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Ucraina-Russia, Putin e il pressing su Trump: Mosca vuole garanzie da Nato
Il Cremlino punta a ottenere impegni vincolanti dall'Alleanza Atlantica: Kiev non deve entrare. Zelensky: "Putin vuole manipolare Trump"
Vladimir Putin vuole negoziare con Donald Trump garanzie formalizzate dalla Nato perché l'Ucraina non entri a farne parte e l'Alleanza non sia in Ucraina, elementi cruciali dell'architettura di sicurezza in Europa voluta da Mosca. Mentre da Washington a Mosca rimbalzano messaggi con prove di dialogo per porre fine alla guerra, il rischio è quello di una Terza guerra mondiale, come scrive l'analista russa Tatyana Stanovaya, considerata bene informata sulle politiche del Cremlino, in un post su Twitter.
La considerazione è legata alle ultime esternazioni di Putin, che ha parlato della controparte americana come di un uomo "pragmatico" e "intelligente" e ha ribadito la sua disponibilità a negoziare con lui "con tranquillità" di tutti i dossier di interesse a Stati Uniti e Russia.
Il vice ministro degli Esteri, Viktor Grushko, ha ribadito la richiesta di Mosca per "garanzie inviolabili" per escludere una futura adesione di Kiev alla Nato, aggiungendo però - dichiarazione "più significativa da parte di un rappresentante russo sui colloqui Putin-Trump" - che Mosca "insisterà che questo sia adottato come politica dalla stessa Nato".
In sostanza, secondo la fondatrice di RPolitik, si torna al contenuto delle richieste della Russia nei negoziati con gli Stati Uniti fra dicembre 2021 e gennaio 2022. Nessun ultimatum diretto questa volta, piuttosto la nuova tattica di blandire Trump e fare leva sulle sue ambizioni. "Ma l'obiettivo principale è sempre lo stesso: Putin non è interessato a garanzie da parte di Kiev o di Washington. Persegue impegni vincolanti da parte della Nato. Nel 2021 la Russia aveva cercato di imporre questi impegni ai diversi Paesi membri".
"Allora Putin aveva anticipato che se non ci fosse stata una risposta a queste richieste, la Russia avrebbe invaso l'Ucraina. Ora la posta in gioco è ancora più alta: Putin considera la possibilità di non riuscire ad arrivare a un accordo come un rischio diretto di una Terza guerra mondiale. Non è solo retorica. Indica la gravità della situazione", conclude.
I segnali di Trump e Putin
Il quadro viene completato anche dalle dichiarazioni che Trump e Putin diffondono ormai quotidianamente in una partita a scacchi giocata a distanza. Non passa inosservata la stoccata che il presidente americano riserva a Volodymyr Zelensky: il presidente ucraino "non è un angelo", dice Trump a Fox News, e "ha risposto a una potenza molto più grande, molto più forte: non avrebbe dovuto farlo perché avremmo potuto trovare un accordo" prima della guerra. L'assonanza con le parole che la Tass attribuisce a Putin a stretto giro è notevole.
Per Putin, la "crisi ucraina" sarebbe stata evitata se a Trump non fosse stata "rubata la vittoria" nelle elezioni 2020. Elogi per il "pragmatico" presidente americano, quindi, e nuove accuse a Zelensky. Il presidente ucraino, ricorda il Cremlino, ha varato "un decreto che proibisce" di negoziare con l'attuale leadership russa: "Kiev sta allegramente succhiando miliardi di dollari" ma non ha fretta di cancellare il decreto che, secondo Mosca, ostacola il dialogo. Saranno "gli sponsor di Kiev", dice Putin, a rimuovere il divieto. E lo sponsor principale, ovviamente, è a Washington.
Zelensky assiste, non in silenzio. Per il presidente ucraino, Putin sta cercando di "manipolare" Trump. "Vuole manipolare il desiderio del presidente degli Stati Uniti di raggiungere la pace", dice Zelensky in un videomessaggio condiviso sui social media. "Sono sicuro che nessuna manipolazione russa avrà successo", aggiunge.
Esteri
Chicago, raid per arrestare migranti: in campo lo...
Honan, l'uomo scelto dal presidente per attuare la 'deportazione di massa', coordina l'operazione
Sono partiti raid per arrestare migranti a Chicago, in applicazione della nuova politica di rimpatri forzati varata dal presidente Donald Trump negli Stati Uniti. Ad annunciarlo è stato l'Us Immigration and Customs Enforcement, il temutissimo Ice, che, in un comunicato, ha parlato di collaborazione con altre agenzie federali - tra le quali Fbi e la Dea - per "operazioni mirate rafforzate" tese a "proteggere la sicurezza pubblica e nazionale tenendo stranieri criminali potenzialmente pericolosi fuori dalle nostre città".
A supervisionare i raid sono arrivati nella città a guida democratica Tom Honan, lo zar del confine a cui Trump ha affidato la gestione di quella che ha promesso come "una deportazione di massa" di milioni di migranti, e il vice ministro della Giustizia ad interim, Emil Bove, secondo quanto riferisce il Chicago Sun Times.
Ieri, associazioni per la tutela dei diritti dei migranti avevano presentato in extremis una ricorso contro i già da giorni annunciati raid a Chicago, sostenendo che con questa azione l'intenzione è quella di "fare della città un esempio per schiacciare il movimento delle città santuario", violando il primo e il quarto emendamento della Costituzione.
Esteri
La Colombia rimanda indietro voli con migranti espulsi. Ira...
Il presidente colombiano Gustavo Petro: "Non sono criminali, su aerei civili trattati con rispetto accoglieremo nostri cittadini". E mette a disposizione l'aereo presidenziale per il rimpatrio
Il presidente colombiano Gustavo Petro sfida Donald Trump e la sua nuova politica dei rimpatri forzati dei migranti. "Un migrante non è un delinquente e deve essere trattato con la dignità che un essere umano merita" ha scritto su X il presidente della Colombia, facendo riferimento alle foto, pubblicizzate dalla stessa Casa Bianca, con i rimpatriati con catene alle mani e ai piedi. "Per questo motivo ho fatto tornare indietro gli aerei militari statunitensi con a bordo migranti colombiani" spiega.
Los EEUU no pueden tratar como delincuentes a los migrantes Colombianos.
— Gustavo Petro (@petrogustavo) January 26, 2025
Desautorizo la entrada de aviones norteamericanos con migrantes colombianos a nuestro territorio.
EEUU debe establecer un protocolo de tratamiento digno a los migrantes antes que los recibamos nosotros.
Nel suo post, Petro, eletto nel 2022 come il primo presidente di sinistra della Colombia, non chiude comunque all'idea di accettare i rimpatri - "non posso far sì che i migranti restino in un Paese che non li vuole", ma insiste sulla necessità di protocolli migliori che garantiscano rispetto e dignità per i cittadini colombiani durante il trasferimento.
"Ma se quel Paese li vuole rimandare deve farlo con dignità e rispetto per loro e il nostro Paese. Su aerei civili, senza essere trattati come criminali, riceveremo i nostri connazionali, la Colombia si rispetta".
L'invio dell'aereo presidenziale
Il governo colombiano annuncia, inoltre, che invierà l'aereo presidenziale per trasportare "con dignità" i migranti che l'amministrazione Trump oggi ha cercato di rimpatriare a bordo di aerei militari che Bogotà ha respinto. "Su indicazione del presidente Gustavo Petro, il governo ha messo a disposizione l'aereo presidenziale per facilitare il ritorno dignitoso dei cittadini che sarebbero arrivati questa mattina nel Paese attraverso voli di espulsione", si legge in una nota della presidenza colombiana. Era stato lo stesso Petro ad annunciare di aver rifiutato l'ingresso ai voli militari, affermando che i migranti "non sono criminali".
L'ira di Trump
"Non permetteremo al governo colombiano di violare i suoi obblighi legali di accettare il ritorno di criminali che ha imposto agli Stati Uniti". Così Donald Trump si scaglia contro "il presidente socialista della Colombia Gustavo Petro" per aver bloccato i voli di rimpatro dagli Stati Uniti "con un grande numero di illegali criminali". Ed annuncia su Truth Social una serie di "urgenti e decisi misure di rappresaglia", a partire da "dazi di emergenza del 25% che in una settimana saliranno al 50% su tutti i prodotti che entrano negli Usa".
Trump afferma, inoltre, di avere ordinato "un divieto di viaggio e revoca dei visti a tutti i funzionari del governo colombiano, membri del partito, familiari e sostenitori". Aggiungendo altre misure commerciali e finanziarie, Trump conclude che queste "sono solo l'inizio".
Esteri
Gaza, l’idea di Trump: “Rifugiati ospitati da...
Secco no di Hamas e Jihad islamica: "Deplorevole, sventeremo i progetti del presidente Usa". Rifiuto anche dal Cairo
Rifugiati palestinesi provenienti da Gaza ospitati da Egitto e Giordania. E' questa l'ultima idea che il presidente Usa Donald Trump ha studiato per "ripulire" l’enclave, descritta come un "sito di demolizione". Parlando ai giornalisti dall'Air Force One, Trump - spiega il Washington Post - ha sottolineato: "Stiamo parlando probabilmente di milione e mezzo di persone, semplicemente ripuliamo l’intera zona e diciamo 'è finita'!.
Mentre l’anno scorso l'amministrazione Biden si era opposta allo spostamento forzato dei palestinesi da Gaza o dalla Cisgiordania occupata, Trump ora ha detto di aver parlato con il re Abdullah II di Giordania, complimentandosi con lui per aver ospitato un gran numero di rifugiati palestinesi e aggiungendo che vorrebbe che la Giordania e l’Egitto accogliessero più persone.
"Quasi tutto è demolito e lì la gente muore. Quindi preferirei essere coinvolto con alcune nazioni arabe e costruire alloggi in un luogo diverso dove possano magari vivere in pace", ha spiegato il leader Usa. Trump ha quindi affermato che il trasferimento della popolazione potrebbe essere temporaneo o a lungo termine. I suoi ultimi commenti, ricorda il Washington Post, arrivano durante il fragile cessate il fuoco a Gaza che ha portato finora al rilascio di sette ostaggi israeliani in cambio di centinaia di prigionieri palestinesi e di un'ondata di aiuti umanitari nella martoriata enclave.
Il no di Hamas e Jihad islamica
Alla proposta di Trump, però, si oppongono due dei principali attori nel conflitto. Un alto funzionario di Hamas ha infatti dichiarato che il gruppo militante palestinese si opporrà all'idea del presidente degli Stati Uniti. "Come hanno sventato ogni piano di sfollamento e di patrie alternative nel corso dei decenni, anche il nostro popolo sventerà tali progetti", le parole di Bassem Naim, membro dell'ufficio politico di Hamas, riferendosi ai commenti di Trump.
Anche la Jihad islamica, movimento islamico palestinese alleato di Hamas a Gaza, si oppone al piano americano, che incoraggerebbe i "crimini di guerra e crimini contro l'umanità".
Definendo l'idea di Trump come "deplorevole" il gruppo, che ha combattuto al fianco di Hamas contro Israele fino al cessate il fuoco del 19 gennaio, ha dichiarato: "Questa proposta rientra nel quadro dell'incoraggiamento dei crimini di guerra e dei crimini contro l'umanità, costringendo il nostro popolo a lasciare la propria terra".
Rifiuto anche dall'Egitto
E anche dall'Egitto arriva un secco no. Il Cairo ha infatti informato gli Stati Uniti di aver respinto la proposta del presidente Trump, ha riferito al canale televisivo saudita Al-Hadath una fonte egiziana, secondo cui il piano degli Stati Uniti prevede lo spostamento dei palestinesi da Gaza per un periodo da sei mesi a un anno in tre paesi arabi e un paese in Asia. Il piano specifica che i palestinesi dovranno lasciare i paesi ospitanti all'inizio del 2026, ma non specifica se i rifugiati potranno tornare a Gaza.