Probabilmente Chiara Ferragni voleva solo dimenticare la storiaccia che ha segnato gli ultimi due anni, ma così non sarà. Oltre agli strascichi legali della vicenda, ci pensa la Treccani che ha inserito tra i neologismi 2024 il termine ‘pandoro-gate’, a dimostrazione di quanto lo scandalo abbia colpito l’Italia intera e sia entrato nella società come simbolo della poca chiarezza della pubblicità on line, specialmente se si intreccia con la beneficenza e il personal branding.
Il pandoro-gate, nella definizione che ne dà l’Enciclopedia, è “lo scandalo legato alla pubblicizzazione e alla vendita di una marca di pandoro”. Ma perché è stato così significativo?
Le tappe principali del pandoro-gate
La vicenda è nota e comincia nel novembre 2022. Ferragni lancia una campagna social in collaborazione con l’azienda Balocco per pubblicizzare un’edizione speciale del classico pandoro, la ‘Pink Christmas’. Un prodotto brandizzato Ferragni – quindi rosa – e venduto al triplo del dolce normale (9,37 euro invece di 3,68). La campagna suggeriva che parte del ricavato che sarebbe andata all’Ospedale Regina Margherita di Torino per sostenere le cure dei bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing, cosa che agli occhi dei consumatori giustificava il prezzo elevato.
In seguito a un’indagine portata avanti dalla giornalista Selvaggia Lucarelli, però, saltò fuori che una donazione da 50mila euro era già stata fatta all’ospedale mesi prima, quindi in modo ‘forfettario’, a prescindere dalle reali vendite del pandoro rosa. Che peraltro si sono assestate su almeno 362.577 pezzi.
Si arriva così, il 15 dicembre 2023, alla multa dell’Antitrust, che ha sanzionato sia l’azienda di Ferragni sia la Balocco S.p.a. per oltre 1 milione di euro e 420 mila euro (rispettivamente) ritenendo che la pratica commerciale messa in atto fosse ingannevole e scorretta.
Le contestazioni, prima da dell’Autorità garante delle comunicazioni (Agcom) e poi delle Procure – la competenza infine è stata assegnata a Milano – riguardavano l’uso di “una pubblicità ingannevole condivisa via social media e web” per pandoro e colomba venduti in edizioni limitate. Già, perché al dolce natalizio del 2022, si è sono poi aggiunte le ‘Uova di Pasqua Chiara Ferragni – sosteniamo i Bambini delle Fate’ (Pasqua 2021 e 2022).
Lo scorso 4 ottobre la Procura di Milano ha chiuso le indagini e accusato Chiara Ferragni e altre tre persone di truffa aggravata e pratica commerciale fatta passare per beneficenza. L’imprenditrice rischia il processo.
Il numero di persone “indotte in errore”, sottolinea la Procura, non è quantificabile, ma “l’ingiusto profitto” per la società con il marchio ‘Dolci Preziosi’ è pari a circa 5,66 milioni (nel 2021) e quasi 7,46 milioni (nel 2022) per un totale di oltre 13 milioni di euro. “Tutti conseguivano, inoltre, – si legge nel provvedimento – profitto non patrimoniale derivante dal ritorno di immagine legato alla prospettata iniziativa benefica“. Nello specifico, Chiara Ferragni avrebbe dunque ingannato i consumatori e ottenuto dalle due campagne un ingiusto profitto di circa 2,2 milioni di euro, oltre che benefici non calcolabili a livello di immagine”.
Con i consumatori il caso si è chiuso a fine dicembre con un accordo tra l’imprenditrice, il Codacons e l’Associazione Utenti Servizi Radiotelevisivi. Risarciti i consumatori che avevano acquistato il pandoro ‘Pink Christmas’ e rimborsate le spese legali sostenute da Codacons e Associazione Utenti Servizi Radiotelevisivi. Inoltre, 200mila euro verranno donati da Ferragni alle donne vittima di violenza.
L’impatto sulla società
Una delle problematiche emerse dal pandoro-gate è stata l’assenza di una regolamentazione chiara che disciplinasse le donazioni di beneficenza. La vicenda ha così portato all’adozione da parte del governo di quello che è stato chiamato ‘decreto-Ferragni’, che impone a influencer e micro-influencer regole più definite per le operazioni di questo tipo, ad esempio l’obbligo di comunicarle prima all’Antitrust.
Quanto alle donazioni, lo scandalo non sembra aver avuto grosse ripercussioni: secondo il rapporto ‘Noi doniamo 2024’ dell’Istituto Italiano della donazione, su 347 organizzazioni non profit solo il 5% ritiene che abbia influito negativamente sulla propria raccolta fondi.
Ma più in generale la storia ha aperto un vaso… di ‘Pandoro’ riguardo all’etica nella pubblicità e ai rischi del personal branding sia per le aziende sia per gli influencer: un tema sensibile e fondamentale nell’epoca dei social media, in cui i consumatori sono sempre più esposti a testimonial che sul web ‘spingono’ prodotti e servizi.
Gli influencer, per i quali la fiducia di cui godono da parte del pubblico è fondamentale, rappresentano oggi uno dei canali più potenti per fare pubblicità. Trasparenza e onestà dovrebbero essere la norma, ma non sempre è così e questo va a danno dei consumatori. Inoltre, quando la fiducia viene tradita, come nel caso del pandoro-gate, i danni reputazionali possono essere devastanti sia per i testimonial che per le aziende coinvolte. A proposito dello scandalo Ferragni, ad esempio, si è anche parlato di social-washing, ovvero del tentativo di migliorare la propria reputazione attraverso iniziative di responsabilità sociale non davvero efficaci o addirittura di facciata, il cui obiettivo è piuttosto un guadagno economico.
L’impatto su Ferragni
Il fattaccio ha avuto grosse ripercussioni sull’immagine dell’imprenditrice. A un anno dallo scoppio dello scandalo e dalla sanzione inflitta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, uno studio di Arcadia – società di comunicazione specializzata in un monitoraggio delle dinamiche online – racconta il crollo dei profili social dell’imprenditrice e di quello che all’epoca era suo marito, Fedez: un’emorragia di follower, calo delle interazioni e un engagement in forte diminuzione. Non solo un problema di ‘vanità’ per i due: numerosi brand e sponsor di lusso nel 2023 e 2024 hanno interrotto le collaborazioni con lei.
Nel dettaglio, Ferragni ha perso 1 milione di follower su Instagram e 100 mila su TikTok; Fedez: 850 mila su Instagram e zero nuove acquisizioni su TikTok. L’engagement, indicatore chiave per la credibilità degli influencer, ha subito una vera e propria disfatta: Ferragni è passata dal 3,2% all’1% su Instagram (-69%) e dal 2,7% allo 0,73% su TikTok (-73%). Fedez ha visto il suo tasso di engagement scendere allo 0,79% su Instagram e allo 0,47% su TikTok.
Il dibattito pubblico è ruotato intorno a parole chiave che indicano cosa abbia ‘bruciato’ di più gli italiani: truffa aggravata e pratica commerciale hanno dominato il discorso online. La narrativa che si è sviluppata nei mesi è stata negativa, spinta anche dall’autogol comunicativo della Ferragni che in un video si è presentata a scusarsi spettinata, vestita modestamente e struccata. Un’operazione che è stata giudicata come ipocrita e come un tentativo di voler ripulire fintamente la propria immagine: l’imprenditrice infatti annunciava anche la devoluzione di 1 milione di euro all’Ospedale Regina Margherita (‘charity-washing’).
Trasparenza ed etica della comunicazione
Come hanno affermato Codacons, Associazione Utenti dei Servizi Radiotelevisivi e Adusbef in occasione dell’accordo con l’imprenditrice, “questa vicenda rappresenta una lezione amara: quando il marketing supera i limiti della trasparenza, le conseguenze possono essere devastanti, non solo per le aziende come Balocco, ma anche per le celebrità che prestano il proprio volto e la propria immagine”.
In sostanza, la morale del pandoro-gate è che il ruolo degli influencer e delle aziende dovrebbe evolvere verso una comunicazione più responsabile. La trasparenza, l’onestà e l’impegno concreto sono diventati elementi imprescindibili: senza un adeguato equilibrio tra marketing e autenticità, il rischio di perdere credibilità è elevato, dimostrando quanto fragile possa essere una reputazione costruita sui social media. E quanto i consumatori debbano stare attenti a quello che si dice sul web.
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Dal trattamento dell’obesità a quello della fertilità, il...
I nuovi farmaci agonisti del recettore del GLP-1 (GLP-1RA) stanno rivoluzionando il trattamento di diabete e obesità. Oltre ai benefici metabolici, recenti segnalazioni hanno evidenziato un curioso effetto collaterale: un aumento del tasso di concepimenti tra le donne in terapia, tanto che sui social media i neonati concepiti durante l’assunzione di questi farmaci sono stati soprannominati “baby Ozempic”. Secondo la Società Italiana di Diabetologia (SID), queste molecole agiscono su un ormone umano naturale, il peptide simile al glucagone 1 (GLP-1), che regola l’appetito e i livelli di zucchero nel sangue.
Peso, fertilità e sistema riproduttivo
Le terapie a base di GLP-1RA (come liraglutide, dulaglutide, semaglutide e tirzepatide) potrebbero influenzare la fertilità in modo indiretto attraverso la perdita di peso o, in alcuni casi, tramite un’azione diretta sul sistema riproduttivo. Gli esperti della SID ipotizzano anche che questi farmaci possano interferire con l’assorbimento dei contraccettivi orali, riducendone l’efficacia e aumentando il rischio di gravidanze non pianificate.
La dottoressa Veronica Resi, coordinatrice del Gruppo di Studio congiunto SID – AMD Diabete e Gravidanza, sottolinea come la perdita di peso abbia effetti positivi sulla fertilità. “Una riduzione del 5% del peso corporeo migliora significativamente la probabilità di concepimento. L’elevato peso pre-gravidico è un predittore di sovrappeso e obesità nei figli, con un impatto intergenerazionale”.
Ovaio policistico e nuove opportunità terapeutiche
Tra le cause di infertilità, la sindrome dell’ovaio policistico è una delle più comuni, interessando circa il 10-12% delle donne. Questa condizione è spesso associata a elevati livelli di insulina, che alterano l’equilibrio ormonale e ostacolano l’ovulazione. Le linee guida 2023 sul trattamento della PCOS includono i farmaci GLP-1RA come opzione terapeutica.
Gli esperti sottolineano che l’uso di questi farmaci può rappresentare un valido supporto pre-concepimento, anche per le donne che ricorrono a tecniche di procreazione medicalmente assistita. Tuttavia, ulteriori ricerche sono necessarie per comprendere appieno i meccanismi attraverso cui queste terapie influenzano la fertilità.
Consigli e precauzioni per la gravidanza
Gli esperti della SID raccomandano di sospendere i farmaci GLP-1RA almeno due mesi prima del concepimento o un mese nel caso della tirzepatide, in linea con le indicazioni dei produttori. Se la gravidanza è già avviata, l’interruzione immediata del trattamento è fondamentale, poiché gli effetti sui feti non sono ancora del tutto noti.
“Il trattamento dell’obesità deve essere affrontato in modo multifattoriale”, spiega la dottoressa Raffaella Buzzetti, presidente della SID. “Un piano che includa counseling nutrizionale e supporto psicologico è essenziale per prevenire il rapido recupero del peso perso dopo la sospensione dei farmaci GLP-1”. Questo aspetto è cruciale non solo per la salute materna, ma anche per il benessere del nascituro. “Numerosi studi infatti hanno sottolineato che dopo la sospensione dei trattamenti con GLP-1 si può verificare un recupero del peso, un rischio da contenere per i potenziali effetti negativi su mamma e bambino. Sono quindi necessarie discussioni aperte sul desiderio di maternità nelle pazienti in età fertile obese valutando il progetto a 3-5 anni, fertilità e contraccezione devono essere argomenti da considerare attentamente negli studi medici insieme all’informazione che un minore Bmi materno è associato ad una migliore salute dei figli”, conclude Buzzetti.
Un eccesso di peso durante la gravidanza può aumentare il rischio di complicazioni come diabete gestazionale, ipertensione e necessità di parto cesareo. Sebbene i difetti congeniti nei neonati siano meno preoccupanti, la salute metabolica della madre ha un impatto diretto sulla prole. Un indice di massa corporea (BMI) più basso è infatti associato a una migliore salute nei figli.
Le evidenze attuali aprono nuove prospettive per il trattamento combinato di obesità, diabete e fertilità. Tuttavia, la scelta terapeutica deve essere attentamente personalizzata, considerando non solo gli obiettivi di salute a breve termine, ma anche i progetti di vita delle pazienti. La discussione sul desiderio di maternità, insieme alla pianificazione di strategie contraccettive efficaci, dovrebbe diventare parte integrante della consulenza medica per le donne in età fertile.
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Nasce nella sala parto 6, riposa nel letto 6 della stanza...
“È un angioletto, non un diavolo. Dopo il biberon si addormenta e non ci ha mai fatto passare una notte insonne”. Una frase che lascerebbe indifferenti, se non fosse che il bambino in questione si chiama Lucifero (Lucifer). A scegliere questo nome è stata una coppia della piccola cittadina del North Yorkshire, ma alla base non c’è l’adorazione per Satana.
Perché hanno chiamato il figlio Lucifero
Stefan, 27 anni, e Jess, 25 anni, hanno scelto il nome “Lucifer” pensando al significato etimologico di “portatore di luce”, dal latino lux-lucis (luce) + ferre (portare). A ispirarli, come hanno dichiarato, è stata la celebre serie TV Netflix Lucifer, dove il protagonista, interpretato da Tom Ellis, dà vita a una versione carismatica e ironica della figura diabolica.
A rendere tutto più intrigante (o inquietante, a seconda dei punti di vista) ci ha pensato anche una coincidenza numerica curiosa: il bimbo è nato nella sala parto numero 6, prima di essere trasferito nel letto 6 della stanza 6 all’interno del reparto di Ostetricia (formando 666, ovvero il ‘numero del diavolo’). La coppia assicura di aver scelto il nome già prima di questa coincidenza: “Abbiamo deciso questo nome appena abbiamo scoperto che stavamo aspettando un bambino,” ha dichiarato Stefan.
E, come a voler sfatare ogni stereotipo negativo legato al nome, i genitori hanno descritto Lucifer come il bambino più tranquillo che si possa immaginare: “È un angioletto, non un diavolo. Dopo il biberon si addormenta e non ci ha mai fatto passare una notte insonne”.
Le critiche della comunità
L’annuncio del nome, reso pubblico nel contesto della tradizionale rassegna di fine anno sui neonati, ha suscitato una pioggia di reazioni sui social media. Molte critiche sono arrivate dalle generazioni più anziane, che hanno sollevato dubbi sull’impatto di questo nome sul futuro del bambino: “Che succederà quando andrà a scuola? Come affronterà il giudizio degli altri?”.
Non meno contestata è stata la decisione di chiamare il piccolo Gery come secondo nome, in onore dello zio defunto della madre.
La madre, rispondendo alle critiche, ha sottolineato che il Regno Unito non pone limiti sui nomi, se non per parole volgari o inappropriate: “Ci è stato suggerito di chiamarlo Romeo, visto che sua sorella si chiama Giulietta. Ma sarebbe stato molto peggio di Lucifero”.
Un precedente simbolico e il dibattito sulle scelte dei nomi
L’episodio riapre una riflessione sui diritti dei genitori nella scelta dei nomi per i propri figli e sull’equilibrio tra libertà personale e conseguenze culturali o sociali. Nel Regno Unito, a differenza di altri Paesi, non esistono regolamentazioni stringenti in materia. In Francia, ad esempio, le autorità possono intervenire se un nome viene considerato lesivo per il benessere del minore, così come in Italia.
Sarebbe legale in Italia?
In Italia, chiamare un bambino “Lucifero” sarebbe illegale. La legge italiana vieta l’assegnazione di nomi che possano arrecare pregiudizio morale o che siano ridicoli, vergognosi o offensivi. Nomi come Lucifero e Satana rientrano in questa categoria, poiché possono essere associati a connotazioni negative legate alla religione e alla cultura. Allo stesso modo, chiaramente, non si può chiamare il proprio figlio “Dio”, “Gesù” o simili.
Secondo il Decreto del Presidente della Repubblica 396/2000, i nomi devono rispettare specifiche regole per garantire la dignità del bambino. I nomi che possono causare imbarazzo o derisione sono esplicitamente vietati. Una questione simile è stata sollevata nel nostro Paese in occasione del ragazzo di origini ghanesi chiamato “Silvio Berlusconi Boahene”, in onore del Cavaliere. Se nel caso del ragazzo di origini ghanesi nato a Modena la scelta è lecita, non sarebbe stato lo stesso per “Lucifero”.
Non c’è un elenco completo dei nomi vietati, ma delle regole che stabiliscono quali sono i nomi vietati in Italia:
- Nomi dei genitori o dei fratelli, anche se preceduti da junior, come spesso accade oltremanica;
- Nomi ridicoli o che possano provocare senso di vergogna al figlio;
- Nomi di personaggi storici controversi come “Benito”, “Adolf” e “Osama” (in riferimento a Mussolini, Hilter e Bin Laden);
- Nomi “controversi” provenienti dalla letteratura come “Bestia”, “Biancaneve” o “Dracula”;
- Nomi che incitino all’odio o alla violenza, per esempio “Satana”;
- Nomi di oggetti o marchi commerciali: a nessuno venga mai in mente di chiamare il proprio figlio “Samsung”, “Macchina” o “Danone”!
- Ai bambini di cittadinanza italiana non può essere dato un nome scritto con lettere di un altro alfabeto (per esempio cinese, giapponese o cirillico);
Pertanto, sebbene ci siano stati casi di battaglie legali per registrare nomi controversi, la scelta di chiamare un bambino Lucifero non sarebbe generalmente accettata dalle autorità italiane.
Intanto, la giovane coppia inglese rassicura sulla bontà delle proprie intenzioni: “Abbiamo persino contattato un prete per battezzarlo!”
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Addio filtri bellezza di Meta, quali effetti per la salute...
Addio ai cosiddetti “filtri bellezza” di Instagram, che saranno dismessi da domani 14 gennaio. Più precisamente, a finire sarà l’era degli effetti creati dall’esterno: Mark Zuckerberg ha infatti annunciato l’eliminazione della piattaforma Meta Spark, che consentiva la creazione di filtri di terze parti. Da domani, su Instagram e Facebook resteranno disponibili solo i filtri (effetti) proprietari di Meta, mentre gli effetti sviluppati autonomamente da creatori Ar e aziende non saranno più utilizzabili.
L’azienda ha annunciato di voler concentrare le risorse su progetti più ambiziosi, come il metaverso e dispositivi di realtà aumentata indossabili. “Meta è ancora impegnata negli investimenti a lungo termine destinati a nuove piattaforme di calcolo che ci porteranno oltre le esperienze 2D attuali sui dispositivi mobili. Con la decisione di chiudere la piattaforma Meta Spark, stiamo anche spostando risorse verso la prossima generazione di esperienze, attraverso nuovi formati come gli occhiali”, specifica l’azienda di Mark Zuckerberg che in questi giorni ha anche annunciato la fine del programma di fact checking.
Meta abbandona i beauty filter sia per promuovere un utilizzo più consapevole dei social media, sia per utilizzare maggiori risorse finanziarie su altri settori, a partire dall’Ai.
La fine dei filtri: impatti sui creator e sul mercato
Meta Spark era stato lanciato nel 2017, quando la realtà aumentata iniziava a guadagnare popolarità come strumento di comunicazione e branding. La piattaforma ha permesso a creativi, brand e sviluppatori di realizzare filtri personalizzati per milioni di utenti, ma domani questo sistema cesserà di esistere. Nelle Faq di Meta Spark, l’azienda specifica che qualsiasi campagna che utilizzi i filtri di terze parti sarà impattata se dura oltre il 14 gennaio, anche se è stata lanciata prima di questa data.
Chi ci perderà di più?
- Creator indipendenti: Meta Spark ha rappresentato per molti artisti e tecnici digitali un’occasione di guadagno e visibilità. La possibilità di collaborare con brand e influencer globali ha permesso loro di entrare in un settore in rapida crescita. Con la chiusura della piattaforma, questa opportunità svanisce, riducendo la possibilità di monetizzare la creatività digitale;
- Aziende e brand: i filtri Ar sono diventati uno strumento fondamentale per il marketing. Hanno aiutato i brand a creare campagne interattive, ingaggiando direttamente gli utenti. La rimozione dei filtri indipendenti limita l’innovazione nel settore e riduce l’offerta di esperienze personalizzate per il consumatore;
- Utenti: per chi ama utilizzare i filtri sui social, la scelta di Meta potrebbe significare una riduzione nella varietà di contenuti disponibili, sebbene i filtri proprietari dell’azienda rimangano. Gli effetti sulla salute, come vedremo, potrebbero essere positivi anche se bisognerà valutare l’impatto dei nuovi strumenti spinti dall’azienda.
Quali filtri restano
Non tutti i filtri saranno disattivati. “Stiamo mantenendo solo gli effetti di prima parte, che sono costruiti e mantenuti da Meta. Poiché stiamo chiudendo Meta Spark Studio, Meta Spark Player e Meta Spark Hub, le terze parti non saranno più in grado di creare effetti”, si legge sul sito. Ma quali sono le differenze?
Filtri di prima parte:
- Proprietà e gestione: i filtri di prima parte sono sviluppati e mantenuti da Meta stessa. Questo significa che l’azienda ha il controllo totale su come vengono progettati, utilizzati e aggiornati;
- Integrazione: questi filtri sono progettati per integrarsi perfettamente con le piattaforme di Meta, come Facebook, Instagram e Messenger. Ciò consente un’esperienza utente più fluida e coerente;
- Sicurezza e privacy: essendo sotto il controllo diretto di Meta, i filtri di prima parte possono rispettare meglio le normative sulla privacy e garantire una maggiore sicurezza dei dati degli utenti.
Filtri di terze parti:
- Proprietà esterna: i filtri di terze parti sono creati da sviluppatori esterni o aziende che non sono direttamente collegati a Meta. Questo porta a una varietà di stili e funzionalità, ma anche a potenziali problemi di compatibilità;
- Controllo della qualità: poiché non sono gestiti direttamente da Meta, la qualità e la sicurezza dei filtri di terze parti possono variare. Ciò può comportare rischi per la privacy degli utenti e per l’integrità delle piattaforme.
Gli effetti dei filtri bellezza sui giovani
I filtri estetici, che modificano l’aspetto fisico rendendo la pelle perfetta o cambiando tratti somatici, hanno contribuito a un fenomeno noto come dismorfofobia corporea digitale.
Cosa dicono i dati?
- Una ricerca del Wall Street Journal ha mostrato che il 33% degli adolescenti che utilizza Instagram soffre di disagio legato all’immagine corporea, aggravato dall’uso massiccio di filtri estetici;
- Il 90% delle adolescenti intervistate dalla City University of London ha ammesso di modificare le proprie immagini per conformarsi a standard estetici irrealistici;
- Il Pew Research Center ha rilevato che il 59% degli adolescenti ha subito cyberbullismo, spesso alimentato dal confronto con immagini filtrate.
Secondo psicologi ed esperti, l’uso prolungato dei filtri può influire negativamente sull’autostima, portando a livelli più elevati di ansia e depressione. Sebbene la decisione di Meta non elimini completamente i filtri estetici, potrebbe ridurre la loro proliferazione incontrollata.
Un trend globale: da TikTok all’Unione Europea
Meta non è la prima piattaforma a intervenire sull’uso dei filtri. TikTok ha già introdotto restrizioni sull’accesso ai filtri di bellezza per i minori, riconoscendo i rischi che questi strumenti rappresentano per la salute mentale. La piattaforma cinese è monitorata a vario titolo dall’Unione Europea che, attraverso il Digital Services Act, ha avviato un monitoraggio delle piattaforme per valutare l’impatto delle tecnologie digitali sulla società, inclusi strumenti come i filtri Ar. Su TikTok, le restrizioni ai filtri saranno comunque meno rigide di quelle annunciate da Meta.
Meta e il futuro della realtà aumentata
Nonostante la chiusura di Meta Spark, l’azienda non abbandona la realtà aumentata. Al contrario, sta riorientando i propri investimenti verso progetti più ambiziosi, come i visori per realtà aumentata e virtuale e le lenti intelligenti. Secondo il comunicato ufficiale, Meta mira a sviluppare nuove forme di interazione sociale che vadano oltre i tradizionali strumenti bidimensionali.
Annunciando la fine dei filtri bellezza, la società ha ringraziato i creators per quanto fatto dal 2007 ad oggi: “Siamo profondamente grati alla comunità di creator, aziende e stakeholder che hanno esteso la portata dell’AR a centinaia di milioni di persone sulle piattaforme Meta”, si legge sul sito.
Sebbene l’eliminazione dei “filtri bellezza” sia una nota positiva per la salute mentale degli utenti, per alcuni osservatori la transizione annunciata da Meta rischia di escludere i piccoli creator e di centralizzare ulteriormente il controllo della tecnologia Ar, sottraendolo a una comunità creativa che l’ha alimentata fino ad oggi. Intanto Meta ha annunciato investimenti tra i 35 e i 40 miliardi di dollari per il potenziamento di strumenti di Ai, spingendo gli utenti verso soluzioni di realtà aumentata interamente realizzate dall’azienda.