La partita con la Ue è più lunga del Pnrr, ora Mes e Patto Stabilità
Un passo significativo che può portare a migliorare le relazioni con Bruxelles
Il primo via libera della Ue al nuovo Pnrr è un passo fondamentale. Passano da qui buona parte delle possibilità di fare veramente le riforme che servono per uscire dalla perenne emergenza, scandita dai vincoli di un debito pubblico troppo alto. Il governo Meloni incassa un'apertura di credito importante per l'intera politica economica. La partita con la Ue è però molto più lunga e riguarda altri due snodi fondamentali: la ratifica del Mes e la riforma del Patto di Stabilità. Sul primo fronte, serve una presa di coscienza che è tutta politica, perché la ratifica non impegna in alcun modo l'Italia ma sblocca uno strumento fondamentale per l'intera architettura economico-finanziaria europea. Sul secondo fronte, il negoziato è complesso e l'Italia dovrà giocare le sue carte per arrivare a un compromesso che sia migliore della versione del Patto precedente al Covid.
Cosa prevede il nuovo Piano, perché l'Europa lo promuove
Cosa cambia rispetto alla versione originale del Piano, quella predisposta dal governo Conte e iniziato ad attuare dal governo Draghi? Il piano vale ora 194,4 miliardi di euro (122,6 miliardi di euro di prestiti e 71,8 miliardi di sovvenzioni) e copre 66 riforme, sette in più rispetto al piano originale, e 150 investimenti. Il capitolo RePowerEu dell'Italia consiste in cinque nuove riforme, cinque investimenti potenziati basati su misure esistenti e 12 nuovi investimenti per realizzare l'obiettivo del piano, che è rendere l'Europa indipendente dai combustibili fossili russi prima del 2030. Le misure, spiega la Commissione, "si concentrano sul rafforzamento della trasmissione della distribuzione di energia elettrica, sulla sicurezza energetica e sull'accelerazione nella produzione di energia da fonti rinnovabili". Obiettivi, evidentemente, condivisibili.
La ratifica del Mes, un ritardo che Bruxelles ritiene non più sostenibile
Il via libera di oggi sul Pnrr si intreccia con gli altri dossier aperti sulla direttrice Roma-Bruxelles. Quello della ratifica del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità che serve a far funzionare l'Unione bancaria, è un capitolo difficile da gestire per il Governo Meloni. La maggioranza, con alcune sfumature interne, è sostanzialmente contraria alla ratifica e finora si sono accumulati una serie di rinvii. Di slittamento in slittamento, si è arrivati allo stallo di oggi, senza una nuova data per la discussione in Parlamento e con la prospettiva di entrare nel 2024 senza alcun passo in avanti. L'insofferenza della Ue, e quella degli altri Stati membri che hanno tutti ratificato il Trattato, è stata più volte esplicita. L'idea di usare il via libera al Mes come merce di scambio al tavolo negoziale per la riforma del Patto di Stabilità viene letta a Bruxelles come una ulteriore pressione indebita.
Patto di Stabilità, la riforma per non peggiorare la situazione
Come in ogni negoziato che si rispetti, alzare la voce fa parte del gioco. Così come è comprensibile la volontà di sedersi al tavolo con un margine sufficiente per fare le inevitabili concessioni che un accordo largo impone. C'è però anche da dire che la strada di tornare alle regole ante Covid non è una soluzione. Perché il Mondo è cambiato e perché quelle regole non hanno più senso. Non resta che cercare di ottenere il più possibile, con la consapevolezza però che l'Italia dovrà sempre fare i conti con il proprio debito. E che, proprio per questo, ricostituire relazioni positive con Bruxelles è una necessità prima ancora che il risultato di un calcolo politico. L'Italia può e deve avere l'ambizione di ottenere un trattamento corretto, nonostante il suo debito. Altra cosa sarebbe l'arroganza di provare a dettare legge senza tenerne conto. Non converrebbe né al Paese né al Governo Meloni. (Di Fabio Insenga)
Economia
Adr, Troncone: “Urgente avvio lavori per espansione...
L'ad: "Pronti investimenti per altri 9 miliardi per aumentare capienza, scalo chiude 2024 a 50 milioni passeggeri"
L'"espansione" per l'aeroporto di Fiumicino, che chiuderà il 2024 sfiorando i 50 milioni di passeggeri, "è già una priorità", in relazione alla forte crescita del traffico soprattutto intercontinentale di lungo raggio di Ita e degli altri vettori. Emblematico anche il dato delle festività natalizie: al Leonardo da Vinci sono previsti 1,5 milioni di passeggeri dal 20 al 31 dicembre e in breve tempo la capienza dello scalo sarà ai limiti. E' il messaggio dell'amministratore delegato di Aeroporti di Roma, Marco Troncone, che al 'Corriere della Sera', indica per lo scalo, "forte" di questi numeri, le sfide imminenti, come quella dei flussi di arrivi per il Giubileo, e le prospettive di crescita e di sviluppo nel futuro con una spinta ai piani di espansione mantenendo anche il timone della sostenibilità acustica.
Il riferimento è al piano di investimenti privati da 9 miliardi per l’aeroporto della Capitale, il cui iter di approvazione è in corso dal 2021 e ancora non concluso. Troncone, per evitare la "congestione", indica per Fiumicino il limite di 60 milioni di passeggeri: "Oggi siamo dentro i limiti ma l’espansione è già inevitabile - afferma - viste le previsioni rischiamo di arrivare tardi e avere periodi di sofferenza se non ci diamo una mossa. Se vogliamo far lavorare bene Fiumicino come un hub per l’Italia ed il bacino del Mediterraneo, e quindi puntando sulle ondate di connessione, in particolare verso i mercati strategici, nella prima parte della giornata verso il Nord America e nella parte finale della giornata verso il Sud America e l'Asia, dobbiamo farlo da subito".
"Lufthansa - aggiunge il ceo di Adr - ha delle aspettative dall'aeroporto anche in termini di quantità, oltre che di qualità". Le prospettive migliori per Fiumicino dal matrimonio Ita-Lufthansa derivano, per l’ad, dal Nord America "dove potrebbero aggiungere destinazioni anche utilizzando United Airlines". "Prevediamo un rafforzamento sul Sudamerica (Brasile e Argentina) e Messico. Sull'Africa si potrebbe intensificare la connettività con il Nord e sicuramente puntare di più sulla parte sub-sahariana", conclude Troncone.
Economia
Usa, anche Panama nel mirino di Trump: “Potremmo...
Dopo il Canada, definito il 51° Stato americano, il presidente eletto attacca anche le tariffe imposte alle navi Usa
Dopo il Canada, che ha bollato di recente come il 51mo stato degli Usa, ora Donald Trump prende di mira anche Panama, attaccando le "ridicole" tariffe di transito imposte alle navi americane che utilizzano il Canale e minacciando la ripresa in mano agli Stati Uniti del controllo della rotta di navigazione. In un post sul suo social Truth ha suggerito che la Cina abbia una crescente influenza sul canale, che è tuttavia una rotta marittima chiave per gli scambi delle imprese americane tra Atlantico e Pacifico e per gli interessi di Washington.
La minaccia di Trump
"La nostra marina e il nostro commercio sono trattati in modo particolarmente ingiusto. Le tariffe (di transito) che Panama pretende sono ridicole", ha scritto il presidente eletto. "Questa + truffa + totale contro il nostro Paese finirà immediatamente", ha promesso. Il controllo del Canale di Panama, completato dagli Stati Uniti nel 1914, è stato interamente restituito al paese centroamericano nel 1999, in base a un accordo firmato dal presidente democratico Jimmy Carter nel 1977. “Spettava solo a Panama gestirlo, non alla Cina o a nessun altro”, ha scritto trump. “Non permetteremmo MAI che cada nelle mani sbagliate!” Se Panama non sarà in grado di garantire "il funzionamento sicuro, efficiente e affidabile" di questa rotta marittima, "chiederemo allora che il Canale di Panama ci venga restituito, per intero e senza domande", ha dichiarato Donald Trump. Le autorità panamensi non hanno reagito immediatamente alla pubblicazione di Donald Trump.
Il Canale di Panama
Secondo le stime, circa il 5% del traffico marittimo mondiale passa attraverso il canale, che consente alle navi che viaggiano soprattutto tra l'Asia e la costa orientale degli Stati Uniti di evitare una lunga deviazione attraverso la punta meridionale dell'America meridionale.
L'intensificarsi degli scambi e i pericoli rappresentati da altre rotte hanno tuttavia creato un 'ingorgo' agli imbocchi del Canale, con navi costrette ad attendere diversi giorni il proprio turno per attraversare la struttura e - in alcuni casi - vere e proprie aste per assicurarsi un passaggio anticipato. A ottobre l'Autorità del Canale di Panama ha annunciato di aver registrato nell'ultimo anno fiscale un fatturato di quasi cinque miliardi di dollari (+1%), confermando la struttura come un elemento fondamentale del Pil nazionale.
Il risultato è tanto più significativo in quanto - a causa della siccità nella regione che ha limitato le possibilità di transito - il numero di navi che hanno attraversato il Canale è sceso a 9.944 unità (-21% sui dodici mesi precedenti. Per l'esercizio in corso, invece, è previsto un ritorno alla normalità, con un totale di navi in transito stimato intorno a 12.500 unità e ulteriore conseguente aumento dei ricavi a 5,62 miliardi di dollari.
Economia
2024: per ‘L’Espresso’ la ‘Persona...
La piccola di soli due anni è il simbolo delle sofferenze che i conflitti causano sui più vulnerabili: di tutti i bambini libanesi, palestinesi, israeliani, ucraini a cui è stata strappata via la gioventù
Nel 2023, la copertina de L’Espresso dedicata alla persona dell’anno ha accolto il volto di Elena Cecchettin. Nel numero del 20 dicembre 2024, il settimanale - che sta per compiere il suo settantesimo compleanno - ha scelto di assegnare il riconoscimento a Ivana, una bambina libanese di due anni, già vittima della guerra. Durante un bombardamento israeliano, è stata colpita la sua casa nella cittadina di Tiro. Il corpo della piccola, che pesa appena otto chilogrammi, è stato avvolto dalle fiamme. Sua madre è riuscita a salvarla e, insieme all’altra figlia, sono scappate verso Beirut. Ormai sono passati due mesi da quel giorno e Ivana è ancora ricoverata in un ospedale per grandi ustionati della capitale. La madre è con lei, non ha un altro posto dove andare poiché “dell’appartamento sono rimaste solo le ceneri”, mentre suo marito non ha più un lavoro.
Ivana è il simbolo delle sofferenze che i conflitti causano sui più vulnerabili. È il simbolo di tutti i bambini libanesi, palestinesi, israeliani, ucraini a cui è stata strappata via la gioventù. Raccontare la storia di Ivana è un dovere, perché richiama tutti a non ignorare le conseguenze delle armi. È lei la persona dell’anno, “con l’auspicio che nessun bambino subisca più, mai più, un destino simile“, afferma il direttore de L’Espresso, Emilio Carelli. “Le immagini di volti segnati dalla paura e dal dolore di bambini feriti e traumatizzati non possono lasciare indifferenti. Dovrebbe essere impegno primario per tutti noi proteggere i diritti dei minori, promuovere la pace e garantire che nessun altro bambino debba subire il peso devastante della guerra. E allora facciamo in modo che il 2025 sia l’anno in cui non solo parliamo di pace, ma la realizziamo”.