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Energia, Beati (Nielsen): “Il 28% deli italiani non conosce la differenza tra mercato libero e tutelato”

Niccolò Beati, Trade Dimensions Leader Italy NielsenIQ

“Abbiamo un 28% di consumatori italiani che non conosce la differenza tra mercato tutelato e mercato libero, un 20% di consumatori che non sanno neanche che tipo di contratto hanno. Meno del 30% conosce i termini tecnici o le voci di spesa in bolletta”.

Sono solo alcuni dei dati più interessanti esposti da Niccolò Beati, Trade Dimensions Leader Italy NielsenIQ, a margine dell'incontro “Il Futuro dell’Energia” organizzato a Milano, giovedì 23 novembre. Dati estrapolati dalla ricerca condotta da Nielsen per conto del brand digitale di Axpo Italia, Pulsee Luce e Gas.

La ricerca di NielsenIQ sulla liberalizzazione del mercato delle utenze domestiche evidenzia come ancora una percentuale piuttosto alta di persone si dichiari impreparata tanto sulla differenza tra Mercato Tutelato e Mercato Libero, quanto sulle parole che caratterizzano le utenze: “Altro dato interessante è il livello di disinformazione che c’è nel target più giovane, gli under 25-35 sono quelli che in assoluto ne sanno meno. Il discorso non va molto meglio nel target dei più adulti che dimostrano di avere un po’ più di conoscenza, ma non ancora sufficiente. Siamo in un momento di cambiamento radicale, ma i consumatori italiani non sono particolarmente pronti”.

“Fino ad ora ci siamo ‘accontentati’ di guardare soltanto la voce di spesa in bolletta, quindi quanto mi viene a costare l'energia, senza mai forse porci il dubbio su cosa determini quei costi e quindi su cosa io consumatore possa fare per non svuotare il portafoglio - sottolinea Beati - Questa è una responsabilità del consumatore, anche se forse non ha mai avuto gli strumenti e le informazioni necessarie per poter comprendere meglio quello che può fare per far sì che questo cambiamento porti dei benefici reali sui conti, sulle finanze e quindi anche sulla situazione socio-economiche della famiglia”.

Per Beati ‘il consumatore deve essere curioso e informarsi su quello che è il processo che porta ad avere un determinato numero’ in bolletta e dovrebbe prestare attenzione agli “stimoli che cominciano ad arrivare da tutti i media per dare la giusta importanza a quello che ci metteranno e ci stanno già mettendo a disposizione” ha concluso.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Economia

Stellantis, cosa succede ora? L’eredità di Tavares e...

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I numeri dicono che sono state sbagliate le scelte industriali, ora il primo azionista deve decidere come reagire. Le prossime settimane inizieranno a dare indizi più concreti

John Elkann

E ora? Ora che l'uscita di Carlos Tavares è stata frettolosamente anticipata cosa ne sarà di Stellantis? E cosa ne sarà dell'impegno di John Elkann e di Exor? L'auto, il settore intero, sta vivendo una crisi strutturale, fatta di un salto tecnologico 'avventato' e non digerito dal mercato e anche di un utilizzo del mezzo auto che l'evoluzione della società sta velocemente modificando. Ma la crisi del gruppo che è in parte erede della Fiat ne sta vivendo una più profonda, fatta di una serie di errori stratificati nel tempo e di scelte che hanno perso di vista il core business, il risultato industriale. E' una crisi, per molti versi, peggiore delle tante crisi attraversate nella storia della Fiat.

L'eredità che lascia Tavares è fatta di numeri impietosi e uno più di tutti la rappresenta: si è sempre detto che l'obiettivo al 2030 sarebbe stato produrre un milione di auto in Italia, mentre il 2024 si avvia a segnare il peggiore risultato da 65 anni a oggi, intorno a 500mila auto prodotte. Come ci si è arrivati? Con una lunga lista di buone intenzioni che non hanno prodotto fatti conseguenti.

L'accostamento dei marchi di Fiat a quelli di Psa (sono 14: Abarth, Alfa Romeo, Chrysler, Citroën, Dodge, DS Automobiles, FIAT, Jeep, Lancia, Maserati, Opel, Peugeot, Ram Trucks e Vauxhall) avrebbe dovuto consentire di sfruttare tutti i benefici di un aumento dimensionale, a partire dalle sinergie. L'allora Ad di Fca, Mike Manley, al momento della fusione, affermava: "il 40% delle sinergie verrà generato dalla condivisione di piattaforme e sistemi di propulsione, dall'ottimizzazione degli investimenti in R&S e dal miglioramento dei processi di produzione, il 35% da risparmi negli acquisti mentre il 7% arriverà da risparmi sul fronte delle spese amministrative e generali".

Quei numeri, oggi, pure se in parte realizzati, suonano come una 'beffa' ulteriore: il problema non è il salto dimensionale, non è la fusione messa in piedi da John Elkann che di fatto ha seguito il solco tracciato da Sergio Marchionne con la conquista di Chrysler, ma il vuoto industriale che li ha accompagnati. I fatti dicono che il numero delle auto invendute è spaventoso, soprattutto sul mercato americano che doveva essere il valore aggiunto portato da Fca a Stellantis. E dicono soprattutto che sono state evidentemente sbagliate le leve commerciali utilizzate: dalla politica dei prezzi e alle scelte nella dislocazione delle produzioni.

Scelte industriali sbagliate che costano il posto, come da manuale, a chi le firma, il Ceo. Il tema ora si sposta sulle decisioni strategiche degli azionisti e, in particolare, su quelle che potrebbe fare John Elkann, presidente del gruppo nonché primo azionista e ora a capo del comitato che guiderà ad interim l’azienda. Il primo sostanziale bivio riguarda la scelta di fondo: disimpegno o rilancio? Una nuova scommessa sull'auto o la fine di un'esperienza storica privilegiando le potenzialità finanziarie di Exor? Difficile, se non impossibile, rispondere ora. Ma già le prossime settimane potranno dare qualche indizio in più. (Di Fabio Insenga)

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Economia

Perché l’Italia è indietro sul 5G (e come può...

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All’evento 'Imagine Italy' l’ad di Ericsson offre uno scenario di crescita per le comunicazioni (e il Paese)

Perché l'Italia è indietro sul 5G (e come può recuperare terreno)

L'introduzione del 5G rappresenta una delle più importanti innovazioni tecnologiche degli ultimi decenni, con una velocità di adozione senza precedenti. In Italia, l'adozione del 5G è essenziale per modernizzare le infrastrutture e migliorare la competitività economica. Tuttavia, l'Europa, e l'Italia in particolare, potrebbero rimanere indietro rispetto a Stati Uniti, Cina e India, soprattutto nell'adozione delle reti 5G Stand-Alone (SA). Di questo e molto altro si è parlato all’evento Ericsson Imagine Italy, che si è tenuto al PalaExpo di Roma.

Cosa sono le reti 5G Stand-Alone?

Le reti SA sono la versione più avanzata del 5G, indipendenti dalle infrastrutture 4G. Offrono migliori prestazioni in termini di velocità, latenza e capacità di connessione, abilitando servizi come realtà aumentata industriale, manutenzione predittiva e comunicazioni ultra-affidabili.

Secondo l'Ericsson Mobility Report, mentre circa 320 operatori globali offrono servizi 5G, solo il 20% utilizza reti SA. Questo dato evidenzia la necessità per l'Europa di sviluppare più rapidamente le infrastrutture 5G autonome.

Il contesto italiano

In Italia, la trasformazione digitale attraverso il 5G è una priorità strategica. Andrea Missori, presidente e AD di Ericsson Italia, in un colloquio con l’Adnkronos ha sottolineato l'importanza di investire in infrastrutture avanzate, anche per gli effetti che avrebbero nei settori critici come ferrovie, porti e autostrade. “Secondo studi recenti, ogni dollaro investito in connettività porta 10 dollari di Pil. Se non garantiamo al nostro sistema economico tecnologie al livello dei concorrenti globali, rischiamo di condannarlo al declino. Nei rapporti Letta, Draghi, e nella prospettiva della nuova Commissione europea connettività e competitività sono al centro dell’agenda dei prossimi anni”.

Esempi di successo internazionali come il porto di Tuas a Singapore e gli aeroporti di Parigi dimostrano il potenziale del 5G SA per ottimizzare le operazioni. Progetti simili in Italia potrebbero stimolare l’economia e posizionare il Paese come leader nell'innovazione tecnologica. Una strada per offrire servizi innovativi è quella delle API, Application Programming Interfaces, che permetterebbero agli operatori di offrire servizi premium agli utenti, permettendo di recuperare redditività. Esempi pratici? Servizi di geolocalizzazione precisi al metro, sicurezza bancaria avanzata, ma anche più banda per chi assiste al concerto di Taylor Swift e vuole inviare e caricare video.

Europa in ritardo rispetto ai colossi globali

Nonostante i progressi, l'Europa fa fatica a competere con altre potenze globali. La copertura del 5G su banda media in Europa è intorno al 30%, contro il 90% del Nord America. In India, la copertura potrebbe raggiungere il 95% entro la fine del 2024. Questo divario evidenzia la necessità di accelerare lo sviluppo delle infrastrutture 5G europee. “Pensiamo alla app economy in cui siamo ancora immersi”, prosegue Missori. “Si è sviluppata intorno alla diffusione del 4G negli Stati Uniti. Facebook, Uber, Airbnb, e le decine di app che popolano i nostri smartphone, non sarebbero cresciute senza la diffusione di una rete più veloce e capillare. Il 5G sarà la spina dorsale dell’Intelligenza artificiale e delle tecnologie di frontiera, senza una rete adeguata, il nostro ecosistema di start-up, imprese innovative, ma anche di aziende tradizionali non riuscirà a tenere il passo”.

Il ruolo delle reti mission-critical

In Italia, settori come la pubblica sicurezza, la logistica e i trasporti trarrebbero beneficio dalle reti mission-critical basate su 5G SA. Queste reti assicurano comunicazioni affidabili e a bassa latenza, cruciali per situazioni di emergenza o operazioni complesse. La Logistica 4.0 sta trasformando le catene di approvvigionamento globali, ed è sempre più richiesta da operatori italiani e internazionali. “Un'infrastruttura 5G avanzata consentirebbe all'Italia di competere globalmente, attrarre investimenti e creare nuovi posti di lavoro”, prosegue Missori.

Una strategia per il futuro

“Per non rimanere indietro, l'Italia e l'Europa devono adottare un approccio sistemico, investendo nelle reti 5G SA e promuovendo la collaborazione tra pubblico e privato. Questo richiede lo sviluppo di infrastrutture tecnologiche e un quadro normativo favorevole all'innovazione”, mentre finora l’Europa e i governi nazionali si sono concentrati sulla regolamentazione e su una serie di politiche che hanno eroso i margini delle telco, che ora non hanno i capitali sufficienti per investire in nuove infrastrutture. Il settore chiede un maggior impegno delle istituzioni a fronte di 7 miliardi di euro di investimenti l’anno, e anche una “fair share” da parte dei grandi operatori tecnologici (OTT) che dominano il traffico sulle reti. Chiede la possibilità di consolidare, per ridurre il numero di operatori sul mercato, e di aumentare le emissioni elettromagnetiche dei ripetitori, ora “strozzati” a livelli decine di volte inferiori agli altri paesi europei.

Dal convegno di oggi si conferma che la trasformazione digitale offre un’opportunità per rilanciare l'economia europea e migliorare la qualità della vita. Il 5G SA è fondamentale per sfruttare questo potenziale, assicurando che l'Europa rimanga competitiva nell’era della connettività avanzata.

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Economia

Stellantis, Unrae : “Nessun Ad resterà in Italia...

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Per il futuro del gruppo è vitale l’intesa con i cinesi di Leapmotor e chi prenderà il posto dell’Ad Carlos Tavares, dimessosi ieri, dovrà farla funzionare spiega all'Adnkronos ancora Andrea Cardinali, direttore generale di Unrae, l’unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri.

Stellantis, Unrae :

Se l’Italia non darà a Stellantis validi motivi per restare a produrre nel nostro Paese, Stellantis se ne andrà, a prescindere da chi prenderà il posto dell’Ad Carlos Tavares, fresco di dimissioni. E’ la posizione di Andrea Cardinali, direttore generale di Unrae, l’unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri, interpellato dall’AdnKronos in merito agli scenari futuri che l’addio del manager portoghese apre per il comparto auto nello Stivale.

"L’Italia al momento la vedo fuori dal suo orizzonte. Stellantis fino ad oggi è andata in una direzione molto chiara. Il successore di Tavares farà retromarcia se avrà dei buoni motivi ma attualmente quali sono?", si domanda Cardinali, evidenziando che nessuno al momento "è in grado di attirare investimenti nel comparto automotive in Italia in maniera così convincente. In un anno e mezzo di chiacchiere e distintivi non mi pare sia stato messo sul piatto qualcosa di convincente", dalle istituzioni.

"Se è vero come diceva Tavares che qui produrre costa il 30% in più, con l’energia che costa il doppio e la lentezza della burocrazia, perché chiunque, numeri alla mano, dovrebbe produrre qui?", aggiunge.

Per il futuro di Stellantis è vitale l’intesa con i cinesi di Leapmotor, e chi prenderà il posto dell’Ad Carlos Tavares, dimessosi ieri, dovrà farla funzionare, spiega ancora Cardinali. Il produttore cinese “è un asset strategico e potrebbe essere la risposta alla doppia sfida” della transizione “che in questo momento Stellantis, numeri alla mano, sta perdendo”, chiosa il dg.

Le sfide che la casa d’auto deve affrontare infatti “sono epocali e comuni a tutte le altre case produttrici”, a partire dal tema europeo delle sanzioni nel 2025, passando per i dazi sull’import cinese, fino alla questione messa sul tavolo dal governo italiano della revisione del Green Deal, su cui però Cardinali non si dice molto fiducioso. “Risolveremo questo problema a San Silvestro 2026, con la velocità di tartaruga dell’Ue, che è incompatibile con i tempi del terzo millennio e soprattutto con i tempi dei competitor”.

Per ora “hanno solo detto di no anche solo a prendere la questione in considerazione, nemmeno lo hanno messo in agenda. Quando lo metteranno, inizierà una discussione sulla lana caprina e sul sesso degli angeli” tra tutti e 27 i Paesi Ue che “ci porterà via tutto il 2025”. E ammonisce: “L’incertezza uccide il mercato, creando una paralisi totale e quindi grossi danni”. Per parare il colpo e sopravvivere, facendo sopravvivere di conseguenza l’industria dell’auto europea, Stellantis dovrebbe “ritornare in seno all’associazione europea dei costruttori, perché è funzionale alla salute di tutta l’industria, farebbe il bene suo e quello comune”, è l’appello che lancia infatti il dg Unrae.

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