Emergenza incendi a Los Angeles: autorità dichiarano pericolo per tutti i residenti
Le autorità della Contea di Los Angeles hanno lanciato un avvertimento drammatico: tutti i residenti dell’area sono in pericolo a causa degli incendi che continuano a crescere senza controllo. Il capo dei vigili del fuoco della contea, Anthony C. Marrone, ha dichiarato che al momento gli incendi sono “allo 0% del contenimento”, rendendo la situazione estremamente critica.
Venti forti aggravano la crisi
Secondo il Servizio Meteorologico Nazionale, le condizioni meteo non offrono tregua. I venti forti che stanno interessando la regione continueranno nelle prossime ore, alimentando ulteriormente le fiamme e rendendo ancora più complesso il lavoro delle squadre di soccorso. Questa combinazione di fattori, ha sottolineato Marrone, rappresenta un rischio concreto e immediato per l’intera popolazione della contea.
Intervento delle autorità
Le squadre dei vigili del fuoco sono impegnate 24 ore su 24 nel tentativo di arginare la propagazione degli incendi, ma le condizioni avverse stanno ostacolando ogni sforzo. Le autorità locali stanno coordinando le operazioni di emergenza e monitorando attentamente l’evoluzione della situazione per valutare eventuali evacuazioni di massa.
Raccomandazioni per i cittadini
Nel frattempo, i residenti sono stati invitati a rimanere vigili e a seguire le indicazioni delle autorità. È stato inoltre consigliato di preparare un piano di emergenza familiare, tenere pronte le borse di evacuazione e monitorare costantemente i canali ufficiali per eventuali aggiornamenti.
Una crisi senza precedenti
Questa situazione di emergenza mette in evidenza le sfide crescenti legate alla gestione degli incendi in California, un problema aggravato dal cambiamento climatico e dall’espansione urbana. Gli esperti sottolineano che eventi come questo potrebbero diventare sempre più frequenti, richiedendo un approccio ancora più strategico e coordinato per proteggere vite umane e beni.
Le prossime ore saranno decisive per determinare l’evoluzione di questa crisi, con le squadre di soccorso che continuano a lottare contro le fiamme in condizioni estremamente difficili.
Cronaca
Rissa prima del derby Juventus-Torino, perquisizioni e...
Oltre i 100 supporter che si sono fronteggiati utilizzando anche mazze, bastoni, cinture, coltelli ed artifici esplodenti
Perquisizioni e daspo a poche ore dal derby di ritorno Torino-Juventus. Questa mattina la Polizia di Stato di Torino, con la collaborazione delle Questure di Asti, Novara, Pavia, Savona, Varese e Piacenza, ha eseguito, su delega della Procura della Repubblica di Torino, 23 perquisizioni personali e domiciliari a carico di altrettanti aderenti a gruppi ultras della Juventus e del Torino, indagati per rissa, porto abusivo di oggetti atti ad offendere e travisamento, a seguito della violenta rissa verificatasi nel centro di Torino nella notte antecedente al derby dello scorso 9 novembre, nei pressi della Chiesa della Gran Madre di Dio. Oltre i 100 supporter che si sono fronteggiati utilizzando anche mazze, bastoni, cinture, coltelli ed artifici esplodenti.
Perquisite anche le due sedi dei gruppi ultras “Drughi” e “Primo Novembre 1897” della Juventus, i cui locali sono stati sottoposti anche a specifici controlli amministrativi e di sicurezza da parte del personale della Divisione Polizia Amministrativa e Sociale della Questura di Torino, della Asl e dei Vigili del Fuoco. Nel corso delle operazioni di polizia giudiziaria eseguite dalla Digos, sono stati sequestrati supporti informatici e indumenti utilizzati dai responsabili durante le azioni violente.
Adottati dal Questore di Torino 43 provvedimenti Daspo e avviate le procedure per l’aggravamento di altri 20 provvedimenti interdittivi già emessi, in passato, per analoghe condotte. La Divisione della Polizia Anticrimine della Questura di Torino ha poi emesso altri 10 provvedimenti daspo nei riguardi di tifosi del Torino resisi responsabili di danneggiamenti all’interno del settore ospiti dello stadio sempre in occasione del derby dello scorso 9 novembre.
Cronaca
Domani primo sciopero del 2025, dai trasporti alla scuola...
I treni si fermano per 24 ore, il trasporto locale per 4
Domani 10 gennaio è previsto il primo sciopero del 2025, una giornata che si preannuncia nera. A incrociare le braccia sono i lavoratori del settore dei trasporti e quelli del comparto scuola.
Treni
A rischio innanzitutto i treni. I lavoratori Rfi si fermeranno dalle 21 del 9 gennaio alle 20.59 del 10 gennaio. Saranno assicurati, però, i "servizi minimi di trasporto". "I treni che si trovano in viaggio a sciopero iniziato - ricorda Trenitalia - arrivano comunque alla destinazione finale se è raggiungibile entro un'ora dall'inizio dell'agitazione sindacale; trascorso tale periodo, i treni possono fermarsi in stazioni precedenti la destinazione finale".
Gli altri trasporti
Il trasporto pubblico locale, invece, farà i conti con lo sciopero nazionale di 4 ore (con articolazione oraria a livello territoriale). A Roma per esempio metro, bus e trama sono a rischio dalle 8.30 alle 12.30. A proclamare lo sciopero il sindacato Faisa Confail. L'agitazione, ha comunicato Roma Servizi per la Mobilità, interesserà la rete Atac e le linee periferiche gestite da operatori privati.
Sul fronte del trasporto aereo, nella stessa giornata sciopereranno i lavoratori di handler, della Sea spa e addetti alle pulizie.
Scuola
Per la giornata di domani è previsto anche lo sciopero di tutto il personale docente, educativo e Ata, assunto sia a tempo determinato che indeterminato, proclamato dal CSLE (Confederazione Sindacale Lavoratori Europei). "Si ricorda che detto sciopero è per scuole pubbliche, private e comunali di ogni ordine e grado compresi asili e educatori - si legge sul sito - Abbiamo indetto uno sciopero per i seguenti motivi: Un aumento più oneroso degli stipendi portando i salari allo standard Europeo; Abolizione immediata dell’obbligo verso i Collaboratori scolastici ad effettuare cambio di pannolini e igiene sanitaria su alunni “D.A.”; Predisporre corsi abilitanti per i Collaboratori che vogliono effettuare la mansione in cui si prevede pannolini e igiene sanitaria su alunni “D.A.” e riconoscimento economico suppletivo; Abolizione immediata del decurtamento orario sulle ferie per chi aderisce agli scioperi, in quanto azione anti Costituzionale e anti Democratica; Mancata erogazione di indennizzo per la turnazione codice 1531; Rispetto sulle sostituzioni del personale circolare n°354 del 05/01/2024; Rispetto del rapporto frontale 1 a 7 educatrice/bambini legge regionale n°7/2020 art.35 comma 1".
Cronaca
Caos Procure, giudici: ”Da pm Fava accesso abusivo...
Le motivazioni della sentenza del Tribunale di Perugia, ‘piuttosto che denunciare ha consegnato documenti a Palamara per ‘sensibilizzare’ ambienti a lui favorevoli’
“Se Fava sapeva (e stava già operando verifiche documentali contro Ielo), doveva o segnalare i fatti al capo dell'ufficio o denunciare, e non già accedere a Tiap e stamparsi sentenza e verbali, e soprattutto, tenerseli per sé, quasi (ed anzi senza quasi) a precostituirsi una sorta di dossier”. È quanto scrivono i giudici di Perugia nella sentenza con cui lo scorso 10 luglio hanno condannato l’ex pm di Roma Stefano Rocco Fava a 5 mesi, pena sospesa, per accesso abusivo, assolvendolo invece dalle accuse di abuso d’ufficio “perché il fatto non sussiste” e da quella di concorso in rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio insieme a Luca Palamara “per non aver commesso il fatto”.
Nel processo, che vede come parte civile il magistrato Paolo Ielo, a Fava, all’epoca dei fatti sostituto procuratore nella capitale e ora giudice civile a Latina, viene contestato di essersi "abusivamente introdotto nel sistema informatico Sicp e nel Tiap acquisendo verbali d'udienza e della sentenza di un procedimento". Fatto che secondo i pm Gemma Miliani e Mario Formisano avveniva "per ragioni estranee rispetto a quelle per le quali la facoltà di accesso era attribuita". Il suo obiettivo, secondo l’atto di accusa "era di avviare una campagna mediatica ai danni di Pignatone, da poco cessato dall’incarico di procuratore di Roma e dell'aggiunto Paolo Ielo". Secondo l’accusa Fava avrebbe acquisito atti di procedimenti penali "per far avviare un procedimento disciplinare nei confronti dell'allora procuratore Pignatone" e "effettuare una raccolta di informazioni volta a screditare Ielo, anche attraverso l'apertura di un procedimento penale a Perugia" e quindi "a cagionare agli stessi un danno ingiusto".
“Tra l'altro - si legge nelle 232 pagine di motivazioni- Fava stampa non solo la sentenza, ma parla con Palamara e stampa anche i verbali del procedimento. Ma se voleva accertare se e come aveva concluso Ielo, perché stampare tutti i verbali? Appunto non per denunciare ma per crearsi un dossier. Sul punto - sottolineano i giudici umbri - appare davvero inconsistente, e si commenta da sé, l'argomentazione di Fava di non aver fatto in tempo per denunciare perché chiamato ad interrogatorio dal pm di Perugia (oltre 20 giorni dopo)”.
Per i giudici di Perugia “la scelta processuale di non impugnare una sentenza assolutoria è valutazione tecnico-discrezionale del pm in sé priva dei connotati di una violazione del dovere di imparzialità (a maggior ragione quando neppure la Procura Generale ha ritenuto di dover impugnare). L'incarico all’avvocato Domenico Ielo (fratello del magistrato Paolo Ielo ndr.) veniva conferito a distanza di oltre due anni rispetto alla sentenza assolutoria nei confronti di Bruno Brunella e alla scelta di Paolo lelo di non impugnare, e, tra l'altro, in esito non già ad una decisione di affidamento proveniente dal professor Bruno (a sua volta nominato non ad personam ma in base ad una procedura di sorteggio) bensì ad una valutazione tecnica delle capacità professionali dell’avvocato lelo operata da un organo collegiale, susseguente ad un beauty contest, e pur dopo che la società Condotte aveva rinunciato al concordato preventivo e si era applicata la procedura di cui alla Legge Marzano. In buona sostanza - sottolineano i giudici - Paolo lelo avrebbe dovuto esercitare delle virtù predittive di portata evidentemente divina”.
Inoltre, “la pattuizione di un corrispettivo all'ignaro fratello per una prestazione professionale non riveste, in sé i caratteri dell'utilità illecita dovendosi, appunto, provare il legame sinallagmatico (nel caso di specie neppure ipotizzabile). In sostanza - si legge - non un'ipotesi investigativa, ma un vero e proprio esercizio di fantasia, impensabile non solo per un pm esperto come Stefano Fava, ma anche per uno studente universitario. L'insensatezza della costruzione di una corruzione susseguente in esito alla vicinanza tra il professor Bruno e Amara è, se possibile, ulteriormente asseverata dal fatto che Amara aveva già collaborato con la Procura di Roma e definito gran parte delle sue posizioni per i fatti di corruzione, mentre doveva definire un procedimento per bancarotta e, al momento dell'incarico a Domenico Ielo non era sottoposto ad indagini per la vicenda Napag”.
“Ed infine va ancora una volta rimarcato che Fava, piuttosto che denunciare, ha consegnato documenti a Palamara per ‘sensibilizzare’ ambienti a lui favorevoli - scrivono i giudici di Perugia- Ed infatti, l'attività di accesso avviene in non casuale concomitanza temporale con ripetute, prolungate, comunicazioni con Palamara, del cui astio verso Pignatone e Ielo Fava stesso era, come si è visto, perfettamente consapevole”.
In merito alle assoluzioni dall’accusa di rivelazione contestata a Palamara e Fava di aver rivelato notizie d'ufficio "che sarebbero dovute rimanere segrete", per i giudici perugini “la circostanza che gli imputati avessero accolto favorevolmente la pubblicazione degli articoli di stampa, per motivazioni distinte, in assenza di ulteriori elementi probatori concretamente valorizzabili al fine di ricostruire con ragionevole certezza la dinamica prodromica alla divulgazione delle notizie coperte da segreto investigativo, consente, al più, di ipotizzare condotte di mera connivenza, o di adesione morale all'iniziativa, ma è inidoneo a sostanziare l'ascrizione di responsabilità per il reato contestato”.
“Nella medesima prospettiva, appare verosimile che, come dagli stessi riferito in sede di esame testimoniale, gli autori degli articoli di stampa si siano avvalsi di più canali informativi, collazionando plurimi dati e pervenendo alla redazione dell'articolo mediante giustapposizione di contenuti di conoscenza acquisiti in diverse sedi. Né può ritenersi - si legge nella sentenza - alla luce della dimensione di circolazione delle informazioni pubblicate, che le stesse fossero nella esclusiva disponibilità di Stefano Fava, il quale solo avrebbe potuto veicolarle agli autori degli articoli, direttamente o per il medio di Luca Palamara. La tesi del Csm e degli uffici di Procura romani come reparti a ‘compartimenti stagni’ appare, infatti, alla luce delle considerazioni svolte, un assunto smentito dall'evidenza fattuale. Per completezza va rammentato, sul punto, come il focus della norma si appunti sulle notizie presidiate da segreto investigativo, e l'eventuale comunicazione di dati ulteriori, pur riportati nell'articolo di stampa, da parte degli odierni imputati, non varrebbe comunque a sostanziare un giudizio di penale responsabilità” concludono i giudici di Perugia.