Giorgia Meloni: priorità alla riforma del premierato e alla legge elettorale
Roma – La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha delineato le sue intenzioni per il futuro politico del Paese, sottolineando l’importanza di giungere alle prossime elezioni con una riforma istituzionale chiara e definita. Durante un incontro con i giornalisti, la premier ha espresso la volontà di approvare una riforma del premierato e di introdurre una legge elettorale che sia pienamente coerente con questo nuovo assetto.
“Il mio obiettivo è arrivare alle prossime elezioni con la riforma del premierato approvata e con una legge elettorale tarata su questo modello istituzionale”, ha dichiarato Meloni, evidenziando la centralità di tali misure nell’agenda del governo. La premier ha tuttavia riconosciuto che l’iter di approvazione di una riforma di tale portata rientra nella sfera di competenza del Parlamento e richiede un dibattito ampio e approfondito.
Una questione di tempi e priorità
Meloni ha ammesso che il fattore tempo rappresenta una variabile cruciale. Qualora la riforma del premierato non fosse approvata in tempo utile per le prossime elezioni, si aprirebbe inevitabilmente un confronto sulla validità dell’attuale sistema elettorale. “In quel caso, ci si dovrà interrogare se questa legge elettorale sia effettivamente la migliore per il Paese”, ha precisato.
Le parole della premier riflettono l’intenzione di garantire un quadro normativo chiaro e stabile, in grado di rafforzare l’efficacia e la trasparenza delle istituzioni democratiche. La riforma del premierato, in particolare, rappresenta una delle proposte cardine del governo Meloni per conferire maggiore stabilità all’esecutivo e rendere più immediata la relazione tra cittadini e governo.
Un dibattito tutto parlamentare
Nel corso della conferenza stampa, Meloni ha ribadito che l’approvazione di una riforma così significativa deve necessariamente passare attraverso il confronto parlamentare. “Penso che la questione sia materia di competenza del Parlamento”, ha sottolineato, richiamando l’importanza di un processo decisionale che coinvolga tutte le forze politiche.
Questa apertura al dialogo è un segnale di disponibilità verso un dibattito ampio e condiviso, che tenga conto delle diverse sensibilità politiche presenti in Parlamento. L’eventuale riforma della legge elettorale, d’altra parte, rappresenterebbe un passaggio complementare e strettamente legato all’introduzione del premierato, con l’obiettivo di garantire coerenza tra gli strumenti normativi e il nuovo assetto istituzionale.
Prospettive e scenari futuri
Le dichiarazioni della premier si inseriscono in un contesto di riforme che punta a ridefinire le dinamiche del sistema politico italiano. L’idea del premierato, già al centro del dibattito pubblico, mira a rafforzare la figura del capo del governo, attribuendogli maggiore autonomia e responsabilità. Tuttavia, un simile cambiamento richiede una visione di lungo termine e una solida condivisione politica, considerando le implicazioni di sistema che ne derivano.
L’approccio di Giorgia Meloni sembra orientato a consolidare un percorso di riforme che, se attuato nei tempi previsti, potrebbe rappresentare una svolta significativa per l’assetto istituzionale del Paese. Restano tuttavia incognite legate ai tempi parlamentari e alla capacità di trovare un consenso ampio, elementi determinanti per il successo di questa ambiziosa agenda politica.
Politica
Meloni su Musk: “Peggio Soros”. E torna ipotesi...
"Musk è una persona molto nota e facoltosa che esprime le sue posizioni", ha detto la premier in conferenza stampa
Difende Elon Musk a spada tratta, guarda i rapporti con gli States fiduciosa, sa che con Donald Trump si profila "un rapporto che si annuncia molto solido, non so se dire privilegiato". La premier Giorgia Meloni affronta la tradizionale conferenza di fine anno, ormai fattasi di inizio, forte del risultato portato a casa con la liberazione di Cecilia Sala.
Il ruolo degli Usa
"Non ho provato emozione più grande di quando ho chiamato una madre per dire che sua figlia stava tornando a casa", racconta riavvolgendo il nastro. Il lieto fine "è stata una triangolazione complessa con Iran e Stati Uniti d'America, una questione seguita dall'inizio con costanza, mettendo assieme dei tasselli che hanno composto questo puzzle". Su come si sia arrivati all'epilogo la presidente del Consiglio può dire ben poco, sul destino di Mohammed Abedini Najafabadi, l''uomo dei droni', rimanda "al vaglio tecnico e politico del ministero della Giustizia". Ma è evidente che il blitz in Florida da Trump abbia avuto un ruolo decisivo: per la liberazione della giornalista italiana, anzitutto, ma anche per puntellare un rapporto che potrebbe presto trasformarsi in un sodalizio. Tanto che Meloni, incalzata dai cronisti, non esclude di tornare di nuovo negli States tra 10 giorni appena, quando, il 20 di gennaio, si celebrerà l'Inauguration day e Trump si insedierà nuovamente alla Casa Bianca.
La sua mimica facciale svela molto più delle sue parole quando le chiedono, a più riprese, se non tema il ritorno del tycoon, che ha già seminato il panico con le sue dichiarazioni sulla Groenlandia, su Panama e sul Canada. Trump, spiega, ha un "modo energico per dire che gli Stati Uniti non resteranno a guardare" e invia, alzando la voce, messaggi "ad altri player globali" affinché intendano, dunque la premier esclude che il Presidente americano "tenterà annessioni con la forza". Anche sull'Ucraina Meloni si dice convinta che non arriverà alcun disimpegno da parte degli Usa, anche perché abbandonare Kiev al suo destino "sarebbe un errore", rimarca mentre si appresta a incontrare nelle prossime ore Volodymyr Zelensky.
E sui dazi, altro spauracchio all'orizzonte, "sarebbero un problema - riconosce -, ma non è una novità che le amministrazioni americane pongano la questione dell'avanzo commerciale. Il protezionismo non è un approccio che riguarda solo l'amministrazione di Trump", scandisce ricordando il piano da 400 miliardi di dollari messo in campo da Joe Biden per contrastare l'inflazione, in barba agli interessi europei. Ma è soprattutto il rapporto privilegiato con Elon Musk a tenere banco, a partire dalla vicenda Starlink, di cui, assicura, non ha mai parlato con il tycoon.
Musk? Peggio Soros
Meloni bolla come "false notizie" quelle circolate sulla sigla di un presunto accordo di 1,5 miliardi con la società che fa capo all'uomo più ricco del pianeta. "Valuto gli investimenti stranieri solo con la lente dell'interesse nazionale - puntualizza -, non delle amicizie. Non è mio costume usare il pubblico per fare un favore agli amici". Ma poi mette in chiaro: ''il problema con Space X è che è privato o che è Musk? Perché io non faccio favori agli amici, ma non accetto nemmeno che a persone che hanno buoni rapporti con me venga attaccata una lettera scarlatta...".
Incalzata dai cronisti, Meloni tira in ballo George Soros, il magnate noto anche per aver finanziato partiti di sinistra. "Musk è una persona molto nota e facoltosa che esprime le sue posizioni. Quando mi si dice che è un pericolo per la democrazia io segnalo che non è il primo... di persone note e facoltose che esprimono le loro opinioni ne ho viste parecchie, spesso le esprimono contro di me. Il problema è quando delle persone facoltose utilizzano quelle risorse per finanziare partiti ed esponenti politici per condizionare le scelte politiche. Questo non lo fa Musk, questo lo fa Soros e quando è accaduto si è parlato di filantropi" e "lo considero molto più ingerente di Elon Musk. Quella è una ingerenza seria".
Anche a chi le fa notare il potere che il numero 1 di Tesla sprigiona sulla comunicazione, essendo, tra le altre mille cose, anche il proprietario di X, la premier replica che Musk "consente a tutti di dire qualsiasi cosa sulla sua piattaforma, io invece spesso sono stata bannata" su altri social. Le domande si rincorrono, tornano spesso a pungere sul rapporto con l'uomo domino della campagna elettorale di Trump. Tanto che, quando un giornalista annuncia una domanda sul lavoro, lei ci scherza su: "del lavoro di Musk...", lo interrompe con una battuta, generando sorrisi in platea.
E anche sulla richiesta di Trump di aumentare le spese militari dei Paesi Nato fino al 5% del Pil - che metterebbe in seria difficoltà l'Italia che già arranca per arrivare al 2 - "penso che gli scogli si debbano superare con il dialogo - dice - nello specifico la questione credo sia interna all'Ue, non tanto di rapporto con gli Usa. L'Ue deve individuare strumenti per una difesa competitiva". E le sue ambizioni non devono fermarsi soltanto a questo. Quando si sofferma sulla vicenda Space X, e sulla necessità di criptare alcune comunicazioni sensibili, Meloni fa notare come "Italia e Europa non siano arrivate in tempo su questi temi, per cui l'alternativa" a Starlink "è non avere una protezione. Si tratta di scegliere una soluzione tra due scenari, nessuno dei quali è ottimale'', ammette.
Il passo indietro di Elisabetta Belloni
Tra le domande, arriva anche quella immancabile sul passo indietro di Elisabetta Belloni. Meloni ribadisce la stima e il rispetto "enormi" verso una diplomatica di lungo corso. "Mi pare che sia parecchio ambita anche fuori dai confini nazionali, quindi prevedo che il suo percorso non termini qui", afferma confermando, in parte, i rumors che vedono per Belloni un incarico di alto livello al fianco di Ursula von der Leyen. Al suo posto ai vertici dei Servizi arriverà Vittorio Rizzi, numero due dell'Aisi: già oggi la sua nomina verrà ufficializzata in Consiglio dei ministri, l'annuncio della premier tra lo slalom delle domande.
Politica
Renzi torna all’attacco: “La fase zen è finita,...
Il leader di Iv si racconta alla vigilia dei 50 anni: "Sono felice, il sogno? Trasformare Italia Viva in un polo che attragga i giovani e li porti ad appassionarsi alla politica"
"Sono arrivato a 50 anni, canto, ballo e sono felice. Però la fase zen è finita dopo le assoluzioni: adesso rilancio sulla politica". Lo dice Matteo Renzi a 'Il Venerdì' in un'intervista alla vigilia dei suoi 50 anni che festeggerà l'11 gennaio anche con un'iniziativa pubblica a Firenze per lanciare "un anno scoppiettante contro una destra illiberale" di Giorgia Meloni, definita "incapace e pericolosa" dal leader di Iv.
Se dovesse essere ricordato per una cosa, una soltanto di quelle fatte nei mille giorni a palazzo Chigi, quale sceglierebbe? "Non una cosa ma un sentimento. Si era aperta una stagione di speranza, c’era l’idea che ce la potessimo fare come Paese". E al fondo, secondo lei, perché è finita? "Al fondo? Per i nostri errori, è ovvio. Ma soprattutto per fuoco amico. In quella stagione una parte del gruppo dirigente ex Pci-Pds ha voluto perdere il Paese pur di riprendersi la Ditta". Per Renzi "l’inizio della fine sono le trivelle e l’indagine su Tempa Rossa nel 2016".
Da Italia Viva a Italia Vivaio (di giovani)
Non ha fatto errori? E solo colpa degli altri? "È evidente che ho commesso errori. Ma se penso ai miei 50 anni, a come ci arrivo, mi vengono in mente due parole che una volta mi disse un caro amico che non c’è più: letizia e gratitudine. Sono felice e ho imparato tanto, anche nei momenti in cui ero solo come un cane, soprattutto quando mi hanno diffamato". Un sogno? "È fare di Italia Viva, un partito ucciso in culla dalle indagini Open, un’altra cosa. Trasformarlo sempre di più in 'Italia Vivaio', un polo che attragga i giovani e li porti ad appassionarsi alla politica".
Il centro da costruire
Il mitico centro. Si farà mai? "Il centro è il luogo grazie al quale si vince o si perde la partita. C’è un’opportunità evidente. Meloni con la sua coalizione non è maggioranza nel Paese, è diventata presidente del Consiglio grazie a Enrico Letta che ha voluto dividere la coalizione, e lo resta oggi perché i 5 stelle rifiutano l’alleanza organica".
Il rapporto con il Pd di Schlein
Schlein? "La cosa che più apprezzo di lei è che rifiuta la logica del meglio pochi ma buoni. Quel settarismo della sinistra che è il miglior alleato dell’estremismo della destra. Schlein, che viene da una storia molto diversa dalla mia, ha capito che con quel settarismo lì si perde e lei, invece, vuole vincere".
Politica
“Fasci appesi”, vandalizzato murale dedicato a...
Il murale è stato ripulito da militanti Fdi. La Russa: "Restituita dignità a un luogo simbolo della nostra storia"
E' stato vandalizzato nella notte a Milano il murale dedicato a Sergio Ramelli, lo studente di 19 anni militante del Fronte della Gioventù assassinato nel 1975 durante gli anni di piombo.
“Nella notte è stato vandalizzato con la scritta a spray ‘Fasci appesi’ il murale che da oltre 20 anni ricorda Sergio Ramelli, studente del Fronte della Gioventù ucciso nel 1975 da un commando di Avanguardia Operaia, nel luogo del suo assassinio in via Paladini a Milano”, scrive in una nota il capodelegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo Carlo Fidanza.
“Non è la prima volta che ciò accade nel corso degli anni e anche questa volta questo atto vile si inserisce in una stagione di odio che cerca di riportare in vita quell’antifascismo militante che ha causato troppi lutti ed è stato sepolto dalla storia. Il prossimo 29 aprile sarà il cinquantesimo anniversario della morte di Sergio Ramelli e anche a cinquant’anni di distanza, evidentemente, il suo nome e il suo ricordo fanno ancora paura a chi conosce solo l’odio. Ci auguriamo - conclude - che i responsabili vengano identificati e puniti il prima possibile e che questo importante anniversario non diventi il pretesto per scatenare i peggiori istinti della sinistra antagonista contro la memoria di un giovane innocente”.
Il murale è stato ripulito e ripristinato da militanti Fdi. "Vogliamo ringraziare di cuore i nostri militanti che, con impegno e dedizione, sono intervenuti immediatamente per cancellare lo sfregio vergognoso al murales dedicato a Sergio Ramelli - dichiarano il coordinatore cittadino di Fdi Simone Orlandi e il vice coordinatore Deborah Dell’Acqua - Sergio rappresenta per tutti noi un simbolo di libertà e di lotta contro l’intolleranza e l’odio politico. Sfregiare la sua memoria non è solo un atto vile, ma anche un insulto alla nostra democrazia e ai valori di rispetto e convivenza civile che dovrebbero essere condivisi da tutti".
"Il gesto dei nostri militanti - continuano i vertici locali del partito - dimostra ancora una volta che Fratelli d’Italia è dalla parte della memoria e della giustizia. Continueremo a batterci affinché nessuno possa calpestare la storia e i sacrifici di chi, come Sergio, ha pagato un prezzo altissimo solo per aver espresso il proprio pensiero. Milano non dimentica e noi non arretreremo mai di fronte a chi cerca di dividere con l’odio ciò che dovrebbe unirci".
Ignazio La Russa, presidente del Senato, sui social esprime "un sincero ringraziamento ai ragazzi di Fratelli d’Italia che hanno ripulito il murales, restituendo dignità a un luogo simbolo della nostra storia".
"Lo sfregio al murales di via Paladini a Milano dedicato a Sergio Ramelli, il ragazzo ucciso nel ’75 da militanti di estrema sinistra, è un atto vile che offende non solo la sua memoria, ma anche i valori di rispetto e convivenza che dovrebbero unire tutti", scrive La Russa.
Interviene anche Pierfrancesco Majorino, capogruppo Pd in Regione Lombardia e componente della segreteria nazionale dem: “Ha perfettamente ragione Sala, lo sfregio del murales dedicato a Sergio Ramelli è un gesto orrendo - dichiara - Ramelli è stato vittima di una violenza allucinante e insensata e va ricordato come tale, la sua memoria va assolutamente salvaguardata e rispettata”.