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Dalle privative papali ai centri multiservizio: l’evoluzione delle tabaccherie in Italia

Le tabaccherie costellano il tessuto urbano e rurale italiano, ben più che semplici esercizi commerciali. Da secoli, queste attività rappresentano un crocevia di storie, abitudini e servizi per gli italiani. Luoghi dell’identità poliedrica, le tabaccherie hanno saputo mutare pelle, adattandosi ai tempi pur mantenendo un legame viscerale con la comunità.

Un tempo il loro nome evocava prevalentemente il fumo e i sali, oggi le ritroviamo trasformate in punti di riferimento multiservizio, capaci di intercettare le necessità più disparate. Tuttavia, dietro questa facciata di adattamento si cela una realtà complessa, segnata da venti di cambiamento e sfide inedite.

La tabaccheria moderna: un hub di servizi al centro della crisi

Oggi varcando la soglia di una tabaccheria si accede a un universo di possibilità. Oltre ai tradizionali tabacchi lavorati, si possono effettuare pagamenti di bollettini, ricariche telefoniche, acquistare biglietti per il trasporto pubblico e persino attivare servizi di pagamento digitale. Tra le attività più radicate nella consuetudine italica vi è sicuramente quella delle lotterie.

Ma con il tempo le cose sono cambiate. Se in passato l’estrazione del Lotto rappresentava un rito quasi sacro consumato tra le mura amiche della tabaccheria, oggi la digitalizzazione ha introdotto nuove dinamiche. La diffusione dei siti di SuperEnalotto, ad esempio, ha offerto un’alternativa comoda e spesso percepita come più sicura, erodendo in parte l’appeal di questa attività svolta fisicamente in tabaccheria. Nonostante ciò, il fascino della schedina cartacea e del contatto umano resiste, affiancandosi alle nuove modalità di fruizione.

Questo scenario di trasformazione convive con una realtà meno idilliaca, poiché negli ultimi anni, il settore delle tabaccherie ha visto incrinarsi alcune certezze consolidate. Le parole del Presidente Nazionale della Federazione Italiana Tabaccai dipingono un quadro preoccupante: oltre 10.000 attività a gestione familiare rischiano la chiusura.

Un allarme che non può essere ignorato e che pone l’accento su una crisi strutturale. Le cause sono molteplici e interconnesse: da un lato il calo fisiologico dei consumi di tabacco tradizionale, influenzato da campagne di sensibilizzazione e dalla crescente popolarità delle sigarette elettroniche, incide pesantemente sui bilanci. Dall’altro, il fenomeno del contrabbando sottrae ingenti risorse al mercato legale, creando una concorrenza sleale difficile da contrastare.

Queste dinamiche economiche mettono a dura prova la sostenibilità di molte piccole rivendite, specialmente quelle situate in contesti periferici o in comuni di dimensioni ridotte, dove la tabaccheria rappresenta spesso l’unico presidio commerciale e sociale. La paventata chiusura di queste attività non si traduce solo in una perdita economica, ma anche in un impoverimento del tessuto connettivo delle comunità.

La storia delle tabaccherie: dalle privative papali al Regno d’Italia

Per comprendere appieno le dinamiche attuali, è necessario volgere lo sguardo al passato, ripercorrendo la plurisecolare storia delle tabaccherie italiane. Le loro origini affondano le radici nel lontano XVII secolo, precisamente nella Roma papalina.

Fu Papa Alessandro VII, sul finire del Seicento, a istituire la privativa sul tabacco, dando vita alla prima embrionale forma di tabaccheria e delineando la figura del tabaccaio. Inizialmente legate alla vendita di acquavite, queste attività assunsero presto un ruolo cruciale per lo Stato Pontificio, configurandosi come strumenti di controllo e di introito fiscale.

La loro importanza sociale crebbe nel tempo, tanto da affiancarsi alla fine del Settecento ai credenzieri pontifici, figure di spicco nella gestione delle provviste delle personalità di rilievo. La diffusione capillare che le tabaccherie conobbero a Roma alla fine del XVII secolo, superando persino il numero di forni e bettole, testimonia la loro rapida affermazione nel tessuto sociale ed economico.

Con l’avvento del Regno d’Italia, il ruolo delle tabaccherie si consolidò ulteriormente. Già nel Regno delle Due Sicilie si riscontravano politiche di controllo sui tabacchi importati, prefigurando un modello di gestione statale che sarebbe stato poi esteso a livello nazionale. Un esempio significativo della loro funzione sociale si ebbe all’inizio del Novecento, quando le tabaccherie furono individuate come punti strategici per la distribuzione del chinino, un farmaco essenziale per combattere la malaria che affliggeva vaste aree del paese.

In quel periodo il numero di tabaccherie crebbe esponenzialmente, raggiungendo le 28.000 unità già nel 1901, a dimostrazione di una penetrazione territoriale senza precedenti. Una tappa fondamentale nell’evoluzione delle tabaccherie si ebbe nel 1918, con un regio decreto che ne mutò la denominazione in “Rivendita di generi di Monopolio”, ampliandone le funzioni e introducendo l’obbligo di esporre un numero identificativo.

L’insegna con la caratteristica “T” bianca su sfondo nero, che ancora oggi le contraddistingue, fece la sua comparsa nel 1956, per poi arricchirsi nel 1984 con la dicitura relativa alla vendita dei valori bollati. L’introduzione del gioco del Lotto nel 1987 rappresentò un ulteriore tassello nell’evoluzione di questi esercizi commerciali.

Il percorso delle tabaccherie italiane delinea un affascinante esempio di adattamento. Nate come monopoli papali focalizzati sulla distribuzione del tabacco, hanno progressivamente ampliato i loro orizzonti, divenendo, sotto il Regno d’Italia, snodi cruciali per servizi pubblici come la distribuzione del chinino, per poi trasformarsi in “Rivendite di generi di Monopolio”. L’era moderna ha assistito a un’ulteriore espansione verso offerte di servizi diversificate, specchio delle esigenze sociali e delle innovazioni tecnologiche.

In conclusione, le tabaccherie italiane rappresentano uno spaccato vivido della storia del paese. Da antichi monopoli statali a moderni centri multiservizio, hanno attraversato secoli di cambiamenti sociali ed economici, radicandosi profondamente nell’immaginario collettivo. Oggi, strette tra la necessità di innovarsi e la minaccia di una crisi che incombe, si trovano di fronte a un bivio cruciale.

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Attualità

Lily Collins e il nuovo cammino della maternità: un...

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Siamo onesti: a volte basta una frase, una foto, persino un emoji per farci vibrare dentro. E stavolta è successo. Una notizia che ha un sapore speciale, un’emozione che arriva dritta allo stomaco e ci resta. Lily Collins è diventata mamma. Lei, quella che abbiamo imparato a conoscere e amare nei panni di Emily in Paris, ha accolto nella sua vita la piccola Tove Jane McDowell. E no, non è solo un titolo da tabloid, è molto di più. È un sogno che prende forma, un desiderio coltivato con cura, una storia che parla di amore vero. E noi, oggi, vogliamo immergerci in questa storia, lasciarci trascinare dall’onda di emozioni che ci ha travolti nel momento stesso in cui abbiamo letto quelle parole. Perché certe notizie non si leggono, si sentono.

Un annuncio che sa di svolta

La prima volta che ci siamo imbattuti nel nome di Tove Jane McDowell, siamo rimasti sorpresi dal suono dolce e dalla storia di affetti che sembra racchiudere. Non è un nome comune, eppure ci appare intriso di una grazia familiare, come se fosse stato scelto con cura per celebrare un nuovo inizio. Lily, conosciuta a livello mondiale non solo per le sue doti recitative ma anche per un fascino naturale che incanta lo schermo, ha condiviso la notizia della nascita della piccola Tove in modo estremamente intimo e riconoscente. E lo ha fatto senza retorica ma con una dolcezza che sembra provenire da un luogo profondamente autentico.

Sappiamo bene come gli annunci delle star possano a volte apparire patinati, quasi freddi. Ma in questo caso, è stato impossibile non percepire un senso di gioia sincera che traboccava. Ed è forse proprio quella spontaneità a rendere questa vicenda ancora più toccante: la condivisione di un momento intimo, accompagnata da un ringraziamento sentito a chi ha reso possibile l’arrivo di Tove. Una gratitudine rivolta verso coloro che hanno supportato Lily e il marito, il regista Charlie McDowell, in un percorso che – anche se da lontano – non è mai banale né privo di sfide personali.

L’origine di un desiderio

Torniamo un attimo indietro. Lily Collins, nata nel 1989 in Inghilterra ma cresciuta a Los Angeles. Un’infanzia con un cognome che pesa – suo padre è Phil Collins – e una carriera che sembra segnata dal destino. Una di quelle storie che sembrano scritte prima ancora di essere vissute. Ma la verità? La vita di Lily non è stata tutta luci e tappeti rossi. Anzi. Dietro quel sorriso perfetto, dietro i riflettori, c’era una ragazza che ha dovuto combattere con i suoi demoni. Un disturbo alimentare, una lotta vera, profonda, di quelle che ti segnano dentro. Un percorso in salita, tra fragilità e forza, tra momenti di sconforto e voglia di rinascere. E ce l’ha fatta, ha trasformato quella battaglia in un punto di svolta. Si è guardata dentro, ha scavato, ha scelto di ricostruire. E oggi, con l’arrivo di Tove, quel cammino sembra trovare un nuovo significato. Un viaggio che non è stato facile, ma che l’ha portata esattamente dove voleva essere.

Negli ultimi anni, tanti fan avevano già percepito il desiderio di maternità che germogliava in lei. Non servivano parole esplicite: bastava vedere la determinazione con cui, in varie interviste, lei accennava a un futuro carico di speranze. È come se, gradualmente, l’idea di diventare madre fosse diventata sempre più nitida, sino a rivelarsi una scelta concreta. Forse, in parte, è anche questa determinazione a renderla così vicina a chi la segue: vedere una figura pubblica che non ha timore di mostrare la propria vulnerabilità può davvero toccare corde profonde.

Un approccio diverso alla genitorialità

La maternità surrogata fa discutere, divide, crea scontri. C’è chi la accoglie come una benedizione e chi la guarda con sospetto. Eppure, se ci fermiamo un secondo, lasciando da parte i pregiudizi, possiamo vedere qualcosa di più grande. Per Lily e Charlie, questa non è stata una decisione presa su due piedi, ma un viaggio lungo, fatto di dubbi, speranze, riflessioni infinite. Un cammino intriso di desiderio, paura, coraggio. Non un capriccio, non una scorciatoia, ma la strada giusta per loro, per il loro sogno di famiglia.

Chi può davvero dire di sapere cosa spinge qualcuno a fare certe scelte? Nessuno, davvero. Ogni storia ha i suoi perché, le sue ombre, le sue luci. Ma c’è una cosa che è chiara come il sole: Lily e Charlie non si sono nascosti. Hanno parlato, spiegato, messo a nudo il loro sogno di diventare genitori. Hanno mostrato un desiderio vero, profondo, senza filtri. E forse proprio questa sincerità ha fatto crollare qualche muro, ha aperto una breccia nelle polemiche, ha fatto spazio al rispetto. Perché alla fine quando c’è amore, quando c’è gratitudine, tutto il resto diventa rumore di fondo.

Le critiche come banco di prova

Certo, sarebbe ingenuo pensare che una scelta così delicata venga accolta sempre e soltanto con applausi. Numerose voci, come spesso accade, si sono levate per mettere in discussione la maternità surrogata. Alcuni hanno puntato il dito sull’aspetto etico, altri hanno sollevato dubbi sul significato stesso di “famiglia”. Ma la coppia, di fronte a questi appunti, ha mantenuto una calma che colpisce. Piuttosto che ingaggiare battaglie a distanza, Lily e Charlie hanno preferito raccontare la loro esperienza con sincerità, lasciando che la forza dei sentimenti parlasse da sé.

A pensarci bene, è un atteggiamento che rispecchia l’immagine della stessa Lily: una donna che ha sempre affrontato le proprie battaglie interiori con coraggio e riservatezza, senza gridare né nascondersi. Forse, in un certo senso, questa serenità di fronte alle critiche è figlia dell’esperienza di chi ha già vissuto momenti complicati e ha imparato a non farsi definire dalle opinioni altrui. L’amore, dopotutto, non ha bisogno di giustificazioni quando è sincero.

Uno sguardo al percorso artistico

Chi la conosce da tempo ricorderà alcuni dei ruoli che l’hanno consacrata a icona internazionale. Dai film come The Blind Side e Mirror Mirror alla serie che l’ha definitivamente proiettata nell’Olimpo della televisione – “Emily in Paris” – Lily Collins ha dimostrato versatilità, carisma e un’eleganza che solo pochi possiedono. E nel frattempo non ha mai perso occasione per sensibilizzare il pubblico su temi a lei cari, dalla lotta ai disordini alimentari al diritto di ogni individuo di scegliere la propria strada.

La sua figura professionale, dunque, non può essere scissa dal suo percorso umano. Negli ultimi anni, Lily si è espressa più volte a favore della consapevolezza rispetto a ciò che accade dietro le quinte di una vita apparentemente perfetta. Mettere in scena la gioia di avere una bambina attraverso surrogacy, in un ambiente come quello hollywoodiano, può sembrare quasi un atto di ribellione: è come dire al mondo che ci sono tanti modi di diventare madri, e che non esiste un’unica verità valida per tutti.

L’incontro di due famiglie illustri

C’è anche una cornice affascinante, in questa storia: la famiglia di Lily, con una tradizione artistica che gravita attorno alla musica di suo padre, Phil Collins, e quella di Charlie, legata al mondo del cinema. Da un lato, il cognome Collins evoca subito note celebri e concerti che hanno fatto la storia. Dall’altro, McDowell rimanda a un lignaggio attoriale noto a Hollywood. Pensare che questi due percorsi si siano uniti in un matrimonio, e che da tale unione sia nata una bambina con un nome decisamente peculiare come Tove Jane, ci fa quasi venire voglia di rispolverare le grandi saghe familiari di un tempo.

Per noi, il fascino di questo incontro non si riduce a un mero pettegolezzo da salotto: rappresenta un ponte tra passati artistici diversi, un’integrazione di storie che potrebbe proiettare la piccola Tove in un futuro altrettanto creativo. E considerando la tenacia di Lily e l’estro di Charlie, chissà che questa bambina non ci riservi sorprese in ambiti impensabili. Ma questo, naturalmente, è solo un piccolo gioco di fantasia che ci concediamo, osservando da lontano un nuovo nucleo familiare in formazione.

La potenza di un messaggio universale

Lo sappiamo bene: il mondo dello spettacolo sa essere spietato, con i suoi ritmi incalzanti, i riflettori sempre accesi e una pressione costante che spesso schiaccia persino i migliori. Ecco perché, quando un’attrice di fama internazionale come Lily Collins decide di condividere qualcosa di tanto intimo, ne rimaniamo toccati. È come se ci mostrasse che, al di là dei set cinematografici e dei riflettori, esiste un essere umano alle prese con desideri, paure e speranze non così diverse dalle nostre.

Alcuni fan hanno detto di essersi commossi leggendo le prime righe del suo annuncio, altri hanno mandato messaggi di vicinanza sui social network. Da parte nostra, notiamo come ogni parola, ogni immagine di Tove avvolta in una piccola coperta, trasudi amore incondizionato e desiderio di protezione. Questo flusso di entusiasmo e partecipazione racconta bene quanto certi temi – come la nascita di un figlio – tocchino corde profonde nell’animo di ognuno di noi, rendendoci per un attimo meno estranei, meno distanti, perfino in un contesto apparentemente dorato come Hollywood.

Il viaggio oltre i percorsi tradizionali

Aver deciso di intraprendere la via della maternità surrogata può apparire, agli occhi di qualcuno, come un passo ardito. Ma se guardiamo la storia di Lily con attenzione, ci accorgiamo che è stata segnata da difficoltà personali, da momenti di buio e da uno slancio continuo verso la luce. Nel 2017, raccontano alcune testimonianze, la voglia di diventare madre iniziava già a pulsare nel suo cuore, nonostante le sfide e le incognite. Oggi, quella speranza è diventata realtà.

Eppure, non possiamo ignorare il contesto culturale in cui viviamo: la surrogacy è ancora considerata un tabù da tanti, un argomento che suscita giudizi contraddittori. Tuttavia, la serenità di Lily nel parlare di questo percorso fa emergere un messaggio di apertura. Ci invita a considerare che, in una società in continua evoluzione, le famiglie possono nascere in modi diversi e nessuno di questi andrebbe sminuito o etichettato come inferiore. Che la piccola Tove fosse attesa con amore, questo è palese. E, in fondo, non è l’amore lo zoccolo duro di ogni relazione umana?

L’eredità di una storia personale

Un altro aspetto che non possiamo trascurare è la vicenda di Lily legata al disturbo alimentare. È impossibile non pensare a quanta forza serva per superare certe barriere mentali, quanta volontà occorra per dire a se stessi: “Ora sto meglio, sono pronta a prendermi cura di un altro essere vivente.” Ci piace credere che la scelta di diventare mamma, di affidarsi a una surrogata per realizzare quel sogno, possa essere letta anche come il coronamento di un lungo viaggio verso la serenità.

Il fatto che lei stessa abbia parlato apertamente di tali difficoltà in passato mostra il desiderio di trasformare la propria vulnerabilità in un punto di contatto con gli altri. In questo risiede una sorta di insegnamento: persino una persona famosa, con tutte le opportunità del caso, deve fare i conti con le proprie insicurezze e i propri demoni. E la maternità, in questo senso, può diventare un simbolo di rinascita: un modo per dire al mondo che si può voltare pagina e ricostruirsi, a volte anche in maniera inusuale.

La normalità di un atto straordinario

Tornando al nocciolo della questione, è sorprendente notare come, in mezzo a riflettori e flash, Lily e Charlie stiano provando a vivere la genitorialità in maniera normale, con quell’aria di chi sta ancora scoprendo ogni singolo dettaglio di una neonata. Certo, le telecamere potranno essere sempre pronte a catturare il loro prossimo passo. Ma viene da immaginare la quotidianità di questa coppia come un susseguirsi di gesti semplici: il primo vagito al mattino, i pianti notturni, le poppate e i cambi di pannolino. Scene che, in fondo, appartengono a tutti i genitori, indipendentemente dalla fama.

C’è un messaggio di fondo che emerge da questa vicenda: non c’è nulla di più potente della vita che sboccia e ogni storia che la riguarda ci riguarda tutti, almeno un po’. Anche quando la vita prende forma attraverso una soluzione che esce dai canoni. Forse il punto è proprio questo: aprirsi alla diversità, ammettere che non tutti i percorsi sono lineari. E la risonanza mediatica di Lily Collins e Charlie McDowell, in tale contesto, potrebbe aiutarci a fare un passettino in più verso la comprensione e il rispetto delle scelte altrui.

Passione e riflessioni per il futuro

È impossibile non chiederci che cosa accadrà domani. Lily, adesso, si ritroverà a unire l’impegno di neo-mamma a quello di attrice affermata e Charlie continuerà a lavorare dietro la macchina da presa. Sicuramente, vi saranno momenti di caos, probabilmente qualche nottata in bianco, ma anche scoperte emozionanti che solo chi vive la genitorialità da vicino può comprendere.

Le persone che la seguono sperano di vedere, in qualche modo, questo nuovo aspetto della sua vita riflesso nei progetti futuri. Ci saranno interviste in cui racconterà la propria esperienza? Condividerà qualche scorcio della piccola Tove, magari mostrandoci come sta crescendo? Non lo sappiamo con certezza e in fondo potrebbe essere più bello così, lasciando a questa famiglia il sacrosanto diritto alla propria intimità.

Un inno alla vita e alla resilienza

Eccoci, infine, giunti a tirare le fila di una storia che ci ha coinvolti più del previsto. Abbiamo parlato di Lily Collins, di un sogno che a lungo ha custodito, di un percorso non convenzionale e di una bambina che porta con sé un nome carico di speranze. Abbiamo rivisto le luci e le ombre di una carriera brillante, accostate alle battaglie private di chi ha dovuto lottare contro i propri limiti. E soprattutto, abbiamo osservato come, nel tumulto del mondo dello spettacolo, si sia aperto uno spiraglio di semplice e pura gioia.

La maternità surrogata, che a molti potrebbe apparire un territorio ancora inesplorato o controverso, si svela qui come una scelta compiuta con responsabilità e amore. Laddove in altri contesti si sarebbe potuta generare solo tensione, Lily e Charlie hanno invece costruito un’occasione per raccontare un nuovo tipo di famiglia, un nuovo modo di vedere la nascita, un rinnovato senso di speranza. E noi ci troviamo a celebrare questa notizia con un misto di stupore e commozione, perché siamo convinti che ogni essere umano abbia il diritto di trovare la strada che lo rende davvero felice.

Questa non è la solita storia di una star che diventa mamma. È il viaggio di due persone, due anime che hanno scelto di affidarsi a un’altra per realizzare un sogno, quello di tenere tra le braccia la loro bambina, di guardarla negli occhi e vedere il futuro riflesso lì dentro. È un atto di amore puro. E in un mondo che spesso sembra cinico, freddo, tutto giudizi e parole vuote, una notizia come questa ci ricorda cosa conta davvero. Una nuova vita. Una pagina bianca da riempire. Un battito di ciglia, un respiro, un primo sorriso che cambia tutto. Perché, alla fine, è questo il cuore di tutto: l’amore che si rinnova, che cresce, che vince su tutto.

Potrebbe sembrare retorico, eppure certe realtà ci toccano in profondità proprio perché sono universali. E magari questo lieto evento, raccontato con semplicità e gratitudine, saprà accendere in tanti la scintilla del dialogo, della consapevolezza e del rispetto. Perché in fin dei conti, ogni volta che celebriamo la nascita di un bambino, celebriamo la possibilità di un domani migliore, un domani in cui ognuno può scegliere come e con chi costruire la propria vita.

Lily Collins e Charlie McDowell ci mostrano, con questa piccola grande avventura, che l’amore ha mille forme e non si lascia definire dai pregiudizi. Oggi, noi vogliamo soltanto raccogliere tutta la gioia e la sincerità che traspaiono da questo nuovo capitolo della loro esistenza, condividendo la speranza che un giorno anche i dibattiti più complessi possano trovare un punto d’incontro, a partire dal riconoscimento della dignità di ogni scelta compiuta con il cuore. E nel frattempo, salutiamo Tove con un sorriso, felici di sapere che nel mondo c’è una nuova storia d’affetto, pronta a germogliare e a brillare proprio come un raggio di sole inaspettato.

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Curiosità

Organizzare il lavoro della tesi: la guida definitiva per...

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Scrivere una tesi di laurea è un’esperienza che combina ambizione e paura. Ti ritrovi con tante idee, infinite scadenze e il costante dubbio di non sapere se stai facendo tutto nel modo giusto. Ti suona familiare?

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Attualità

Un nuovo raggio di luce tra le giostre: Leolandia e...

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Sembra di sentirne il profumo, quell’aria frizzante che precede i grandi cambiamenti. Sì, perché quando un luogo così amato come Leolandia annuncia investimenti, novità e nuove prospettive, non si può restare indifferenti. E, per chi non ne fosse al corrente, la novità più grossa ruota attorno a un’emissione obbligazionaria (un “bond”, come lo chiamano in gergo) e a un piano di sviluppo da molte decine di milioni di euro. È molto più di una cifra su un foglio: è un segnale preciso, una fiaccola che indica un sentiero nuovo, forse più ampio, aperto al futuro.

E a pensarci bene, di futuro in un parco divertimenti ce n’è tanto. Spesso si crede che certi luoghi non cambino mai, che restino uguali a se stessi, anno dopo anno. Leolandia, invece, ha deciso di sfidare l’idea di essere soltanto “il parco dei bambini” e basta. Non vuole limitarsi a offrire intrattenimento ai più piccoli – e fidatevi, lo fa benissimo da una vita – ma ora si spinge oltre, investendo in attrazioni adatte anche a un pubblico un po’ più grandicello.

Le radici di un sogno

Prima di addentrarci nei dettagli, vale la pena ricordare che Leolandia affonda le radici in un concetto preciso: quello di un parco su misura per i bambini. È sempre stato così, sin dal principio. Giostre a misura di bimbo, ambienti fiabeschi, personaggi dei cartoni animati pronti ad abbracciare ogni giovane visitatore. Potremmo quasi definirlo un “nido sicuro”, dove i più piccoli possono sorridere e i genitori sentirsi sereni nel vederli liberi di esplorare un luogo fatto su misura per loro.

Ora, però, la mossa inattesa: l’emissione di un bond da 12,5 milioni di euro, finalizzato a un piano di investimenti molto più ampio. Non è un dettaglio da poco, perché significa che, dietro le quinte, si stanno muovendo figure di spicco della finanza (Banca Finint, Ver Capital SGR, Finint Investments e Solution Bank) che credono davvero nel potenziale di questo parco. Quando si mobilitano fondi così importanti, la domanda è sempre la stessa: “E adesso cosa succede? Dove va a parare questo flusso di denaro?

I numeri dietro la voglia di espansione

Leolandia non ha tardato a rispondere: nuovi spazi, nuove attrazioni, un’intera area tematica di circa 20.000 metri quadrati dedicata a chi cerca esperienze un po’ più coraggiose. In altre parole, l’obiettivo è allargare la clientela, o meglio, allungare la “vita del visitatore”. Invece di pensare solo al bimbo dai 3 ai 6 anni, oggi si punta anche alla fascia di età superiore, magari i preadolescenti che desiderano un brivido più intenso di quello offerto dai tradizionali caroselli. Un passaggio epocale, che mischia l’allegria infantile con un pizzico di adrenalina.

Tutto ciò rientra in un piano più ampio, da circa 20 milioni di euro di investimenti previsti per il 2025. Sembra quasi una rivoluzione permanente: rifare aree, aggiungere giostre, ampliare lo staff, pensare a un intrattenimento più variegato. E su questo fronte si innesta anche la questione della sostenibilità, che non è soltanto un fiore all’occhiello. L’idea è potenziare l’impianto fotovoltaico interno, rendere il parco energeticamente più autosufficiente e fare in modo che la presenza di migliaia di visitatori non si traduca in un impatto ambientale pesante.

Guardare oltre i più piccoli

Veniamo al punto cruciale: Leolandia, storicamente, ha sempre parlato al cuore dei bambini dai primi anni di vita e in questo è stato un campione. Ma qualsiasi bimbo, si sa, cresce. A un certo punto, i trenini con i pupazzetti non bastano più e si inizia a cercare qualcosa di più “fisico”, magari un giro su un’attrazione che giri parecchio e faccia venire quel nodo nello stomaco che provoca risate e urletti di emozione. Ecco, adesso il parco ha in mente di proporre proprio questo genere di avventure. Potremmo dire che vuole seguire i bambini anche nella loro crescita, non lasciandoli andare via appena superano la soglia dell’infanzia.

È una mossa intelligente, perché consolida un rapporto che può durare anni. Si immagina un bambino che, a quattro o cinque anni, si innamora delle prime giostre, per poi desiderare di tornarci anche a dieci o dodici, quando il suo orizzonte di divertimento si è ampliato. E magari i genitori saranno ancora più felici, perché vedranno i loro figli un po’ più grandi ma ancora disposti a giocare e sognare.

Alla ricerca di Unicò: il musical che colora il parco

Ma non di sole giostre vive Leolandia. Si parla di un nuovo musical live, “Esiste Davvero 2: alla ricerca di Unicò”, pronto a debuttare già da marzo 2024. È un aspetto che può sembrare marginale, ma non lo è affatto. Gli spettacoli dal vivo, specie quelli che coinvolgono i bambini in prima persona, sanno creare un’atmosfera unica. E poi, diciamocelo: non tutti vogliono fare file interminabili per salire su una giostra adrenalinica. C’è anche chi ama sedersi e godersi uno show, lasciandosi trasportare da una storia magica in cui compaiono creature fiabesche e canzoni inedite.

Una svolta che, a pensarci bene, ribadisce la volontà di diversificare l’offerta: cibo, spettacoli, natura, divertimento e un pizzico di educazione (perché sì, un buon parco sa anche insegnare qualcosa sulle buone pratiche, sul rispetto per l’ambiente e così via). Sono tasselli che, sommati, danno vita a un mosaico ricco di colori, capace di accontentare un pubblico sempre più eterogeneo.

Una nuova idea di sostenibilità

Il discorso ambientale non è un accessorio. L’ampliamento dell’impianto fotovoltaico e l’attenzione a un turismo più “green” significano scelte pratiche, che vanno ben oltre lo slogan pubblicitario. Qualcuno potrebbe obiettare che, con tutte le luci accese, un parco divertimenti resti comunque un luogo dispendioso dal punto di vista energetico, ed è probabilmente vero. Ma la direzione conta tanto: ridurre gli sprechi, investire in energie pulite, ideare sistemi di gestione delle risorse più efficienti. Tutti aspetti che contribuiscono a fare la differenza tra un semplice “svago” e un’esperienza vissuta con consapevolezza.

Del resto, se si aspira a un milione e passa di visitatori l’anno, la ricaduta sul territorio è importante. Il traffico aumenta, i consumi pure. Diventa fondamentale compensare questa crescita con un approccio responsabile, che limiti le emissioni e, magari, riesca a sensibilizzare le persone che frequentano il parco. Dopotutto, anche i bambini di oggi sono i cittadini di domani, e un parco che li accolga in un contesto rispettoso dell’ambiente potrebbe dar loro un messaggio positivo da portarsi dietro.

Numeri, dati e prospettive

Se andiamo al sodo, i grandi obiettivi di Leolandia non sono certo una passeggiata. Raccogliere 12,5 milioni di euro di fondi non è uno scherzo ma significa anche pianificare l’uso di questo capitale. E i partner finanziari vogliono vedere risultati: un incremento del 20% dei visitatori, la soglia del milione di ospiti da superare e un posizionamento di primo piano nel settore. Non è un compito leggero, ma chi conosce il parco sa quanto impegno ci abbia sempre messo per conquistare la fiducia delle famiglie.

In fondo, è un circolo virtuoso: attrazioni nuove attirano gente nuova che a sua volta, soddisfatta, diventa il miglior passaparola per ulteriori visitatori. E più i numeri crescono, più c’è spazio per re-investire e migliorarsi ancora. L’unica insidia, semmai, è quella di perdere l’identità originaria. Ma per ora, almeno stando alle notizie che circolano, il progetto guarda avanti in modo coerente con la storia di Leolandia. Si punta sull’innovazione, certo, ma senza rinnegare quell’anima fiabesca che fa sentire a casa chiunque passi di lì.

Pensando a domani

Verrebbe quasi da chiedersi se, fra qualche anno, Leolandia potrà competere con i grandi parchi internazionali. Forse la domanda è un po’ prematura, ma nulla vieta di fantasticare. Sicuramente, la strada intrapresa è quella di una costante evoluzione, e la presenza di investitori importanti dà fiducia all’idea che ci sia un potenziale non ancora espresso del tutto. In più, c’è quell’elemento di “coccola familiare” che molti parchi più grandi non riescono a offrire. È quella dimensione raccolta, personale, che si respira a Leolandia e che la gente spesso elogia.

Se arriveranno giostre più spericolate, se il target si amplierà ulteriormente, se la sostenibilità sarà perseguita con convinzione, forse diventerà un punto di riferimento anche per i turisti stranieri. Chi lo sa, magari un bambino tedesco, spagnolo o francese metterà Leolandia nella lista dei posti da visitare in Italia, insieme alle classiche tappe d’arte e cultura. Sarebbe un bel salto di qualità.

Occhio alle novità gastronomiche

Un altro aspetto di cui si parla, e che può sembrare secondario ma non lo è affatto, è l’offerta gastronomica. Eh sì, perché le persone che passano l’intera giornata in un parco hanno bisogno di mangiare, e bene. Nasceranno nuovi punti di ristoro, zone street food, chioschi e bar tematici, magari con menù dedicati sia a chi preferisce un pranzo veloce sia a chi cerca cibi più sani. Negli ultimi anni, l’alimentazione è diventata un argomento sensibile, e i parchi che sanno offrire varietà e qualità prendono molti punti agli occhi dei visitatori.

Un investimento che si traduce in un circolo virtuoso: chi è soddisfatto dal cibo, oltre che dalle attrazioni, associa al parco un ricordo ancor più piacevole e potrebbe sceglierlo di nuovo per feste di compleanno, gite scolastiche, weekend in famiglia. A volte, questi dettagli fanno la differenza.

Tiriamo le fila: un parco in cammino

La sensazione, leggendo tutte queste novità, è che Leolandia stia entrando in una sorta di seconda era. Pur rimanendo “il regno dei bambini”, dove la fantasia regna sovrana, sta cercando di fare un salto di qualità che includa la crescita del suo pubblico di riferimento, una solida struttura finanziaria, un occhio di riguardo per il pianeta e un’offerta di intrattenimento più ampia. È una scommessa ambiziosa, che potrebbe portarla a competere con i più conosciuti parchi divertimento su larga scala, senza perdere il calore che l’ha resa famosa.

Tra bond, musical, nuove giostre, potenziamento dell’energia pulita e voglia di attirare sempre più visitatori (magari puntando al milione e oltre), la rotta è tracciata. L’importante è che, una volta raggiunta la meta, Leolandia mantenga quella scintilla negli occhi che ha conquistato generazioni di bambini. Perché alla fine, se un parco a tema non riesce a suscitare meraviglia, ogni piano di investimento va un po’ a perdersi. Ma le basi sono buone e le prospettive pure, quindi chissà… magari nei prossimi anni lo vedremo davvero diventare uno dei punti di riferimento assoluti del divertimento made in Italy.

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