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Analisi dell’indice tecnologico del Nasdaq 100 per la fine dell’anno

Per quanto riguarda l’indice tecnologico del Nasdaq 100 andiamo a scoprire insieme quali saranno i risultati operativi da seguire con maggiore attenzione.

L’indice tecnologico del Nasdaq 100 è stato uno dei settori più performanti nel 2022, con un guadagno del 27,5%. Nel 2023, l’indice è probabile che continui a crescere, ma con qualche volatilità.

I fattori che potrebbero sostenere la crescita del Nasdaq 100 includono:

  • La forte domanda di prodotti e servizi tecnologici, guidata dalla crescente adozione di tecnologie digitali da parte delle aziende e dei consumatori.
  • L’innovazione continua nel settore tecnologico, che sta guidando lo sviluppo di nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, la realtà virtuale e la realtà aumentata.
  • L’espansione dei mercati in cui operano le aziende tecnologiche, come l’Asia e l’Africa.

Ecco alcuni scenari specifici che potrebbero verificarsi per il Nasdaq 100 entro la fine del 2023:

Scenario positivo: L’economia globale continua a crescere, la domanda di prodotti e servizi tecnologici rimane forte e l’innovazione continua a guidare la crescita del settore. In questo scenario, il Nasdaq 100 potrebbe vedere un aumento del 10-15% entro la fine del 2023.

Scenario negativo: L’economia globale entra in recessione, la domanda di prodotti e servizi tecnologici si indebolisce e l’innovazione rallenta. In questo scenario, il Nasdaq 100 potrebbe vedere un calo del 5-10% entro la fine del 2023.

Scenario intermedio: L’economia globale cresce moderatamente, la domanda di prodotti e servizi tecnologici rimane positiva e l’innovazione continua a guidare la crescita del settore. In questo scenario, il Nasdaq 100 potrebbe vedere un aumento del 5-10% entro la fine del 2023.

In definitiva, il trend del Nasdaq 100 per il 2023 dipenderà da una serie di fattori, tra cui l’economia globale, la domanda di prodotti e servizi tecnologici e l’innovazione tecnologica.

Perché attualmente conviene investire sul Nasdaq e non sul Down Jones e lo Standard and Poor’s 500?

Esistono diversi motivi per cui attualmente potrebbe essere più vantaggioso investire sul Nasdaq rispetto al Dow Jones e allo Standard and Poor’s 500.

Il Nasdaq è un indice più tecnologico. Il Nasdaq 100 è composto da 100 delle società non finanziarie più grandi e liquide quotate presso il Nasdaq Stock Market. Il Dow Jones Industrial Average è composto da 30 delle società più grandi quotate alla Borsa di New York, mentre lo Standard and Poor’s 500 è composto da 500 delle società più grandi quotate nelle Borse statunitensi. Il Nasdaq è un indice più tecnologico rispetto al Dow Jones e allo S&P 500. Le società tecnologiche sono state tra le più performanti negli ultimi anni e sono destinate a continuare a crescere nel prossimo futuro. Il Nasdaq è un indice più internazionale. Il Nasdaq comprende una quota maggiore di società internazionali rispetto al Dow Jones e allo S&P 500. Le economie dei paesi emergenti stanno crescendo più velocemente delle economie dei paesi sviluppati, e questo potrebbe portare a maggiori rendimenti per gli investitori che investono in società internazionali. Il Nasdaq è un indice più volatile. Il Nasdaq è un indice più volatile rispetto al Dow Jones e allo S&P 500. Questo significa che i prezzi delle azioni del Nasdaq possono oscillare in modo più significativo rispetto ai prezzi delle azioni del Dow Jones e dello S&P 500. Tuttavia, è importante notare che la volatilità non è necessariamente un segno negativo. La volatilità può essere un sintomo di crescita e cambiamento, e può portare a maggiori rendimenti potenziali. In definitiva, la decisione se investire sul Nasdaq o sul Dow Jones o sullo S&P 500 dipende dal proprio profilo di rischio e dalle proprie esigenze di investimento. Se si è disposti a tollerare una maggiore volatilità, il Nasdaq può essere un’opzione migliore. Tuttavia, se si preferisce un profilo di rischio più basso, il Dow Jones o lo S&P 500 potrebbero essere una scelta migliore.

Questi sono alcuni dei motivi per cui in questa parte finale del 2023 è preferibile effettuare un investimento nel settore tecnologico piuttosto ché nel Dow Jones o nello S&P 500.

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Economia

Sostenibilità, Sindaco Fermignano: “Da Cresco Award...

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Così il sindaco Emanuele Feduzi

Sostenibilità, Sindaco Fermignano:

Il comune di Fermignano (Pu) è tra i cinque premiati da Fondazione Sodalitas alla 9a edizione di Cresco Award - Città Sostenibili, al Centro Congressi Lingotto di Torino. "Il nostro progetto si chiama 'Fermignano 2030, dalla sostenibilità all'inclusione sociale' - commenta il sindaco Emanuele Feduzi - Siamo partiti dalla raccolta differenziata, portandola in maniera stabile sopra l'85%, quindi diventando il comune più riciclone della regione Marche per la categoria, 5-10 mila abitanti. Abbiamo poi costruito una nuova struttura, una scuola primaria per 500 bambini, completamente autosufficiente da un punto di vista energetico. Grazie al risparmio energetico che ne è scaturito abbiamo finanziato parte degli interventi nel sociale, ad esempio l'acquisto di un nuovo mezzo e il recupero di strutture per i disabili, e altre attività come la campagna per la sensibilizzazione contro la violenza di genere".

"Cresco Award è un momento di crescita, di confronto e soprattutto di stimolo - aggiunge il sindaco Feduzi - Abbiamo partecipato per la prima volta, quasi come una scommessa insieme ai miei colleghi e collaboratori. Nell'arco di pochi mesi abbiamo ricevuto due premi, Cresco Award, appunto, e un premio dal GSE a livello nazionale per essere riusciti a rivoluzionare la spesa energetica sfruttando fonti alternative appunto per alimentare le nostre strutture e rifinanziando in questo modo il sociale. Per noi è stato uno stimolo, un momento di confronto e soprattutto, ripeto, un momento di crescita non soltanto per l'amministrazione e per la dirigenza, ma per tutta la città".

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Economia

Manovra, Manageritalia: “Puniti e ignorati il 15% dei...

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L'analisi e le proposte durante l'assemblea nazionale

Marco Ballarè, Presidente di Manageritalia

Individuare un nuovo equilibrio tributario e di welfare che non penalizzi il ceto medio fatto di manager, dirigenti e tutti quei lavoratori che superando i 35 mila euro di reddito (sono solo il 15% di tutti i contribuenti italiani) e si fanno carico del 63% di tutte le imposte; disegnare azioni che valorizzino il ruolo dei dirigenti come agenti di cambiamento e innovazione capaci di favorire la crescita economica e lo sviluppo d’impresa e identifichino il futuro della managerialità del Paese. Sono stati questi alcuni dei temi discussi nella giornata di ieri e nella mattinata di oggi dagli oltre 200 manager delegati intervenuti da tutta Italia a Milano, negli spazi dell’Hotel Enterprise in Corso Sempione per la 104°Assemblea Nazionale di Manageritalia.

“La Legge di Bilancio ha tacitato i mercati ma fa poco per l’Italia produttiva. Non c’è niente per la crescita e si colpisce ancora di più il ceto medio, soprattutto quei cittadini, i soliti pochi e noti che pagano regolarmente tasse e contributi, che mantengono di fatto il welfare del Paese”, dice Marco Ballarè, Presidente di Manageritalia, che prosegue: “Il tetto alle detrazioni fiscali è un modo elusivo per aumentare le tasse a chi sopra i 70mila euro lordi l’anno già è escluso dalle varie agevolazioni che peraltro finanzia. Manager e alte professionalità sono, per ruolo e competenze, determinanti per tornare a crescere cogliendo appieno le opportunità della trasformazione digitale e del lavoro nel sentiero di una vera sostenibilità, ma questa manovra non solo ci ignora, ma anche ci punisce".

Nella sua parte pubblica, di questa mattina, l’Assemblea di Manageritalia ha ospitato l’intervento di Alberto Brambilla, Presidente di Itinerari Previdenziali sul tema 'Il difficile finanziamento del welfare e lo squilibrio fiscale'. Dai dati presentati si evince come 17 milioni di contribuenti, oltre il 40% del totale, dichiarano di guadagnare meno di 15mila euro l'anno e pagano solo 11% dell'Irpef complessiva. Coloro che invece dichiarano redditi dai 35mila euro in su sono 6,4 milioni, il 15,27% del totale, e pagano il 64% dell'imposta totale. In sostanza redditi che superano la sogna fatica dei 35mila garantiscono la tenuta del sistema di protezione sociale italiano e delineano un paese diviso in due tra chi paga e chi viene mantenuto.

Una polarizzazione e una dicotomia che si rispecchia anche a livello geografico con le regioni del Nord che contribuiscono per il 57,2%, quelle del Centro con il 21,8% e il Sud con il 20,9% del totale dell’Irpef. Percentuali analoghe anche per quanto concerne l’Iva versata con il 64,3% per il Nord, 24% per il Centro e solo 10,4 per Sud. Il confronto con altre nazioni è impietoso e fa emergere come l’aliquota marginale che in Italia parte da 50mila euro ed è pari al 43%, in altre Paesi scatti a livelli di reddito ben più alti: in Francia 82mila euro con aliquota al 41% e in Germania a 63mila euro e un’aliquota al 42% A causa di questo, nel 2024 un lavorare con un reddito imponibile di 100mila euro paga solo di Irpef erariale 35.900 euro in Italia, rispetto ai 25.949 euro in Francia e ai 23.124 in Germania.

“Con questi numeri e percentuali, che vedono il 40% dei contribuenti mantenere il restante 60% il sistema non regge nel lungo periodo, con una evidente diminuzione dei servizi a disposizione della collettività e un aumento esponenziale del debito pubblico”, commenta Brambilla.

Per il Presidente Centro Studi Itinerari Previdenziali intervenendo nel corso dell’assemblea, “bisogna intervenire con una decisa azione sinergica da parte di tutti i partiti per risolvere il grande problema fiscale del nostro Paese. Attuare un vero regime a tassazione continua sul modello tedesco superando il nostro a scaglioni che penalizza la classe media con redditi dai 50mila in su. Va anche superato il sistema dei bonus e delle agevolazioni basate sull’ISEE che certo non fotografa il reale profilo fiscale del cittadino. Oltre a rimodulare l’intero sistema detrazioni”.

In questo scenario fortemente sbilanciato, sia al livello nazionale che internazionale, interventi come la “pace fiscale” o la “Flat tax” possono rappresentare un motore di produzione di sommerso, di lavoro nero e quindi di evasione con il solo risultato di acuire le disparità tra chi contribuisce alla crescita del paese e chi no, anteponendo il proprio interesse a quello collettivo. I numeri evidenziano come nel lungo periodo, considerando anche l’inverno demografico che stiamo vivendo e l’invecchiamento della popolazione italiana, rendono l’intero sistema insostenibile con evidenti ricadute sulla competitività del Paese e delle imprese. Contrastare l’evasione fiscale non può però essere sufficiente se non si migliorano anche produttività e mercato del lavoro di un Paese che, pur incrementando mese dopo mese il proprio tasso di occupazione, resta fanalino di coda in Europa per tutti i principali indicatori occupazionali. L’Italia come emerso dall’assemblea deve crescere per guardare al futuro con fiducia e in questo i manager hanno un ruolo determinante.

La giornata di venerdì 22 è stata invece dedicata alle presentazioni dei fondi, enti e società del sistema Manageritalia per poi proseguire con relazione del Presidente Ballaré, che ha ribadito il ruolo preminente del terziario affinché questi abbia finalmente il giusto riconoscimento nelle policy e nelle azioni di Governo oltre a rivalutare il ruolo strategico della figura del manager e delle sue competenze quale risorsa essenziale per la crescita delle imprese, e dell’intero sistema Paese in un momento di forte cambiamento dovuto alle transizioni tecnologiche e ambientali. Ha inoltre anticipato il programma che guiderà l’azione di Manageritalia nei prossimi quattro anni: una maggiore valorizzazione dei territori, un nuovo patto sociale basato su lavoro, welfare ed equità, crescita sostenibile ed economia dei servizi e infine una più incisiva rappresentanza e governance.

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Economia

Cibo, benzina e bollette: ecco le spese obbligate che...

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A quanto ammontano le uscite irrinunciabili nel bilancio delle famiglie italiane ogni mese, inflazione e conseguente erosione degli stipendi nei dati dell'Ufficio studi Cgia di Mestre

Supermercato - 123RF

Cibo da comprare, bollette da pagare e poi ancora il pieno all'auto o al motorino. Le spese obbligate, sostenute ogni mese nel 2023 dalle famiglie italiane, arrivano a toccare quasi i 1.200 euro. E' tanto l'impatto dell'inflazione e della conseguente erosione degli stipendi secondo il dato elaborato dall'Ufficio studi della Cgia di Mestre. Spese irrinunciabili, insomma, che pesano per oltre metà delle uscite totali e in sensibile aumento rispetto al costo pre covid.

Quanto pesano le spese 'obbligate' sulle famiglie italiane

Le spese 'obbligate' - vale a dire quelle che riguardano indicativamente l’acquisto di cibo, carburante e bollette - hanno infatti raggiunto i 1.191 euro, pari al 56 per cento della spesa totale che invece, in valore assoluto, si è attestata a 2.128 euro. Un’incidenza in calo rispetto al dato del 2022, ma decisamente superiore alle quote che registravamo prima dell’avvento della pandemia.

Scomponendo i 1.191 euro di spesa mensile obbligata, emergono 526 euro riconducibili all’acquisto di beni alimentari e bevande analcoliche, 374 per la manutenzione della casa, bollette e spese condominiali e 291 per i trasporti, ovvero per il pieno dell’auto e per gli abbonamenti su bus/tram/metro/treni. A questi 1.191 euro vanno sommati 937 euro che, invece, sono ascrivibili alla cosiddetta spesa complementare, che fa salire la spesa complessiva media nazionale a 2.128 euro.

Cosa cambia tra Nord e Sud

Analizzando la situazione per aree geografiche, emergono forti differenze di spesa tra il Nord e il Sud del Paese. Se a Nordovest la spesa complessiva mensile nel 2023 è stata pari a 2.337 euro, nel Mezzogiorno ha toccato i 1.758 euro (-24,7 per cento). Per quanto riguarda le spese “obbligate”, invece, è il Mezzogiorno a registrare un’incidenza di queste ultime sulla spesa totale più elevata d’Italia. Se nel Nordovest e nel Nordest la quota sul totale è del 55 per cento circa, al Sud sale al 59,4 per cento. In termini monetari la spesa mensile media più importante nel 2023 per cibo, bollette e carburante è stata registrata dalle famiglie del Nord - in Trentino Alto Adige con 1.462 euro, in Lombardia con 1.334 euro e in Friuli Venezia Giulia con 1.312 euro – tuttavia l’incidenza delle spese obbligate sul totale è risultata più elevata nelle regioni meridionali – Calabria con il 63,4 per cento, Campania con il 60,8 e Basilicata con il 60,2 %.

Portafogli 'drenati' dalle spese obbligate, la previsione in frenata sul Natale

Per la Cgia non è da escludere che, con spese “obbligate” in grado ormai di “drenare” ben oltre la metà della spesa totale delle famiglie, i prossimi acquisti di Natale subiscano una frenata sul 2023. L’anno scorso, infatti, le stime indicano che in Italia la spesa per i regali da mettere sotto l’albero è stata pari a poco più di 11 miliardi di euro. Quest’anno, invece, dovrebbe aggirarsi attorno ai 10 miliardi di euro (-9 %). Una contrazione da ricercare nella minore disponibilità di spesa delle famiglie, a fronte delle difficoltà economiche degli ultimi mesi, e dal fatto che sempre più persone anticipano l’acquisto dei regali di Natale a fine novembre, approfittando degli sconti offerti dal Black Friday.

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