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La premier al Quirinale martedì scorso prima del video-denuncia
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha avvisato ed incontrato segretamente martedì scorso nel primo pomeriggio il capo dello Stato Sergio Mattarella, prima di rivolgersi intorno alle 17 in un video agli italiani ed appena ricevuta l'informativa di iscrizione nel registro degli indagati, firmata dal procuratore Francesco Lo Voi per favoreggiamento e peculato.
La premier, che - ignara della informativa - aveva già incontrato Mattarella al Colle la mattina per la Commemorazione della Memoria, ha deciso di reincontrare il presidente della Repubblica dopo un confronto con il sottosegretario Alfredo Mantovano, anche lui indagato con i ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio.
Cosa Meloni e Mattarella si siano detti "non è dato sapere", si legge sul Messaggero che ha rivelato la notizia in un articolo di Francesco Bechis. "Riserbo assoluto, granitico fra le parti come prevede la grammatica istituzionale. E non è un caso che il Colle si attesta su un rigido no-comment nelle ore e nei giorni a venire, man mano che deflagra lo scontro fra centrodestra e un pezzo di magistratura".
Meloni è decisa a rispondere a quelle toghe che, come va ripetendo ai suoi "vogliono sostituirsi a chi ha ricevuto un mandato chiaro dagli elettori". Pur temendo l'impatto di immagine di quella indagine partita dai pm romani, "tira dritto. Separazione delle carriere di giudici e pm, subito, e se serve ben venga il referendum. Resta però dietro le quinte un filo diretto tra Palazzo Chigi e Quirinale. Utile a concedere entro una linea rossa il confronto con una parte delle toghe, Di qui la scelta di avvisare Mattarella martedì, in quell'incontro segreto sul Colle più alto".
Politica
La sfida di Meloni: “Se giudici vogliono governare,...
La presidente del Consiglio: "L'indagine su di me danneggia l'Italia, dal procuratore Lo Voi un atto voluto"
La miglior difesa è l'attacco. E per difendersi dalle accuse piovute su di lei per la vicenda Almasri, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni apre la campagna contro le toghe "politicizzate" lanciando il suo guanto di sfida a quei magistrati, "per fortuna pochi", che "cercano di colpire chi non è politicamente schierato con loro", invitandoli a candidarsi alle elezioni se la loro intenzione è quella di governare.
Sullo sfondo, il nodo della ministra Daniela Santanchè che si dice "tranquilla" dopo la decisione della Cassazione di confermare a Milano la sede della seconda inchiesta Visibilia, ma che nei fatti è sempre più in bilico.
Collegata in video con l'evento 'La Ripartenza', condotto a Milano dal giornalista Nicola Porro, dopo un breve preambolo la presidente del Consiglio torna a parlare dell'indagine per favoreggiamento e peculato che la vede coinvolta insieme ai ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e al sottosegretario Alfredo Mantovano per il caso della scarcerazione del criminale libico Nijeem Osama Almasri.
Prima rivendica i risultati del suo governo su export, calo dello spread e "andamento record" della borsa italiana, frutto di una ritrovata "credibilità" del Paese ("dal ghiaccio dei fiordi fino alla sabbia del deserto, il mondo è tornato a puntare sull'Italia"); poi coglie la palla al balzo per sferrare un duro attacco nei confronti delle toghe che "remano contro" e che disfano la tela del suo operato come faceva Penelope, la mitologica moglie di Ulisse.
Il 'bersaglio' della premier è il procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi, ovvero colui che ha vergato l'avviso di garanzia recapitato a Palazzo Chigi due giorni fa: un atto "chiaramente voluto", rimarca Meloni nel suo lungo sfogo perché "tutti sanno che le Procure hanno la loro discrezionalità". Per la presidente del Consiglio, quella notifica rappresenta "un danno alla Nazione" per il quale non si dà pace: "Mi manda ai matti... A chiunque nei miei panni cadrebbero un po' le braccia". "Ieri - racconta - mi ritrovo sulla prima pagina del Financial Times con la notizia che sono stata indagata: se in Italia capiscono cosa sta accadendo, all'estero non è la stessa cosa".
Meloni punta il dito contro quelle toghe "che vogliono decidere la politica industriale, ambientale, le politiche dell'immigrazione, vogliono decidere come si possa riformare la giustizia... In pratica vogliono governare loro. Ma - sottolinea - c'è un problema: se io sbaglio, gli italiani mi mandano a casa; se loro sbagliano, nessuno può fare o dire niente. Nessun potere al mondo in uno Stato democratico funziona così, i contrappesi servono a questo".
Da qui, l'invito che suona come una sfida: "Quando un potere dello Stato pensa di poter fare a meno degli altri, il sistema crolla. Se alcuni giudici vogliono governare, si candidino alle elezioni e governino". La premier sostiene di non essere "preoccupata né demoralizzata" dall'indagine, perché "quando ho assunto la guida del governo di questa Nazione sapevo esattamente a cosa sarei andata incontro...". E conclude il suo intervento facendo appello agli elettori: "Finché ci siete voi ci sono anche io, non intendo mollare di un centimetro almeno fino a quando saprò che la maggioranza degli italiani è con me". La sua, assicura, è "una battaglia che va oltre destra e sinistra: è la battaglia per un'Italia normale".
I voli di stato di Lo Voi
Dai vertici di Fdi parte un fuoco di sbarramento sul procuratore Lo Voi per la vicenda relativa all'utilizzo del volo di Stato per i suoi spostamenti. "Lo Voi, in passato, aveva chiesto di utilizzare l'aereo dei servizi segreti per volare da Roma a Palermo e il sottosegretario Mantovano glielo aveva negato per i costi, che ammontano ad almeno 13mila euro. Bisogna fare piena chiarezza su questa situazione imbarazzante", chiedono i parlamentari di Via della Scrofa, inondando le agenzie di comunicati 'fotocopia', o quasi.
Nemmeno Forza Italia è tenera con Lo Voi: "Lasci la magistratura, dopo il danno di immagine al Paese", l'affondo del presidente dei senatori azzurri Maurizio Gasparri. Il segretario di Fi e ministro degli Esteri Antonio Tajani difende le scelte dell'esecutivo sul caso Almasri: "Lo hanno liberato i magistrati, non l'Italia. Il governo lo ha espulso e lo ha accompagnato per motivi di sicurezza nel suo Paese. Punto. Mi domando perché la Corte internazionale non lo ha fatto arrestare in un altro Paese".
Intanto le opposizioni, che hanno bloccato i lavori parlamentari fino al 4 febbraio, continuano a invocare un chiarimento in Aula della premier Meloni: "Verrà qualcuno" del governo a riferire in Parlamento, assicura Tajani, che puntualizza: "Ha già parlato il ministro Piantedosi una volta, tutti lo dimenticano. C'è la conferenza dei capigruppo e deciderà tempi e modi".
Il caso Santanché
Nella lunga saga dello scontro tra governo e toghe rientra anche il caso della ministra del Turismo Daniela Santanchè. L'attesa decisione della Cassazione è arrivata: resta a Milano (e non sarà trasferita a Roma, come chiesto dalla difesa della ministra) la competenza territoriale del filone di indagine sui conti Visibilia che vede accusata, tra gli altri, l'imprenditrice con l'ipotesi di truffa aggravata all'Inps in relazione alla cassa integrazione nel periodo Covid. L'udienza preliminare riprenderà il prossimo 26 marzo e potrebbe concludersi entro maggio.
Il quadro, dunque, si complica per Santanchè, che dal canto suo continua a dirsi "tranquilla" nelle interlocuzioni di queste ore con i suoi: la competenza territoriale non cambia niente - il senso del suo ragionamento - io continuo a lavorare come sempre. Resta valido quanto dichiarato nei giorni scorsi, ovvero che se Meloni le chiederà un passo indietro, lei non potrà che eseguire.
Ma in Fdi molti si aspettano che sia Santanchè per prima a compiere il passo. E in questo senso pesano, e non poco, le parole del Presidente del Senato Ignazio La Russa, una delle persone più vicine alla ministra: "La decisione della Cassazione sul processo? Io credo che Daniela, quando ha detto che avrebbe valutato, può darsi che valuti anche su questo, però non l'ho sentita. Certamente - osserva la seconda carica dello Stato - anche quello è un elemento di valutazione...". (di Antonio Atte)
Politica
Consulta, si allungano i tempi per la prossima...
Manca il clima politico. E manca anche l'accordo complessivo sul pacchetto di nomi. Si allungano i tempi per l'elezione dei quattro giudici alla Corte costituzionale. La prossima seduta comune del Parlamento, a quanto si apprende, non sarà prima di metà febbraio. I rumors dicono infatti che sarebbe ancora lontana la quadra tra il candidato di Forza Italia e il quarto nome del tecnico/indipendente nello scenario del 2+1+1 (due giudici alla maggioranza, uno all'opposizione ed uno al tecnico). Il nodo azzurro non pare infatti sia stato del tutto sciolto, essendo legato a doppia mandata a quello del quarto candidato. E questo è un binomio che potrebbe scompaginare l'intera quadriglia.
Al momento sembrano blindate le candidature dei professori universitari Francesco Saverio Marini in quota Fdi, di Massimo Luciani in quota Pd e la decisione che il quarto candidato in quota tecnico/indipendente debba essere donna e che non debba provenire dalle supreme magistrature "per evitare invasioni in spot altrui". E si confermerebbe in casella tecnica, la stimata giurista cattolica Valeria Mastroiacovo, segretario Centrale dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani (Ugci) e professore ordinario di Diritto tributario presso l’Università degli Studi di Foggia. Dal 2018 è a Palazzo della Consulta come assistente di studio del giudice costituzionale Luca Antonini e dal 2021 è entrata a far parte dell'Ufficio studi dell'intera Corte, quale "pilastro", si dice a Palazzo della Consulta, nella sua materia (diritto tributario) a supporto di tutti i giudici costituzionali.
Perde infatti quota per la quarta casella la bravissima avvocato generale dello Stato Gabriella Palmieri Sandulli, inizialmente ipotizzata quale candidato indipendente, poi per Fi. Le sono infatti stati contestati per quel ruolo i numerosi incarichi politici ricevuti in passato nei governi Berlusconi, Prodi, Amato, Gentiloni, Letta, Renzi, Draghi, che un candidato indipendente a quanto si dice non dovrebbe avere avuto. Così come non è ben vista tra le forze politiche l'opportunità avanzata nei giorni scorsi di una candidatura di Luisa Corazza, giuslavorista di spessore e professoressa ordinaria di Diritto del lavoro presso l'università degli studi del Molise, a causa della nomina ricevuta dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella a consulente per le questioni di carattere sociale al Quirinale. Incarico che, si dice, la taggherebbe quasi quale nomina indiretta in quota presidenziale nonostante una giuslavorista a palazzo della Consulta farebbe comodo al Collegio.
E Forza Italia? A prendere corpo è anche la possibilità che gli azzurri colorino di rosa la loro casella. Una ipotesi non senza ostacoli, per i nomi forti di possibili candidati uomini, parlamentari o tecnici d'area. Tra questi, non certamente Claudio Panzera, professore associato di diritto costituzionale presso l'Università Mediterranea di Reggio Calabria, il cui nome era dato per quasi certo da alcuni media ed indicato quale "l'exit strategy in mano a Tajani per spiazzare gli avversari e perfino i meloniani". Panzera, meridionalista da sempre posizionato sul versante anti-autonomia e linea Open-Arms, si sarebbe infatti precipitato a smentire la notizia agli amici e colleghi.
La carta maschile su cui potrebbe puntare Tajani sarebbe invece quella del professore ordinario di Diritto costituzionale a Tor Vergata Giovanni Guzzetta il cui nome gira fortemente in questi giorni tra gli alti scranni azzurri e delle forze di maggioranza 'seminando' Roberto Cassinelli e Andrea Di Porto, considerati in alternativa al testa a testa fra i parlamentari Sisto e Zanettin. Meridionalista convinto ed anche membro del Comitato per la definizione dei lep (Clep), Guzzetta da sempre ambisce a declinare l'Autonomia di Calderoli, della cui battaglia è un fervido sostenitore, in funzione Sud.
Apprezzato anche da Fdi per le sue posizioni sul premierato, lo è moltissimo da Forza Italia per cui ha scritto il disegno di legge delega sul nucleare presentato dal ministro Pichetto Fratin e per cui ha ricoperto anche in passato il ruolo di capo gabinetto del ministro azzurro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta. E dulcis in fundo, il professore di Tor Vergata potrebbe essere gradito anche a sinistra. Fin dal tempo dei referendum Segni, di cui ha elaborato il quesito, ancor prima è infatti stato capo dell'ufficio legislativo della Margherita al Senato oltre a presidente nazionale della Fuci, Federazione Universitaria Cattolica Italiana.
Gli azzurri disdegnano il rosa? Certo è che due giudici costituzionali donna su quattro posti vacanti non guasterebbero e che una scelta in questa direzione darebbe lustro ad Fi. Se è stata archiviata l'ipotesi in quota Forza Italia di Palmieri Sandulli, si guarda a un discreto gruppo di altre donne, due delle quali vicine a Comunione e liberazione. Sono Tania Groppi, professoressa ordinaria di Istituzioni di diritto pubblico a Siena, che sarebbe sostenuta da Marta Cartabia e che è conosciuta per le sue battaglie sulla eguaglianza di genere e sul ruolo del diritto costituzionale nella lotta al cambiamento climatico; e Lorenza Violini professoressa ordinaria di Diritto costituzionale all'Università degli studi di Milano. Ma nell'ipotesi in cui una delle due fosse prescelta, potrebbe riaprirsi tuttavia il risiko sul quarto candidato saltando Valeria Mastroiacovo, la giurista cattolica apprezzata dalla Cei e data al momento per certa in quota casella tecnica.
Fuori quota Cl, spicca poi il nome di Giovanna Razzano, stimata professoressa ordinaria di Diritto pubblico e di Diritto pubblico per lo sviluppo sostenibile alla Sapienza, in prima linea anche sul fronte della Bioetica (è Membro del Comitato Nazionale di Bioetica dal 6 dicembre 2022), del diritto privato europeo e dell'interpretazione della Costituzione (a cui si è dedicata tra il 2002 e il 2005 nell'ambito di una ricerca diretta dal prof. Franco Modugno, ex vice presidente della Corte costituzionale eletto nel 2015 in quota M5s). Esperta tra l'altro di federalismo fiscale, controllo della spesa pubblica e sussidiarietà oltre che di diritto alla salute e assistenza sanitaria primaria, Razzano si è dedicata anche allo studio della sostenibilità finanziaria dei livelli essenziali di assistenza nella governance multi-livello dell’emergenza sanitaria. Il suo profilo, molto apprezzato per l'equilibrio, a seconda della quadra potrebbe essere considerato anche in quota candidato indipendente, non avendo la docente mai avuto incarichi politici.
In una supposizione di 'scambi' tra Fi e Lega, potrebbe brillare per gli azzurri l'ipotesi Ginevra Cerrina Feroni, vice presidente del Garante per la protezione dei dati personali (il suo nome fu proposto dal Carroccio) e brillante professoressa ordinaria di Diritto costituzionale italiano e comparato all'Università di Firenze. Ferrata sul fronte autonomia (il ministro Calderoli la ha nominata nella Cabina di regia per la determinazione dei Lep), potrebbe essere un candidato appoggiato trasversalmente, come Gabriella Palmieri Sandulli, in quanto benvista anche dal centrosinistra (il ministro dell'Ambiente Sergio Costa -M5s - la ha nominata nel 2019 nella Commissione tecnica nazionale di verifica dell’impatto ambientale ed ha fatto parte della Commissione degli esperti nominata dal Governo Letta, nel giugno 2013, per la riforma della Costituzione). (di Roberta Lanzara)
Politica
Consulta, Flick: “Manca la quadra sui giudici?...
'Non è l'accordo politico che detta i tempi in cui assolvere ad un obbligo costituzionale'
Parlamento in panne per l'elezione dei quattro giudici costituzionali che dovranno reintegrare Silvana Sciarra (il cui mandato è scaduto nel novembre 2023), Augusto Barbera, Franco Modugno e Giulio Prosperetti (i cui mandati sono scaduti il 21 dicembre 2024). Dopo 13 convocazioni, e due sconvocazioni, l'ultima ieri, siamo ancora al nulla di fatto nonostante l'appello del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Ed intanto si profilano tempi lunghi per la prossima seduta comune del Parlamento. Una situazione che allarma gli esperti, in quanto un obbligo costituzionale che tocca la funzionalità di un essenziale organo di garanzia si trasforma in un nodo interamente politico.
E' l'accordo politico che detta i tempi in cui assolvere ad un obbligo costituzionale consentendo al Parlamento di sottrarsi se manca l'accordo? "No - risponde senza mezzi termini all'Adnkronos il presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick -. L'obbligo costituzionale del Parlamento è tale che il presidente Francesco Cossiga ricordò che sarebbe stato costretto a sciogliere le Camere se non fossero state in grado di eleggere un giudice costituzionale (il 7 novembre 1991, in ragione dell’inerzia parlamentare nella reintegrazione del plenum della Corte - ndr). Non è infatti l'accordo fra le forze parlamentari a condizionare i tempi. L'elezione dei membri della Consulta è un dovere, non un accordo politico. Perché la Corte costituzionale è l'organismo di controllo, di verifica, di garanzia della costituzionalità delle leggi e delle risoluzioni dei conflitti". "E una Corte funziona meglio e si esprime al meglio con tutti i membri e non solo con il minimo di essi per poter lavorare: Il prodotto del pensiero di undici giudici è inevitabilmente diverso dal prodotto del pensiero dei 15, nell'equilibrio delle triplici componenti del Collegio (capo dello Stato, magistrature di vertice e Parlamento)".
Infatti le 'regole' sono state pensate nell'ottica di preservazione di un organo di garanzia: l’art. 5, comma 2, della legge costituzionale n. 2 del 1967, si limita a prevedere che se manca un giudice "la sostituzione avviene entro un mese dalla vacanza stessa"; l'organo elettivo è tra gli altri il Parlamento in seduta comune; il quorum evita che la maggioranza possa imporre il suo candidato; lo scrutinio è segreto per impedire imposizioni dall'esterno e far sì che si arrivi ad un consenso sostanziale, pensato; e infine le candidature non si dovrebbero ufficializzare per non favorire politicizzazioni.
Invece? "Il modo di organizzare il Parlamento all'esercizio di voto dei membri della Consulta avviene di fatto in modo sgradevole - ribatte Flick - Dividere tra i gruppi parlamentari le spettanze di chi scegliere non è modo di attuare la Costituzione. Mi viene in mente una vecchia battuta sui Cda Rai: un posto alla Dc, uno al Pci ed uno a uno bravo. Non è questo il metodo per eleggere la suprema magistratura dello Stato".
Stesso dicasi quindi sulle 'quote rosa' e l'intenzione della politica di garantire un posto ad una donna? "Donne e uomini sono eguali. La promozione della donna da parte della politica è doverosa. Si può chiedere la presenza di una percentuale femminile nei Cda. Ma non lo si può fare in Corte costituzionale. Dove si deve puntare al complesso, non al genere a cui si appartiene. La lacuna che per troppo tempo ha caratterizzato l'assenza femminile in Corte è stata rimossa alla fine degli anni '80".
"Si spera che ogni parlamentare nel momento in cui vota non adempia a un dovere verso il proprio gruppo di appartenenza ma indichi la persona più adatta". Il voto ad oltranza potrebbe essere il metodo per portare il Parlamento alla quadra? "In uno dei conclavi lo adottarono. Ma una via del genere lascia perplessi. E' uno dei doveri delle Camere eleggere i giudici costituzionali, se non riescono vuol dire che esse vengono meno ai loro doveri, tanto che ne è ipotizzabile lo scioglimento", conclude. (di Roberta Lanzara)