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Standa: un viaggio avventuroso tra grandi magazzini, cambi di rotta e impronte nella cultura pop

Sembra che in ogni angolo d’Italia ci sia almeno qualcuno che abbia sfiorato l’esperienza di entrare in un negozio Standa, o che ne abbia sentito parlare dai nonni, dai genitori, da un parente che ne elogiava il reparto alimentare. Eppure, oggi, se ci guardiamo intorno, questo nome gigantesco – un tempo simbolo di magazzini fornitissimi e supermercati all’avanguardia – si è ritirato dalle scene. Ma come è successo? Cos’ha portato la Standa a diventare un capitolo di storia del commercio italiano e allo stesso tempo, un piccolo frammento nella memoria collettiva del nostro Paese? Noi abbiamo deciso di rimettere insieme i pezzi e di condividere con voi le impressioni, i fatti, i retroscena e perfino qualche curiosità cinematografica che hanno segnato il cammino di questo marchio.

Abbiamo pensato di non seguire una linea temporale rigida, perché la Standa è stata di tutto di più, in un percorso costellato di scelte, acquisizioni, vendite, corse verso nuovi mercati e innumerevoli vicende societarie. Preparatevi, dunque, a un racconto con qualche andata e ritorno nel tempo e a una narrazione che prova a coniugare la nostra anima giornalistica con una voce calda, quasi intima ma comunque attenta alla precisione dei fatti. Iniziamo a immergerci in un viaggio che, in fondo, è specchio di un intero Paese che cambiava volto.

L’ingresso nella cultura pop e le curiosità cinematografiche

Perché mai partire da qui? In genere, quando si racconta la storia di un’azienda, si parte dal giorno in cui è nata. Noi, invece, vogliamo iniziare da come la Standa è apparsa al grande pubblico in momenti di svago, come nel cinema o in televisione. Strano, vero? Eppure, è emblematico del rapporto che si era instaurato tra questo marchio e la nostra quotidianità.

Chi di voi non ha mai visto, magari in una serata nostalgica, uno dei tanti film in bianco e nero o a colori degli anni Sessanta, Settanta o Ottanta, in cui improvvisamente compare una grande insegna Standa? In alcuni lungometraggi con Caterina Caselli, per esempio, la Standa faceva capolino mostrando reparti e scaffali carichi di prodotti. Per non parlare di certe commedie all’italiana con Tomas Milian o Jerry Calà, dove questi grandi magazzini erano diventati scenari perfetti, luoghi vivi, in cui poteva succedere qualunque cosa, dal classico inseguimento in stile poliziesco alla spesa spensierata di una famiglia numerosa.

Ma l’impronta più spassosa di tutte, forse, è nei film di Paolo Villaggio, dove il ragionier Fantozzi si muove goffamente tra scaffali e parcheggi di una Standa romana. Un marchio che compare al cinema non è soltanto un esercizio di stile: significa che, in un dato momento storico, quella catena di negozi aveva un legame con la popolazione. E quando la troviamo anche all’interno di concorsi televisivi o in sketch con conduttori popolarissimi, la sensazione è che fosse un marchio radicato, capace di fondersi col tessuto sociale.

Le prime mosse: dal bazar “33” ai supermercati

Adesso facciamo un salto indietro e torniamo al 1931, un momento cruciale: Franco Monzino, insieme ai fratelli e alla sorella, decide di mettere in piedi quella che allora si chiamava “Società Anonima Magazzini Standard”. Non ci poteva essere un nome più lontano dalla fantasia, ma è così che comincia il mito. Già allora, l’idea era quella di creare un punto di vendita poliedrico, che non si limitasse a un solo settore. C’era chi puntava all’abbigliamento, chi ai casalinghi, chi ai prodotti alimentari: la Standa voleva unire tutti questi mondi sotto un solo tetto.

Forse qualcuno si chiederà: “Perché ‘Standard’ e poi ‘Standa’?” La storia narra di un Mussolini che, durante una parata nella Roma del 1938, nota la scritta “Standard” e pretende un nome più italiano. E così, da un giorno all’altro, ecco “Standa”. Poi ci si è sbizzarriti a trovare un acronimo (“Società Tutti Articoli Nazionali Dell’Arredamento e Abbigliamento” e altre combinazioni simili). Ma poco importava la formula giusta: il punto era che il marchio stava iniziando a diffondersi in varie città d’Italia e, nonostante le turbolenze di quell’epoca storica, riusciva a mantenere un minimo di stabilità. Non era una passeggiata: la Seconda Guerra Mondiale distrusse magazzini, ridusse personale, ma la volontà di ricostruire fu più forte.

Le trasformazioni degli anni sessanta: dal self-service al parcheggio privato

In un’Italia che risorgeva dalla macerie del conflitto, l’azienda cominciò a spargere semi in diverse regioni, a rinnovare negozi e a sperimentare nuovi format. Nel quartiere Vomero a Napoli, per dirne una, fu inaugurato il primo grande negozio dopo la guerra. Ma la vera rivoluzione avvenne sul finire degli anni Cinquanta, quando la Standa decise di introdurre il reparto alimentare e, successivamente, adottare la formula del self-service. Pare che il primo esperimento in tal senso si sia tenuto a Milano, in via Torino, dove i clienti potevano finalmente muoversi in autonomia tra gli scaffali, scegliendo i prodotti senza dover chiedere ogni volta al commesso.

E non finisce qui: già nel 1962 a Torino, in corso Giulio Cesare, venne aperto il primo “magazzino” – forse, diremmo oggi, un supermercato vero e proprio – dotato di parcheggio riservato. A pensarci ora, sembra scontato, ma all’epoca era un’opzione che strizzava l’occhio al futuro. Si respirava voglia di modernità, di nuovi modi di fare la spesa, di auto private. L’azienda, in quegli anni, stava veramente spingendo sull’innovazione.

Le acquisizioni a raffica: Montedison, Carrefour e Fininvest

Da Montedison ai maxi progetti
Facciamo ora un balzo a quando, nel 1967, la Montedison decide di scommettere su questo gruppo di supermercati. Da quel momento, ci furono cambiamenti a catena. Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, la Standa cominciò a inglobare altre catene minori. Prima fu il turno della “Multinegozi Spa”, poi arrivarono la “DIADI” e la “Rialto”. Ogni acquisizione voleva dire un’espansione geografica in varie regioni, nuove filiali, nuove insegne da trasformare. Venne anche il tempo del primo ipermercato, aperto a Castellanza, in provincia di Varese, sotto il nuovo marchio “Maxi Standa”.

Altra tappa importante fu la joint venture “EuroStanda”, che legò per alcuni anni il gruppo alla francese Carrefour. L’idea era di creare grandi ipermercati, e infatti sorsero punti vendita giganteschi a Paderno Dugnano e altrove. Poi, negli anni Ottanta, la Standa si allargò ulteriormente, finendo per rilevare l’intera proprietà di alcuni iper già avviati con i partner francesi. Erano tempi di fervore, di spinta, di ottimismo economico.

L’arrivo di Silvio Berlusconi e il marchio “Casa degli italiani”
Il vero salto mediatico, però, si registrò quando, nel 1987, entrò in campo la Fininvest di Silvio Berlusconi, che acquistò il 70% della società. I più nostalgici forse ricorderanno i jingle e gli spot martellanti in TV, con testimonial di grido, come Marco Columbro, Lino Banfi, Mike Bongiorno, Raimondo Vianello e Sandra Mondaini. La Standa divenne la “Casa degli italiani”, uno slogan che si piazzava in modo deciso nelle serate televisive di milioni di persone. Erano tempi in cui la pubblicità passava in modo massiccio dalla televisione, e la Fininvest aveva, ovviamente, il controllo di diverse reti private. Quello fu un periodo di grande esposizione mediatica, di cospicui investimenti, ma anche di qualche ombra.

Gli anni novanta tra turbolenze, attentati e nuovi tentativi di lancio

Entriamo in un decennio complicato. L’inizio degli anni Novanta fu segnato da una serie di attentati dinamitardi in varie filiali della Standa, alcuni di matrice mafiosa (come a Catania), altri meno chiari. C’era un clima di tensione sociale in alcune aree del Paese, e i grandi magazzini potevano rappresentare un bersaglio. E in quegli anni, c’era questa frenesia di spingere oltre, di allargarsi, di fare sempre di più. Nuove aperture a Grugliasco, Anzio, Sesto San Giovanni. Sembrava quasi un sogno, no? Ma poi, come spesso accade, non tutto filò liscio. Qualche progetto rimase al palo, un po’ come quelle idee che sembrano geniali a tavolino ma, nella realtà, si scontrano con muri invisibili. E c’erano gli investimenti: pesanti, enormi, forse pure esagerati. La Fininvest, che fino a poco prima sembrava inarrestabile, si ritrovò a dover fare i conti con costi che salivano alle stelle e un mercato della grande distribuzione che non era più quello di prima. Una turbolenza, la chiamano, ma per chi era dentro dev’essere sembrata una vera tempesta.

La parentesi “Five Viaggi” e altri esperimenti
Forse alcuni ricordano la comparsa di stand promozionali, in certe filiali selezionate, dove era possibile acquistare pacchetti turistici. Un’iniziativa, questa, che tentò di unire il concetto di supermercato alla vendita di viaggi, grazie alla “Five Viaggi”, altro ramo Fininvest. Un esperimento insolito e forse troppo spericolato per i tempi. L’idea era di ampliare la gamma di prodotti offerti al consumatore, includendo perfino le vacanze. Ma non portò grandi frutti e, anzi, fu abbandonata di lì a poco.

Colpita dalla crisi, la Standa fu costretta a dismettere il settore degli iper Euromercato, cedendo tutto al gruppo GS. In quegli stessi anni, cercò anche di estendere il raggio d’azione ad altri settori, investendo in joint venture con catene di giocattoli o aprendo nuovi spazi all’estero (come a Budapest). Di fatto, però, il marchio cominciava a perdere pezzi e a ritirarsi su se stesso. Le aperture record degli anni Settanta e Ottanta sembravano lontane.

Lo smantellamento e le ultime mosse: da Coin a Billa

La vendita divisa in due e la scomparsa del marchio nei grandi magazzini
Nel 1999, la Fininvest decise che era arrivato il momento di tagliare definitivamente il cordone. La Standa venne scorporata: il ramo non alimentare finì al gruppo Coin, il ramo alimentare a un’altra società guidata da Gianfelice Franchini (con la partecipazione del Mediocredito Lombardo). Coin, naturalmente, aveva già le sue insegne forti, come OVS, e non si fece problemi a sostituire l’insegna Standa con il proprio marchio in gran parte dei punti vendita. In altre filiali ex Standa, spuntarono firme diverse, come Fnac o Benetton. Insomma, i magazzini di abbigliamento e prodotti vari che avevano fatto la fortuna del gruppo scomparvero quasi nel nulla. Se a qualcuno veniva in mente di andare a comprare un paio di pantaloni in una filiale Standa, improvvisamente non la trovava più, o trovava un OVS fresco di inaugurazione.

Il ramo alimentare prosegue (ancora per poco)

Il settore alimentare rimase, almeno inizialmente, con il marchio Standa in alcune regioni del centro-nord. Nel centro-sud, i supermercati furono assorbiti da Conad, e anche lì l’insegna subì un po’ di confusione, perché in alcuni casi veniva usata la scritta “Standa”, in altri prevaleva “Conad”. Silvio Berlusconi, in seguito, dirà che decise di vendere la Standa per via di alcuni ostacoli amministrativi legati al suo ingresso in politica. Altre voci sostengono che la vendita fosse un modo per generare liquidità e salvare la Fininvest da un momento di pesanti debiti con le banche. Forse la verità sta nel mezzo, o forse si tratta semplicemente di questioni strategiche più complesse.

L’arrivo del gruppo Rewe e la sostituzione con Billa

Nel 2004, anche il settore alimentare rimasto in piedi passò di mano all’austriaca Billa (controllata dal colosso tedesco Rewe Group). In alcune regioni del nord-est, i supermercati presero l’insegna Billa, in altre zone mantennero per qualche tempo la dicitura “Standa Supermercati” o “IperStanda”. Ma era una soluzione di transizione, destinata a finire. Nel 2012 la Rewe rimpiazzò le insegne Standa con il marchio Billa anche in altre aree geografiche, finché, in un susseguirsi di risultati poco soddisfacenti, furono ceduti decine di punti vendita a Conad e poi a Carrefour. In pratica, la storia del marchio Standa si chiuse.

Gli ultimi echi: revival, aperture sporadiche e franchising

Vi starete forse domandando se è davvero finita così. In verità, negli anni successivi, si sono verificati episodi sporadici di utilizzo del marchio. Ad esempio, la Rewe aveva aperto un supermercato Standa in Germania, a Colonia, proponendo una vasta selezione di prodotti italiani. Ma non ebbe lunga vita e chiuse nel 2017. Nel sud Italia, invece, qualcuno ha ripescato la vecchia insegna “Supermercati Standa” con una grafica modificata, spesso solo in franchising locale. Non si tratta certo della catena storica che un tempo si espandeva capillarmente lungo la Penisola, ma più di un omaggio dal sapore nostalgico.

Loghi, pubblicità e testimonial: da Carosello alle grandi star

Facciamo una piccola digressione sulla comunicazione: i loghi Standa sono cambiati spesso, dal primo minimalista con la scritta “Standa” ai più moderni rifacimenti colorati. Le pubblicità storiche partivano già dai tempi di Carosello, ma è con il passaggio alla Fininvest che il brand ha beneficiato dei volti noti di televisione e spettacolo. Abbiamo già menzionato Marco Columbro, Lino Banfi e Mike Bongiorno ma ci piace ricordare anche i concorsi a premi abbinati a trasmissioni popolari, come “Ok, il prezzo è giusto!” o “Tra moglie e marito”.

Quei programmi televisivi, associati a sponsor come Standa, facevano sentire il pubblico a casa, trasmettendo l’idea che acquistare lì fosse conveniente, sicuro e perfino divertente. Diventa quasi un simbolo di affetto familiare, un luogo in cui le persone si sentivano a loro agio. E, in effetti, molti hanno un ricordo di quell’atmosfera tiepida e familiare nel fare la spesa, fra scaffali semplici ma ben forniti.

Standa e lo sport

Non tutti sanno che la Standa non si limitò a vendere prodotti: in certe epoche storiche sponsorizzò squadre di basket (femminili e maschili) o di baseball, come la Standa Milano nel campionato di Serie A o la Viola Reggio Calabria ribattezzata per un periodo “Standa Reggio Calabria”. Perfino nel calcio dilettantistico ci furono team che portarono il nome Standa. Erano mosse di marketing che aiutavano a radicare ancora di più il marchio nel cuore degli italiani e a farlo diventare, almeno in certe città, un riferimento non solo commerciale ma anche sportivo. Immaginatevi le maglie dei giocatori con la scritta Standa e i tifosi locali che, in un certo senso, associano il brand alla passione agonistica. Una trovata che, all’epoca, funzionava bene per farsi notare.

Un marchio che ha segnato un’era

A conti fatti, la Standa ha letteralmente attraversato le fasi salienti del Novecento e del Duemila italiano: la nascita negli anni Trenta, la Guerra, la ripresa, il boom economico, l’avvento delle televisioni commerciali, l’espansione dei grandi magazzini e infine, la chiusura a metà degli anni Duemila. Nel giro di ottant’anni, ha cambiato più volte assetto societario, ha adottato formule di vendita sempre nuove – dal tradizionale banco servito al self-service, passando per gli ipermercati – e si è inserita in un contesto mediatico e culturale di vasta portata.

C’è chi la ricorda con affetto, come un simbolo di semplicità e convenienza e chi invece la vede come un colosso che si è sgretolato per eccesso di ambizioni, cattiva gestione o congiunture sfortunate. Ma è innegabile che, se pensiamo a quante famiglie italiane sono entrate in un negozio Standa per comprare un televisore, un vestito o il pane per la colazione, la Standa sia stata anche un trait d’union intergenerazionale.

Riflessioni conclusive

Vi è mai capitato di guardarvi indietro e pensare: “Caspita, quante cose sono cambiate”? Nel caso della grande distribuzione, il cambiamento è stato enorme. Forse oggi diamo per scontato i centri commerciali con decine di insegne differenti, ognuna specializzata in un settore, e i negozi online che ci consentono di acquistare con un clic. Un tempo, un’unica insegna come la Standa poteva avere al suo interno sia la sezione abbigliamento, sia quella alimentare, con reparti in cui trovare letteralmente di tutto, dal detersivo ai giocattoli. La concezione di “grandi magazzini” di fascia media, comodi e spesso situati nelle zone centrali delle città, era un modello quasi rivoluzionario.

Il destino di Standa ci insegna anche che la grande distribuzione non è solo vendita di prodotti ma un intreccio di relazioni, acquisizioni, strategie finanziarie, influenze politiche e accordi mediatici. E ci fa capire quanto tutto ciò possa essere fragile e legato alle vicende economiche di un Paese, alle scelte di pochi manager e ai venti di innovazione che, a volte, soffiano forti e senza tregua.

Uno sguardo al futuro (e al passato)

Ora, se per caso doveste incrociare un “Supermercati Standa” dalle parti di qualche località italiana minore, sappiate che non è che l’ombra di un colosso che fu. Può darsi che si tratti di un esercizio affiliato, con un’insegna che evoca un passato glorioso, ma la vera continuità storica si è spezzata. L’identità originaria di quell’impresa, con i suoi cambi di proprietà e le sue riorganizzazioni, si è perduta negli anni duemila.

Eppure, c’è ancora qualcuno che ne pronuncia il nome con un sorriso nostalgico. Magari perché ci ha lavorato, o perché da bambino si divertiva a salire e scendere con le scale mobili del reparto abbigliamento, oppure perché ricorda la voce di Mike Bongiorno dire: “Alla Standa, ogni giorno è un buongiorno!” in quei pomeriggi passati a guardare la tv. È una storia collettiva fatta di negozi reali e spot televisivi, di pacchetti promozionali e di macchine parcheggiate in fila davanti all’ingresso. E in un certo senso, possiamo dire che questo vissuto non scompare del tutto, ma rimane in qualche angolo della memoria, come un ritornello che fa riaffiorare un’epoca.

Chiudiamo con un pensiero: le grandi catene nascono e muoiono, le insegne si accendono e poi si spengono e noi, come testata giornalistica, cerchiamo di raccontarne l’evoluzione, i retroscena e le implicazioni. Speriamo che questa ricostruzione un po’ libera, vi abbia fatto sentire più vicini a quello che era la Standa, a come è cresciuta e come si è poi disciolta in mille rivoli. Del resto, certe storie meritano di essere narrate nel modo più sincero possibile, perché non tutto può essere ridotto a un elenco di date e di cifre.

Ed è proprio questa complessità che rende la Standa un pezzo di storia commerciale e sociale dell’Italia: un marchio che si è intrecciato con il cinema, lo sport, la televisione e la vita quotidiana di generazioni di persone. Un marchio che, quasi senza volerlo, ci ha insegnato che dietro le insegne luminose, le corsie di un supermercato o di un grande magazzino, si nascondono sogni, progetti, visioni del mondo e talvolta, le ombre della finanza e della politica. Forse è anche per questo che a volte, ripensando al passato, ci accorgiamo di quante verità possano rivelarsi dentro un carrello della spesa apparentemente banale: riflessi di un Paese che cambia, di un’economia che corre e rallenta, di un desiderio costante di rinnovarsi, inseguendo i sogni di modernità. Ecco, la Standa è stata tutto questo.

Animato da un’indomabile passione per il giornalismo, Junior ha trasceso il semplice ruolo di giornalista per intraprendere l’avventura di fondare la sua propria testata, Sbircia la Notizia Magazine, nel 2020. Oltre ad essere l’editore, riveste anche il ruolo cruciale di direttore responsabile, incarnando una visione editoriale innovativa e guidando una squadra di talenti verso il vertice del giornalismo. La sua capacità di indirizzare il dibattito pubblico e di influenzare l’opinione è un testamento alla sua leadership e al suo acume nel campo dei media.

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Attualità

Un nuovo raggio di luce tra le giostre: Leolandia e...

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Sembra di sentirne il profumo, quell’aria frizzante che precede i grandi cambiamenti. Sì, perché quando un luogo così amato come Leolandia annuncia investimenti, novità e nuove prospettive, non si può restare indifferenti. E, per chi non ne fosse al corrente, la novità più grossa ruota attorno a un’emissione obbligazionaria (un “bond”, come lo chiamano in gergo) e a un piano di sviluppo da molte decine di milioni di euro. È molto più di una cifra su un foglio: è un segnale preciso, una fiaccola che indica un sentiero nuovo, forse più ampio, aperto al futuro.

E a pensarci bene, di futuro in un parco divertimenti ce n’è tanto. Spesso si crede che certi luoghi non cambino mai, che restino uguali a se stessi, anno dopo anno. Leolandia, invece, ha deciso di sfidare l’idea di essere soltanto “il parco dei bambini” e basta. Non vuole limitarsi a offrire intrattenimento ai più piccoli – e fidatevi, lo fa benissimo da una vita – ma ora si spinge oltre, investendo in attrazioni adatte anche a un pubblico un po’ più grandicello.

Le radici di un sogno

Prima di addentrarci nei dettagli, vale la pena ricordare che Leolandia affonda le radici in un concetto preciso: quello di un parco su misura per i bambini. È sempre stato così, sin dal principio. Giostre a misura di bimbo, ambienti fiabeschi, personaggi dei cartoni animati pronti ad abbracciare ogni giovane visitatore. Potremmo quasi definirlo un “nido sicuro”, dove i più piccoli possono sorridere e i genitori sentirsi sereni nel vederli liberi di esplorare un luogo fatto su misura per loro.

Ora, però, la mossa inattesa: l’emissione di un bond da 12,5 milioni di euro, finalizzato a un piano di investimenti molto più ampio. Non è un dettaglio da poco, perché significa che, dietro le quinte, si stanno muovendo figure di spicco della finanza (Banca Finint, Ver Capital SGR, Finint Investments e Solution Bank) che credono davvero nel potenziale di questo parco. Quando si mobilitano fondi così importanti, la domanda è sempre la stessa: “E adesso cosa succede? Dove va a parare questo flusso di denaro?

I numeri dietro la voglia di espansione

Leolandia non ha tardato a rispondere: nuovi spazi, nuove attrazioni, un’intera area tematica di circa 20.000 metri quadrati dedicata a chi cerca esperienze un po’ più coraggiose. In altre parole, l’obiettivo è allargare la clientela, o meglio, allungare la “vita del visitatore”. Invece di pensare solo al bimbo dai 3 ai 6 anni, oggi si punta anche alla fascia di età superiore, magari i preadolescenti che desiderano un brivido più intenso di quello offerto dai tradizionali caroselli. Un passaggio epocale, che mischia l’allegria infantile con un pizzico di adrenalina.

Tutto ciò rientra in un piano più ampio, da circa 20 milioni di euro di investimenti previsti per il 2025. Sembra quasi una rivoluzione permanente: rifare aree, aggiungere giostre, ampliare lo staff, pensare a un intrattenimento più variegato. E su questo fronte si innesta anche la questione della sostenibilità, che non è soltanto un fiore all’occhiello. L’idea è potenziare l’impianto fotovoltaico interno, rendere il parco energeticamente più autosufficiente e fare in modo che la presenza di migliaia di visitatori non si traduca in un impatto ambientale pesante.

Guardare oltre i più piccoli

Veniamo al punto cruciale: Leolandia, storicamente, ha sempre parlato al cuore dei bambini dai primi anni di vita e in questo è stato un campione. Ma qualsiasi bimbo, si sa, cresce. A un certo punto, i trenini con i pupazzetti non bastano più e si inizia a cercare qualcosa di più “fisico”, magari un giro su un’attrazione che giri parecchio e faccia venire quel nodo nello stomaco che provoca risate e urletti di emozione. Ecco, adesso il parco ha in mente di proporre proprio questo genere di avventure. Potremmo dire che vuole seguire i bambini anche nella loro crescita, non lasciandoli andare via appena superano la soglia dell’infanzia.

È una mossa intelligente, perché consolida un rapporto che può durare anni. Si immagina un bambino che, a quattro o cinque anni, si innamora delle prime giostre, per poi desiderare di tornarci anche a dieci o dodici, quando il suo orizzonte di divertimento si è ampliato. E magari i genitori saranno ancora più felici, perché vedranno i loro figli un po’ più grandi ma ancora disposti a giocare e sognare.

Alla ricerca di Unicò: il musical che colora il parco

Ma non di sole giostre vive Leolandia. Si parla di un nuovo musical live, “Esiste Davvero 2: alla ricerca di Unicò”, pronto a debuttare già da marzo 2024. È un aspetto che può sembrare marginale, ma non lo è affatto. Gli spettacoli dal vivo, specie quelli che coinvolgono i bambini in prima persona, sanno creare un’atmosfera unica. E poi, diciamocelo: non tutti vogliono fare file interminabili per salire su una giostra adrenalinica. C’è anche chi ama sedersi e godersi uno show, lasciandosi trasportare da una storia magica in cui compaiono creature fiabesche e canzoni inedite.

Una svolta che, a pensarci bene, ribadisce la volontà di diversificare l’offerta: cibo, spettacoli, natura, divertimento e un pizzico di educazione (perché sì, un buon parco sa anche insegnare qualcosa sulle buone pratiche, sul rispetto per l’ambiente e così via). Sono tasselli che, sommati, danno vita a un mosaico ricco di colori, capace di accontentare un pubblico sempre più eterogeneo.

Una nuova idea di sostenibilità

Il discorso ambientale non è un accessorio. L’ampliamento dell’impianto fotovoltaico e l’attenzione a un turismo più “green” significano scelte pratiche, che vanno ben oltre lo slogan pubblicitario. Qualcuno potrebbe obiettare che, con tutte le luci accese, un parco divertimenti resti comunque un luogo dispendioso dal punto di vista energetico, ed è probabilmente vero. Ma la direzione conta tanto: ridurre gli sprechi, investire in energie pulite, ideare sistemi di gestione delle risorse più efficienti. Tutti aspetti che contribuiscono a fare la differenza tra un semplice “svago” e un’esperienza vissuta con consapevolezza.

Del resto, se si aspira a un milione e passa di visitatori l’anno, la ricaduta sul territorio è importante. Il traffico aumenta, i consumi pure. Diventa fondamentale compensare questa crescita con un approccio responsabile, che limiti le emissioni e, magari, riesca a sensibilizzare le persone che frequentano il parco. Dopotutto, anche i bambini di oggi sono i cittadini di domani, e un parco che li accolga in un contesto rispettoso dell’ambiente potrebbe dar loro un messaggio positivo da portarsi dietro.

Numeri, dati e prospettive

Se andiamo al sodo, i grandi obiettivi di Leolandia non sono certo una passeggiata. Raccogliere 12,5 milioni di euro di fondi non è uno scherzo ma significa anche pianificare l’uso di questo capitale. E i partner finanziari vogliono vedere risultati: un incremento del 20% dei visitatori, la soglia del milione di ospiti da superare e un posizionamento di primo piano nel settore. Non è un compito leggero, ma chi conosce il parco sa quanto impegno ci abbia sempre messo per conquistare la fiducia delle famiglie.

In fondo, è un circolo virtuoso: attrazioni nuove attirano gente nuova che a sua volta, soddisfatta, diventa il miglior passaparola per ulteriori visitatori. E più i numeri crescono, più c’è spazio per re-investire e migliorarsi ancora. L’unica insidia, semmai, è quella di perdere l’identità originaria. Ma per ora, almeno stando alle notizie che circolano, il progetto guarda avanti in modo coerente con la storia di Leolandia. Si punta sull’innovazione, certo, ma senza rinnegare quell’anima fiabesca che fa sentire a casa chiunque passi di lì.

Pensando a domani

Verrebbe quasi da chiedersi se, fra qualche anno, Leolandia potrà competere con i grandi parchi internazionali. Forse la domanda è un po’ prematura, ma nulla vieta di fantasticare. Sicuramente, la strada intrapresa è quella di una costante evoluzione, e la presenza di investitori importanti dà fiducia all’idea che ci sia un potenziale non ancora espresso del tutto. In più, c’è quell’elemento di “coccola familiare” che molti parchi più grandi non riescono a offrire. È quella dimensione raccolta, personale, che si respira a Leolandia e che la gente spesso elogia.

Se arriveranno giostre più spericolate, se il target si amplierà ulteriormente, se la sostenibilità sarà perseguita con convinzione, forse diventerà un punto di riferimento anche per i turisti stranieri. Chi lo sa, magari un bambino tedesco, spagnolo o francese metterà Leolandia nella lista dei posti da visitare in Italia, insieme alle classiche tappe d’arte e cultura. Sarebbe un bel salto di qualità.

Occhio alle novità gastronomiche

Un altro aspetto di cui si parla, e che può sembrare secondario ma non lo è affatto, è l’offerta gastronomica. Eh sì, perché le persone che passano l’intera giornata in un parco hanno bisogno di mangiare, e bene. Nasceranno nuovi punti di ristoro, zone street food, chioschi e bar tematici, magari con menù dedicati sia a chi preferisce un pranzo veloce sia a chi cerca cibi più sani. Negli ultimi anni, l’alimentazione è diventata un argomento sensibile, e i parchi che sanno offrire varietà e qualità prendono molti punti agli occhi dei visitatori.

Un investimento che si traduce in un circolo virtuoso: chi è soddisfatto dal cibo, oltre che dalle attrazioni, associa al parco un ricordo ancor più piacevole e potrebbe sceglierlo di nuovo per feste di compleanno, gite scolastiche, weekend in famiglia. A volte, questi dettagli fanno la differenza.

Tiriamo le fila: un parco in cammino

La sensazione, leggendo tutte queste novità, è che Leolandia stia entrando in una sorta di seconda era. Pur rimanendo “il regno dei bambini”, dove la fantasia regna sovrana, sta cercando di fare un salto di qualità che includa la crescita del suo pubblico di riferimento, una solida struttura finanziaria, un occhio di riguardo per il pianeta e un’offerta di intrattenimento più ampia. È una scommessa ambiziosa, che potrebbe portarla a competere con i più conosciuti parchi divertimento su larga scala, senza perdere il calore che l’ha resa famosa.

Tra bond, musical, nuove giostre, potenziamento dell’energia pulita e voglia di attirare sempre più visitatori (magari puntando al milione e oltre), la rotta è tracciata. L’importante è che, una volta raggiunta la meta, Leolandia mantenga quella scintilla negli occhi che ha conquistato generazioni di bambini. Perché alla fine, se un parco a tema non riesce a suscitare meraviglia, ogni piano di investimento va un po’ a perdersi. Ma le basi sono buone e le prospettive pure, quindi chissà… magari nei prossimi anni lo vedremo davvero diventare uno dei punti di riferimento assoluti del divertimento made in Italy.

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Attualità

Il grande schermo a febbraio 2025: tra emozioni,...

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Febbraio 2025 è alle porte, portando con sé una ventata di novità cinematografiche per tutti i gusti. Dalle grandi produzioni americane ai film d’autore, passando per il cinema d’animazione e le commedie italiane, questo mese si preannuncia variegato e coinvolgente. Scopriamo insieme cosa ci riservano le sale italiane nelle prossime settimane.

Uno sguardo d’insieme: la tradizione di febbraio

Prima di addentrarci nei singoli titoli, è utile sottolineare come il mese di febbraio abbia acquisito, negli anni, un proprio valore strategico per le case di distribuzione. Pur restando un periodo generalmente meno concorrenziale rispetto al “boom” delle feste e ai blockbuster estivi, febbraio si colloca tra i nuovi cicli d’uscita a cavallo tra l’inizio dell’anno e il periodo primaverile. Questa finestra diventa quindi la piattaforma di lancio ideale per film di vario genere: i thriller o i polizieschi adrenalinici, spesso la commedia legata a San Valentino, i titoli che puntano agli Oscar (con cerimonia solitamente tra fine febbraio e inizio marzo) e i lungometraggi d’autore di ritorno dai festival invernali.

In Italia, poi, febbraio rappresenta anche il mese in cui si avvia la distribuzione di alcuni dei film più acclamati o chiacchierati ai festival di gennaio, come il Sundance e in parallelo può capitare che qualche pellicola – forte delle nomination agli Oscar – trovi spazio per cavalcare il successo critico e la curiosità del pubblico.

Produzioni americane di alto profilo

“Captain America: Brave New World” (Marvel Studios)

Data di uscita italiana: 12 febbraio 2025

“Captain America: Brave New World”. Già solo il titolo ti fa venire voglia di scoprire cosa succederà. Questa volta, lo scudo di vibranio non è più nelle mani di Steve Rogers. No, quella parte della storia si è chiusa. Ora c’è Sam Wilson, interpretato da Anthony Mackie, a portare avanti l’eredità. E diciamocelo, la pressione deve essere enorme.

Il film è diretto da Julius Onah, un regista che non ha paura di sperimentare. Ricordate “The Cloverfield Paradox”? Beh, questa volta si cimenta con uno dei personaggi più simbolici del Marvel Cinematic Universe. E poi c’è Harrison Ford. Sì, proprio lui. L’uomo che ha fatto la storia del cinema torna nei panni di Thaddeus “Thunderbolt” Ross. Sarà diverso, sarà nuovo, sarà potente. Ford porta con sé una gravità e una presenza che faranno scintille, soprattutto ora che il suo personaggio è destinato a giocare un ruolo centrale nel futuro dell’MCU.

Ma cosa aspettarsi davvero? Tensione geopolitica, intrighi, e quel sapore di thriller politico che abbiamo amato in “The Winter Soldier”. Questo non è un film che si limita all’azione. È una riflessione su cosa significhi essere un simbolo, su come portare il peso di un mondo che cambia sotto i tuoi piedi. Il tutto condito con un cast che promette di tenere incollati alla poltrona. Ford, Mackie, Liv Tyler e Tim Blake Nelson sono solo alcuni dei nomi che rendono questo film imperdibile. Preparati: “Captain America: Brave New World” non sarà solo un film, sarà un’esperienza che, se fatta bene, ci farà parlare per anni.

“The Brutalist” di Brady Corbet

Data di uscita italiana: 6 febbraio 2025

“The Brutalist”. Cavolo, che titolo, vero? Non ti prepara a qualcosa di semplice o leggero. Questo è uno di quei film che ti costringe a sederti, stare lì per ore – tre e mezza, per essere precisi – e affrontare una storia che ti resterà dentro, piaccia o no. Dietro la macchina da presa c’è Brady Corbet, un regista giovane, con un talento quasi spaventoso per catturare l’essenza della fragilità umana. Hai visto “Vox Lux”? Allora sai già che Brady non scherza.

E di cosa parla? Beh, è un viaggio. Un architetto europeo fugge dai fantasmi del dopoguerra e cerca di ricominciare tutto negli Stati Uniti. Ma puoi davvero fuggire dal passato? Puoi davvero chiudere la porta e lasciarti tutto alle spalle? Corbet sembra volerci dire che no, il passato ti segue, ti scava dentro, si nasconde tra le pieghe di una vita nuova. Anche quando provi a coprirlo con strati di cemento, con architetture perfette. E lui, il protagonista, lo vive sulla pelle.

E quelle tre ore e mezza? Sì, è lungo, lunghissimo. Ma sai, ci sono storie che non puoi comprimere. Ci sono emozioni che hanno bisogno di spazio per respirare, per stratificarsi. “The Brutalist” non è un film per tutti, questo è chiaro. Ma se ti piace un cinema che ti tormenta, che ti fa pensare, che ti accompagna nei giorni successivi, allora questo potrebbe essere il film che aspettavi. Un film che non guardi e basta: lo vivi.

La storia? È un viaggio. Un architetto europeo scappa dal caos del dopoguerra e si rifugia negli Stati Uniti, inseguendo un sogno di rinascita. Ma puoi davvero lasciarti tutto alle spalle? Puoi davvero cancellare il passato? Questo film sembra dirci di no, che il passato ti segue, si insinua nelle pieghe della tua vita nuova, anche quando cerchi di seppellirlo sotto strati di cemento e architetture perfette.

  • Cast: Non ancora del tutto rivelato, ma nelle note di produzione emergono nomi di attori di grande prestigio. La presenza di Jude Law era inizialmente vociferata, ma manca la conferma definitiva. Eppure il film ha già generato molto interesse nei circuiti festivalieri.
  • Aspettative: Chi ama il cinema d’autore, con ritmi dilatati e riflessioni sul dopoguerra, sull’identità e sull’arte, troverà in “The Brutalist” un progetto affascinante. La matrice storica e sociale, unita a un’estetica impeccabile, potrebbe catturare non soltanto i cinefili ma anche chi desidera un’opera visivamente e narrativamente potente.

Anime, cinema orientale e riedizioni

“Let Me Eat Your Pancreas”

Data di uscita italiana: 3 febbraio 2025

Hai mai sentito un titolo più strano? “Let Me Eat Your Pancreas”. Lo leggi e pensi: “Ma di che diavolo parla?”. Poi scopri che è un film giapponese, un dramma romantico diretto da Shô Tsukikawa e qualcosa cambia. Ti incuriosisce, ti attira. Sai già che non sarà un film facile, di quelli che dimentichi appena esci dalla sala.

La trama è di quelle che ti spezzano. C’è un ragazzo, timido, chiuso in se stesso e una compagna di classe con un segreto che pesa come un macigno: è gravemente malata. Eppure, tra loro nasce qualcosa. Un’amicizia? Qualcosa di più? È difficile dirlo, ma quel legame li porterà a guardare in faccia la vita e la morte con una dolcezza e una profondità che ti lasciano senza fiato. Non c’è spazio per la superficialità qui: ogni scena, ogni dialogo, ti fa sentire qualcosa.

E poi, questa riedizione nelle nostre sale. Perché proprio adesso? Probabilmente perché il pubblico italiano sta imparando ad amare sempre di più il cinema giapponese, non solo quello d’animazione. “Let Me Eat Your Pancreas” è un film per chi cerca storie che toccano l’anima, per chi vuole uscire dal cinema con il cuore un po’ più pesante, ma anche un po’ più pieno. Un consiglio? Portati i fazzoletti. E preparati a sentirti vivo.

“Hello! Spank – Il Film – Le pene d’Amore di Spank”

Data di uscita italiana: 13 febbraio 2025

I più nostalgici degli anni ‘80 e ‘90 avranno una certa familiarità con “Hello! Spank”, popolarissima serie anime che in Italia ha avuto un discreto passaggio in TV. “Le pene d’Amore di Spank” è un lungometraggio animato del 1982, diretto da Shigetsugu Yoshida, e ora riproposto nelle sale in edizione rimasterizzata.

  • Perché vederlo: Spank e la sua padroncina Aiko ci riportano a un periodo in cui l’animazione era caratterizzata da tematiche semplici e genuine: l’amicizia, l’aiuto reciproco, le piccole malinconie e gioie quotidiane. È un tuffo nella nostalgia per chi è cresciuto con queste serie, e un’occasione per i più giovani di scoprire un classico che parla di amore e affetti in modo delicato.
  • Target: Genitori con figli, appassionati di anime vintage, amanti di quella particolare estetica anni ‘80. Un titolo che non punta ai grandi incassi ma arricchisce la programmazione con una perla d’altri tempi.

Film d’autore italiani: tra documentari e commedie

“Pellizza – Pittore da Volpedo”

Data di uscita italiana: 4 febbraio 2025

Un documentario su Pellizza da Volpedo? Finalmente! Non capita spesso di vedere la vita di artisti come lui raccontata sul grande schermo. È un progetto ambizioso, questo di Francesco Fei, che si concentra su uno dei pittori più affascinanti e diciamolo, troppo spesso ignorati della nostra storia: Giuseppe Pellizza da Volpedo, il genio dietro quel capolavoro immortale che è “Il Quarto Stato”.

Ma di cosa si parla, esattamente? Di arte, certo, ma anche di vita. Di lotte, di ideali, di un’Italia che stava cambiando. Fei promette di portarci non solo nel mondo di Pellizza, ma anche nel suo tempo, con interviste a storici dell’arte, immagini delle sue opere più iconiche e persino materiale d’archivio che ci farà vedere questo artista sotto una luce nuova. “Il Quarto Stato”, con quelle figure che avanzano fiere, rappresenta molto più di un quadro: è un simbolo. Di resistenza, di speranza, di futuro.

Perché vale la pena vederlo? Perché in un panorama dove si parla sempre di Michelangelo, Leonardo o Caravaggio, Pellizza merita uno spazio tutto suo. Perché ci racconta un pezzo di storia che è tanto nostro quanto universale. E poi, diciamocelo, immergersi nei colori e nelle emozioni della sua pittura su un grande schermo è un’esperienza che può toccare il cuore anche dei meno appassionati di arte. Un viaggio che ci ricorda chi siamo e da dove veniamo.

“Fatti vedere”

Data di uscita italiana: 6 febbraio 2025

“Fatti vedere” è una commedia italiana del 2024, diretta da Tiziano Russo, con protagonisti Matilde Gioli e Pierpaolo Spollon.

  • Trama: Anche se la sinossi ufficiale è ancora stringata, sappiamo che la storia segue le vicende di una giovane donna alle prese con le sfide quotidiane: lavoro precario, questioni sentimentali, la difficoltà di credere in se stessa. Il tutto con il taglio scanzonato e un po’ dissacrante tipico di una certa commedia italiana contemporanea.
  • Interesse: Gli interpreti sono volti apprezzati in TV (pensiamo a fiction e serie di successo), quindi ci si aspetta un certo seguito anche nelle sale. La regia di Tiziano Russo potrebbe dare ritmo e originalità.

“Diva futura”

Data di uscita italiana: 6 febbraio 2025

Un altro dramma italiano, affidato alle cure di Giulia Louise Steigerwalt (già sceneggiatrice di pellicole premiate come “Come un gatto in tangenziale” o “Croce e Delizia”) e con protagonisti Denise Capezza e Pietro Castellitto.

  • Temi: L’ascesa di una giovane donna nel mondo dello spettacolo e della moda, con riflessioni sulla competizione, la mercificazione del corpo e il rapporto tra talento e immagine. Potrebbe rivelarsi un film graffiante e attuale, in grado di mettere in discussione i cliché del jet set.

Uscite fantasy e fantascienza

“Vampira umanista cerca suicida consenziente”

Data di uscita italiana: 4 febbraio 2025

Dal titolo bizzarro e provocatorio, questa commedia drammatica e fantastica diretta da Ariane Louis-Seize (produzione del 2023) è, almeno sulla carta, un’opera che mescola ironia e macabro, ponendo al centro una vampira con inclinazioni… “umaniste”.

  • Trama: L’eterna ricerca di sangue del vampiro, qui ribaltata dalla volontà di non provocare sofferenza, conduce la protagonista a cercare un suicida che consenta volontariamente a lei di cibarsi.
  • Perché intrigante: Il soggetto è al contempo dark e paradossale, e potrebbe avere un risvolto filosofico tutt’altro che banale, riflettendo su temi come la vita, la morte, il libero arbitrio e l’amore. Un piccolo film di nicchia, forse, ma che potrebbe sorprendere un pubblico curioso.

Uscite del 13 febbraio: tra arte, nostalgia e novità

“Queer” di Luca Guadagnino

Data di uscita italiana: 13 febbraio 2025

Hai mai provato quella sensazione strana, quasi scomoda, di essere osservato dritto nell’anima? Ecco, questo è “Queer”. Non è un film che ti accompagna dolcemente, è uno specchio spietato. Ti mette davanti quello che sei. O quello che hai paura di essere. Luca Guadagnino, con quel suo tocco unico, prende il romanzo di William S. Burroughs e lo trasforma in un viaggio. Sì, un viaggio. Crudo, disarmante. Ti scuote, ti fa a pezzi e poi prova a rimetterti insieme. E ci riesce? Forse. Forse no. Ma è questo il punto.

E tu stai lì, inerme. A guardare una storia che non è solo una storia, ma un pugno nello stomaco. Guadagnino non si limita a raccontare, lui ti trascina dentro. Ogni immagine è densa, viva. Ti fa male. Ma poi, in qualche modo, ti fa bene. Questo è “Queer”. E credimi, non è per tutti. Ma per chi si lascia trasportare, sarà indimenticabile.

Poi c’è Daniel Craig. Scordatelo in smoking, scordatelo agente segreto. Qui è un uomo distrutto, perso, che vaga in un Messico infuocato dagli anni ’50, cercando risposte che forse nemmeno esistono. Lo senti addosso quel peso, quella rabbia, quella disperazione. Ti entra dentro e non ti lascia più.

Guadagnino ti trascina, ti avvolge. Ogni scena è un frammento di qualcosa di più grande: i colori saturi, le luci che raccontano più delle parole, le atmosfere che ti fanno sentire fuori posto e incredibilmente a casa allo stesso tempo. Queer non è facile, non è comodo. Ma proprio per questo è necessario.

  • Cast: Si parla di Daniel Craig nel ruolo del personaggio principale, che si muove tra Messico e Stati Uniti alla ricerca della propria identità sessuale in un’epoca (anni ‘50) densa di pregiudizi. L’ufficialità della presenza di Craig è arrivata nel 2024 e ciò ha scatenato l’interesse di critica e pubblico.
  • Aspettative: Guadagnino è noto per il suo tocco elegante, che risalta la sensualità delle location e la complessità dei personaggi. Ha già dimostrato di saper trasporre opere letterarie con sensibilità (“Chiamami col tuo nome” ne è un esempio illustre). “Queer” promette di essere un viaggio introspettivo, probabilmente non privo di tensione emotiva.

“Tornando a Est”

Data di uscita italiana: 13 febbraio 2025

Dopo “Est – Dittatura Last Minute” (2020), il regista Antonio Pisu prosegue la narrazione con “Tornando a Est”, film ambientato nel 1991 e incentrato su tre amici che intraprendono un viaggio verso la Bulgaria post-comunista.

  • Perché vederlo: La pellicola precedente aveva raccolto buoni consensi, mescolando commedia e riflessione storica. Questo sequel punta a raccontare un’altra tappa della transizione dell’Est Europa dopo la caduta del Muro di Berlino. Un mix di nostalgia, ironia e accenni alle reali condizioni socio-politiche dell’epoca.

Altri possibili highlight

I re-show e i festival

Non dimentichiamo che in questo periodo arrivano spesso riedizioni di film classici o proiezioni-evento legate al San Valentino e al Carnevale. Alcune sale potrebbero programmare retrospettive su registi di spicco, o addirittura riportare in sala pellicole recentissime che hanno ricevuto nomination agli Oscar (la cerimonia di premiazione si terrà tra fine febbraio e inizio marzo 2025).

Inoltre, la Berlinale (Festival di Berlino) comincia proprio a febbraio: è possibile che alcuni film vincitori o presentati in anteprima possano essere acquistati e distribuiti in Italia entro la fine del mese, pur essendo una tempistica stretta. Più verosimile che alcuni dei titoli di maggior spicco alla Berlinale siano annunciati per marzo-aprile.

Analisi e riflessioni

Guardando al quadro complessivo, emerge come febbraio 2025 sia un mese capace di offrire una significativa varietà di generi:

  • Action e supereroi: “Captain America: Brave New World” è sicuramente il colosso di riferimento, destinato a dominare il box office, almeno per il pubblico mainstream amante dell’MCU.
  • Cinema d’autore/drammatico: “The Brutalist” di Brady Corbet, “Queer” di Luca Guadagnino, i film italiani come “Diva futura” e “Fatti vedere” alimentano la programmazione “adulta”, orientata a spettatori in cerca di storie più intime o di riflessione.
  • Anime e live action giapponesi: “Let Me Eat Your Pancreas” e il recupero di “Hello! Spank – Il Film” dimostrano che l’animazione e le storie nipponiche (drammatiche o leggere) trovano sempre più spazio e attenzione.
  • Documentari e commedie italiane: “Pellizza – Pittore da Volpedo” si rivolge a un pubblico che apprezza il racconto dell’arte e della storia; “Tornando a Est” e “Vampira umanista cerca suicida consenziente” strizzano l’occhio a chi ama sperimentare generi ibridi o storie particolari.

Il ruolo della tecnologia e delle piattaforme

Non va dimenticato che, accanto alle uscite in sala, in Italia esiste un mercato streaming sempre più incisivo che spesso rischia di erodere i potenziali incassi cinematografici, specie per i film di nicchia o dal budget ridotto. Tuttavia, grazie a un inizio d’anno privo di colossi natalizi, febbraio potrebbe essere un momento favorevole per dare spazio in sala a opere che altrimenti avrebbero poca visibilità.

L’esperienza condivisa del grande schermo, unita a uscite variegate, rende febbraio 2025 un mese potenzialmente ricco di soddisfazioni per gli amanti del cinema. Inoltre, il pubblico italiano si sta lentamente riabituando a frequentare le sale con una certa costanza dopo la forte decrescita di presenze che c’è stata nel periodo 2020-2021.

Consigli pratici

  • Prenotazioni: Alcune pellicole come “Captain America: Brave New World” o “Queer” di Luca Guadagnino potrebbero richiamare grande afflusso di pubblico nella prima settimana di programmazione, quindi conviene pianificare in anticipo la visione, specialmente nei cinema di città medio-grandi.
  • Ricerche prima di andare al cinema: Per opere più di nicchia – ad esempio “Vampira umanista cerca suicida consenziente” – conviene verificare in quali sale verrà effettivamente proiettato. In alcune regioni, potrà essere relegato a circuiti d’essai o a cinema specializzati.
  • Open mind: Se desiderate sperimentare cinema nuovo e non convenzionale, febbraio si presta a scoperte interessanti. Il mese si configura come un “ponte” tra l’eredità delle feste e la primavera; spesso le sorprese più gradevoli si nascondono in film che non hanno ricevuto campagna promozionale massiccia.

Febbraio al cinema: il mese dell’emozione e della scoperta

Siamo quindi alla vigilia di un febbraio 2025 che, dal punto di vista cinematografico, appare florido di spunti per tutti i gusti. La programmazione spazia dai blockbuster mainstream alle pellicole d’animazione giapponese, passando per i documentari d’arte e le storie più sperimentali. A risaltare su tutte è senza dubbio “Captain America: Brave New World”, che – come da tradizione MCU – diventerà probabilmente l’epicentro della curiosità generale. Tuttavia, sarebbe un peccato considerare il mese di febbraio limitatamente a quest’unica uscita: i veri appassionati potrebbero trovare storie in grado di sorprendere in pellicole meno blasonate, ma non per questo meno meritevoli.

D’altro canto, la presenza di lavori come “Queer” di Luca Guadagnino e “The Brutalist” di Brady Corbet indica che ci sarà di che discutere e confrontarsi anche nei circoli cinefili più esigenti. Non mancano gli appuntamenti per chi cerca commedie leggere (“Fatti vedere”) o documentari di spessore (“Pellizza – Pittore da Volpedo”).

Il nostro suggerimento è di tenere d’occhio la programmazione e cogliere l’occasione di una pausa invernale per gustarsi il buio della sala: sia che siate fan di supereroi, sia che preferiate i toni più autoriali o le storie romantiche, la scelta non vi mancherà. D’altronde, febbraio è anche il mese dell’amore: chissà che il cinema non diventi una bellissima occasione per un appuntamento speciale, o per regalarsi un momento di svago dopo il lungo letargo post-natalizio.

Che siate cinefili incalliti o spettatori occasionali, preparatevi: febbraio 2025 è alle porte e con esso, un’offerta variegata che aspetta solo di essere esplorata. Buona visione e buon divertimento in sala, dunque, sperando di vivere un mese di sorprese, emozioni e grandi storie proiettate sul grande schermo.

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Curiosità

Gioielli luxury: ecco i trend da seguire nel 2025

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Gioielli luxury: ecco i trend da seguire nel 2025

Attenzione alla natura, dimensioni oversize e design minimal: sono queste le direttrici che caratterizzano i trend del mondo dei gioielli nel 2025. Stiamo parlando di un anno caratterizzato da un notevole fermento dal punto di vista creativo, con proposte che mettono in evidenza il connubio tra innovazione e tradizione suggellato dalla ricerca della sostenibilità. Sono molteplici gli stili che contraddistinguono i gioielli moda del 2025, e ciò si traduce in molteplici opportunità per fare in modo che accessori unici consentano di assecondare i diversi gusti. Tra colori accesi e un elogio alla natura, non mancano i richiami all’artigianalità.

Lo stile boho-chic

Lo stile boho-chic, fondato sull’impiego di materiali grezzi e con un evidente richiamo alla natura, è tra i motori del modus operandi del 2025 nel comparto dei gioielli, in un panorama ispirato ai valori artigianali e all’autenticità. Tutti gli amanti di accessori originali possono trovare negli oggetti realizzati con lavorazioni manuali ciò di cui sono in cerca: ecco, allora, bracciali intrecciati, ciondoli naturali per collane stratificate e orecchini pendenti impreziositi da pietre come il turchese, l’agata e il quarzo. Sono proprio i dettagli frutto di una lavorazione manuale a rispecchiare ciò che c’è di seducente nell’artigianalità. I metalli non trattati, le perle d’acqua dolce e le conchiglie sono materiali organici che si abbinano alla perfezione a texture irregolari e lavorazioni cesellate.

Il mondo di Rubinia

Rubinia è il marchio a cui fare riferimento quando si è in cerca di gioielli speciali. Da 40 anni questo brand sfrutta i migliori materiali naturali e si dedica all’amore per ciò che è prezioso con l’intento di dare origine a creazioni speciali e straordinarie. Basta esplorare il sito web di Rubinia per scoprire una vasta gamma di soluzioni che mettono in evidenza tutto ciò che c’è di bello nella sartoria preziosa. I migliori gioielli su misura sono il risultato di un sapere artigianale che mescola emozioni ed esclusività.

I gioielli artigianali

gioielli artigianali non riflettono semplicemente uno stile, ma soprattutto una vera e propria filosofia. Non è, insomma, unicamente una questione di bellezza: in gioco ci sono la passione, la creatività e la capacità di connettersi con la natura. E se i gioielli boho-chic si dimostrano delicati, quelli oversize sono più coraggiosi, ideali per coloro che desiderano catturare l’attenzione delle altre persone. È il caso, per esempio, di collane dalle dimensioni importanti abbinate a pendenti scultorei, ma anche di bracciali rigidi e orecchini con formato maxi. Tutto contribuisce a conferire un tocco altamente ricercato e moderno. Oltre ad essere degli accessori, questi gioielli hanno la capacità di rendere straordinario il più semplice dei look.

I protagonisti di ogni outfit

Secondo i trend del 2025, i gioielli sono destinati a diventare protagonisti dell’outfit di chi li sceglie. Lungi dal rappresentare dei semplici dettagli da completamento, appaiono come oggetti in grado di caratterizzare e definire un outfit a 360 gradi. Gli anelli e i bracciali XXL, in un certo senso, arrivano a sfidare le convenzioni e si dimostrano ideali per le persone che amano osare. Gioielli moderni, con linee geometriche e forme nette, pensati anche per un pubblico dinamico e di giovane età, che non ha paura di esprimere con decisione il proprio sentire.

Attenzione alla sostenibilità

Uno dei concetti chiave della gioielleria del 2025 sarà la sostenibilità, intesa anche come connessione con il mondo naturale: una realtà che riflette la selezione di materiali naturali, e più in generale di processi produttivi studiati per assecondare le esigenze dell’ambiente. Spazio, dunque, a nuove collezioni che prevedono l’impiego di materiali preziosi riciclati e il ricorso a gemme derivanti da fonti etiche. Tanti designer stanno puntando su motivi organici e floreali e vogliono utilizzare tecnologie all’avanguardia per garantire produzioni a impatto ridotto. Sì, ma i colori? A vincere saranno le tinte più vivaci, come il verde dello smeraldo, il rosso del rubino e il blu dello zaffiro, per una bellezza moderna e audace. Chi preferisce farsi notare, d’altro canto, non ha che l’imbarazzo della scelta fra opali multicolore, ametiste viola e tormaline rosa. Sono materiali che possono essere abbinati a metalli lucidi e impreziositi da tecniche all’avanguardia, per poter generare gioielli unici e sempre più trendy.

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