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Single

La popolazione diminuisce, i single aumentano (e la popolazione diminuisce ancora). Il calo delle coppie è un fenomeno globale, ma diventa un fardello in Paesi come l’Italia che già stanno attraversando una pericolosa crisi demografica.

I numeri dell’ultima indagine Moneyfarm sono impietosi. In Italia, chi vive da solo spende in media 564 euro in più al mese, che diventano 240 mila euro in 25 anni. L’immagine del gatto che si morde la coda è quanto mai azzeccata: i salari sono bassi, si lavora più ore per aumentare le entrate, diminuisce lo spazio per gli affetti, diminuiscono le coppie, diminuiscono i figli, diminuiscono i lavoratori giovani, diminuisce la produttività del Paese…i salari restano bassi. Il tutto mentre il costo della vita aumenta e fare un figlio costa sempre anche se le entrate son sempre le stesse.

Perché in Italia ci sono tanti single?

Il gatto non si morde la coda sempre allo stesso modo. Molti restano single non perché hanno poco tempo al di fuori del lavoro, ma per scelta o perché assorbiti da una cultura sempre più individualista e virtuale, che viene accentuata dai social media: sempre più persone fatto fatica a trovare e mantenere una relazione stabile. In questo contesto ha un ruolo anche il boom di siti e app di incontri, che fanno sembrare più facile trovare un partner potenziale, ma favoriscono una cultura del “dating” superficiale. Inoltre, vivere da soli non è più visto come un segno di fallimento sociale, ma come una scelta che può portare altrettanta soddisfazione quanto le tradizionali unioni familiari.

Intanto, in un solo anno l’Italia ha ‘guadagnato’ mezzo milione di single (voce che include anche separati, divorziati e vedovi che non si sono mai risposati): dagli 8,36 milioni del 2022 agli 8,85 milioni del 2023, ovvero il 15% della popolazione. Le ricadute economiche sono enormi.

Quanto costa essere single in Italia?

Secondo l’analisi di Moneyfarm, vivere da soli in Italia comporta una spesa media mensile di 564 euro in più rispetto a chi condivide le spese con un partner. A conti fatti, chi vive da solo spende in media ogni mese 1.972 euro nel 2023, con un minimo di 1.825 euro per gli over 65 e un massimo di 2.156 euro per chi è in età da lavoro, tra i 35 e i 64 anni. Una coppia invece affronta costi mensili pari a 2.816 euro, quindi, nell’ipotesi di suddivisione equa delle spese tra i due partner, 1.408 euro a testa.

Questa differenza è attribuibile principalmente ai costi fissi che i single non possono dividere con altri.

Ad esempio, le spese per l’abitazione, che includono affitto o mutuo, utenze e spese condominiali, ammontano in media a 949 euro al mese per una persona sola, mentre per una coppia la spesa pro capite è di 587 euro, con una differenza di 362 euro. Anche le spese alimentari incidono sul bilancio dei single perché, in proporzione, le porzioni piccole costano di più di quelle grandi e del tanto amato ‘formato famiglia’. Un single spende 337 euro al mese per cibo e bevande, mentre ciascun membro di una coppia spende circa 266 euro, con una differenza di 71 euro che diventano 852 euro in un anno e a 8.520 euro in dieci anni (senza considerare l’inflazione). Le spese per il tempo libero e i viaggi seguono una tendenza simile: un single spende mediamente 100 euro al mese per ristoranti e hotel, rispetto ai 71 euro pro capite di una coppia, registrando una differenza di 29 euro, pari al 41% della spesa.

Non finisce qui. Anche le spese per i veicoli sono più elevate, poiché non è possibile condividere i costi di carburante o di manutenzione. Anche se più raramente, l’intrattenimento e le attività ricreative possono risultare più onerose, perché alcune offerte sono pensate per le famiglie.

Infine, dal punto di vista fiscale, in Italia non esistono agevolazioni per le persone single, mentre lo Stato, soprattutto negli ultimi anni con l’obiettivo (finora non raggiunto) di arrestare la denatalità, riconosce deduzioni e detrazioni per il coniuge o per i figli a carico.

Le conseguenze sul risparmio

Più spesa significa anche meno risparmio. Chiaramente, il gap cambia in base all’età in cui si inizia a convivere. Secondo l’indagine Moneyfarm:

– Chi va a convivere a 45 anni, a 50 anni avrà risparmiato 33.839 euro;

– Chi va a convivere a 35 anni, a 50 anni avrà risparmiato 101.516 euro;

– Chi va a convivere a 25 anni, a 50 anni avrà risparmiato 169.194 euro.

E siccome meno risparmio significa anche meno capacità di investimento, la forbice tra single e coppie si allarga. Se i 564 euro risparmiati ogni mese venissero investiti, la differenza di capitale al compimento dei 50 anni seguirebbe quest’andamento:

– Convivenza a 45 anni di età, capitale di 34.889 euro (con portafoglio a basso rischio) o 36.850 euro (alto rischio);

– Convivenza a 35 anni, capitale di 105.533 euro (basso rischio) o 122.679 euro (alto rischio);

– Convivenza a 25 anni, capitale compreso tra 182.227 e 240.268 euro.

Vivere in coppia non è solo una scelta di vita, ma anche una decisione che impatta significativamente sul portafoglio e sulle prospettive finanziarie future.

Quanti sono i single in Italia

Come accennato, in base agli ultimi dati Istat, tra il 2022 e il 2023 i single sono passati da 8.364.000 a 8.846.000. Ad oggi single, separati e vedovi che non si sono mai risposati rappresentano il 15% della popolazione italiana.

In particolare, quasi la metà delle persone che vivono da sole (47%) ha più di 65 anni, il 32% ha un’età compresa tra i 45 e i 64 anni, mentre il restante 21% ha meno di 45 anni. Le ragioni di questo aumento sono molteplici: l’allungamento dell’aspettativa di vita ha portato a un incremento del numero di vedovi e vedove, che costituiscono circa il 35% delle persone sole; inoltre, cresce il numero di separati e divorziati che non si risposano, una categoria che comprende oltre 2 milioni di persone, in aumento rispetto agli anni precedenti. Tra gli over 65 sono di più le donne sole, complice la maggiore longevità femminile e la premorienza del partner.

Gli uomini single sono il doppio delle donne

C’è infine un altro aspetto, più sociologico, da evidenziare: tra gli under 45 gli uomini single sono il doppio delle donne (12% contro 6%). Impossibile dire con certezza quale sia il motivo, di certo questa tendenza serpeggia da tempo nel cuore della nostra società (i Pooh componevano “Uomini soli” nel lontano 1990).

Le conseguenze sulla demografia italiana

L’aumento del numero di persone che vivono da sole ha implicazioni significative sul piano demografico. La diminuzione delle nascite è una delle conseguenze più evidenti: le persone single, infatti, hanno molte meno probabilità di avere figli rispetto alle coppie.

Nel 2023, il numero medio di figli per donna è sceso a 1,20, in flessione rispetto al 2022 e vicino al record negativo del 1995. Tra i Paesi che affrontano il declino demografico più marcato, l’Italia si distingue per la rapidità con cui sta perdendo popolazione. Attualmente gli italiani sono circa 58,9 milioni, ma entro il 2100 la popolazione potrebbe ridursi a soli 35,5 milioni! Secondo altri studi, entro il 2307 la popolazione italiana potrebbe scomparire.

Su Demografica abbiamo analizzato le tante cause della denatalità e i loro intrecci. Stipendi bassi, welfare pubblico carente e welfare privato sviluppato solo nelle grandi aziende, scarsi servizi all’infanzia, gender gap domestico e lavorativo sono i fattori principali che, da circa un decennio a questa parte, hanno portato il Paese in una profonda crisi demografica. Inoltre, il ruolo della famiglia (strettamente legati alla “singletudine”) è cambiato e sempre più coppie non vogliono avere figli a prescindere dalle condizioni economiche come dimostra il fenomeno delle famiglie Dink.

Un altro aspetto da considerare è l’evoluzione dei ruoli familiari e l’emancipazione delle donne. Se da un lato il tasso di occupazione femminile è cresciuto, dall’altro si assiste a una riduzione della propensione ad avere figli, spesso percepiti come un ostacolo alla carriera professionale. Sempre più coppie, infine, decidono di avere figli tardi, quando la fertilità diminuisce. In una donna di 30 anni ha il 69% di probabilità di restare incinta. Per ogni anno di posticipazione della maternità, le possibilità di restare incinta si riducono del 5%. Numeri preziosi, ma poco conosciuti a causa di una scarsa educazione sulla salute riproduttiva. Nel frattempo, in Italia l’età media al parto è arrivata a 32,4 anni (oltre due anni in più rispetto al 1995) e sempre più persone (per scelta o no) vivono da sole.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Demografica

Sanremo 2025, Bianca Balti incanta con il suo inno alla vita

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Sanremo, 75° Festival Della Canzone Italiana 2025 Seconda Serata. Bianca Balti

Il Festival di Sanremo ha sempre avuto i suoi momenti iconici, ma quello che Bianca Balti ha regalato al pubblico dell’Ariston, nella seconda serata dell’edizione 2025, rimarrà inciso nella storia. Non era solo la sua bellezza a colpire – quella, dopotutto, è sempre stata un dato di fatto –, ma la luce con cui la co-conduttrice illuminava il palco, una luce che non aveva nulla a che fare con i riflettori. Era la luce della consapevolezza, del coraggio, della voglia di vivere.

Bianca con eleganza e determinazione, ha ribaltato la narrazione della malattia per trasformarla in un inno alla vita. “Io non vengo a fare la malata di cancro”, aveva detto a Carlo Conti prima di salire sul palco. E così ha fatto: ha brillato, ha emozionato, ha incantato. Non con un monologo strappalacrime, ma con la potenza di un sorriso e la fierezza di chi si rifiuta di lasciarsi definire dalla malattia.

Il coraggio di mostrarsi senza filtri

Se il Festival di Sanremo è il tempio del glamour e della perfezione estetica, Bianca Balti ha scelto di rompere ogni schema. Nella storia del festival, mai un co-conduttore si era presentato sul palco con la testa rasata a causa della chemioterapia. Ma lei, con la sua presenza magnetica, ha trasformato quello che per molti è un simbolo di fragilità in un’arma di forza.

Balti è apparsa radiosa, sfoggiando quattro cambi d’abito straordinari, dal chiffon azzurro polvere di Valentino al Cavalli d’archivio, con oblò che lasciava intravedere le cicatrici dell’intervento, mostrandosi come mai nessuna prima di lei. E nel farlo, ha ridefinito il concetto stesso di femminilità e forza. “Chi sta vivendo questa situazione vuole vedere gioia”, ha detto. E così ha fatto: ha ballato, ha scherzato con Cristiano Malgioglio, ha illuminato l’Ariston con la sua energia.

La forza di una rinascita

La sua storia è un viaggio tra fragilità e potenza. Prima di ammalarsi, Bianca Balti era una delle top model italiane più richieste. Ma con la diagnosi di cancro ovarico, tutto è cambiato: “I brand hanno smesso di considerarmi una persona con cui lavorare. Oltre a mandarmi fiori e biglietti d’auguri, non mi chiamavano più”. Ma lei, invece di farsi schiacciare, ha trovato una nuova strada: ha deciso di essere se stessa senza vergogna, di mostrare il suo valore al di là dei canoni imposti dalla moda.

Sanremo è stata l’occasione per gridarlo al mondo: la sua presenza sul palco non è stata solo una celebrazione della bellezza, ma della resilienza. Un messaggio di speranza, non solo per chi combatte la stessa battaglia, ma per chiunque si trovi di fronte a un ostacolo apparentemente insormontabile.

Bianca Balti non si è mai lasciata ingabbiare dalle definizioni. E se un tempo il suo nome era sinonimo di passerelle e copertine patinate, oggi è il simbolo di una nuova femminilità: autentica, coraggiosa, senza filtri. “Ciò che non mi ha ucciso mi ha fatto amare molto di più la vita”, ha scritto sui social, ripercorrendo il suo percorso dalla scoperta della malattia all’ultima infusione di chemioterapia.

Non è stata una vittoria facile. Dall’8 settembre 2024, giorno della diagnosi, fino al 27 gennaio, data dell’ultima chemio, ha vissuto momenti difficili, ma anche incredibilmente pieni. “Una condanna a morte”, l’aveva definita in un primo momento. Ma poi, qualcosa dentro di lei si è acceso. “Mi sono sentita viva come sempre. Tutto ha iniziato ad avere il sapore di una vera benedizione”. Ed è proprio questo il messaggio che ha portato a Sanremo: la malattia non definisce chi siamo. La vita, con tutte le sue sfide e le sue cicatrici, va celebrata. Sempre.

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Demografica

Crisi demografica in Italia, nasce la Commissione...

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Palazzo Montecitorio

La transizione demografica, quel fenomeno che sta plasmando la struttura della nostra società, entra finalmente nel radar della politica nazionale con la costituzione della Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali che questa comporta. Presieduta da Elena Bonetti, con Enrica Alifano e Giuseppe Castiglione eletti vicepresidenti e Davide Bergamini e Fabio Porta come segretari, la Commissione si appresta a svolgere un ruolo cruciale nell’affrontare una delle sfide più complesse e urgenti per il nostro Paese. L’Italia, come molti altri paesi europei, sta vivendo un lento ma inesorabile cambiamento nelle sue dinamiche demografiche, segnato da un calo della natalità e da un invecchiamento progressivo della popolazione. La sfida consiste nel comprendere a fondo le implicazioni di questo processo e come affrontarle con misure politiche e sociali adeguate. In un contesto di crescente preoccupazione per la sostenibilità dei conti pubblici e per il rafforzamento della coesione sociale, la creazione di questa Commissione rappresenta un passo importante verso l’elaborazione di soluzioni efficaci e condivise.

La sfida della transizione demografica

Il fenomeno della transizione demografica non è una novità per l’Italia. Da anni, il Paese si trova a fare i conti con un progressivo invecchiamento della popolazione e una bassa natalità. L’Istat, l’Istituto Nazionale di Statistica, da tempo segnala una costante diminuzione delle nascite, con un tasso di fecondità che da decenni si attesta sotto il livello di sostituzione. Nel 2023, l’Italia ha registrato un altro record negativo: per la prima volta nella sua storia, il numero dei decessi ha superato quello delle nascite, segnando un dato allarmante per la demografia nazionale. Questo squilibrio tra nascite e decessi contribuisce al progressivo invecchiamento della popolazione, con una maggiore incidenza di persone anziane rispetto ai giovani.

L’invecchiamento della popolazione non è solo una questione statistica: ha impatti concreti sulla società. Da un lato, le risorse destinate al welfare devono far fronte a una crescente domanda di assistenza sanitaria, pensionistica e sociale; dall’altro, la forza lavoro diminuisce, con un forte impatto sull’economia del Paese. La Commissione parlamentare di inchiesta si concentrerà proprio su come il cambiamento demografico influisce sull’economia e sulla sostenibilità dei conti pubblici, con l’obiettivo di sviluppare politiche che rispondano a queste sfide senza compromettere i diritti sociali e il benessere della popolazione. Il tema non riguarda solo il numero delle persone, ma anche le qualità e le condizioni della vita che queste persone possono avere in un contesto socioeconomico in evoluzione.

Inoltre, l’aumento dell’età media della popolazione porta con sé il problema della solitudine e dell’isolamento sociale degli anziani, un fenomeno che, se non adeguatamente affrontato, potrebbe minare la coesione sociale e il benessere collettivo. In un Paese con una storia di forti legami familiari e comunitari, l’emergere di questa problematica richiede un ripensamento del modello di welfare e di assistenza sociale, con soluzioni innovative che favoriscano l’integrazione sociale degli anziani e il supporto alle famiglie. La Commissione di inchiesta dovrà analizzare le politiche in atto e proporre misure che rispondano in maniera adeguata a questi nuovi bisogni.

L’unità del Parlamento di fronte alla sfida demografica

La costituzione della Commissione parlamentare di inchiesta sulla transizione demografica è un segnale forte della volontà del Parlamento di affrontare una delle sfide più complesse e urgenti per il futuro del Paese. La sua creazione è stata approvata all’unanimità, un fatto che testimonia l’importanza che la politica italiana attribuisce al tema della demografia e alla necessità di costruire un fronte comune per risolvere le problematiche derivanti dall’evoluzione demografica. Elena Bonetti, nuova presidente della Commissione, ha sottolineato l’urgenza di affrontare il tema, non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale. “Sono molto onorata della fiducia dei colleghi che mi hanno eletta presidente della Commissione d’inchiesta della Camera dei Deputati sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto. Un tema urgente per il nostro Paese, dalla sostenibilità dei conti pubblici alla coesione sociale”, ha dichiarato.

L’approvazione unanime della Commissione è anche una risposta diretta alla crescente preoccupazione dei cittadini per le implicazioni della transizione demografica. Le famiglie italiane si trovano sempre più spesso a dover fare i conti con difficoltà economiche legate al numero crescente di anziani e alla difficoltà di conciliare il lavoro e la cura dei bambini. Il welfare, così come l’istruzione e la sanità, sono temi strettamente legati alla demografia, e la politica è chiamata a rispondere con misure concrete che rispondano alle esigenze della popolazione in crescita. Lavorare insieme, al di là delle divisioni politiche, è un passo fondamentale per trovare soluzioni che siano inclusive e rispondano alle necessità di tutti i cittadini, da quelli più giovani a quelli più anziani.

Il Presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana, ha fatto i suoi complimenti alla presidente Bonetti e agli altri membri dell’Ufficio di presidenza della Commissione, aggiungendo “Sono felice che su un tema così decisivo, come è quello della demografia, ci siano le condizioni per un lavoro comune, che superi le divisioni di partito e che guardi al futuro”.

Le prospettive della Commissione e gli obiettivi strategici

Con il lavoro della Commissione finalmente avviato, gli occhi sono puntati sulle prospettive che questa nuova istituzione parlamentare avrà per il futuro dell’Italia. Gli obiettivi della Commissione sono chiari: fare luce sugli effetti economici e sociali della transizione demografica, individuare le aree più critiche e proporre soluzioni concrete per rispondere alle sfide che la demografia impone. In particolare, la Commissione dovrà concentrarsi sulla sostenibilità del sistema pensionistico, sulle politiche per la famiglia, sull’integrazione degli anziani nella società e sul miglioramento dei servizi sociali. Inoltre, si dovrà esaminare la questione della mobilità sociale e della formazione professionale, che rappresentano leve cruciali per stimolare la partecipazione dei giovani e garantire una crescita economica inclusiva.

Non meno importante sarà l’analisi dell’impatto del cambiamento demografico sulle finanze pubbliche. La crescita della popolazione anziana, infatti, comporta una maggiore spesa per la sanità e per le pensioni, e una minore capacità di generare reddito attraverso il lavoro. La Commissione dovrà quindi studiare soluzioni che permettano di garantire il benessere sociale senza mettere a rischio la sostenibilità delle finanze pubbliche. Sarà fondamentale l’individuazione di politiche fiscali che incentivino la natalità e il lavoro femminile, due leve che potrebbero avere un impatto significativo sul bilancio statale. In questo contesto, il contributo della Commissione potrebbe rivelarsi decisivo nel creare le condizioni per una politica economica che guardi al futuro, mettendo al centro la qualità della vita e la solidarietà intergenerazionale.

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Demografica

Sicilia contro gli schermi, stop agli smartphone sotto i 5...

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Bambino con cellulare

Con un risultato che non lascia spazio a dubbi, l’Assemblea Regionale Siciliana ha approvato con 47 voti favorevoli, zero astenuti e nessun voto contrario la legge promossa dal Movimento 5 Stelle che introduce il divieto di utilizzo degli smartphone e dei dispositivi digitali nei primi cinque anni di vita, con severe restrizioni anche per le fasce di età successive. Un voto plebiscitario che manda un messaggio chiaro non solo alla Sicilia, ma a tutta Italia: la protezione dei bambini dall’esposizione precoce e indiscriminata alla tecnologia non è più rinviabile. Il primo firmatario della proposta, il deputato e pediatra Carlo Gilistro, ha sottolineato l’importanza di questa iniziativa, evidenziando come il problema sia stato compreso da tutte le forze politiche, senza alcuna divisione. Ora la palla passa a Roma, dove si deciderà se estendere il provvedimento a livello nazionale.

I contenuti della legge

La legge prevede un divieto assoluto dell’uso di dispositivi digitali funzionanti tramite onde a radiofrequenza e videogame per i bambini fino a cinque anni, un limite severo che punta a prevenire i danni derivanti dall’esposizione precoce a schermi luminosi e contenuti digitali. Dai sei anni in su, l’uso è consentito ma solo sotto la supervisione di un adulto, con un’attenzione particolare al tempo trascorso davanti ai dispositivi. Inoltre, è previsto il divieto di utilizzo degli smartphone e di altri apparecchi elettronici durante le ore didattiche nelle scuole medie e superiori, una misura che si allinea con le recenti dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara sull’opportunità di eliminare i cellulari dalle aule scolastiche.

Oltre ai divieti, la norma introduce campagne di sensibilizzazione e informazione, finanziate e promosse dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai Ministeri della Salute e dell’Istruzione, destinate a genitori e insegnanti per aumentare la consapevolezza sui rischi dell’uso eccessivo della tecnologia in età pediatrica. Infine, per chi non rispetta la legge sono previste sanzioni amministrative che vanno da 150 a 500 euro, sebbene lo stesso Gilistro abbia sottolineato come il provvedimento non sia pensato principalmente in ottica repressiva, ma piuttosto come un segnale d’allarme rivolto ai genitori.

I rischi dell’uso precoce della tecnologia

Numerosi studi scientifici confermano i rischi legati all’uso eccessivo e precoce degli smartphone nei bambini. Secondo le più recenti ricerche, il 30% dei genitori italiani utilizza il cellulare per calmare i propri figli già nel loro primo anno di vita, mentre l’80% dei bambini tra i 3 e i 5 anni dimostra una familiarità preoccupante con i dispositivi digitali. Questo fenomeno, spesso sottovalutato, comporta una serie di conseguenze negative sullo sviluppo psicofisico.

I pediatri avvertono che un’esposizione prolungata agli schermi può portare a ritardi nello sviluppo del linguaggio, difficoltà di attenzione, alterazioni del sonno e problemi relazionali. Non è raro che bambini abituati fin da piccolissimi all’uso dello smartphone manifestino ansia, irritabilità e scoppi di rabbia quando ne vengono privati, segno di una dipendenza comportamentale che può protrarsi negli anni. Disturbi dell’umore, crisi di panico e addirittura episodi di svenimento sono tra gli effetti più gravi rilevati dagli specialisti.

Tra isolamento e cyberbullismo

Se per i più piccoli il rischio maggiore è quello di un’interferenza nello sviluppo cognitivo ed emotivo, per gli adolescenti il problema si sposta anche sul piano delle relazioni sociali. Il fenomeno dell’isolamento digitale, con giovani che riducono progressivamente le interazioni nel mondo reale a favore di una presenza costante nel mondo virtuale, è in preoccupante crescita. La mancanza di esperienze relazionali dirette può tradursi in una scarsa capacità di gestire le dinamiche sociali, aumentando il rischio di depressione e comportamenti antisociali.

Un altro pericolo strettamente connesso all’uso incontrollato della tecnologia è il cyberbullismo. Giovani fragili e privi degli strumenti per difendersi da attacchi online possono cadere vittime di persecuzioni virtuali, con conseguenze devastanti sulla loro autostima e sul loro equilibrio psicologico. Nei casi più estremi, il fenomeno del ritiro sociale volontario, noto come hikikomori, e perfino i tentativi di suicidio possono essere correlati a un uso distorto della tecnologia.

Ora tocca a Roma

L’approvazione della legge in Sicilia rappresenta un segnale politico di grande rilevanza, che va ben oltre i confini regionali. L’assenza di voti contrari dimostra che il problema della sovraesposizione digitale dei bambini è ormai riconosciuto trasversalmente come una questione urgente, che richiede un intervento deciso. Il deputato Gilistro ha sottolineato come il via libera dell’Ars non possa essere ignorato a livello nazionale, specialmente in un momento in cui il governo sta già valutando misure simili per le scuole.

La questione non è solo educativa o sanitaria, ma anche culturale. È necessario un cambiamento di paradigma, in cui la tecnologia venga percepita non come un nemico, ma come uno strumento da usare con consapevolezza e responsabilità. La battaglia contro l’abuso di smartphone nei bambini è solo all’inizio, ma il segnale lanciato dalla Sicilia potrebbe essere la scintilla che porterà a una regolamentazione più ampia a livello nazionale.

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