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Pma (quasi) gratuita in tutta Italia. Ticket da 100 a 300 euro, ecco le nuove regole

Provetta e ecografia neonato

Dopo una lunga battaglia e diversi mesi di attesa, la procreazione medicalmente assistita è diventata (quasi) gratuita in tutta Italia. Dal 1° gennaio 2025, infatti, la Pma è entrata nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), diventando finalmente accessibile a tutte le coppie italiane a costi ridotti.

Questa decisione non solo uniforma l’accesso alla Pma su tutto il territorio nazionale, ma rappresenta anche una risposta concreta a un problema sociale di ampie dimensioni: il calo della fertilità.

Il percorso per giungere a questo traguardo è stato tutt’altro che lineare. Inizialmente prevista per il 2024 (prima a gennaio, poi ad aprile), l’inclusione nei Lea è stata rimandata di un anno a causa di ritardi burocratici, divergenze politiche e difficoltà legate alla riorganizzazione delle risorse sanitarie.

Pma, quanto costa adesso?

I Lea definiscono le prestazioni sanitarie essenziali che ogni cittadino ha diritto di ricevere gratuitamente o dietro pagamento di un ticket uniforme su scala nazionale. Fino a oggi, la Pma è rimasta fuori dai Lea, costringendo molte coppie a sostenere autonomamente spese considerevoli, con trattamenti che potevano costare oltre 5.000 euro a ciclo.

Dal nuovo anno la fecondazione omologa e quella eterologa (resa legale in Italia dopo una sentenza della Consulta del 2014) rientrano nei Lea insieme ad altre attività sanitarie, come la consulenza genica, l’adroterapia e varie prestazioni per chi è affetto da malattie rare.

Con l’inclusione nei Lea, le coppie potranno richiedere alla propria Regione di appartenenza di accedere alla Pma con il pagamento di un ticket che oscilla tra 100 e 300 euro, a seconda del trattamento. Le nuove regole fissano anche limiti precisi:

  • Le donne potranno accedere ai trattamenti fino a 46 anni;
  • Saranno consentiti un massimo di sei tentativi per coppia.

Nonostante queste previsioni siano considerate un progresso, il rimborso previsto per le strutture convenzionate – 2.700 euro per l’omologa e 3.000 euro per l’eterologa – è ritenuto insufficiente dagli operatori.

Pma gratuita: il dibattito politico e sociale

Il ritardo nell’inclusione della Pma nei Lea è stato oggetto di accese discussioni. L’approvazione iniziale, prevista per il 2024, è stata rinviata a causa della complessità del coordinamento tra le regioni e il governo centrale. Le differenze tra le varie realtà territoriali, in termini di disponibilità di risorse e centri attrezzati, hanno alimentato il rischio di creare disparità nell’accesso ai trattamenti.

Organizzazioni per i diritti delle donne e associazioni che si occupano di infertilità hanno sottolineato la necessità di garantire l’effettiva applicazione delle nuove norme. In particolare, hanno richiesto maggiori investimenti per il rafforzamento dei centri pubblici, che rappresentano solo il 34% delle strutture dedicate alla Pma.

I politici favorevoli hanno definito la decisione di includere la Pma nei Lea come “un passo fondamentale verso la giustizia sociale”. Tuttavia, non sono mancate critiche, soprattutto da parte di chi teme un aumento delle liste d’attesa e una riduzione della qualità delle prestazioni.

I numeri della Pma in Italia

L’attività di Pma è cresciuta significativamente nel corso degli anni, passando dai 63.585 trattamenti del 2005 ai 109.755 del 2022 e la percentuale rispetto alle nascite totali è aumentata dall’1,22% del 2005 al 4,25% del 2022. Solo in alcune regioni, come Toscana, Emilia-Romagna e Lombardia, la procreazione medicalmente assistita era già accessibile a costi calmierati grazie a iniziative locali.

Con le nuove regole, tuttavia, molte coppie potranno finalmente evitare trasferimenti estenuanti e spese proibitive. Rimangono però importanti differenze:

  • Su 190 centri attivi in Italia, ben 107 sono strutture private che non offrono rimborsi;
  • Solo 66 sono pubbliche, spesso concentrate nel Centro-Nord, con una copertura carente nel sud e nelle isole. 17 sono le strutture convenzionate.

Il maggior ricorso alla Pma dipende anche dal fatto che si diventi madri sempre più tardi.

Anche l’età media delle donne che si sottopongono ai trattamenti di fecondazione assistita è aumentata, passando dai 34 anni del 2005 ai 37 anni del 2022. Un balzo importante si è avuto nella fascia over 40 che, in Italia, rappresentava il 20,7% degli accessi alle Pma nel 2005 ed è salito al 33,9% nel 2022.

Il numero medio di embrioni trasferiti in utero è diminuito nel tempo, passando da 2,3 nel 2005 a 1,3 nel 2022, riducendo così la percentuale di parti multipli dal 23,2% del 2005 al 5,9% del 2022. Le procedure che coinvolgono embrioni crioconservati sono invece aumentate notevolmente, passando da 1.338 nel 2005 (3,6% delle procedure) a quasi 30mila (31,1%) nel 2022. Anche il tasso di gravidanza per ogni 100 trasferimenti è aumentato dal 16,3% del 2005 al 32,9% del 2022.

Per tutti i dati: Pma, compie 20 anni la Legge 40 sulla fecondazione assistita

Il primato della Spagna

La Spagna rappresenta un caso unico a livello europeo per quanto riguarda la fecondazione in vitro, che è uno dei percorsi di Procreazione medicalmente assistita più richiesti. Da solo il Paese iberico rappresenta il 15% di tutti i trattamenti di fecondazione in vitro in Europa, più di Francia (12,9%) e Germania (11,6%). Anche in Spagna, l’innalzamento dell’età media al parto incide molto sui numeri: le madri di età superiore ai 35 anni rappresentano oggi il 40,1% del totale e con oltre, 165.000 cicli di FIV, in Spagna nascono con tecniche di medicina riproduttiva il 12% dei neonati totali, circa il triplo dell’Italia.

Oltre all’età al parto, anche l’alta qualità dei centri di riproduzione assistita, la legislazione avanzata sul tema e l’accessibilità offerta ai pazienti stranieri sono alla base del modello spagnolo. Ogni anno, migliaia di coppie si recano in Spagna per accedere alla Pma e secondo i dati dell’Instituto Bernabeu, più del 55% dei pazienti che si sottopongono a trattamenti di fertilità in Spagna sono stranieri di oltre 135 nazionalità diverse.

Prospettive future e le sfide da affrontare

Considerando l’aumento dei problemi di fertilità che si registra in Italia, l’inclusione della Pma nei Lea è un progresso significativo, ma rappresenta solo un punto di partenza. Per rendere effettiva questa riforma, sarà fondamentale:

  • Incrementare gli investimenti nei centri pubblici, per colmare il divario tra nord e sud;
  • Adeguare i rimborsi per le strutture convenzionate, garantendo sostenibilità economica e standard di qualità elevati;
  • Uniformare le normative regionali, evitando che permangano disparità territoriali nell’accesso ai trattamenti.

Sulla scia di questo progresso, il prossimo passo sarà continuare a investire in un modello sanitario più inclusivo, capace di rispondere alle esigenze di tutti, indipendentemente da dove si trovano o da quali siano le loro possibilità economiche.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Cosa significa ‘barberismo’, il neologismo Treccani 2024...

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Alessandro Barbero

Chi lo apprezza e lo segue lo sapeva già da tempo: il professore medievista Alessandro Barbero è un fenomeno culturale e sociale, tanto che il termine “barberismo”, da lui ispirato, è stato ufficialmente inserito nella Treccani nel ‘Libro dell’anno 2024’. Ma cosa significa esattamente questa espressione e cosa racconta del nostro rapporto con la cultura e la figura del noto divulgatore?

Cosa Significa barberismo?

Ecco come la Treccani definisce ‘barberismo’: “L’appassionato apprezzamento da parte di migliaia di persone per le conferenze o lezioni tenute dallo storico e scrittore Alessandro Barbero nell’àmbito di vari contesti e format (in presenza, all’interno di programmi televisivi, tramite il canale YouTube, come podcast, come video registrati e rilanciati dai fan nei social network)”.

Il termine non si limita quindi a identificare la popolarità del professore, ma sottolinea anche la natura quasi idolatrica di parte del suo pubblico, che lo segue con entusiasmo in ogni iniziativa, dai suoi podcast ai libri, passando per conferenze e apparizioni televisive.

Infatti non è sulla tv che si è costruito il fenomeno, spiega la Treccani andando a fondo di un fenomeno sorprendente in un Paese dove non si legge e dove la cultura viene spesso disprezzata: “Il barberismo nasce col passaparola, rimbalzandosi tra gruppi whatsapp e pagine Facebook video di lezioni e conferenze tenute in giro per l’Italia. Video registrati dai fan, quindi bassa qualità, inquadratura fissa rubacchiata col cellulare, audio così-così. Una low-definition che restituiva il fascino di una comunità catacombale per pochi adepti. Nel frattempo, diventavano milioni di visualizzazioni”.

Barberismo e cultura pop

Il barberismo nasce dalla capacità di Alessandro Barbero di unire rigore accademico e accessibilità narrativa. Le sue lezioni e i suoi interventi spaziano dalla storia medievale a temi contemporanei con uno stile diretto e coinvolgente che rende affascinanti anche argomenti complessi e che ha via via conquistato un vasto pubblico, ben oltre le aule universitarie.

Grazie ai social e alle piattaforme digitali, i suoi interventi hanno raggiunto milioni di persone e, attraverso podcast, video su YouTube e interviste, Barbero è diventato una star della divulgazione storica, con una fanbase che include tanto appassionati di storia quanto persone lontane dagli studi accademici.

Il barberismo è diventato così un fenomeno di cultura pop. Le sue frasi celebri, il modo di raccontare episodi storici e persino le sue opinioni personali sono spesso oggetto di meme, citazioni e discussioni sui social. Barbero è diventato una figura che trascende il suo stesso ruolo di storico, trasformandosi in un simbolo di autorevolezza e passione culturale.

Critiche sul barberismo

Se il professore ha contribuito a far avvicinare molte persone alla storia e alla cultura, non mancano comunque le critiche. Alcuni sottolineano il rischio di una sorta di ‘devozione’ da parte dei fan più accaniti, che trasformano un intellettuale in una sorta di ‘guru’, con il pericolo di non accettare opinioni diverse dalle sue.

Inoltre, il barberismo evidenzia un aspetto della società contemporanea: la tendenza a cercare figure di riferimento carismatiche che possano semplificare temi complessi, offrendo risposte chiare in un’epoca spesso confusa.

Ci sono poi state polemiche più ‘ideologiche’: ad esempio, lo storico medievista è stato tacciato di essere un ‘professore comunista’, e in molti ricorderanno l’intervista a La Stampa in cui parlò di “differenze strutturali tra uomo e donna che rendono a quest’ultima più difficile avere successo in certi campi”.

Barberismo: un fenomeno duraturo?

Come tutti i fenomeni culturali, il barberismo potrebbe evolversi o svanire col tempo. Tuttavia, la sua importanza risiede nella capacità di dimostrare che esiste un grande interesse per la conoscenza, se veicolata in modo coinvolgente. Barbero ha saputo trasformare la divulgazione storica in un’esperienza appassionante e ha dimostrato che l’interesse per la cultura può ancora generare fenomeni di massa. Non solo: la lezione più importante del barberismo potrebbe essere quella dello stesso Barbero: la curiosità, la conoscenza e il confronto critico sono gli strumenti migliori per comprendere il mondo e la storia.

Ma siccome tutto cambia, anche questo fenomeno rischia di strutturarsi e perdere autenticità, come sottolinea Andrea Minuz sul Foglio, ripreso dalla Treccani nel suo lemma: “Poche settimane fa, a una lezione-conferenza sul delitto Matteotti era vietato riprendere Barbero col telefonino. Al Teatro Sociale di Rovigo c’era una troupe, regista, telecamere, tutto (costo del biglietto: 42 euro). Forse è il momento di un film, una docufiction, una serie. Chissà”.

Il barberismo insomma potrebbe trasformarsi da movimento spontaneo a prodotto ben confezionato, lasciandoci con una domanda: sarà ancora in grado di ispirare lo stesso entusiasmo o diventerà solo l’ennesima icona del marketing culturale?”

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Aumenta il prezzo del tabacco, gli over 50 australiani si...

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Marijuana Canva

Per rispondere all’aumento di prezzo del tabacco, gli australiani hanno aumentato il consumo di cannabis. Non tutti, però, solo gli over 50. Il dato, per certi versi sorprendente, emerge da un recente studio pubblicato sul Journal of Population Economics dai ricercatori di The Conversation che hanno evidenziato una relazione complessa tra i prezzi del tabacco e il consumo di cannabis.

Dopo aver analizzato quasi 100.000 individui grazie ai dati del National Drug Strategy Household Survey in Australia, la ricerca ha svelato come l’utilizzo di queste due sostanze, entrambe molto diffuse, vari in base all’età, con implicazioni politiche e sociali significative.

Un cambiamento di paradigma: cannabis e tabacco, complementi o sostituti?

La connessione tra cannabis e tabacco, definite spesso “sostanze in bundle” (consumate insieme), dipende da dinamiche economiche di base. Due prodotti possono essere complementi, usati insieme, o sostituti, consumati alternativamente. Lo studio ha scoperto che, per gli australiani sotto i 40 anni, cannabis e tabacco sono complementari: un aumento del prezzo del tabacco si traduce in una diminuzione del consumo di entrambe le sostanze. Al contrario, per gli over 50, aumentare il prezzo delle sigarette di cinque euro e cannabis si comportano come sostituti: l’aumento dei costi del tabacco stimola un incremento nell’uso di cannabis.

Per gli individui tra i 40 e i 50 anni, non si evidenzia invece alcuna correlazione economica significativa tra i due prodotti.

Cannabis e tabacco: le ragioni delle differenze generazionali

Le abitudini di consumo di cannabis e tabacco variano per una serie di fattori demografici e comportamentali.

  • Giovani sotto i 40 anni: questa fascia d’età tende a consumare tabacco e cannabis in modo simultaneo, spesso combinandoli in joint o “mulled cigarettes”;
  • Fascia 40-50 anni: questa categoria mostra un comportamento neutro, senza un evidente legame economico tra le due sostanze;
  • Over 50: gli individui più anziani sono generalmente più avversi al rischio. Il loro consumo è spesso più regolato e, con l’aumento del prezzo del tabacco, tendono a sostituirlo con la cannabis.

Per loro fortuna, il nuovo Codice della strada italiano non si applica in Australia.

Implicazioni delle politiche sui prezzi

Lo studio ha simulato l’impatto di un aumento del 10% del prezzo del tabacco sulla popolazione australiana. I risultati mostrano una complessa redistribuzione nei consumi:

  • Una diminuzione netta di 240.000 consumatori di cannabis;
  • Una riduzione significativa di 340.000 consumatori sotto i 40 anni;
  • Un aumento di 68.000 consumatori tra gli over 50.

Questi risultati evidenziano come un’unica misura politica possa avere effetti opposti su gruppi demografici diversi.

Consumo di cannabis e dinamiche sociali in Australia

La cannabis rimane tra le sostanze più diffuse in Australia: nel 2023, il 41% della popolazione sopra i 14 anni ha dichiarato di averla usata almeno una volta, con 2,5 milioni di consumatori regolari. Parallelamente, il consumo di tabacco è in forte calo grazie alle rigide politiche sul prezzo e alla diffusione di campagne di sensibilizzazione, mentre cresce l’uso di sigarette elettroniche e dispositivi di vaping, in particolare tra i giovani. Uno spunto di riflessione interessante considerando la proposta di aumentare il prezzo delle sigarette di cinque euro avanzata in Italia dall’Aiom e da Panorama della Sanità.

Questo contesto socioeconomico rende urgente comprendere le interazioni tra le due sostanze per orientare le politiche pubbliche.

Che cosa insegna questa ricerca

Lo studio pubblicato da The Conversation rappresenta un importante passo avanti nella comprensione del consumo di droghe. Gli autori mettono in guardia sui possibili effetti collaterali di politiche troppo mirate a una singola sostanza. La regolamentazione del tabacco, ad esempio, potrebbe avere ripercussioni inaspettate sull’uso di cannabis, accentuando il divario generazionale nel consumo delle due sostanze.

Inoltre, la ricerca apre a riflessioni più ampie: mentre il consumo congiunto di cannabis e tabacco sembra essere un comportamento tipico dei più giovani, l’adozione di cannabis come sostituto del tabacco tra gli over 50 suggerisce una crescente accettazione sociale e culturale della cannabis come alternativa.

Verso un approccio integrato alle politiche sulle droghe

I risultati dello studio pongono una sfida alle autorità di regolamentazione, evidenziando la necessità di politiche integrate che tengano conto delle differenze generazionali. Per ridurre l’uso complessivo di sostanze, sarà fondamentale considerare le interazioni tra diverse droghe e adottare approcci diversificati, basati su dati empirici e studi interdisciplinari.

Con la popolazione australiana che evolve verso una maggiore consapevolezza sui danni delle droghe, lo studio fornisce strumenti preziosi per una governance responsabile e mirata.

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Un mese senza alcol: la sfida del Dry January (che nasce da...

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Giovani bevono birra

Ogni anno, subito dopo che le luci delle festività natalizie si spengono e il caos dei bagordi del cenone di Capodanno lascia spazio a una nuova calma, gennaio si trasforma in una vera e propria sfida. Non parliamo di saldi irresistibili, di diete drastiche o di nuovi abbonamenti in palestra, ma di un’iniziativa che riguarda il bicchiere, un cambio di prospettiva che si tinge di sobrietà. È il Dry January, o “Gennaio Asciutto”, una campagna che invita le persone a prendersi una pausa dall’alcol per un intero mese.

Cos’è che spinge un numero sempre maggiore di persone a dire “no” alla birra dopo il lavoro, al calice di vino durante la cena, o al cocktail del weekend? Non si tratta solo di salute, anche se i benefici fisici sono certamente rilevanti. Piuttosto, il Dry January è un’opportunità di introspezione, un momento per ascoltare il proprio corpo e la propria mente. Un’esperienza di autoconsapevolezza, che non impone un cambiamento permanente ma che offre l’opportunità di fare un test, quasi come un gioco, per scoprire quanto influisce veramente l’alcol sulla nostra vita quotidiana. E i risultati, nonostante la reticenza iniziale di alcuni, spesso riescono a sorprendere anche i più scettici.

Cos’è il Dry January e come è nato

Il Dry January nasce come una campagna di sensibilizzazione sull’abuso di alcol, ideata e promossa dalla benefica organizzazione britannica Alcohol Change UK. Il suo scopo? Invitare tutti a una pausa dal consumo di alcol per tutto il mese di gennaio, con l’intento di stimolare una riflessione sulla relazione che ciascuno ha con l’alcol e sui benefici derivanti dall’astinenza.

Tutto ha inizio nel 2011, quando Emily Robinson, un membro di Alcohol Concern (oggi diventata Alcohol Change UK), decise di smettere di bere per un mese intero in preparazione a una mezza maratona. Durante quel periodo, Emily non solo notò i benefici immediati dell’astinenza, come un miglioramento del benessere generale e un aumento dell’energia, ma si rese anche conto di quanto fosse positivo il distacco dall’alcol, portandola a riflettere sulla propria vita. La sua esperienza scatenò l’interesse di molte persone, che la spinsero a trasformare quella che inizialmente era una sfida personale in una campagna vera e propria. Fu così che nel 2012 Emily lanciò la sua idea a livello internazionale, facendo del 2013 il primo anno ufficiale di Dry January.

Nel 2014, Alcohol Change UK registrò il marchio Dry January, dando ufficialmente vita all’iniziativa come la conosciamo oggi. Da allora, il successo è stato travolgente. Il numero di partecipanti è cresciuto esponenzialmente, passando da 4.000 nel 2013 a ben 215.000 iscritti globalmente nel 2024. E, con il passare degli anni, Dry January è diventato sempre più un’occasione di riflessione collettiva sul consumo di alcol, una vera e propria sfida che coinvolge milioni di persone in tutto il mondo.

I benefici del Dry January

Uno dei motivi principali per cui molte persone si iscrivono al Dry January è la possibilità di sperimentare un miglioramento della salute fisica. Ridurre o eliminare il consumo di alcol può avere effetti davvero sorprendenti sul nostro corpo.

Prendiamo il sonno, ad esempio: l’alcol, pur avendo un iniziale effetto rilassante, disturba profondamente il nostro ciclo del sonno, provocando risvegli notturni e una sensazione generale di stanchezza al mattino. Dopo un mese di astinenza, molti partecipanti notano una qualità del sonno notevolmente migliorata, con notti più tranquille e un risveglio più riposato.

Un altro effetto tangibile riguarda la pelle: l’alcol disidrata, e una pausa di un mese può fare miracoli. Il risultato? Una pelle più luminosa e sana, che recupera il suo naturale equilibrio. Inoltre, il corpo, privo dell’energia necessaria per metabolizzare l’alcol, può concentrarsi su attività più salutari, donando a molti una maggiore energia e vitalità. La mente, non sovraccaricata dai postumi della sera prima, risulta più chiara, consentendo maggiore concentrazione e produttività.

Tuttavia, i benefici non si limitano a questi aspetti fisici. Per molti, il Dry January rappresenta anche un’opportunità per rivedere le proprie abitudini e capire se davvero l’alcol gioca un ruolo così centrale nella loro vita sociale ed emotiva. È un mese dedicato all’ascolto di sé stessi, per esplorare i propri limiti e, magari, per rivalutare la propria relazione con l’alcol.

La spinta economica del Dry January

Dry January non è solo un fenomeno sociale, ma anche un motore per il cambiamento economico. Il mercato delle bevande analcoliche è in costante espansione, con un aumento globale del 34% tra il 2019 e il 2023, secondo un report di Global Market Insights. In Italia, diverse aziende, dai marchi storici alle start-up, stanno investendo in questa crescente tendenza, proponendo sul mercato birre analcoliche, vini senza alcol e cocktail ready-to-drink che offrono esperienze sofisticate senza gli effetti collaterali dell’alcol. La domanda è così forte che molte grandi catene di supermercati stanno ampliando continuamente le loro offerte di prodotti senza alcol, dando sempre più spazio a una “nuova normalità” nel bere.

L’impatto sociale

Ma il successo del Dry January non si misura solo nei numeri. Si tratta di un vero e proprio movimento culturale che ha il potere di stimolare una riflessione collettiva sul consumo di alcol, invitando le persone a mettere in discussione le proprie abitudini e a scoprire nuove modalità per divertirsi, rilassarsi e celebrare. Dry January diventa così l’occasione per riscoprire quanto possa essere bello vivere un mese senza dipendere da un bicchiere. Si scopre che si possono trovare altre forme di piacere, altre modalità per condividere momenti di convivialità, senza la necessità di un brindisi.

Un aspetto che sta guadagnando attenzione negli ultimi anni è l’incremento del consumo di alcol tra i giovani, con preoccupazioni crescenti sulle abitudini nocive come il binge drinking, ovvero il consumo eccessivo di alcol in breve tempo. Secondo un report Istat su dati del 2023, il 15% della popolazione di 11 anni e più consuma alcol in modo rischioso, con una prevalenza maggiore tra gli uomini (10,8%) rispetto alle donne (3,1%). Il binge drinking è particolarmente diffuso tra gli adolescenti (15,7% tra gli 11-17enni) e gli ultra-sessantenni (18,1% tra gli over-64). L’Italia, inoltre, evidenzia una maggiore prevalenza di consumo eccessivo nel Nord, dove il 18,9% della popolazione supera le soglie raccomandate, mentre tra i giovani il binge drinking rappresenta una vera e propria criticità crescente.

Secondo un report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il consumo di alcol è problematico soprattutto tra gli adolescenti. Il 18% degli undicenni ha già sperimentato l’alcol, e la percentuale cresce vertiginosamente con l’età, raggiungendo il 57% dei quindicenni. In questo scenario, Dry January si presenta come un’opportunità di sensibilizzazione per combattere gli effetti negativi di queste abitudini pericolose e promuovere un comportamento più consapevole.

Concludere il mese di gennaio

Arrivati a fine gennaio, molti partecipanti al Dry January si rendono conto che i benefici fisici, mentali ed emotivi che hanno sperimentato non sono solo temporanei. Un mese senza alcol può sembrare lungo, ma i risultati si estendono ben oltre la fine del mese. La maggiore lucidità, l’energia e la sensazione di benessere possono durare molto più a lungo. Non è raro che, una volta giunti a febbraio, qualcuno decida di prolungare questa pausa o addirittura di ridurre permanentemente il proprio consumo di alcol. In effetti, molti scelgono di continuare su questa strada, avendo riscoperto un nuovo equilibrio con il proprio corpo e la propria vita.

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