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Espansione dell’Universo: tra vuoti cosmici e nuove ipotesi, un viaggio dentro la nostra “tela di ragno” cosmica

Forse è capitato anche a voi di perdere lo sguardo in quelle fotografie di galassie lontanissime, con quelle spirali che sembrano quasi danzare su uno sfondo di stelle immobili. Da parte nostra, ogni volta che ci ritroviamo a studiare l’Universo, ci prende un certo senso di piccolezza, come se tutto intorno risuonasse un’eco di domande non ancora svelate.

Eppure, tra i tanti enigmi galleggianti nel cosmo, ce n’è uno che ci incuriosisce in maniera particolare: perché l’Universo si sta espandendo a velocità accelerata? Fino a non troppo tempo fa, molti di noi si erano abituati a puntare il dito verso la cosiddetta “energia oscura” e a darle la colpa di questa corsa infinita.

Ma adesso, un gruppo di ricercatori dell’Università di Canterbury, in Nuova Zelanda, ha messo in pista un’idea diversa, un modello alternativo che punterebbe tutto su enormi zone vuote di materia e su come possano influenzare lo scorrere del tempo. Vi sembra un po’ strano? Sì, lo è e probabilmente questo fa parte del suo fascino.

Il brivido di nuove prospettive

Se lo chiedete a chi studia il cielo notte dopo notte, vi dirà che la curiosità guida ogni scoperta. In questo caso, la curiosità ha spinto alcuni cosmologi a ridiscutere l’ipotesi più battuta: quella che assegna all’energia oscura il ruolo di “forza” responsabile dell’accelerazione cosmica. Tutto è nato quando si è cominciato ad analizzare con ancora maggiore attenzione la distribuzione della materia nell’Universo. Non è tutto bello lineare e omogeneo, come tante volte era stato immaginato nelle semplificazioni. Al contrario, la materia si organizza in strutture a filamenti – un fitto reticolo, quasi una tela di ragno.

Dentro questa rete immensa, ci sono regioni in cui la materia è densa (i filamenti e i nodi, dove si raggruppano interi ammassi di galassie) e altre zone, i vuoti, dove sembra non esserci praticamente nulla. Ed è proprio su questi spazi desolati e misteriosi che si è concentrata l’attenzione degli studiosi neozelandesi.

La teoria classica: Lambda e l’energia oscura

Per arrivare a comprendere cosa offra di nuovo la ricerca, conviene fare un passo indietro e guardare brevemente alla storia di questo racconto cosmico. Da più di due decenni, uno dei modelli più citati per spiegare l’espansione accelerata è il cosiddetto Lambda Cold Dark Matter (spesso abbreviato in Λ-CDM).

In termini molto semplificati, prevede l’introduzione di una costante cosmologica (la “Lambda”) nelle equazioni di Einstein. Questa costante viene associata a una forma di energia, denominata “oscura” perché nessuno l’ha ancora identificata in modo tangibile, e a cui si attribuisce una forza di repulsione capace di far “allontanare” galassie e ammassi uno dall’altro a ritmi sempre più alti.

Il modello, lo ammettiamo, ha retto per parecchio e continua a essere considerato un vero pilastro. Ma ha anche un tallone d’Achille: dà per scontato che su vasta scala la materia si distribuisca in modo pressoché uniforme. A volte semplifichiamo così tanto la faccenda da dimenticarci che l’Universo reale è una trama intricatissima, con enormi “buchi” in mezzo a lunghi corridoi di galassie. Ed ecco che l’idea di una distribuzione così disomogenea può cambiare la storia.

Un Universo fatto di strade e vicoli deserti

Proviamo a dipingere un’immagine: pensate a un insieme di viali affollati e poco più in là, una serie di viuzze silenziose dove non gira quasi nessuno. Se un ipotetico viaggiatore dovesse attraversare entrambe le zone, si muoverebbe con velocità diverse: rallenterebbe nelle strade gremite di folla e si sentirebbe libero di correre in quelle deserte.

Ecco, all’interno dell’Universo, la massa e l’energia non sono ovunque uguali e secondo la Relatività Generale (che fa da base teorica) questo influenza lo scorrere del tempo e la percezione dell’espansione. Il modello di cui parliamo, chiamato timescape, ipotizza che in presenza di grandi vuoti cosmici il tempo scorra diversamente rispetto a quanto accade lungo i filamenti ricchi di materia.

Questi immensi buchi – regioni con diametri di miliardi di anni luce – sarebbero il “luogo” in cui il tempo accelera. Sembra quasi un paradosso: meno massa, più velocità di scorrimento temporale. L’Universo che osserviamo, di conseguenza, potrebbe mostrarci galassie che sembrano fuggire a un ritmo più elevato perché “sentono” un andamento del tempo diverso rispetto a quello che si verifica nelle regioni piene di ammassi.

Le supernove come candele-guida

Per testare questa teoria, il team dell’Università di Canterbury ha puntato sugli strumenti di misura più fidati quando si tratta di spazi cosmici immensi: le Supernove di tipo Ia. Questi eventi, che segnano la fine di alcune stelle in modo spettacolare, producono una luminosità massima estremamente costante, tanto da venire considerate un po’ come candele standard dell’Universo.

Se si sa con grande precisione quanta luce emanano, poi si può calcolare la distanza basandosi su quanta di quella luce effettivamente ci arriva. Analizzando i dati di 1536 Supernove Ia, i ricercatori hanno comparato i risultati previsti dal modello timescape con quelli del Lambda Cold Dark Matter. E dalle loro analisi parrebbe proprio che il timescape descriva meglio le osservazioni, se si abbandona l’idea di una distribuzione omogenea della materia.

Il professor David Wiltshire, a capo di questa indagine, ha sottolineato come i risultati possano aprire scenari nuovi, spingendoci a rivedere il concetto stesso di energia oscura. Secondo lui, non servirebbe più alcuna “forza repulsiva” esterna: basterebbe reinterpretare le variazioni dell’energia cinetica dell’espansione in un Universo tutt’altro che regolare.

Un tuffo nel futuro: la mappa di Euclid

Naturalmente, chi studia il cosmo sa che un singolo modello alternativo non basta a scardinare teorie consolidate da anni di conferme, per quanto frutto di approssimazioni. Per sostenere definitivamente l’ipotesi dei vuoti cosmici come motori dell’espansione, ci vorranno altre conferme e soprattutto, una mole di dati molto più dettagliata.

Sai, Euclid non è solo un telescopio. È quasi come un pittore che si prepara a dipingere il quadro più grande e complesso che tu possa immaginare. Questo gioiello dell’ESA, da novembre 2023, sta scandagliando il cielo, pezzo per pezzo, per creare qualcosa di mai visto: una mappa 3D dell’Universo. Un miliardo di galassie. Fermati un secondo e pensa alla vastità di questa cifra. Non è roba da poco, vero?

Se tutto va bene, Euclid ci aiuterà a mettere ordine in quel caos meraviglioso che è l’Universo. Perché il cosmo non è un luogo ordinato, no. È un intreccio pazzesco di filamenti luminosi e spazi vuoti. Un mosaico che fa impazzire gli scienziati ma che con la giusta chiave potrebbe svelare i segreti dell’accelerazione cosmica. Vuoti immensi dove il tempo sembra scorrere più veloce, come un fiume che si ingrossa d’improvviso. Filamenti dove la materia si ammassa e rallenta tutto. È poesia cosmica, non trovi?

E allora, con Euclid, potremmo finalmente vedere questo disegno, capire se davvero l’espansione dell’Universo dipende da questa danza intricata tra vuoti e materia. Un po’ come decifrare un antico spartito musicale dove ogni nota, ogni pausa, ogni spazio bianco ha un suo senso profondo. Emozionante, no? Ciò che fino a ieri era un mistero potrebbe presto prendere forma sotto i nostri occhi.

In bilico tra certezze e dubbi

Sia chiaro: l’energia oscura non è stata “smantellata” dall’oggi al domani. Non sarebbe nemmeno serio affermarlo. Piuttosto, ci troviamo davanti a un confronto tra due possibili interpretazioni di un medesimo fenomeno. Una, quella classica, presume l’esistenza di una forza non ancora compresa e la include in una costante cosmologica. L’altra, un po’ più rivoluzionaria, ridisegna l’Universo con i suoi vuoti sconfinati e suggerisce che lo scorrere del tempo sia tutt’altro che uniforme, generando ciò che appare come un’accelerazione.

A volte, nella ricerca scientifica, si scopre che il mistero va ben oltre la più audace delle ipotesi. Ciò che conta è continuare a esplorare, raccogliendo prove concrete e confrontando i modelli con nuovi dati, un tassello alla volta.

Uno sguardo finale: la meraviglia del dubbio

Da parte nostra, siamo rimasti affascinati da questa chiave di lettura. È un po’ come quando si cambia prospettiva di colpo e ciò che prima appariva scontato diventa tutto da riconsiderare. Pensare che quei grandi vuoti cosmici possano essere la causa dell’accelerazione, semplicemente perché il tempo si dilata o si restringe a seconda della massa, ci fa sentire la relatività di Einstein più vicina che mai, come se fosse un filo che tesse ogni aspetto della realtà.

È vero, la caccia all’energia oscura ha ancora il suo grande esercito di sostenitori. Ma d’altra parte è proprio così che la scienza avanza: attraverso un continuo scontro e incontro di idee. Si sollevano dubbi, si analizzano dati, si propongono nuovi modi di interpretare l’Universo. In ogni caso, non cambia la meraviglia che proviamo quando osserviamo le profondità dello spazio, perché, in fondo, restiamo pur sempre dei viaggiatori curiosi in cerca di risposte.

Finché Euclid e altri strumenti di prossima generazione non avranno riempito i nostri archivi di immagini e misure dettagliate, potremo soltanto congetturare. Da un lato, c’è la confermata efficienza del modello Λ-CDM, dall’altro, la prospettiva suggestiva del timescape che fa leva su relatività ed eterogeneità cosmica. In mezzo, uno spazio (non troppo vuoto) di ipotesi, controprove, revisioni. E noi, a osservarlo.

Nel frattempo, il cosmo continuerà ad allontanarsi da sé stesso, dilatandosi su scale che ci è difficile perfino immaginare. Non è affascinante pensare che, forse, quel mistero che chiamiamo “espansione accelerata” potrebbe non richiedere entità oscure, ma soltanto una diversa lettura di come la materia e il tempo interagiscono negli spazi deserti? Che sia giusto o sbagliato, a noi piace l’idea di un Universo che ci regala ancora sorprese. Non dà tutto per scontato, non ci consegna la soluzione in un’unica formula e ci sfida a guardare oltre.

E così, con lo sguardo rivolto al prossimo viaggio di Euclid, restiamo qui a interrogarci, a domandarci chi vincerà questa “partita” fra energia oscura e vuoti cosmici. Forse presto avremo nuove risposte. Oppure, come spesso accade, scopriremo di non aver nemmeno iniziato a porre le domande giuste. Ma non è questo, in fondo, il bello di una ricerca senza fine? Nel frattempo vi saluto con un sorriso, lasciando la palla alla curiosità e ai futuri dati. In fondo, è proprio il desiderio di capire che ci ha portati fin qui. E di certo continuerà a guidarci, un pezzo di cielo alla volta.

Animato da un’indomabile passione per il giornalismo, Junior ha trasceso il semplice ruolo di giornalista per intraprendere l’avventura di fondare la sua propria testata, Sbircia la Notizia Magazine, nel 2020. Oltre ad essere l’editore, riveste anche il ruolo cruciale di direttore responsabile, incarnando una visione editoriale innovativa e guidando una squadra di talenti verso il vertice del giornalismo. La sua capacità di indirizzare il dibattito pubblico e di influenzare l’opinione è un testamento alla sua leadership e al suo acume nel campo dei media.

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Attualità

Ottavia Piana: una storia di coraggio e resistenza nelle...

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Cosa spinge una persona ad avventurarsi nelle viscere della terra, affrontando freddo, oscurità e pericoli senza fine? Ottavia Piana, 32 anni, ce lo ha dimostrato con la sua incredibile vicenda. Una storia che ha tenuto l’Italia col fiato sospeso per 75 ore, tra speranza e angoscia, e che si è conclusa con un lieto fine nella notte del 18 dicembre 2024.

L’incidente: un attimo, e tutto cambia

Era la sera del 14 dicembre. Ottavia, speleologa esperta, si trovava insieme a un gruppo di colleghi all’interno dell’Abisso Bueno Fonteno, una delle grotte più temibili del territorio bergamasco. Il suo nome non è scelto a caso: cunicoli stretti, umidità opprimente, temperature intorno ai 4°C. Un mondo ostile, dove ogni passo va calcolato. Eppure, anche i più esperti possono inciampare. Una caduta di cinque metri. Cinque metri che l’hanno bloccata, ferita e immobilizzata in uno dei passaggi più angusti della grotta.

Lesioni alle vertebre, fratture al ginocchio e alle costole, ferite al volto. Un quadro clinico che avrebbe piegato chiunque. Ma non Ottavia. La sua capacità di mantenere la calma e collaborare con i soccorritori è stata fondamentale.

Appena è partito l’allarme, si è acceso qualcosa di incredibile. Centocinquantanove persone – tecnici, speleologi, gente che conosce la montagna e la rispetta – hanno lasciato tutto e sono arrivate lì. Da tredici regioni diverse. Hanno unito le loro mani, i loro strumenti, i loro pensieri. Ogni gesto sembrava un pezzo di un disegno più grande, un incastro perfetto fatto di sudore, concentrazione e cuore. Spiegarlo è complicato: era come vedere un gigantesco ingranaggio in moto, con ogni singolo pezzo che si muove per salvare una vita. Corde che si tendono, voci che si incrociano nel buio. Ogni respiro pesava. Ogni secondo contava. E lì, in mezzo a tutto, non era questione di sola tecnica. Era passione. Quella che ti fa andare avanti anche quando sei stanco, freddo, esausto.

Le operazioni sono iniziate alla mezzanotte del 15 dicembre. Ogni singolo movimento è stato studiato al millimetro. Ottavia è stata assistita da medici specializzati direttamente sul posto. Antidolorifici, trattamenti per evitare complicazioni e soprattutto tanta umanità. Perché in quei cunicoli non si tratta semplicemente di procedure tecniche: ci sono persone, con le loro paure e la loro determinazione.

Immaginate una barella che deve essere sollevata e calata per oltre 100 metri verticali, tra passaggi strettissimi e rocce scivolose. Ogni movimento richiedeva un’attenzione maniacale. Eppure, nonostante le difficoltà, il lavoro di squadra ha fatto la differenza.

La risalita: il momento che tutti aspettavano

Sono le 2:59 del 18 dicembre. Un applauso esplode nell’oscurità. Ottavia emerge finalmente dalla grotta, visibilmente provata ma lucida. I soccorritori, molti dei quali non avevano dormito per giorni, la accolgono con lacrime di gioia.

Trasportata immediatamente in elicottero all’ospedale di Bergamo, ora è sotto osservazione. Le sue condizioni sono stabili, ma la strada verso la piena guarigione sarà lunga. Eppure, conoscendo il suo spirito, c’è da scommettere che ce la farà.

Quello del 2024 non è il primo incidente per Ottavia nell’Abisso Bueno Fonteno. Nel luglio del 2023, una frattura alla gamba l’aveva già bloccata per oltre 40 ore nello stesso sistema di grotte. Anche allora, un’operazione di soccorso aveva permesso di salvarla. Una coincidenza? Forse. Ma è chiaro che questo luogo ha un legame profondo con lei, un misto di sfida e attrazione.

I costi delle operazioni: un dibattito sempre acceso

Ogni grande impresa porta con sé delle domande. Chi paga per tutto questo? Le operazioni di soccorso in grotta, si sa, sono complesse e costose. Alcuni hanno sollevato critiche, chiedendosi se i contribuenti debbano farsi carico di tali spese. Ma Sergio Orsini, presidente della Società Speleologica Italiana, ha chiarito: gli speleologi come Ottavia sono coperti da assicurazioni specifiche, finanziate attraverso le loro polizze. I costi non gravano sulla collettività. Una risposta che dovrebbe mettere a tacere le polemiche ma che non sempre riesce a convincere tutti.

La riflessione: perché rischiare?

Le grotte non sono per tutti”, ha commentato Mario Tozzi, noto geologo. E come dargli torto? L’esplorazione speleologica è un mondo a parte. Fascino, certo, ma anche rischio. Chi si avventura in questi luoghi deve essere consapevole dei propri limiti.

Ma c’è qualcosa di più. Qualcosa che va oltre il pericolo. L’esplorazione è una spinta primordiale, un bisogno di andare oltre, di scoprire ciò che è nascosto. E Ottavia è l’incarnazione di questa passione.

Questa è una di quelle storie che ti prendono lo stomaco e lo stringono forte. Ti fanno riflettere su cosa significhi davvero coraggio. Ottavia e i soccorritori che hanno rischiato tutto per salvarla non sono eroi da film, no. Sono persone, vere, con paure, con dubbi, con un’incredibile forza di volontà. In quei cunicoli neri come la pece, dove ogni suono rimbalza e ti ricorda quanto sei piccolo, non si è trattato solo di paura. C’è stato qualcosa di più grande, più potente: un legame. Una di quelle connessioni umane che nascono quando tutto sembra perduto e invece trovi la mano di qualcuno che ti tiene stretto.

Non avrei potuto farcela senza di loro”, ha dichiarato Ottavia dal letto d’ospedale. Una frase semplice ma che dice tutto.

Il futuro: una lezione per tutti

Quello che è successo nell’Abisso Bueno Fonteno è un monito. Per gli speleologi, certo, ma anche per tutti noi. La natura è affascinante ma richiede rispetto. Esplorare significa conoscere i propri limiti e non sottovalutare mai i pericoli.

Ottavia Piana ha vissuto qualcosa di difficile anche solo da immaginare. Eppure, quel buio profondo, quelle ore interminabili, l’hanno resa un simbolo. Un simbolo di una forza che non è da tutti, una resistenza che ti entra dentro e ti fa riflettere. Perché, alla fine, è di questo che si tratta: trovare la forza di andare avanti, anche quando sembra impossibile. E quei soccorritori, quelle persone incredibili, hanno fatto qualcosa che va oltre la tecnica, oltre le corde e le barelle. Hanno portato speranza, luce. Hanno dimostrato cosa vuol dire davvero esserci, fino in fondo.

Questa storia ti colpisce dritta al cuore. Ti fa pensare che, in fondo, anche nei momenti più bui, possiamo trovare mani tese. Mani che ci tirano su, che ci ricordano che non siamo mai soli, nemmeno nell’oscurità più profonda. È questo il regalo che ci lascia Ottavia: la prova che, con coraggio e con il giusto aiuto, si può tornare alla luce, sempre.

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Cronaca

Addio a un gigante della neurologia: il professor Giancarlo...

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C’è un vuoto enorme, immenso e non si riesce proprio a descriverlo. E sapete una cosa? Cercare di trovare le parole giuste è dura, anzi, quasi impossibile. Come fai a spiegare una perdita così grande? Come? Il professor Giancarlo Comi – uno di quelli che non dimentichi, che ti rimangono dentro per sempre, una di quelle menti luminose che nascono una volta ogni tanto, una di quelle anime che metteva il cuore in tutto quello che faceva, soprattutto nella battaglia contro la sclerosi multipla – se n’è andato. Il 26 novembre 2024. Così, senza preavviso. Un colpo secco, che ci ha tolto il fiato. Nessuno se lo aspettava, nessuno era pronto. E adesso? Adesso siamo qui: giornalisti, colleghi, pazienti, amici, tutti col cuore in frantumi, pieni di domande che, chissà, forse non troveranno mai risposta.

Perché Comi non era solo un medico, no. Era molto di più. Era uno che ci credeva davvero, uno che aveva il fuoco dentro. Un pioniere, un visionario, uno che ci metteva tutto, anima e corpo, senza mai, mai tirarsi indietro. Uno di quelli che, quando tutto va a rotoli, ti prendono per mano e non ti mollano. Per chi vive ogni giorno con la sclerosi multipla, quella malattia che è come un’ombra che non ti lascia mai, Comi era una luce accesa in mezzo al buio. Era un punto fermo, qualcosa a cui aggrapparsi quando tutto sembra scivolare via. Qualcuno che, anche nei giorni più neri, riusciva a farti credere che c’era una speranza. E ora, senza di lui? Sì, tutto sembra più buio. Ma sapete una cosa? Il suo spirito è ancora qui. Rimane. Resta in ogni piccola battaglia quotidiana, nelle storie di chi non si arrende mai, nelle mani che non smettono di lottare. Perché quello che ci ha lasciato non è solo un ricordo: è una fiamma viva, che continuerà a bruciare. Dentro ognuno di noi che ha avuto la fortuna di conoscerlo, di vedere da vicino quanto era grande, quanto era straordinariamente umano.

Una vita al servizio della ricerca e dei pazienti

Comi non passava mai inosservato, mai. Era uno di quei nomi che, appena lo senti, ti fa fermare. Cioè, davvero, uno di quei nomi che ti fa dire: “Wow, questo qui fa la differenza“. Professore Onorario di Neurologia, Direttore Scientifico… certo, tutti quei titoli altisonanti, roba grossa, roba importante. Ma sapete cosa? Non erano i titoli a farlo chi era, per niente. Non erano quelle targhe lucide, quelle pergamene incorniciate. No. Comi era quello che ogni mattina si alzava, magari con il sonno ancora addosso, ma con un solo pensiero fisso in testa: come posso fare la differenza per chi oggi conta su di me? Come posso migliorare la vita di chi mi affida tutto? E ci metteva tutto. Non solo il cervello, ma il cuore, l’anima, ogni piccolo pezzo di se stesso. Ogni singolo giorno. E ce l’ha fatta. Alla grande. Non è facile dire questo, ma ce l’ha fatta davvero. Ha scritto più di mille articoli scientifici, roba che ti fa girare la testa solo a pensarci. Un h-index sopra il 100, numeri che sembrano quasi irreali. Ma alla fine, cosa contano quei numeri, veramente? Anche se non avete la minima idea di cosa sia un h-index, lasciate che vi dica una cosa: quei numeri parlano di uno che non si è mai fermato, che ha lasciato un segno indelebile. Uno che non si è mai girato dall’altra parte, mai, nemmeno una volta.

Ma, sapete, quello che lo rendeva davvero speciale non erano i numeri, non erano i titoli. Era la sua dedizione, così semplice, così pura. Era l’umanità che ci metteva, il modo in cui riusciva a farti sentire ascoltato, capito, come se fossi l’unico al mondo. Ogni paziente, ogni collega che gli è stato vicino, tutti hanno visto oltre lo scienziato. Hanno visto l’uomo. Quello vero. Quello che non si fermava alla malattia ma vedeva la persona dietro. E forse è proprio questo il più grande regalo che ci ha lasciato: far sentire ognuno di noi importante, nonostante tutto.

Riconoscimenti che raccontano una storia

Comi, nel corso della sua carriera, ha raccolto premi e onorificenze come pochi altri. E non parliamo di premi qualunque. C’era l’Ambrogino d’Oro che ha ricevuto dal Comune di Milano nel 2016 e poi il titolo di Ufficiale della Repubblica Italiana nel 2018, per i suoi meriti scientifici. Ma non è tanto per vantarsi. Non è di quei riconoscimenti che si mettono in vetrina per far bella figura. Sono la prova di quanto fosse grande il suo lavoro. Di quanto fosse cruciale. Perché Comi è stato davvero un leader. Uno di quelli che, quando ci sono, senti che tutto è possibile. Una guida vera, una luce che brillava per tutta la comunità scientifica. Non è un’esagerazione dire che quello che ha fatto lui ha cambiato tutto. Ha segnato un’epoca. Ha aperto strade nuove. E questo, alla fine, è quello che conta di più.

Il vuoto e l’eredità di un grande uomo

Con la sua scomparsa, la comunità scientifica ha perso un un punto di riferimento che ora non c’è più e fa male. Il Centro Studi Sclerosi Multipla di Gallarate, che ha avuto l’onore di averlo come guida, ha espresso tutto il suo dolore, ricordando quanto lui fosse una fonte di ispirazione inesauribile. Non solo per i medici ma per tutti, pazienti compresi. Accettare che una persona così fondamentale se ne sia andata non è per niente facile. Però c’è una cosa che possiamo dirci per consolarci un po’: il suo lavoro, la sua eredità, continueranno a vivere. Nei suoi studi, certo, ma anche nelle vite di tutte quelle persone che ha toccato, nei ricercatori che seguiranno le sue orme.

La lotta contro la sclerosi multipla e altre malattie neurodegenerative non finisce qui. Non può fermarsi qui. Le prossime generazioni raccoglieranno il testimone. L’impegno di Comi, la sua passione, quella forza indomabile… tutto questo resterà vivo. E così, il professor Comi sarà per sempre parte di questa battaglia, un esempio da seguire, una presenza che, anche se invisibile, continuerà a fare la differenza. Non è facile dire addio ma è confortante sapere che, grazie a persone come Giancarlo Comi, il mondo è un po’ migliore. Grazie, professore.

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Scienza

La Superluna Piena del Castoro: Uno spettacolo naturale...

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15 Novembre 2024 – Allora, eccoci qui. Oggi il cielo ha deciso di darci qualcosa di unico. Non è una di quelle cose normali, no, è uno di quei momenti che ti fa alzare lo sguardo, ti ferma e ti lascia a bocca aperta a guardare l’infinito. Parliamo della Superluna Piena del Castoro. E non è una Superluna qualsiasi: è l’ultima del 2024! Quindi, non puoi proprio perdertela.

Ti chiederai: “Perché si chiama proprio così, ‘Superluna del Castoro’?” Aspetta che te lo spieghi. Ecco, questa Luna piena è proprio il momento in cui la nostra cara Luna si avvicina più che mai alla Terra, quello che gli esperti chiamano ‘perigeo’. In parole povere? Beh, significa che stasera la Luna sarà gigantesca, splendente, un vero spettacolo da togliere il fiato. Un po’ come se volesse dirci: ‘Ehi, guardami, sono qui, più vicina e luminosa che mai!‘ Insomma, preparati a una visione che ci farà sognare.

Perché si chiama Luna del Castoro?

Il nome, “Luna del Castoro”, deriva da antiche tradizioni dei nativi americani. Immagina un momento: siamo a novembre, fa freddo, l’inverno è alle porte. I castori iniziano a costruire le loro dighe, preparandosi a resistere al gelo. Ed ecco che, nello stesso periodo, le tribù piazzavano trappole per catturare questi animali, essenziali per le loro pellicce, indispensabili per affrontare il freddo. In fondo, è una Luna di preparazione, di resilienza e rappresenta la capacità di adattarsi ai cambiamenti della natura. Un po’ come noi, no?

Questa storia è arrivata fino ai giorni nostri, portandosi dietro tutto il suo carico simbolico. E poi diciamocelo, è anche una tradizione romantica che ci fa sentire in connessione con il passato e con la natura.

Cos’è una Superluna, poi?

La Superluna non è altro che il momento in cui la nostra Luna è piena e si avvicina più del solito alla Terra. In pratica, diventa enorme. Sì, sembra più grande e più luminosa del solito e non è solo un’impressione: cresce di circa il 5% e diventa fino al 15% più luminosa. Insomma, stasera alza gli occhi e preparati a vedere una Luna che sembra quasi volerci abbracciare.

E pensa un po’, stasera è l’ultima Superluna di questo 2024, la quarta! Sì, abbiamo già avuto il piacere di vederne altre tre: ad agosto, settembre e ottobre… ma questa è davvero l’ultima occasione dell’anno. Non possiamo perdercela, no? La Luna sarà a circa 361.867 chilometri dalla Terra, praticamente come se volesse avvicinarsi un po’ di più per salutarci. Uno spettacolo che merita di essere vissuto, senza dubbio.

Quando e come osservarla?

Ok, parliamo del punto fondamentale: quando guardare il cielo? La Luna piena raggiungerà il suo apice questa sera alle 22:28 ora italiana, ma sarà visibile già dal tramonto, previsto intorno alle 16:30. Se ti capita di essere fuori a quell’ora, guarda verso l’orizzonte sud-est. Vedrai la Luna che si alza pian piano… e, credimi, è uno spettacolo che ti fa restare senza parole, vale davvero la pena di fermarsi un attimo e goderselo.

E se posso darti un consiglio spassionato: cerca un posto buio, lontano dalle luci della città. Vai in campagna, o in montagna, se puoi. Lontano da tutto quel caos luminoso. Lì il cielo è più limpido e la Luna? Beh, la Luna è semplicemente spettacolare. Vuoi fare qualcosa in più? Portati dietro un binocolo o un telescopio. Anche se, diciamocelo, è stupenda anche solo con gli occhi, però con qualche strumento riesci a vedere quei dettagli, come i crateri, che altrimenti non noteresti mai.

E se proprio non riesci a uscire di casa, non abbatterti: c’è il Virtual Telescope Project che trasmetterà tutto in streaming dalle 19:15. Sarà un po’ come essere lì fuori, ma con il comfort del divano.

Un significato più profondo

La Luna del Castoro non è solo uno spettacolo per gli occhi, è molto di più. Ha un valore simbolico che va oltre la sua bellezza. Novembre è quel mese strano… il mese del cambiamento. Le giornate si accorciano, l’aria comincia a pizzicare di freddo e la natura sembra quasi volerci dire: ‘Preparati, l’inverno sta arrivando’. Ecco, questa Superluna è come un promemoria, un invito a fermarci un attimo e chiederci: cosa vogliamo costruire? Cosa vogliamo proteggere per il nostro futuro? Un po’ come i castori che si danno da fare con le loro dighe, no? Anche noi dobbiamo pensare a come prepararci per quello che verrà.

E non è solo la Luna che si illumina stanotte. Dovremmo brillare anche noi, almeno un pochino. Magari è il momento giusto per riflettere, per apprezzare le cose belle che abbiamo e per pensare a quello che vogliamo fare meglio, quello che vogliamo proteggere. È una di quelle notti che ti fa guardare dentro, non solo in alto.

La Luna nelle culture e nelle leggende

La Luna, da sempre, ci fa sognare, ci ispira, ci fa raccontare storie. Pensateci un attimo: dai miti greci, dove la Luna era Selene, quella dea bellissima che guidava il suo carro nel cielo notturno, a tutte le leggende in giro per il mondo. In Oriente, la Luna piena è un simbolo di unità familiare e prosperità. Una cosa dolcissima, se ci pensate, no? E poi, i nativi americani: per loro ogni fase della Luna aveva un significato, un momento per riflettere o celebrare. Ogni Luna con la sua storia, con il suo senso.

E anche oggi, guardando la Luna, c’è qualcosa che ci fa sognare, che ci tocca. Magari non tutti ci credono, ma alcuni dicono che la luce della Luna possa influenzare il nostro umore, il nostro sonno… ci sono studi a riguardo, anche se non tutti sono d’accordo. Ma sapete che vi dico? A me piace pensare che il nostro umore sia legato a quello che succede nel cielo. C’è qualcosa di poetico, di magico in questo, non trovate?

Curiosità scientifiche sulla Superluna

  • La Luna di solito sta a circa 384.400 chilometri da noi, ma quando c’è la Superluna si avvicina di quei 22.000 chilometri che fanno davvero la differenza. Ed è per questo che la vediamo così enorme. Insomma, sembra quasi volerci venire incontro.
  • E poi c’è quella cosa dell’illusione lunare… sai, quando la Luna è bassa sull’orizzonte e ti sembra ancora più grande? Beh, è tutta una questione di testa, un effetto psicologico. Non è che sia davvero più grande, ma il nostro cervello ci gioca un po’ su. E, sai che c’è? Ci caschiamo tutti e va bene così.
  • Anche se la Superluna è più luminosa, non cambia in modo significativo le maree. Certo, le maree possono essere un po’ più alte o basse, ma nulla di così straordinario.

Ultima chance del 2024

Quindi, eccoci qui: stasera è la tua ultima occasione per ammirare una Superluna quest’anno. Dopo questa Luna del Castoro, dovremo aspettare fino al 2025 per rivedere qualcosa di simile. E capisci bene che questo rende l’appuntamento di stasera ancora più speciale. Insomma, è un’occasione da non perdere, davvero. Che tu sia un appassionato di stelle e pianeti, oppure semplicemente uno che ama buttare lo sguardo all’insù ogni tanto, beh… questa Superluna del Castoro ha tutta l’intenzione di lasciarci un ricordo di quelli che non si scordano. Un ricordo che resta, di quelli che porti con te quando pensi alle notti belle.

Allora, cosa aspetti? Alza lo sguardo e lasciati incantare da questo spettacolo naturale. Che tu sia con amici, in famiglia o anche da solo, questa Luna è un regalo che vale la pena apprezzare.

Il fascino eterno della Luna

La Superluna Piena del Castoro è molto più di un evento astronomico. È un momento per sentirci parte della natura, per riscoprire le tradizioni e in qualche modo, per ritrovarci un po’ anche noi stessi. C’è qualcosa di speciale in quella luce, in quella grandezza… ci fa ricordare quanto il cielo di notte possa farci sognare, farci stupire, farci pensare.

Quindi, stasera, prenditi un attimo. Guarda il cielo. Lasciati catturare dalla bellezza della Luna, lasciati trasportare. Che sia un momento per sognare, per fermarti e riflettere, o solo per perderti nella meraviglia di quanto l’universo sia incredibile.

Buona osservazione e che la magia della Luna del Castoro ti accompagni!

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