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Influenza, vicini al picco: da medici di famiglia le regole per uso appropriato farmaci

Influenza, vicini al picco: da medici di famiglia le regole per uso appropriato farmaci

Mezza Italia è a letto con l’influenza, secondo l'Istituto superiore di sanità il picco è previsto tra metà e fine gennaio. In accordo con la campagna di sensibilizzazione del ministero della Salute sull’influenza stagionale, la Società italiana di medicina generale e delle cure primarie (Simg) raccomanda misure di prevenzione, terapie opportune ma soprattutto un uso appropriato dei farmaci. Il messaggio della Simg è chiaro: "assumere terapie farmacologiche sempre sotto stretto controllo medico".

In caso di sindromi influenzali, per gli esperti Simg gli antibiotici sono da limitare, ove fossero necessari vanno assunti solo su prescrizione medica e in presenza di infezione batterica. Il paracetamolo è il più efficace analgesico e antipiretico. Gli antinfiammatori non steroidei devono tenere conto dei rischi cardiovascolari, renali e gastrici del paziente. Altri farmaci utili possono essere gli antitussivi e i decongestionanti nasali. Anche i cortisonici devono essere evitati così come l'uso di antibiotici in caso di infezioni virali.

"Il virus circolante dell’influenza (A-H3N2), responsabile della cosiddetta 'Australiana', suscita particolare preoccupazione per la capacità di evadere le difese immunitarie e per la maggior aggressività dei sintomi – sottolinea Alessandro Rossi, presidente Simg – L’epidemia influenzale in corso si sovrappone alla persistente presenza del virus Sars-CoV-2 e di altri virus che interessano le vie respiratorie come il virus respiratorio sinciziale e virus parainfluenzali. La diagnosi differenziale dal punto di vista clinico non è sempre facile e talvolta occorre far uso dei tamponi antigenici rapidi naso-orofaringei".

"In vista del picco di casi previsto per metà e fine mese, l’attuale incidenza delle sindromi simil-influenzali (ILI) si attesta intorno a 10 casi ogni mille assistiti. Questo dato è inferiore a quello registrato nello stesso periodo dello scorso anno (18.4 casi per mille assistiti), quando a inizio anno si era già raggiunto il picco stagionale – spiega Claudio Cricelli, presidente emerito Simg – Questa situazione diversa dal passato ci permette ancora di agire informando tutti gli utenti sul corretto ed appropriato uso dei farmaci per contrastare i sintomi associati a queste malattie infettive stagionali nonché sulle principali misure di prevenzione".

"Occorre ricordare a tutti le misure più efficaci per contrastare la diffusione dell’epidemia – ricorda Stefano Celotto, direttivo nazionale Simg – In primo luogo, si raccomanda la vaccinazione antinfluenzale, che risulta ancora disponibile presso gli ambulatori dei medici di Medicina generale e dei pediatri di libera scelta e che trova ancora utilità se eseguita quanto prima. In presenza di sintomi influenzali, è fondamentale mantenere il distanziamento sociale ed utilizzare le mascherine, in particolare nei luoghi affollati ed in presenza di soggetti fragili anche a casa, oltre a seguire le buone e comuni norme igieniche. Si raccomanda, inoltre, un’alimentazione corretta ed equilibrata e una buona idratazione".

"I sintomi principali delle sindromi influenzali includono riniti (raffreddore), mal di testa, dolori articolari, tosse, mal di gola e febbre. I sintomi possono durare pochi giorni, ma sovente persistono anche più a lungo (con una mediana di 18 giorni per tosse e rinorrea), cosa che è comunque autolimitante e generalmente non deve spaventare. È importante ricordare – evidenzia Luca Maschietto, Segretario Simg Friuli-Venezia Giulia - che una temperatura corporea elevata non è necessariamente un indicatore di gravità della patologia, ma piuttosto di una valida risposta dell’organismo all’infezione. La persistenza di temperature elevate per numerosi giorni oppure una mancata risposta ai comuni antipiretici richiede sempre una valutazione clinica".

"In presenza di sintomi influenzali, la raccomandazione è di assumere terapie che intervengano sui sintomi – sottolinea Ignazio Grattagliano, vicepresidente Simg – Il paracetamolo è senza dubbio il più efficace analgesico e antipiretico a nostra disposizione, anche perché praticamente scevro da importanti effetti collaterali se usato alle dosi consigliate. Gli antinfiammatori non steroidei con indicazione al trattamento delle infiammazioni delle alte vie aeree (ketoprofene sale di lisina, flurbiprofene, ibuprofene a basso dosaggio, aspirina e altri) devono essere consigliati tenendo conto del profilo di rischio cardiovascolare, renale e gastrico del paziente, prestando attenzione alla corretta informazione in caso di automedicazione con 'formulazioni da banco'. Questa categoria di farmaci può comunque essere utile anche in forma topica (spray orali, collutori) se c’è un’importante infiammazione del cavo orale".

Altri farmaci utili "sono gli antitussivi (facendo attenzione all’azione sedativa di alcuni di essi), in particolare se vi è tosse stizzosa che disturba attività quotidiane e sonno notturno, e i decongestionanti nasali in caso di rinorrea importante - aggiunge l'esperto - I cortisonici, in generale, devono essere evitati poiché possono ridurre le difese immunitarie ed aumentano il rischio di complicanze. L'uso di antibiotici, invece, è assolutamente da evitare in caso di infezioni virali; la necessità di una loro assunzione deve seguire sempre una valutazione medica, mantenendo la prescrizione riservata ai soli casi necessari".

"Un'attenzione particolare deve essere riservata ai pazienti fragili e grandi anziani, i quali sono più suscettibili a un peggioramento del quadro clinico in caso di infezione virale – conclude Grattagliano – È utile, in questi casi, la ricerca tramite tampone del virus Sars-CoV-2, per il quale è attualmente disponibile e raccomandato l’uso tempestivo di un farmaco antivirale che ha dimostrato di ridurre complicanze, ricoveri e mortalità".

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Salute e Benessere

Parkinson, Bentivoglio (Gemelli): “Tante possibilità...

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La neurologa: "Nel paziente con malattia complicata l’infusione migliora qualità di vita e sonno"

Parkinson, Bentivoglio (Gemelli):

“Nella storia del paziente con malattia di Parkinson ci sono veramente tante possibilità per una personalizzazione del trattamento: dalla terapia per bocca, all’infusionale, fino agli interventi chirurgici”. Così Anna Rita Bentivoglio, professore associato di Neurologia, Istituto di Neurologia Facoltà di Medicina Università Cattolica di Roma e responsabile Uos Disturbi del movimento, Policlinico Gemelli, all’Adnkronos Salute, chiarisce come si tratti “di una patologia complessa che non si esaurisce solo nel tremore a riposo, che è il sintomo conosciuto un po' da tutti, ma comprende altri disturbi, soprattutto non motori”. ( VIDEO )

Nei primi anni di malattia “le persone, nella maggior parte dei casi, prendendo poche pillole al giorno, riescono a guadagnare una condizione motoria e non motoria molto soddisfacente - spiega Bentivoglio - Considerando che ogni storia di malattia è diversa, dopo un certo numero di anni la giornata di chi soffre di Parkinson tende a complicarsi e iniziano a comparire delle fluttuazioni, sia motorie che non motorie. Ci sono quindi delle ore del giorno, subito dopo l'assunzione delle pillole, in cui il paziente si sente bene, il tremore scompare o diventa molto meno evidente, è meno rigido e, se è rallentato nei movimenti, diventa quasi normale nella loro esecuzione. Poi, man mano che si riduce l’effetto dei farmaci, il paziente ripresenta i disturbi anche di notte: si fatica a dormire perché, per esempio, si fatica a girarsi nel letto. Grazie all’infusione dei farmaci, nel paziente con malattia complicata, il sonno torna a essere ristoratore”.

Quando la strategia di primo livello, dove si prendono le pillole per bocca, non è più sufficiente, è necessario passare al secondo che prevede l’iniezione “dei farmaci sottocute oppure li possiamo inserire direttamente nell'apparato digerente attraverso una piccola cannula che si mette nella parete dello stomaco e che si collega a una pompa che eroga piccolissime dosi di farmaco in maniera continua. Questo approccio - illustra la professoressa - cerca di rendere continua la stimolazione cerebrale rimpiazzando la dopamina, il neurotrasmettitore che è carente nel sistema nervoso centrale del paziente. La prima strategia è stata con dei farmaci dopaminoagonisti, ancora oggi è in uso la pompa con apomorfina. Da diversi anni ormai però siamo in grado di iniettare direttamente la levodopa, anche se in una forma modificata, nel sistema digerente o sottocute. In questo modo viene assorbita molto più facilmente. L'ultima frontiera della terapia infusionale è l’impiego della foslevodopa/foscarbidopa sottocute attraverso una pompa di facile gestione da parte dello stesso paziente o dal familiare, il caregiver. La terapia può essere addirittura continuativa nelle 24 ore”. Il paziente può ricevere “dosi diverse, programmate dal neurologo di riferimento, in modo personalizzato: un po' più alte durante il giorno, quando le richieste sono maggiori e un po' più basse durante le ore notturne”.

Un secondo gruppo “di strategie di secondo livello per la gestione del Parkinson sono quelle chirurgiche che permettono, da circa 30 anni, di stimolare dei nuclei cerebrali, non solo chimicamente come fanno i farmaci, ma anche attraverso l'erogazione di piccole scariche elettriche. La possibilità di fornire a un paziente che ha delle fluttuazioni sia motorie che non, una terapia infusionale - chiarisce Bentivoglio - è particolarmente preziosa per tutti coloro che non sono disposti ad andare incontro a un intervento chirurgico”, o è controindicato per varie ragioni, non ultima l’età - dopo i 70 anni “ci sono infatti troppi rischi” - oppure in attesa dell’intervento.

Al di là della questione chirurgica, “l'indicazione al trattamento è per il paziente fluttuante che, con la terapia, non ha più una qualità di vita adeguata”. Si deve considerare che è necessario anche assumere le “medicine 5-6 volte al giorno, tutti i giorni”, magari trovandosi con il “problema irrisolto e con uno stigma lavorativo e sociale”. Questa terapia infusionale, “nella nostra esperienza - aggiunge - dà una svolta radicale alla qualità di vita, non solo della persona che ha la malattia ma anche dei suoi familiari e dei suoi caregiver naturalmente. Questo si può misurare a livello clinico, ma anche con le scale di qualità di vita che misurano tutta la difficoltà o il miglioramento nell'affrontare realtà quotidiane che vanno dall'allacciarsi i bottoni della camicia, a potersi nutrire senza imbarazzo quando si porta un cucchiaio alla bocca, dal guidare l'automobile, all'affrontare una giornata lavorativa. Quando le fluttuazioni sono importanti, si vede che la terapia infusionale determina una vera svolta nel miglioramento”. Tale aspetto, valutato negli studi registrativi, viene misurato anche dal clinico, nella valutazione periodica del paziente.

Il bisogno che spesso rimane non soddisfatto del paziente in fase complicata di malattia è però il riposo notturno. Il paziente che è in terapia con farmaci per bocca, la sera prende una dose molto inferiore rispetto a quella del giorno e la notte, dopo un certo numero di ore, quando si esaurisce l’effetto, comincia ad avere difficoltà, si sente rigido, ha difficoltà se si deve alzare per recarsi in bagno, ma anche girarsi nel letto. Il paziente quindi si sveglia continuamente, compromettendo la qualità del sonno che può veramente avere una svolta e tornare a essere ristoratore quando il paziente invece durante la notte riceve la giusta quantità di farmaco che - ricorda - gli permette di riposare”.

Prima dell’avvento della terapia infusionale sottocute, “lo stesso tipo di farmaco veniva somministrato all'interno del sistema nervoso digerente - conclude Bentivoglio - e questo richiedeva necessariamente di fare un piccolo foro sulla parete addominale, che pure se mini-invasivo, significa sempre un tramite che condizionava anche la possibilità di svolgere alcune attività.

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Salute e Benessere

Tumori, nata con teratoma sacrococcigeo salvata con...

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Tumori, nata con teratoma sacrococcigeo salvata con strategia 'unica'

Una strategia 'unica' per un caso rarissimo anche per la letteratura scientifica: "Il trattamento chirurgico in utero e l’asportazione di un importante teratoma sacrococcigeo a pochi giorni di vita, in condizione di grave prematurità. Oggi la bimba sta bene". Lo riferisce in una nota la Fondazione Irccs Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. "Tutto inizia con una ecografia alla 16esima settimana di gravidanza dall’esito implacabile: una massa cellulare anomala dal volume significativo rischia di compromettere la vita della bambina nel grembo. I genitori, che vivono in una provincia del Nord Est d'Italia, sono inviati presto alla Clinica Mangiagalli del Policlinico di Milano, centro di riferimento per le gravidanze difficili e con una grande esperienza nel trattamento di questa neoplasia benigna, che si verifica in un 1 bambino ogni 35 mila - ricostruisce l'ospedale - La piccola ha un teratoma sacrococcigeo, un tumore raro che si sviluppa alla base del coccige. Le cause sono sconosciute ma si sa che la sua caratteristica più pericolosa è quella di crescere velocemente, compromettendo la funzionalità degli organi in fase di sviluppo del feto: per i genitori di Anna questo ha significato trovarsi di fronte alla possibilità di dover interrompere la gravidanza".

"Il fattore tempo in certe situazioni può destabilizzare, ma la scienza corre più veloce: la diagnostica prenatale permette oggi di individuare precocemente l’aumento anomalo di cellule nei tessuti e fornisce agli specialisti informazioni preziose per intraprendere il percorso terapeutico più appropriato - prosegue l'ospedale - È così che il primo intervento Anna l’ha ricevuto nel grembo della sua mamma, alla 26esima settimana: il team della Chirurgia fetale del Policlinico di Milano 'spegne' con tecnologia laser alcuni vasi sanguigni che alimentano il tumore e questo permette alla piccola di crescere per altre due settimane nell’ambiente migliore possibile, la pancia della sua mamma".

Anna cresce, ma il tumore con lei e alla 28esima settimana è necessario il cesareo urgente, il peso della piccola alla nascita è di 1,6 kg e include i quasi 600 grammi di teratoma. “Ci siamo trovati di fronte a una situazione unica per la sua complessità - esordisce Ernesto Leva, chirurgo pediatrico e direttore del dipartimento Area Materno-Infantile dell’Ospedale -. Abbiamo giocato tutte le carte di cui la medicina dispone e che in questo Ospedale coesistono. Anna e la sua famiglia ci hanno insegnato molto dal punto di vista umano: le risposte della piccola all'evolversi della patologia e la fiducia della famiglia nella vita e nelle nostre possibilità ci hanno permesso di muoverci attivando tutte le nostre più qualificate risorse. Il preciso trattamento fetale ha agevolato la Chirurgia Neonatale, la cui azione è stata possibile soltanto grazie alla straordinaria collaborazione delle tante specialità coinvolte per permettere di operare la piccola”.

La Terapia intensiva neonatale "è stata fondamentale per gestire le necessità di una bambina pretermine così piccola e garantire la stabilità clinica necessaria per poter affrontare questa nuova fase chirurgica. Per capire se la massa così estesa intaccasse la cavità addominale, ci è voluto l’imaging della Radiologia pediatrica, mentre la Cardiologia pediatrica ha potuto confermare che la piccola sarebbe stata in grado di affrontare l’intervento con il supporto fondamentale degli anestesisti pediatrici e con la collaborazione gomito a gomito con infermieri e personale sanitario: proprio questa sinergia, necessaria su situazioni così complesse, ha reso a questo caso unico nel suo genere di essere trattato nel modo più appropriato", prosegue la nota del Policlinico.

L’intervento, durato circa 2 ore, è riuscito perfettamente e la rimozione del teratoma non ha comportato danno agli organi urogenitali. “Su un corpicino così piccolo l’azione chirurgica è finalizzata a rimuovere la massa ma, soprattutto, a preservare le funzionalità degli organi circostanti - aggiunge Ernesto Leva -. Con questa famiglia è come se avessimo stretto un lungo fidanzamento: continueremo a vedere Anna per molto tempo, la pubertà sarà un periodo sensibile ma noi saremo con lei e i suoi genitori”. “Anna cresce bene e, grazie all’assistenza dell’équipe della Terapia Intensiva Neonatale e alle cure dei suoi genitori, ha superato anche le problematiche della prematurità – ha dichiarato Monica Fumagalli, direttrice della Terapia intensiva neonatale del Policlinico di Milano -. Il momento del ritorno a casa tanto desiderato da tutta la famiglia è finalmente arrivato”.

"Ora che la corsa contro il tempo è stata vinta, non resta che seguire la piccola nel serrato, ma fiducioso percorso di 'follow up' multidisciplinare che vedrà coinvolti neonatologi/pediatri e chirurghi ma anche molti altri professionisti sanitari, fondamentali per promuovere lo sviluppo dei bambini nati pretermine - ricorda la nota - La rete di sostegno dell’ospedale, in grado di accogliere e dare ospitalità ai familiari che non abitano nelle vicinanze dell'Ospedale in caso di lungodegenze, toglie sicuramente qualche preoccupazione a mamma e papà".

“Curare bambini come Anna è possibile solo in grandi centri in grado di seguire le famiglie e i piccoli pazienti dall’età gestazionale fino a 100 anni - conclude Matteo Stocco, direttore generale del Policlinico di Milano -. Sono le realtà multispecialistiche in grado di mettere in rete le proprie professionalità a dare risposte coraggiose e complesse”.

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Salute, al Gemelli trattata con Car-T prima paziente adulta...

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Salute, al Gemelli trattata con Car-T prima paziente adulta con malattia reumatologica

È affetta da sclerosi sistemica (sclerodermia) refrattaria ai trattamenti, la prima paziente arruolata nel trial CATARSIS, uno studio di frontiera promosso da Fondazione Policlinico Gemelli Irccs in collaborazione con l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Si apre così, con tante speranze, una nuova era per i pazienti affetti da alcune malattie reumatologiche autoimmuni sistemiche (LES, sclerosi sistemica, dermatomiosite/polimiosite, vasculiti ANCA-associate), refrattarie ai trattamenti abituali. Lo studio arruolerà in tutto 8 pazienti adulti e avrà una durata di due anni. Principal investigator, Maria Antonietta D’Agostino, professore ordinario di Reumatologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della Uoc di Reumatologia di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs (FPG). Le Car-T anti-CD19 utilizzate nello studio sono prodotte presso l’Officina Farmaceutica del Bambino Gesù, il cui coordinatore è il professor Franco Locatelli.

Le Car-T fanno il loro ingresso anche nel trattamento delle malattie autoimmuni sistemiche refrattarie ai comuni trattamenti. Qualche giorno fa al Gemelli - riporta una nota - è stata trattata con cellule Car-T una paziente affetta da sclerosi sistemica (sclerodermia), la prima dei soggetti arruolati nello studio CATARSIS (Anti-CD19 CAR T-Cell TherApy in Refractory Systemic Autoimmune DISeases) e anche la prima paziente adulta con malattia reumatologica ad essere trattata in Italia con questo trattamento innovativo.

Il trial è condotto in collaborazione con il Centro Trial Oncoematologico, Area Studi Clinici Oncoematologici e Terapie Cellulari dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù IRCCS, diretto da Franco Locatelli, professore ordinario di Pediatria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore del Dipartimento di Onco-Ematologia e Terapia Cellulare e Genica, Irccs Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma. La paziente ha ricevuto le cellule Car-T la vigilia di Natale presso l’Unità di Oncoematologia di FPG, diretta dalla professoressa Simona Sica, che prende parte allo studio, nell’Unità di Fase I di FPG, diretta dal Dottor Gennaro Daniele. Lo studio CATARSIS è cofinanziato dal Ministero della Salute.

"CATARSIS è il primo studio accademico di fase I in Italia, volto a trattare patologie autoimmuni mediate da B-linfociti con cellule CAR T dirette contro una molecola, nota come CD19 espressa sulla superficie dei B linfociti – afferma D’Agostino -. Un traguardo importantissimo per i pazienti affetti da patologie severe che finalmente possono ambire a sconfiggere la loro malattia, grazie al 'reset' del sistema immunitario, indotto da tale terapia". Quella trattata al Gemelli - dettaglia la nota - è la prima paziente adulta affetta da malattia reumatologica trattata in Italia. Il professor Locatelli ha già trattato, attraverso il meccanismo dell’uso non ripetitivo, 5 pazienti pediatrici affetti da malattie autoimmuni. Nel mondo sono stati trattati finora con Car-T solo una cinquantina pazienti con malattie reumatologiche, la maggior parte dei quali in Germania, dal gruppo del professor Georg Schett dell’Università di Erlangen (Frederich Alexander) e visiting professor presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore che è stato il primo nel mondo a trattare queste patologie con Car-T (i risultati sono stati pubblicati su riviste prestigiose quali Lancet, Nature Medicine e New England Journal of Medicine) e che sta portando avanti, in questo momento, lo studio CASTLE, 'gemello' del CATARSIS.

"Lo studio CATARSIS – prosegue D’Agostino - rappresenta una frontiera, ma anche un esempio di progetto cooperativo e coordinato, nel quale diversi dipartimenti (di ricerca, produzione, clinici, amministrativi e di conduzione trials), operanti presso strutture differenti, hanno lavorato insieme per ottenere questo traguardo così importante che apre la strada a nuove speranze. Un grazie particolare va alla dottoressa Monica Gunetti Responsabile dell’Officina farmaceutica dell’Ospedale Bambino Gesù, alla professoressa Luciana Teofili, direttore della Uoc di Emotrasfusione (per l’aferesi), al Dottor Gerlando Natalello della UOC di Reumatologia FPG, alle Dottoresse Giulia Wlderk e Marina Murdolo dell’Unità Trial Clinici (UTC 2)FPG diretta dalla Dottoressa Vincenzina Mora, e alla Dott.ssa Maria Pia Cefalo della UTC OPG, per questo super-regalo di Natale".

"Il trattamento di questa paziente – sostiene Locatelli - dimostra come la collaborazione tra Centri Accademici di Eccellenza permetta di offrire gli approcci terapeutici più innovativi a malati affetti da patologie complesse. Dopo i risultati di grande rilevanza ottenuti nei 5 pazienti pediatrici, il caso della Signora trattata in collaborazione con i Colleghi del Policlinico Gemelli apre un’ulteriore frontiera e documenta l’importanza d’investire sempre più come Paese in ricerca clinica avanzata".

Le cellule B sono tra i principali protagonisti delle malattie autoimmuni e questo fa di loro un target terapeutico ideale. Il 'bersaglio' più efficace, individuato sulla loro superficie, è l’antigene CD-19. Negli anni sono state sviluppate molte terapie (anticorpi monoclonali) dirette contro vari antigeni di superficie delle cellule B (es. il rituximab contro l’antigene CD-20), ma in alcuni pazienti con malattie autoimmuni reumatologiche queste non funzionano a sufficienza (ad esempio non riescono ad indurre una remissione sostenuta) e questo espone i pazienti con le forme più gravi, al rischio di grave insufficienza d’organo (es. insufficienza polmonare o renale) e di morte. Per questo si è pensato di ingegnerizzare le cellule del sistema immunitario del paziente, per armarle contro il CD-19 (Car-T anti-CD-19) e utilizzarle per trattare le malattie autoimmuni refrattarie ai comuni trattamenti. Il razionale di questa scelta sta nel fatto che le Car-T penetrano con maggior efficacia all’interno degli organi e dei tessuti dove si annidano le cellule B ‘ribelli’, che sono alla base di malattie auto-immuni sistemiche e potenzialmente letali quali il LES (lupus eritematoso sistemico), la Sclerosi sistemica (SSc), la dermatomiosite/polimiosite (DM/PM) e le vasculiti ANCA-associate (AAV).

Il CATARSIS è uno studio di fase I/II, in aperto, non randomizzato, con disegno 'basket'. Verranno arruolati in tutto 8 pazienti adulti (dei quali 6 presso il Policlinico Gemelli e 2 presso l’Ospedale Bambino Gesù), affetti da una patologia autoimmune sistemica (B-cell driven’ refrattaria ai comuni trattamenti (LES, SSc, PM/DM, AAV). Ogni paziente arruolato nello studio verrà seguito per 30 settimane (6 pre-trattamento e 24 dopo il trattamento); la durata complessiva dello studio sarà di 2 anni. Il trial partito al Gemelli utilizza come 'farmaco' i 'CD19-Car_Lenti', una sospensione di cellule T ingegnerizzate attraverso un vettore virale (lentivirus autoinattivante, prodotto da Milteny Biotech), per trasformarli in un’arma da guerra contro il CD-19 umano, il bersaglio sulle cellule B responsabili delle malattie autoimmuni sistemiche. La manifattura di questa terapia cellulare viene effettuata utilizzando il dispositivo CliniMACS Prodigy®, presso l’Officina Farmaceutica dell’Irccs Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.

Obiettivi dello studio CATARSIS - conclude la nota - sono la valutazione dell’efficacia e della sicurezza della terapia con cellule Car-T anti-CD-19, in soggetti con malattia autoimmune ‘B-driven’ attiva (LES, sclerosi sistemica, DM/PM e AAV). Verranno valutati inoltre: la durata della deplezione delle cellule B 'colpevoli' dopo il trattamento, la durata della persistenza delle Car-T, le variazioni nei livelli di autoanticorpi sierici associati alla malattia.

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