo Bonus Nascite, che entra in vigore dal 1° gennaio 2025, si presenta come una mano tesa alle famiglie, ma soprattutto ai genitori con redditi modesti. L’Isee, che funge da termometro per determinare la necessità, è fissato a 40mila euro: chi guadagna meno di questa cifra potrà vedere accreditati 1.000 euro per ogni bambino nato o adottato, una somma erogata in un’unica soluzione. Ma il trucco c’è. La somma non si aggiunge al reddito complessivo delle famiglie, e quindi non contribuisce ad aumentare la tassazione complessiva. Sì, ma… non basta.
La politica dell’Isee
L’intento della misura è chiaro: sostenere le famiglie a basso reddito, ma senza svenarsi. Eppure, questo sistema lascia aperti alcuni interrogativi. L’Isee, come sappiamo, è uno strumento che va a incidere non solo sulle tasche, ma sulla vita quotidiana delle persone. La misura, pur con la sua buona intenzione, rischia di non cogliere nel segno. Quante famiglie di giovani genitori, che pur non raggiungono il limite dei 40.000 euro, si trovano comunque a dover affrontare difficoltà enormi nell’arrivare alla fine del mese? Se la logica dell’intervento è quella di ridurre la disparità economica, il rischio è che l’Isee, pur non essendo perfetto, possa finire per escludere quelle famiglie che avrebbero più bisogno di un aiuto.
La novità positiva? L’Assegno Unico Universale non sarà conteggiato per calcolare l’Isee, aumentando così il numero di famiglie che potranno beneficiare del Bonus. Ma, se da un lato si alleggerisce un po’ la macchina burocratica, dall’altro si entra nel terreno scivoloso delle politiche simboliche: se la vera sfida è sostenere la natalità e far crescere il numero di figli, un contributo una tantum da mille euro sembra più un gesto simbolico che una soluzione pratica. Si tratta di un piccolo aiuto, ma al di là delle buone intenzioni, è davvero un cambiamento epocale?
Il vuoto demografico del Bel Paese
Il contesto demografico è quello che è. I numeri parlano chiaro: nel 2023 sono nati solo 379mila bambini, con un tasso di natalità che non fa che calare. A ben guardare, l’Italia è ormai una delle nazioni con il tasso di fertilità più basso al mondo. Peggio di noi solo la Corea del Sud e Singapore, e poco meglio la Spagna e l’Ucraina. Il risultato? Un paese che si invecchia velocemente e che, di conseguenza, affronta enormi difficoltà a sostenere il proprio sistema di welfare. I dati sono impietosi: dal 2008 a oggi, le nascite sono diminuite di circa il 34%. E, in questo panorama, il Bonus Nascite arriva come una goccia d’acqua in un oceano di sfide sociali.
In questo desolante scenario, il governo Meloni ha cercato di mettere insieme un insieme di misure per contrastare la tendenza, ma il rischio è che esse siano puramente cosmeticamente efficaci. L’obiettivo dichiarato di incentivare la natalità non si esaurisce certo con un contributo una tantum di mille euro. Si tratta di una misura che, purtroppo, non si inserisce in un contesto più ampio di politiche che vadano a favore delle famiglie, e che non solo aiuti nella crescita del numero dei figli, ma che faccia anche sentire le famiglie stesse più sicure nel futuro.
Il Bonus Mamme e altri aiuti
Va detto che il Bonus Nascite non è l’unica misura in campo. C’è anche il rafforzamento del Bonus Asilo Nido, che potrebbe arrivare fino a 3.600 euro, e l’estensione del Bonus Mamme alle lavoratrici autonome, una piccola ma significativa novità che riguarda in particolare le famiglie più fragili. Ma sono davvero misure che possono fare la differenza? Sì, forse su scala individuale, ma non abbastanza da invertire il corso di un paese che arranca sotto il peso di una crisi demografica che non può più essere ignorata.
Le domande che nascono sono molte: cosa accadrà tra dieci anni quando i benefici di questi provvedimenti saranno diventati obsoleti? Se l’Italia non trova soluzioni strutturali, a lungo termine, sulla questione della natalità e sul supporto alle famiglie, la politica rischia di ridursi a interventi a pioggia, incapaci di incidere realmente. Eppure, non possiamo non apprezzare un piccolo passo nella giusta direzione.
Forse, alla fine, il Bonus Nascite rappresenta meno una soluzione concreta e più un primo tentativo di ripristinare fiducia nelle politiche familiari. Mille euro non risolvono il problema, ma sono un gesto, una mancia per i genitori alle prese con il lavoro, la casa, e la difficile decisione di avere un figlio in un Paese che sembra non fare abbastanza per sostenerli. Per ora, quindi, l’unica certezza è che l’Italia non sta rinunciando completamente alla lotta contro il calo delle nascite.
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40 euro al mese per i più vulnerabili, ecco come funziona...
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze introduce nel 2025 una misura di supporto alle fasce più vulnerabili della popolazione: la ‘Carta Acquisti’. Questo strumento è destinato ad alleviare le difficoltà economiche di anziani sopra i 65 anni e bambini sotto i 3 anni, in famiglie con un indicatore ISEE non superiore a 8.117,17 euro. La card offre un contributo mensile di 40 euro, accreditato ogni due mesi, utilizzabile per beni alimentari, sanitari e per il pagamento delle bollette di luce e gas.
Come funziona la Carta Acquisti
La Carta Acquisti è un mezzo pratico, ma con un significato più ampio: dare respiro economico a chi spesso si trova a dover scegliere tra bisogni essenziali. Il contributo di 40 euro mensili, seppur modesto, può essere incrementato grazie a sconti presso negozi convenzionati e all’accesso diretto a tariffe agevolate per l’energia elettrica. La richiesta si effettua tramite gli uffici postali, presentando un modulo specifico e la documentazione necessaria. Per i minori, la card è intestata al genitore o al tutore legale.
È una misura apparentemente semplice, ma con implicazioni significative: una strategia che, pur non risolvendo i problemi strutturali legati alla povertà, punta a garantire un minimo di stabilità economica a famiglie e anziani in difficoltà.
Il contesto demografico ed economico
L’introduzione della Carta Acquisti arriva in un momento di dinamiche economiche complesse. Secondo i dati Istat relativi al terzo trimestre 2024, il reddito delle famiglie è cresciuto dello 0,6% rispetto al trimestre precedente, mentre i consumi hanno segnato un aumento dell’1,6%. Tuttavia, la propensione al risparmio è calata al 9,2%, con una diminuzione di 0,8 punti rispetto al trimestre precedente.
Questi dati suggeriscono che, pur in un contesto di miglioramento del potere d’acquisto (+0,4%), molte famiglie stanno utilizzando il loro reddito incrementale per coprire spese più urgenti, riducendo il risparmio. Questo trend si inserisce in una fase di crescita economica moderata, in cui le famiglie italiane appaiono più orientate al consumo immediato che all’accumulo di risorse. La Carta Acquisti si presenta, quindi, come una risposta puntuale a un bisogno reale. In un paese con una popolazione sempre più anziana e un tasso di natalità in calo, le politiche di sostegno alle famiglie con bambini e agli anziani diventano fondamentali. Tuttavia, è evidente che 40 euro al mese, pur apprezzabili, rappresentano una misura palliativa più che risolutiva.
Il sistema economico italiano sta affrontando una transizione delicata, tra una crescita del potere d’acquisto e una propensione al risparmio in diminuzione. Questo sottolinea l’importanza di interventi come la Carta Acquisti, che forniscono un piccolo ma significativo aiuto a chi si trova ai margini del benessere economico.