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Giovani, donne e precari: il divario salariale non lascia scampo

Gender Gap Investimenti

Nel panorama del mercato del lavoro italiano, le disparità retributive tra uomini e donne, giovani e anziani, continuano a segnare un divario che si estende in modo imprevisto. Nel 2022, l’Italia ha visto un ampliarsi delle disuguaglianze nel panorama retributivo, con una spaccatura che separa uomini e donne, giovani e meno giovani, lavoratori con contratti temporanei e quelli con contratti a tempo indeterminato. Questo quadro, che emerge dalle analisi dell’Istat, rivela non solo le disuguaglianze salariali di genere, ma anche come la generazione di appartenenza e la tipologia contrattuale influenzino profondamente il reddito. Nonostante i segnali di ripresa dell’occupazione, il divario tra salari e produttività alimenta un paradosso che continua a crescere, e che mostra un’Italia dove chi lavora, talvolta, guadagna meno e produce di più.

Il Gender Pay Gap

Ogni anno l’Istat ci fornisce un report che è come un termometro del nostro mercato del lavoro. E se c’è una cosa che emerge chiaramente è che la parità salariale tra uomini e donne è ancora un obiettivo lontano. Nel 2022, la retribuzione media oraria tra le donne si è fermata a 15,9 euro, ben 0,5 euro in meno rispetto alla media generale, che si attesta a 16,4 euro. E gli uomini? Loro si fermano a 16,8 euro, guadagnando circa 0,4 euro in più. Ma il divario non si ferma qui: i laureati vedono un gap che tocca il 16,6%, e tra i dirigenti il divario è addirittura del 30,8%. Non è un caso che le professioni più alte siano quelle con la più bassa presenza femminile.

C’è da chiedersi: perché? La risposta, seppur semplice, è complessa. Le donne continuano a essere concentrate in settori con retribuzioni più basse e in posizioni decisionali meno influenti. Dall’istruzione all’assistenza sociale, passando per il settore sanitario, molte delle professioni più femminilizzate non sono certo quelle che pagano meglio. La disparità non riguarda solo l’importo finale della busta paga, ma anche la distribuzione dei ruoli ai vertici aziendali, dove la presenza maschile resta predominante.

Per fortuna, in alcuni settori, la disparità salariale è meno marcata. Nel comparto pubblico, ad esempio, il differenziale scende al 5,2%, con le donne che, in molti casi, raggiungono retribuzioni orarie più alte rispetto alle colleghe del settore privato. Ma se passiamo all’altro lato della medaglia, quello delle professioni altamente specializzate, la situazione si fa meno rosea. Tra i dirigenti, per esempio, le donne guadagnano circa 15 euro in meno ogni ora, con una distanza che si fa più profonda man mano che si sale nella gerarchia. Non si può fare a meno di pensare a quanto questa realtà tradisca il principio di meritocrazia tanto caro alle politiche aziendali.

Generazioni a confronto

Passando dalla divisione di genere a quella generazionale, scopriamo che il giovane lavoratore italiano è un’altra vittima di una struttura salariale che premia l’esperienza, ma forse troppo. La retribuzione oraria media degli under 30 è infatti inferiore del 36,4% rispetto a quella degli over 50, con un gap che raggiunge il 38,5% per gli uomini e il 33,3% per le donne. A meno di non essere un genio del coding o una mente creativa nell’ambito del marketing, essere giovani in Italia sembra sinonimo di salari bassi e contratti precari.

A parità di condizioni, i giovani non solo guadagnano meno, ma hanno anche maggiori difficoltà a entrare nel mercato del lavoro in modo stabile. Contratti a tempo determinato, stage non retribuiti e lavori sottopagati sono all’ordine del giorno. Eppure, la crescita occupazionale in Italia è ai massimi storici, come racconta l’Istat. Si parla di un tasso di disoccupazione al minimo storico (5,7%), ma questo non corrisponde a una crescita della produttività, che ha subito una flessione del 2,5% nell’ultimo anno. È come se l’occupazione fosse cresciuta “a vuoto”, senza un vero incremento della produzione.

Molti giovani, infatti, si trovano costretti ad accettare condizioni lavorative che non rispecchiano il loro potenziale, spingendo la produttività del lavoro a livelli molto bassi. La “perdita” in termini di salario per i giovani italiani è evidente, e la loro produttività non migliora se non in relazione ad un aumento effettivo dei salari. In altre parole, avere un lavoro oggi non è più un privilegio che ti permette di crescere: è una necessità che ti spinge a fare di più, ma senza un ritorno equo.

Un mercato che punisce il contratto a tempo determinato

Un altro dato che emerge dal report dell’Istat e che merita attenzione è quello che riguarda il tipo di contratto. I lavoratori con un contratto a tempo determinato guadagnano mediamente il 24,6% in meno rispetto a quelli a tempo indeterminato. Un dato che fa riflettere, soprattutto se consideriamo che i contratti precari colpiscono in modo più intenso le donne, le quali percepiscono, in media, una retribuzione inferiore del 15,6% rispetto ai colleghi uomini con un contratto stabile.

Tuttavia, anche in questo caso, ci sono delle variabili che complicano ulteriormente la situazione. Se il lavoratore con un contratto a tempo determinato si trova a operare in settori ad alta intensità di lavoro, come la ristorazione o l’ospitalità, il gap salariale diventa ancora più ampio. Mentre le retribuzioni più alte si registrano nelle attività finanziarie e assicurative (ben 25,9 euro l’ora), quelle più basse sono legate ai settori con una forte presenza di contratti precari, dove la retribuzione media è di 10,9 euro l’ora.

Il risultato? La creazione di un sistema di disuguaglianza che penalizza chi è già in una posizione vulnerabile. I lavoratori precari, di solito i più giovani e le donne, sono costretti a operare in settori meno redditizi e con maggiore incertezza, con salari che non solo sono inferiori, ma che non consentono neanche una vita dignitosa. Come se la crescente precarietà non fosse sufficiente, il settore pubblico si salva, paradossalmente, grazie a un sistema che offre maggiore stabilità economica, ma che, a lungo andare, non cambia molto per chi, appunto, non è ancora entrato in questo mercato.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Sei un genitore elicottero?

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Madre Figlio Gioco

Essere genitori è, senza dubbio, una delle missioni più complesse e delicate che si possano affrontare. Il desiderio di proteggere i propri figli, di guidarli nelle scelte e di aiutarli a superare le difficoltà è naturale. Tuttavia, quando questo desiderio si trasforma in un controllo asfissiante, il rischio di compromettere lo sviluppo emotivo e sociale dei bambini diventa concreto. Questo fenomeno, noto come “genitorialità elicottero”, è oggetto di studi che ne evidenziano gli effetti negativi a lungo termine.

Genitori elicottero, chi sono?

Il termine “genitori elicottero” descrive quegli adulti che sorvolano costantemente sulla vita dei figli, pronti a intervenire in ogni momento per risolvere problemi, prendere decisioni e prevenire ogni possibile insuccesso. Questa modalità educativa, spesso motivata dalle migliori intenzioni, può manifestarsi già nei primi anni di vita del bambino.

Uno studio condotto dalla University of Minnesota ha analizzato il comportamento di 422 coppie genitore-figlio, osservando come si relazionavano in un ambiente di gioco. I genitori elicottero tendevano a dirigere ogni aspetto dell’attività ludica: suggerivano con quale giocattolo giocare, spiegavano come usarlo e controllavano persino il modo in cui veniva riposto al termine. Questo livello di supervisione, sebbene appaia innocuo o addirittura utile, ha rivelato implicazioni significative sullo sviluppo del bambino.

Le conseguenze del controllo eccessivo

I risultati dello studio sono illuminanti: i bambini che già a due anni subivano un controllo genitoriale eccessivo mostravano difficoltà nel regolare le proprie emozioni a cinque anni. A dieci anni, inoltre, presentavano competenze sociali meno sviluppate, maggiore incidenza di problemi emotivi e difficoltà nell’adattamento scolastico.

Queste conclusioni sono supportate da ulteriori ricerche pubblicate su “APA PsycArticles”, che analizzano il ruolo della regolazione emotiva e del controllo inibitorio nello sviluppo dei bambini. Secondo tali studi, un approccio genitoriale ipercontrollante può interferire con l’acquisizione di abilità fondamentali per la gestione delle emozioni e per la produttività accademica. Questi effetti si protraggono fino alla preadolescenza, compromettendo la capacità del bambino di affrontare le sfide in modo autonomo.

Le ragioni dietro questa tendenza possono essere molteplici. Spesso, i genitori elicottero agiscono mossi dalla paura di fallire nel loro ruolo o dal desiderio di offrire ai figli un vantaggio competitivo in un mondo percepito come sempre più complesso e competitivo. Altre volte, questa modalità può derivare dall’insicurezza o dall’influenza di modelli culturali che enfatizzano il controllo totale come sinonimo di buon genitore.

Lasciare spazio ai figli

La lezione da trarre da questi studi è chiara: è fondamentale lasciare ai bambini lo spazio per esplorare, sbagliare e imparare dai propri errori. Come suggerisce la ricerca, è importante che i genitori imparino a trattenersi dall’intervenire immediatamente e osservino come i loro figli affrontano le situazioni. Questo non significa abbandonarli a loro stessi, ma offrire un supporto equilibrato e rispettoso della loro autonomia.

Consentire ai bambini di sviluppare abilità di autoregolazione è essenziale per il loro benessere a lungo termine. In un mondo che richiede sempre più flessibilità, resilienza e capacità di adattamento, la libertà di sperimentare e di affrontare le sfide in modo indipendente è un dono prezioso che ogni genitore dovrebbe offrire.

I genitori elicottero, pur mossi da nobili intenzioni, rischiano di ostacolare lo sviluppo dei propri figli, limitandone la capacità di affrontare la vita con sicurezza e autonomia. La sfida, dunque, è trovare un equilibrio tra protezione e libertà, riconoscendo che il miglior sostegno che possiamo offrire ai nostri figli è la fiducia nelle loro capacità. Come dice un antico proverbio: “Dai a un bambino le radici per crescere e le ali per volare”.

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Carnevale 2025, maschere e tradizioni da non perdere

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Carnevale Sfilata Carri Viareggio Canva

Il Carnevale è alle porte, e il 2025 promette di regalarci una stagione di festa indimenticabile. Tra coriandoli che danzano nell’aria, maschere misteriose che celano sorrisi e carri allegorici che incantano i più piccoli (ma non solo), il Carnevale si conferma l’evento più frizzante dell’anno. Da giovedì grasso, il 27 febbraio, fino al martedì grasso, il 4 marzo, il calendario sarà scandito da eventi unici, culminando con il Carnevale Ambrosiano, che prolungherà i festeggiamenti fino all’8 marzo.

Ma da dove nasce questa tradizione così colorata? E come si festeggia oggi, nelle diverse regioni d’Italia? Con radici antichissime e un calendario che segue il ritmo della Quaresima, il Carnevale è un’occasione per immergersi in un mondo di allegria e folklore.

Le origini del Carnevale

Il Carnevale affonda le sue radici in epoche antichissime, attraversando secoli e culture per diventare la festa gioiosa e colorata che conosciamo oggi. Le sue origini risalgono ai rituali pagani legati al ciclo della natura e al passaggio delle stagioni. Tra le più influenti troviamo le antiche feste romane come i Saturnalia e i Lupercalia, celebrazioni in cui l’ordine sociale si capovolgeva e si dava spazio a eccessi, scherzi e momenti di liberazione collettiva. Durante i Saturnalia, ad esempio, i ruoli sociali venivano temporaneamente ribaltati: i servi potevano comportarsi da padroni, mentre il caos gioioso prendeva il posto della rigidità quotidiana.

Con l’avvento del cristianesimo, il Carnevale venne progressivamente assorbito nella tradizione religiosa, assumendo un significato nuovo. La festa iniziò a rappresentare l’ultimo periodo di svago e abbondanza prima dell’austerità della Quaresima, il tempo di penitenza e digiuno che precede la Pasqua. Non a caso, il termine “Carnevale” deriva dal latino carnem levare, ovvero “eliminare la carne”, a indicare il banchetto finale prima dell’astinenza quaresimale.

Durante il Medioevo, il Carnevale divenne una celebrazione popolare di grande rilievo, con cortei, spettacoli teatrali, balli in maschera e sfilate che coinvolgevano ogni strato della società. Mascherarsi aveva un significato simbolico: celando l’identità, si abbattevano le barriere sociali e si viveva una temporanea uguaglianza. Da questa tradizione derivano le maschere iconiche che oggi caratterizzano il Carnevale.

Le date del Carnevale 2025

Il Carnevale è una festa che si celebra in date differenti ogni anno, in quanto dipende dalla data della domenica di Pasqua. La sua posizione nel calendario varia in base al ciclo lunare e alle regolazioni della Chiesa. Per determinare quando cadrà il Carnevale, infatti, è necessario partire proprio dalla data di Pasqua e sottrarre sei settimane: le prime cinque sono quelle che compongono il periodo di Quaresima, mentre la sesta settimana è quella che ospita il Carnevale, in particolare gli ultimi giorni di festa. Nel 2025, la domenica di Pasqua sarà il 20 aprile. Pertanto, considerando che la Quaresima inizia con il Mercoledì delle Ceneri, che nel 2025 è il 5 marzo, il Carnevale avrà il suo culmine nei giorni che precedono immediatamente questa data.

Le date fondamentali del Carnevale 2025 saranno quindi:

  • Giovedì grasso: il 27 febbraio 2025 segna l’inizio dei festeggiamenti intensi del Carnevale;
  • Martedì grasso: il 4 marzo 2025 è l’ultimo giorno di Carnevale, quello che conclude le festività prima del periodo di penitenza della Quaresima.

Tuttavia, esiste una peculiarità importante per alcune zone d’Italia, come Milano e i territori sotto la diocesi ambrosiana, dove la tradizione del Carnevale si prolunga oltre il Martedì Grasso. Il Carnevale Ambrosiano, infatti, viene celebrato fino al sabato che precede la prima domenica di Quaresima, che nel 2025 sarà l’8 marzo. Questa tradizione, che risale al Medioevo, ha come motivo l’orientamento liturgico diverso della Chiesa Ambrosiana, che sposta il periodo di inizio della Quaresima rispetto alla maggior parte del resto del paese. Pertanto, a Milano e nelle aree circostanti, i festeggiamenti del Carnevale si concluderanno ufficialmente solo il sabato 8 marzo, mantenendo una vivacità che distingue la città da altre regioni italiane.

Maschere e tradizioni locali

Il Carnevale, una delle festività più amate e celebri in Italia e nel mondo, affonda le sue radici in secoli di storia, ma è soprattutto simbolo di libertà espressiva e di rottura temporanea delle convenzioni sociali. Le maschere, emblemi di questa festività, permettono a chi le indossa di sfuggire alla propria identità quotidiana per abbracciare un universo di gioco, satira e celebrazione. Ogni maschera, ogni tradizione, ogni usanza raccontano storie e radici locali, trasformando il Carnevale in una miriade di festeggiamenti unici che si diffondono nelle varie regioni italiane.

Ogni angolo d’Italia vanta maschere tipiche che narrano storie antiche e legate al territorio. Tra le più iconiche, Arlecchino, originario della Lombardia, con il suo inconfondibile costume a rombi, è una delle figure più celebri del Carnevale italiano. Astuto e agile, Arlecchino incarna la figura del servo che, con un’ironia pungente, sfida l’autorità. In Liguria, il Carnevale di Savona celebra Balarin, una maschera che trae ispirazione dalla tradizione contadina e rappresenta il contrasto tra povertà e ricchezza. A sud, in Campania, la maschera di Pulcinella è l’emblema della saggezza popolare e della spontaneità, sempre pronto a ironizzare sulle proprie disgrazie e a sfidare le autorità con un sorriso.

Venezia, invece, rappresenta il Carnevale per eccellenza, dove l’eleganza delle maschere si fonde con un’atmosfera di mistero. Il Carnevale di Venezia è noto per le sue maschere sofisticate che celano l’identità dei partecipanti, per il celebre Ballo delle Maschere e per la Regata delle Mascherate sul Canal Grande, uno degli eventi più attesi dell’anno. Ogni anno, la città accoglie centinaia di turisti provenienti da ogni parte del mondo, pronti a immergersi in un tripudio di colori e tradizione.

A Viareggio, la festività assume toni di allegria e satira, con i suoi enormi carri allegorici che sfilano lungo le strade, in un’esplosione di colori e spettacoli. Qui la maschera simbolo è Burlamacco, che rappresenta l’anima popolare del Carnevale e diventa protagonista di parate e competizioni tra gruppi mascherati, che spesso traggono ispirazione da temi politici e sociali. A Ivrea, invece, la tradizione prende una piega più guerriera, con la celebre Battaglia delle Arance, simbolo di una ribellione popolare in cui i partecipanti, suddivisi in squadre, si lanciano arance l’uno contro l’altro, come atto di lotta contro l’oppressione. Le maschere, in questo caso, sono fondamentali per distinguere i diversi gruppi, ognuno dei quali indossa costumi vivaci.

Un altro Carnevale di grande prestigio è quello di Foiano della Chiana, il più antico d’Italia, dal 9 febbraio al 9 marzo 2025 con la sua 486esima edizione. In questo borgo medievale della Toscana, il Carnevale è una festa che si distingue per la bellezza delle coreografie e per l’imponente realizzazione dei carri allegorici in cartapesta, frutto del lavoro di abili maestri.

Anche il Carnevale cremasco, giunto alla sua 37esima edizione, continua a stupire con la sua allegria e la sua capacità di unire le tradizioni con l’intrattenimento moderno. Le parate dei carri allegorici, che si svolgeranno dal 16 febbraio al 9 marzo, richiamano ogni domenica più di 20mila visitatori provenienti da tutta Italia, e la festa culmina con la proclamazione del carro vincitore.

Non meno affascinante è il Carnevale di Sammichele di Bari, riconosciuto dal Ministero della Cultura come “Carnevale Storico d’Italia”: il paese celebra la tradizione con i Festini e le compagnie di maschere, tra cui la figura dell’uomo corto, “l’omene curte,” che segue attentamente gli eventi durante le serate. Il Carnevale di Sammichele è un’autentica festa popolare che accoglie visitatori provenienti da ogni parte, portando con sé la tradizione di un Carnevale che affonda le radici nelle antiche pratiche pastorali.

Anche, il Carnevale lucano di Tricarico, in provincia di Matera, affonda nella tradizione agro-pastorale, con maschere simboliche come quelle della mucca e del toro, che evocano la transumanza delle mandrie. La festa inizia con l’accensione di un falò e il suono dei campanacci, che risvegliano il paese, e prosegue con rituali spirituali e folkloristici che arricchiscono ogni angolo del paese, creando un’atmosfera suggestiva e coinvolgente.

In molte di queste tradizioni, le maschere non sono solo simboli di anonimato e trasgressione, ma anche veicoli di significati più profondi, come la critica sociale, la riscoperta della fantasia e il gioco dell’identità. In altre parole, le maschere consentono a grandi e piccini di esprimere il loro lato più libero e disinibito, in un periodo dell’anno in cui le regole si allentano, ma sempre all’insegna della gioia collettiva.

Insomma, il Carnevale rappresenta una straordinaria occasione di inclusione e condivisione, in cui il divertimento si declina per rispondere ai gusti e alle esigenze di ogni generazione. Dalle sfilate colorate dei carri allegorici che incantano i più piccoli, agli spettacoli teatrali e musicali pensati per gli adulti, fino ai laboratori creativi che coinvolgono famiglie e anziani, ogni occasione celebra la gioia collettiva. Non è solo una festa: è un momento di ritrovo che unisce le comunità locali, esaltando la tradizione e l’innovazione in un’atmosfera di armonia e partecipazione. Attraverso giochi, danze e maschere, il Carnevale si trasforma in un ponte che collega generazioni diverse, rendendo ciascuno protagonista di un’esperienza unica e memorabile.

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Giornata internazionale dell’abbraccio, un gesto ancora...

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Giornata Internazionale Abbraccio

Il 21 gennaio si celebra la Giornata internazionale dell’abbraccio, una data che, oltre a promuovere un gesto tanto semplice quanto profondo, mette in luce i benefici scientifici e psicologici di un’azione che spesso diamo per scontata.

Perché si celebra il 21 gennaio?

La data della Giornata internazionale dell’abbraccio non è casuale. Cade in un periodo dell’anno in cui molte persone si sentono emotivamente vulnerabili: il freddo invernale, la ripresa lavorativa dopo le festività e il Blue Monday, considerato il giorno più triste dell’anno, rendono gennaio particolarmente delicato dal punto di vista psicologico. Ma se il Blue Monday è una trovata recente, la Giornata internazionale dell’abbraccio ha una storia più lunga.

La ricorrenza nasce nel 1986 da un’iniziativa di Kevin Zaborney, un pastore del Michigan, che decise di fissare questa celebrazione in un periodo che per molti è sinonimo di tristezza, sia per le temperature rigide sia per la fine delle festività natalizie. L’idea era semplice: utilizzare gli abbracci per diffondere calore umano e combattere la malinconia. Zaborney proclamò questa ricorrenza anche per rompere le barriere culturali che spesso ci impediscono di mostrare affetto in pubblico, invitando tutti a essere più generosi nel condividere questo semplice gesto.

Ma perché l’abbraccio è così importante per noi come esseri umani? E quali effetti ha sulla nostra salute e sul nostro benessere? Recenti scoperte nel campo delle neuroscienze hanno svelato molto su questo gesto apparentemente elementare.

I benefici di un abbraccio

Studi pubblicati nel 2024 dall’University College London hanno evidenziato come un abbraccio della durata di almeno 20 secondi possa innescare una risposta neurochimica positiva nel cervello. In particolare, gli abbracci stimolano la produzione di ossitocina, conosciuta come l’ormone dell’amore, responsabile della riduzione dei livelli di cortisolo (l’ormone dello stress) e dell’aumento del senso di fiducia.

Un’altra ricerca condotta dalla University of North Carolina ha dimostrato che gli abbracci regolari possono ridurre del 30% il rischio di malattie cardiovascolari. I ricercatori hanno sottolineato come questo gesto, riducendo lo stress, aiuti a regolare la pressione sanguigna e a migliorare il sistema immunitario.

Un abbraccio è molto più che un contatto fisico: è una terapia per l’anima e per il corpo. Ecco alcuni dei principali effetti benefici, supportati dalla scienza:

  • Riduce lo stress: gli abbracci inibiscono la produzione di cortisolo, riducendo ansia e tensioni emotive;
  • Migliora il sistema immunitario: una ricerca della Carnegie Mellon University ha dimostrato che le persone abituate ad abbracciare hanno meno probabilità di ammalarsi, grazie alla diminuzione degli ormoni dello stress;
  • Rafforza i legami emotivi: attraverso il rilascio di ossitocina, gli abbracci migliorano la connessione con i nostri cari e favoriscono relazioni durature;
  • Regola la pressione sanguigna: il contatto fisico rallenta il battito cardiaco e abbassa la pressione;
  • Aumenta la felicità: gli abbracci stimolano la produzione di dopamina e serotonina, neurotrasmettitori che migliorano l’umore.

Curiosità sugli abbracci

  1. Durata ideale: la scienza suggerisce che un abbraccio deve durare almeno 20 secondi per avere un impatto significativo sul benessere psicofisico;
  2. Chi abbraccia di più? Secondo una ricerca del Pew Research Center, gli italiani e gli spagnoli sono tra i popoli che usano di più gli abbracci come forma di saluto, mentre nei Paesi scandinavi, più freddi anche da un punto di vista climatico, prevalgono gesti più formali;
  3. Hug Therapy: l’abbraccioterapia è una pratica sempre più diffusa nel trattamento di disturbi legati all’isolamento sociale e alla depressione.

Campagne di sensibilizzazione

La International Hugging Foundation organizza annualmente eventi e campagne di sensibilizzazione in tutto il mondo, sfruttando questa giornata come opportunità per promuovere il benessere emotivo e sociale. Tra le attività più interessanti ci sono le Hug Walks, passeggiate comunitarie dove sconosciuti vengono incoraggiati a scambiarsi abbracci, e le campagne di raccolta fondi per cause benefiche legate alla salute mentale. Queste iniziative evidenziano come un gesto così semplice possa trasformarsi in un potente strumento per favorire l’inclusione sociale e costruire relazioni più forti all’interno delle comunità.

L’abbraccio, così universale, trascende le differenze culturali, linguistiche e generazionali. È un simbolo di inclusione, accoglienza e solidarietà. In un mondo spesso diviso, la Giornata internazionale dell’abbraccio ci ricorda che, a volte, i piccoli gesti sono quelli che fanno la differenza.

Quindi, in questa giornata, regalate un abbraccio a qualcuno. Non costa nulla, e proprio per questo vale tanto.

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