Stallo in negoziati Hamas-Israele, accordo difficile prima che Biden lasci
Secondo il Wall Street Journal Hamas insiste che Israele si impegni a rispettare una tregua permanente nella Striscia di Gaza, condizione che Tel Aviv continua a respingere
E' stallo nei negoziati tra Hamas e Israele per arrivare a un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e al rilascio degli ostaggi ancora trattenuti nell'enclave palestinese. Tanto che un accordo risulta alquanto improbabile prima che il presidente degli Stati Uniti Joe Biden lasci l'incarico al suo successore Donald Trump. Lo scrive il Wall Street Journal citando mediatori arabi, secondo i quali Hamas sta insistendo he Israele si impegni a rispettare una tregua permanente nella Striscia di Gaza, condizione che Tel Aviv continua a respingere.
La mancanza di progressi nei colloqui è un duro colpo per il team del presidente Biden, che ha investito molto tempo e capitale politico spingendo inutilmente per un accordo, scrive il Wall Street Journal. Anche per i palestinesi di Gaza, stanchi di oltre un anno di combattimenti e privazioni, è una grande delusione tanto che hanno chiesto sui social media a Hamas di accettare un accordo che aiuterebbe a porre fine alla guerra.
Intanto in Israele le famiglie degli ostaggi stanno esercitando forti pressioni sul primo ministro Benjamin Netanyahu affinché raggiunga un accordo che garantisca la loro liberazione, sostenendo che ogni giorno di prigionia mette a rischio la loro vita e la loro salute.
Le speranze di un accordo tra Israele e Hamas erano aumentate dopo che Hezbollah aveva accettato le condizioni per un cessate il fuoco in Libano. Ma i colloqui si sono arenati man mano che si entrava nei dettagli ed entrambe le parti hanno indurito le loro posizioni. I mediatori hanno detto che Israele ha insistito sul fatto di ricevere solo ostaggi vivi in qualsiasi scambio e si è rifiutato di approvare il rilascio di alcuni dei detenuti palestinesi, mentre Hamas ha ripreso la sua richiesta di porre fine alla guerra.
L'ufficio di Netanyahu ha rifiutato una richiesta di commento da parte del Wall Street Journal, ma ha pubblicamente accusato Hamas di rinnegare i suoi impegni. Hamas ha invece accusato Israele di aver cambiato le sue richieste. ma ha detto che i negoziati, seppur ritardati, non sono ancora falliti.
Esteri
Ucraina, Kiev prepara il missile low cost: ecco il Trembita
Costa 10mila dollari, non ha la tecnologia e la potenza di Atacms o Scalp
L'Ucraina comincia a fare da sola. Il paese, in guerra da 3 anni contro la Russia di Vladimir Putin, dipende in larga parte dalle armi fornite dall'Occidente, in particolare dagli Stati Uniti. Kiev, però, già quest'anno punta a produrre 30.000 droni a lungo raggio e 3.000 missili da crociera e 'missili drone'. Il piano è stato varato, come annuncia il primo ministro Denys Shmyhal che illustra il progetto 'Armi della Vittoria', legato a contratti a lungo termine con i produttori per 3-5 anni.
L'obiettivo è produrre armi da utilizzare nel conflitto e proporsi sul mercato come venditore, per incassare già un miliardo di dollari nell'anno in corso. L'Ucraina, d'altra parte, non può far altro che destinare risorse record all'industria della difesa. Nell'ultimo bilancio, sono stati destinati alla spesa per armi ed equipaggiamento militare circa 739 miliardi di grivnie, circa 17 miliardi di euro.
Il missile low cost
La stratega di Kiev ruota in particolare attorno alla produzione di un nuovo missile da crociera 'made in Kiev', il Trembita. Il programma avviato da oltre un anno prevede la realizzazione di un missile 'low cost': la versione base costa circa 10mila dollari.
Una cifra nettamente inferiore a quella necessaria per produrre i missili statunitensi Atacms o gli Scalp anglofrancesi. Il nuovo missile ucraino non può essere paragonabile, per tecnologia e potenza, alle armi che Washington, Parigi e Londra hanno fornito finora al presidente Volodymyr Zelensky.
Il Trembita è lungo 2 metri, pesa circa 90 chili ed è in grado di trasportare 18 chili di esplosivo per colpire obiettivi fino a 140-150 km. Gli investimenti di Kiev puntano a trasformare il missile in un'arma più temibile, con un raggio di 650 km.
Economia
Pensioni 2025, cosa cambia nel nuovo anno: le principali...
Poche modifiche introdotte, tra le novità l'uscita a 64 anni
Pensioni, cosa cambierà nel 2025? Il dossier nel nuovo anno, a dire il vero, resta sostanzialmente immutato rispetto al precedente come evidenziano le news. I requisiti per le pensioni di vecchiaia rimangono infatti 67 anni di età e 20 anni di contributi, insieme ad un importo della pensione maturata non inferiore a quello dell’assegno sociale, pari a 538,69 euro nel 2025. Le modifiche introdotte in manovra sono poche, per lo più piccole, e non toccano i principali strumenti previsti nella finanziaria 2024 per l’uscita anticipata, cioè Quota 103, Ape sociale e Opzione donna, tutti infatti riconfermati con i rispettivi ‘paletti’.
Tra le principali novità, spicca intanto la possibilità di un’uscita a 64 anni cumulando la previdenza obbligatoria e quella complementare e il rafforzamento delle misure per chi invece, pur essendo in età pensionabile, decide di rimanere al lavoro. Insomma, per i principali ‘canali’ di uscita anticipata nulla si muove.
Ok Quota 103, Ape Sociale, Opzione donna
Quota 103
Resta dunque Quota 103, cioè la possibilità di andare in pensione somma a 62 anni di età e 41 di contributi. Potranno lasciare il lavoro anche i nati nel 1963, a condizione che possano far valere 41 anni di attività. Tuttavia, chi maturerà requisiti nel corso del 2025 dovrà attendere l’anno successivo: il diritto alla decorrenza del trattamento si consegue infatti dopo 7 mesi – che salgono a 9 per i dipendenti pubblici – dalla maturazione dei requisiti (sono le cosiddette “finestre mobili”)
Ape sociale
Confermato anche Ape sociale le cui condizioni di accesso restano invariate anche per tutto il 2025. Il requisito anagrafico rimane quello di 63 anni e 5 mesi di età, e potranno farne richiesta i lavoratori disoccupati con almeno 30 anni di contribuzione, chi si trova in condizioni di disabilità pari o oltre il 74% e riconosciuti invalidi civili (sempre con 30 anni di contributi alle spalle), i lavoratori caregiver che, a fronte della medesima soglia di versamenti contributivi, assistono da almeno 6 mesi persone disabili conviventi, con disabilità grave, siano di primo o secondo grado di parentela se over 70 e infine i lavoratori dipendenti che svolgono mansioni “gravose”, a fronte di 36 anni di contribuzione.
Opzione donna
C’è anche Opzione Donna che dà la possibilità di pensionamento anticipato a quelle lavoratrici con 35 anni di contributi e 57 anni di età (58 per le autonome). Come per il 2023 e il 2024, anche nel 2025 i criteri di accesso riguarderanno le lavoratrici licenziate o dipendenti in aziende con tavolo di crisi aperto presso il Mimit, le lavoratrici con disabilità pari o oltre il 74% con accertamento dello stato di invalido civile, quelle che assistono da almeno 6 mesi persone disabili conviventi, con disabilità grave, di primo o secondo grado di parentela solo in caso di lover 70. Il requisito anagrafico resta quello dell’anno scorso: 61 anni d’età a fronte di 35 anni di contribuzione e con riduzione di 1 anno per ogni figlio per un massimo di due. Confermati poi il calcolo della pensione con metodo interamente contributivo e le finestre mobili di 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e 18 mesi per le autonome.
Fondi pensione
Una novità però c’è: chi ha cominciato a lavorare dopo il 1995, quindi con il sistema contributivo, potrà accedere alla pensione anticipata a 64 anni sommando, a fini del raggiungimento della soglia d’importo richiesta, la rendita maturata presso un fondo di previdenza integrativa con la pensione maturata presso l’Inps. Ad oggi però la platea di lavoratori che potranno usufruire di questo cambiamento è piuttosto limitata: nel 2025, saranno soltanto un centinaio. Numero che tuttavia potrebbe gradualmente salire fino a circa 600 interessati all’anno.
Bonus Maroni
Rafforzato poi il cosiddetto ‘Bonus Maroni’, che prevede una decontribuzione del 10% circa per o lavoratori che decidono di rimandare il pensionamento. A beneficiarne possono essere i lavoratori in possesso dei requisiti per Quota 103 contributiva e per l’uscita anticipata con 42 anni e 10 mesi di contribuzione (41 anni e 10 mesi per le donne) a prescindere dall’età. Di base, i lavoratori che hanno i requisiti per uscire prima dal mercato del lavoro ma scelgono di non farlo hanno diritto ad avere in busta paga la propria quota di contributi – esentasse – versata ogni mese all’Inps, in genere il 9,19% della retribuzione.
Aumento pensioni minime e rivalutazione
Previsti poi un mini-aumento delle pensioni minime, che nel 2025 saliranno dagli attuali 614,77 euro a circa 617 euro, una perequazione aggiuntiva al tasso di rivalutazione standard del 2,2% per il 2025 e dell’1,3% nel 2026, e la rivalutazione piena all’inflazione, con lo 0,8% in più, per le pensioni fino a 4 volte il minimo, e poi a scendere dalle fasce successive: +0,72% per quelle tra 4 e 5 volte il minimo, +0,6% per quelle oltre.
Esteri
Caso Abedini, governo attende udienza e valuta mosse in...
Situazione in continua evoluzione: la vicenda dell'iraniano arrestato a Malpensa su richiesta Usa è infatti legata a doppio filo all'arresto della giornalista Cecilia Sala
Occhi puntati sulla Corte di Appello di Milano che, nell'udienza fissata il prossimo 15 gennaio alle 9, dovrà decidere se concedere o meno i domiciliari a Mohammad Abedini Najafabadi, il cittadino iraniano 38enne bloccato il 16 dicembre scorso all'aeroporto di Malpensa dalla Digos dopo essere atterrato da Istanbul su ordine della giustizia americana e attualmente detenuto a Opera. L'uomo è accusato di terrorismo per aver violato le leggi americane sull'esportazione di componenti elettronici sofisticati dagli Usa all'Iran.
Governo attende decisione
Dopo il parere negativo sulla richiesta dei domiciliari, trasmesso dal procuratore generale di Milano, ora la palla passa alla Corte di Appello che sarà poi chiamata anche ad esprimersi sulla richiesta di estradizione formalizzata dagli Stati Uniti, che si sono già espressi contro la possibilità che l'iraniano esca dal carcere.
La situazione è in continua evoluzione proprio perché la vicenda di Abedini è legata a doppio filo all'arresto della giornalista Cecilia Sala in Iran, ma a quanto apprende l'Adnkronos, se da un lato si attende la decisione dei magistrati milanesi dall'altro se si decidesse alla fine un intervento politico sul caso dell'iraniano, l'intenzione sarebbe quella di non andare oltre la dead-line del 20 gennaio, giorno in cui il presidente uscente Joe Biden lascerà la Casa Bianca a Donald Trump.
Italia valuta mosse, giorni cruciali fino a insediamento Trump
Nella vicenda Abedini infatti, come è noto, un ruolo decisivo può giocarlo il ministro della Giustizia Carlo Nordio visto che, in base all'articolo 718 del Codice di procedura penale la revoca delle misure cautelari "è sempre disposta se il ministro della giustizia ne fa richiesta". Ruolo da giocare in stretto coordinamento con Palazzo Chigi, dove giovedì la premier Giorgia Meloni ha convocato un vertice sulla giornalista Cecilia Sala. Tra gli aspetti tecnici all'esame del dicastero c'è ne uno che potrebbe rivelarsi decisivo: l'accusa degli americani, mossa ad Abedini, di essere 'il tecnico dei droni' e di aver rifornito un'organizzazione terroristica straniera che tuttavia non sarebbe riconosciuta come tale nella black list della Ue.
A quanto si apprende, al netto di accelerazioni sempre possibili considerato l'obiettivo prioritario di fare uscire Sala dalla prigione di Evin, un eventuale intervento del ministro difficilmente dovrebbe arrivare prima che i giudici milanesi si siano espressi sulla richiesta dei domiciliari per l'iraniano. Ma, assicurano fonti ben informate, se l'Italia alla fine dovesse decidere di intervenire per revocare la misura nei confronti di Abedini, percorrendo così una strada per niente gradita agli alleati americani, ciò non avverrà oltre il 20 gennaio quando Oltreoceano avrà inizio il Trump bis. Non è escluso che un eventuale, comunque non scontato, intervento possa dunque avvenire nella finestra temporale tra il 15 e il 20 gennaio.
L'avvertimento dell'Iran all'Italia
Sul caso arriva intanto l'avvertimento dell'Iran all'Italia. L'arresto di Abedini "è un atto illegale, che danneggia i rapporti" tra Roma e Teheran, ha infatti sottolineato il direttore generale per l'Europa del ministero degli Esteri iraniano, Majid Nili Ahmadabadi, che ieri ha convocato a Teheran l'ambasciatrice italiana Paola Amadei per discutere del caso Sala.
L'Iran ha quindi chiesto all'Italia "di respingere la politica statunitense di presa di ostaggi, che è contraria al diritto internazionale, in particolare ai diritti umani, di preparare le basi per il rilascio di Abedini il prima possibile e di impedire agli Stati Uniti di danneggiare le relazioni bilaterali Teheran-Roma".