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Intervista esclusiva a Rita Pavone: «Arroganza vuol dire sentirsi superiori, autostima è non sentirsi inferiori a nessuno»

A cura di Pierluigi Panciroli

L’itinerario artistico di Rita Pavone si è prodigiosamente conformato nel corso delle sei decadi della sua ineguagliabile carriera a nuove mode e a nuovi stili. La carriera artistica di Rita Pavone si apre con umili esordi quale fenomeno adolescenziale nell’effervescente contesto musicale degli anni ’60 ma la giovanissima e carismatica Rita irrompe da subito nell’immaginario collettivo con brani intrisi di spensieratezza, come “La partita di pallone“.

La popolarità è presto tale da travalicare i confini nazionali e arrivare in Inghilterra e addirittura negli Stati Uniti. La grande abilità nell’interpretare brani in diverse lingue straniere conferma l’estrema versatilità artistica della Pavone.

Con l’arrivo degli anni ’70 si assiste ad una significativa maturità artistica. Il suo talento di Rita abbraccia così l’epicentro del pop italiano e delle forme più mature della musica cantautorale. La Pavone inizia pure a scrivere i propri testi e a plasmare gli arrangiamenti, attestando una crescente autonomia creativa.

Nei decenni successivi (anni ’80 e ’90) la sua evoluzione artistica sperimenta altre correnti musicali che ne arricchiscono il repertorio. Nel frattempo, il suo impegno nei programmi televisivi e teatrali consolida la sua posizione come artista versatile e ammirata ovunque. Il nuovo millennio vede la rinascita della carriera di Rita Pavone. Accolte con fervore, le sue performance suonano come un inno alla sua eredità artistica.

Alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2021 le viene conferito il prestigioso “Leone D’Oro” col quale si intende onorare Rita Pavone come icona della musica italiana. Ed è proprio nel 2021 che l’artista celebra i 60 anni di carriera. Un momento di profonda riflessione sulla lunga strada percorsa e sull’eccezionale contributo dato alla musica italiana.

La nostra intervista esclusiva

Ciao Rita, è veramente un onore per noi che tua abbia accettato questa intervista. Quali sono gli artisti o i generi musicali che ti ispirano o che ti piacciono particolarmente oggi?

Ciao Pierluigi, grazie a te… Per me è un piacere. Chi ha ispirato la mia generazione e la mia vita musicale sono nomi del passato che hanno mostrato di saper fare di tutto. Nonostante sia stata la musica o la danza la loro passione principale, sono comunque riusciti a dimostrare che il talento, se ti appartiene, ti consente di saper fare al meglio anche il resto. I miei grandi amori sono quelli della generazione precedente alla mia e quelli che hanno preceduto solo di qualche anno la mia. Molti di loro, oltre che cantare, mostravano capacità incredibili anche come attori, come comici, come ballerini, musicisti e imitatori: Judy Garland, Tony Bennett, Frank Sinatra, Bobby Darin, Sammy Davis Jr., Aretha Franklin, Shirley Bassey, Barbra Streisand, Tina Turner, Timi Yuro erano i miei preferiti e nella danza; Ann Miller, Fred Astaire, Gene Kelly e Donald O’Connor che oltre a danzare cantavano meravigliosamente bene. Se in tempi più recenti ho amato molto la voce di Sinead O’Connor e Amy Winehouse, di oggi amo le voci di Adele e Lady Gaga. Quest’ultima poi ha dimostrato di possedere una capacità vocale altamente duttile da rivelarsi credibile in ogni genere musicale affrontato. E poi è anche una splendida attrice. Chapeau! È partita in un modo un poco equivoco – una Madonna molto più ” sfrontata ” (vedi l’abito di carne che indossò ad un evento importante) per poi rivelare delle sfaccettature impensabili: ballate, rock, swing – vedi i concerti con Tony Bennett… Ricordo ancora come rimasi di sasso quando, in occasione dei premi Oscar, lei fece un tributo a Julie Andrews cantando con una vocalità da soprano, brani come Sound of Music. Fu incredibile! Travolgente! Nell’Italia di allora, prima ancora dei miei inizi televisivi, ho invece amato tantissimo e amo tuttora, Caterina Valente, artista straordinaria e poliedrica – basta vedere un filmato americano in cui si esibisce accanto alla Fitzgerald e questa la guarda ammirata per capirne la grandezza, e poi Mina, Sergio Endrigo, Umberto Bindi. Mentre, tra le cantanti di oggi, amo le voci di Elisa, di Arisa (se ha i pezzi giusti Arisa può fare faville. Ha una vocalità unica ed è sempre intonatissima), poi Giorgia e Elodie. In campo maschile amo Mengoni, Diodato, Lazza, Irama, Ultimo e Alex, il ragazzo di “Amici Loro sono quelli che cantano cose che possono rimanere nel tempo. Adoro poi Il Volo e amo i Maneskin, i quali, anche se si rifanno alle grandi band statunitensi o britanniche del passato persino nei comportamenti e nell’abbigliamento, risultano comunque nuovi ed inediti per la generazione Millennials. E poi Damiano ha una vocalità pazzesca.

Puoi condividere qualche aneddoto interessante o divertente legato alla tua esperienza sul palco?

Quello che sta accadendo adesso ai Maneskin nel mondo intero, per me ebbe inizio nell’estate del 1963, solo che allora io ero minorenne – la maggiore età in Italia si aveva a 21 anni e io ne avevo compiuti da poco 18. Allora non esistevano i social e quindi le notizie arrivavano molto in ritardo in Italia. Esattamente come i dischi stranieri. Per questo si facevano le cover. Perché quando quei brani diventavano un successo in Italia, nei Paesi di origine erano già dei pezzi dimenticati da tempo. A partire dalla metà del 1963, io cominciai ad essere presente non solo nelle chart italiane, dove mi sorpassavo da sola (verificare per credere) ma in tutte le classifiche del mondo. Europee e non. E persino in quelle U.S.A. Cinque volte ospite all’ Ed Sullivan Show, insieme ad artisti come The Animals, Beach Boys, Le Supremes etc. etc. e poi in tutte le reti americane: CBS, ABC, NBC…Alla mia terza apparizione all’ Ed Sullivan Show, sulla luminosa del teatro in Broadway, teatro che in seguito verrà intitolato al grande conduttore e famoso giornalista e luogo in cui si svolse per anni il David Letterman Show, nel marzo del 1965, qualche giorno prima  del mio concerto alla Carnegie Hall di N.Y. fissato per il 20 di marzo e già “sold out” da tempo, sulla luminosa, io mi trovai ad essere il terzo nome dopo Duke Ellington ed Ella Fitzgerald. Ed ecco l’aneddoto: A parte sentire cantare la Fitzgerald alle 9 del mattino ” Train “, con note basse da capogiro, ” scat ” e super acuti da sballo, dopo l’esibizione televisiva in diretta del pomeriggio, from Coast to Coast , non venne lei, la GRANDE SIGNORA DEL JAZZ, a bussare alla porta del mio camerino  per chiedermi una foto autografata per il figlio Philip? Ebbene sì! La Fitzgerald chiese un autografo a Rita PavoneDa rimanerci morta io per lo choc!

Come gestisci il bilanciamento tra la tua vita personale e la tua carriera artistica? Come hai gestito la fama?

Questa è una domanda molto difficile la cui risposta è ancora più difficile.  In realtà si tratta di una duplice domanda. Io avrei voluto poter decidere di gestire la mia vita come desideravo fare, ma non mi fu possibile proprio a causa della mia minore età. E questo resta il mio più grande rimpianto. Io avrei voluto rimanere negli Stati Uniti per imparare il mestiere. New York poi, era ed è, il posto più magico, il posto più agognato e sognato per una ragazzina a cui piaceva farne parte, e quindi, cercando di imparare tutto quello che la parola show bussiness contiene in sé. Mi avevano portato a vedere la Streisand in teatro in “Funny Girl.” Straordinaria! Immensa! Avevo assistito nel mitico Copacabana al concerto di Sammy Davis Jr. Prodigioso! Incomparabile!  Sammy cantava divinamente, imitava, ballava la step dance, suonava la batteria e la tromba. 60/70 minuti di vero godimento.  Lui era un comico, un grandissimo attore e un incredibile showman! Guardandolo io mi resi conto che solo lì io avrei potuto imparare un sacco di cose che non conoscevo affatto. Una su tutte, la lingua inglese. In casa, noi figli dell’immediato dopoguerra, spendevamo quello che avevamo per la pagnotta quotidiana. La musica? Il ballo? L’imparare le lingue, non ci riempivano la pancia. Quindi io cantavo un inglese maccheronico.  You diventava “ IU’ “. Nelle interviste o nelle riunioni di lavoro la RCA Victor mi mise accanto una signora per tradurre tutto quello che io dicevo e quello che mi dicevano gli altri.  Allora il traduttore simultaneo in uso oggi non esisteva e quindi diventava complicato fare delle interviste televisive. Ciò nonostante, pur non parlando io una parola di inglese, entrai nelle chart di Billboard e CashBox, considerate le Bibbie della musica mondiale, e nei primi 20 posti con due brani ” Remember me ” e ” Just Once More “. Ottenni un contratto di management con la più grande agenzia di spettacolo mondiale, la William Morris Agency, nella cui scuderia c’ erano personaggi come Bennett, Sinatra, Streisand, Sammy Davis Jr., ed in più, firmai un contratto per 3 LP wide world per la RCA Victor. Io facevo dei “pienoni” ovunque. In Canada, a Toronto, al mio primissimo debutto che si tenne al Maple Leaf Garden, feci 21mila persone e fui la seconda artista dietro ai Beatles che ne fecero 23mila. Questo era un segnale importante, eppure i miei genitori si opposero a lasciarmi negli Stati Uniti con una governante che si prendesse cura di me 24 ore al giorno. Non mi permisero di rimanere negli States e mi riportarono in Italia sordi anche alle parole del capo della William Morris che disse loro: “Le state facendo perdere una grandissima occasione. Rita, dopo Modugno, è l’italiana più amata negli States e può fare splendide cose qui da noi. ” Le stesse cose che disse Ruggero Orlando al telegiornale RAI durante uno dei suoi commenti televisivi. “Rita Pavone è entrata in America dalla porta principale “, continuò. Ma non ci fu niente da fare. I miei mi riportarono a casa con mio grande dolore. Ma – e questo lo scoprirò solo più avanti- non fu perché temessero che la loro figlia potesse prendere una brutta strada o ” perdersi ” in una città così immensa e così piena di pericolosi tentacoli; oppure perché la mia lontananza evocava in loro una grande sofferenza, ma fu invece per un problema che riguardava la loro vita coniugale che stava precipitando, cosa questa di cui io venni, o meglio, venimmo tutti, Italia compresa, a scoprirne solo dopo la verità.  Ma fui io la sola a pagarne le conseguenze. A chi mi dice: ma l’Italia ti ha dato tanto e continua a darti tanto rispondo: Lo so bene, e le sono infinitamente grata all’Italia e agli italiani per tutto questo affetto che dura da ben 60 anni. Così come so che senza il successo italiano io NON avrei MAI raggiunto un successo internazionale, ma a me non è mai interessato il successo in sé, né tantomeno i guadagni. A me interessava imparare un mestiere che ho sempre amato profondamente e che avrei desiderato riuscire a fare. Comunque andassero le cose. Mi hanno anche spesso chiesto: Ma perché non ci sei tornata dopo? Bella domanda … Perché in America basta dare un calcio ad un sasso per trovare un diamante. La concorrenza è fortissima. Anche un semplice corista ha le carte per diventare un divo, e quindi tu devi sempre stare sul pezzo. Dopo tre anni di lontananza, pensare di ricominciare sarebbe stata una follia. Avrei perduto sia l’uno che l’altro. Resta  comunque il fatto che, malgrado io fossi ritornata in Italia, tanti e soprattutto i più grandi artisti stranieri, sanno chi sono, e quel poco o tanto che ho fatto nel mio periodo statunitense e britannico – “Heart- I hear you beatin’ ” brano che tanto piace a Morrissey, si piazzò nei primi venti posti e vi restò 12 settimane e idem per ” You only you – Tu solo tu” , due brani che mi spalancarono le porte dell’Inghilterra, tant’è che per me scrissero Sir Lloyd Webber e Tim Rice oggi i KISS parlano di me. Gene Simmons è un mio grande estimatore. Chiedetelo ad Alvin di Virgin Radio che lo ha intervistato con tanto di video. Chiedetelo a Morrissey. Non solo lui parla di me nelle sue interviste, ma persino nella sua biografia. Chiedetelo ad Agnetha degli Abba che, sul suo disco da solista, dice di essersi ispirata a Rita Pavone. Chiedetelo a Nina Hagen, la quale fece nel 1972 la cover della mia “Wenn Ich ein Junge wär”, il mio primo grandissimo successo in lingua tedesca. Più di 800 mila copie da me vendute in Germania nel 1963 e una decina di album in lingua tedesca pubblicati negli anni.  

Il bilancio quindi oserei dire che non solo è positivo, ma è ultra positivo! 

Nonostante il mio rimpianto per gli USA, io ho fatto un sacco di cose durante questi 60 anni di carriera. In televisione poi, di tutto e di più. Dagli shows di Falqui del sabato sera a ” Il Giornalino di Gian Burrasca ” con 3 dico 3! Premi Oscar alle spalle: Nino Rota che firmò l’intera colonna sonora, Lina Wertmuller, che ne era regista, sceneggiatrice e autrice di tutti i testi delle canzoni e infine gli arrangiamenti di Luis Bacalov. Tutti e tre premi Oscar! Non parliamo poi dei costumi e delle scenografie di Piero Tosi (Gattopardo e del cast, dove era presente il Gotha del teatro italiano. Poi tanti specials, come ” Stasera…Rita! ” E tanti altri ancora che seguirono nel tempo. Due Cantagiro vinti: nel 1965 con ” Lui ” e nel 1967 con ” Questo nostro amore “. Nel Cinema, il mio debutto avvenne in Francia inizio 1963 con “Clementine Cherie” il cui protagonista era nientemeno che Philippe Noiret. Poi con il grande Totò, e dopo con la regia di Lina Wertmuller, i NON musicarelli, come vengono erroneamente indicati, ma film musicali leggeri alla Doris Day: “Rita la Zanzara ” e il sequel insieme a Giancarlo Giannini, Giulietta Masina, Peppino De Filippo, Bice Valori, Gino Bramieri, etc. etc.; o ” Little Rita nel West ” con Terence Hill e Lucio Dalla. Teatro rivista: con Macario, Carlo Dapporto, Piero Mazzarella, Gaspare e Zuzzurro; Teatro classico con ” La XII Notte ” regia di e con Franco Branciaroli, Renzo Montagnani, Pino Micol, Marco Sciaccaluga, ed infine “La Strada ” di Fellini e Pinelli, con Fabio Testi, la regia di Filippo Crivelli e i costumi e le scenografie di Danilo Donati, lo scenografo preferito da Federico Fellini.

E i risultati furono sempre: tanto pubblico e grandiose recensioni.

Come ho gestito la mia fama? Non ho dato di testa come molti fanno stupidamente per risvegliare la loro creatività assopita o mai esistita. La mia ” fama” l’ho vissuta come una grande opportunità che mi è stata data in dono. Era il sogno che si avverava e quindi bisognava saperla amministrare. Stare con i piedi ben piantati per terra e godere di quella grande cosa che significava avere notorietà, successo e denaro.  Mai stata interessata a droghe o a cose strane. La mia droga era e resta l’adrenalina che ho in corpo. Per essere in forma vocalmente, dormivo tantissimo, ovunque mi trovassi e soprattutto nei lunghi viaggi in aereo. Come vivo la “fama”? In maniera molto tranquilla. Oggi come allora, se non lavoro, faccio una vita più che normale. Vado spesso a fare la spesa di persona e a casa stiro e talvolta cucino come tante casalinghe. Il mio spirito guida resta Cincinnato: Quando non lavoro, taglio l’erba del prato!

Hai mai avuto l’opportunità di utilizzare la tua musica per sostenere una causa sociale o benefica che ti sta a cuore?

Faccio beneficenza e cerco sempre di aiutare coloro ai quali la vita ha riservato l’ultimo dei suoi pensieri. Non mi va di dire come e per chi, ma i bimbi sono spesso i miei referenti principali. La beneficenza deve rimanere solo tra chi la fa e chi la riceve. Mi piacerebbe però partecipare a qualche importante evento benefico televisivo, ma quello sembra essere un circolo chiuso. Ci sono sempre gli stessi nomi a condurlo e questo mi piace poco perché, anche non volendolo, si rischia di farlo diventare solo una autopromozione.

Quali sono i progetti futuri o le aspirazioni che hai per la tua carriera musicale? Cosa ti motiva oggi a far musica?

Ho in ballo dei grossi progetti, molto molto intriganti, soprattutto pensando che fra due anni ne avrò 80, ma sono scaramantica e dirò tutto solo quando firmerò i contratti. Faccio musica perché amo la musica e perché il fare musica mi rende felice. E rende felice moltissima gente che mi ama. Finché una sana energia mi sosterrà e la voce ci sarà -e per il momento c’è, eccome se c’è! mi creda – farò il lavoro per il quale sono nata e per il quale ringrazio tutti i giorni quel Signore che sta Lassù.   

Puoi condividere qualche consiglio o riflessione su come la musica può influenzare le emozioni e la vita delle persone sia sul piano sociale che politico?

Credo di essere la persona meno adatta per dare consigli. Preferisco ancora riceverli e farne tesoro, ma posso indicare coloro che di messaggi ne hanno dati tanti e importanti, ma che ahimè, visto come sta andando il mondo, disattesi dai più. Chi sono? Gaber, Fabrizio De Andrè, Battiato, Lauzi, Pierangelo Bertoli, Vecchioni, Proietti. E persino quelli che sembrano dei matti ma che ridendo ti sbattono in faccia la verità, come Elio e le Storie Tese. All’ estero Leonard Cohen, Bob Dylan, Patti Smith, George Michael…

Come descriveresti il tuo stile musicale in evoluzione nel corso degli anni? C ‘è una canzone o un album che hai registrato che ha un significato particolare per te?

Ho scoperto, intorno alla fine degli anni ’80, che avevo una netta propensione per lo scrivere. Fu così che dopo piccoli episodi fortunati in alcune canzoni, decisi che forse era ora di fare un album come autrice. Era il 1990. Fu un’autoproduzione la mia, perché ero certa che nessun discografico mi avrebbe mai dato una mano a realizzare quel disco se non dopo averlo ascoltato. Decisi di fare un disco tutto al femminile. Un disco sulle problematiche femminili. Nacque così “Gemma e le altre“. Testi miei e musiche di Carolain, una ragazza italoamericana molto in gamba. Venne fuori un disco grintoso, malinconico e stravagante insieme. Donne che si confrontano e raccontano di sé, dei loro malesseri, delle loro delusioni, delle loro aspettative, e senza peli sulla lingua. L’album ottenne delle recensioni fantastiche ma nessuno, o pochissimi, lo passarono per radio. Per i deejay, a 45 anni io ero già una boomer… E infatti quello fu uno dei miei dischi più belli ma meno conosciuti, tant’è che in Rai, alcuni mesi fa, durante un’intervista, quando mi chiesero cosa mi sarebbe piaciuto ascoltare di mio, io dissi ” Gemma “, che era il brano che dava il titolo all’album. Si guardarono tra loro smarriti, ma andarono a cercarlo e lo trovarono. Beh, era ancora intonso con tanto di cellophane…

 Qual è stato il momento più significativo della tua carriera musicale e perché?

Pur non essendo io una musicista, ho trovato ugualmente un escamotage e le giuste dinamiche per riuscire a comporre anche le musiche delle mie canzoni. Sono partita a 17 anni appena compiuti, con un genere musicale indicatomi da altri, che però ho cercato sempre di fare mio e di renderlo alla grande, e visto i 50 e passa milioni di dischi venduti nel mondo, direi che non li ho mai delusi, ma io amo il soul, il rock, le ballate e lo swing. Quindi il MIO disco di riferimento è certamente MASTERS, dove dentro c’è tutto questo. Un album grandioso da me ancora autoprodotto, il quale vede un mondo musicale di 15 brani stranieri cantati da me nella lingua originale + 15 cover degli stessi in lingua italiana. Brani che io ho molto amato nella mia adolescenza e i cui arrangiamenti, totalmente rimodernati ma non stravolti dal M° Enrico Cremonesi, giovane e straordinario arrangiatore, suonano alla grande, grazie anche all’apporto di due signori Grammy Awards.  Ebbene, questi brani, le cui versioni in lingua italiana sono firmate da Enrico Ruggeri, Franco Migliacci, Lina Wertmuller, Dario Gay e la sottoscritta – hanno altri arrangiamenti che li diversificano dalle versioni in lingua inglese. Quindi niente copia e incolla ma la conferma che, quando un brano ha una vera melodia, si può darne diverse letture, e stanne pur certo che ti daranno ugualmente enormi soddisfazioni. Uscito nel 2014 e distribuito dalla Sony, è entrato nelle chart italiane al 10° posto, ma anche questo disco, tranne un brano, ” I Want You With Me “, che lanciò nel ’55 Elvis Presley, ebbe pochissimi passaggi radiofonici. Un peccato perché si tratta veramente di un grandissimo disco. 

Qual è stata la lezione più importante che hai imparato nella tua carriera musicale?

La lezione che ho imparato? Di avere una profonda autostima per la mia persona. Sia come donna che come artista. E questa non è arroganza. Arroganza vuol dire sentirsi superiori a tutti. Autostima è non sentirsi inferiori a nessuno. Questa sono io. Questa è Rita Pavone.

Nella sua totale semplicità ed umiltà, Rita ci ha raccontato il suo percorso artistico che si contraddistingue per la sua costante abilità di adattamento e reinvenzione attraverso le varie epoche della musica pop, dallo straordinario debutto come prodigio giovanile fino alla profonda esplorazione di generi musicali più maturi, catturando così una versatilità e una longevità uniche nella storia della musica.

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Con una conoscenza approfondita e una passione innata per il mondo dello spettacolo, Pierluigi è uno dei nostri esperti di riferimento per articoli e approfondimenti in questo affascinante settore. La sua capacità di analizzare le dinamiche dello showbiz con perspicacia e dettaglio, unita a una vasta rete di contatti nell’industria, gli permette di offrire contenuti esclusivi e approfondimenti unici.

Interviste

Intervista a Nicol Angelozzi, dal set a Madrina del Catania...

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Nicol Angelozzi è un’attrice emergente dal talento e dalla determinazione straordinari. Nonostante la giovane età, ha già conquistato ruoli importanti, arrivando al pubblico televisivo con la serie Confusi, disponibile su RaiPlay, in cui ha interpretato un ruolo da protagonista. Ora è pronta a ricoprire il prestigioso ruolo di Madrina al prossimo Catania Film Fest, evento di spicco nel panorama del cinema indipendente.

In questa intervista, Nicol condivide la sua passione per la recitazione, i sogni ed i progetti che la attendono nel futuro.

Nicol, sei giovanissima ma hai già fatto passi importanti nella tua carriera di attrice, come ad esempio il ruolo da protagonista in Confusi. Come è nata questa passione per la recitazione e cosa ti ha spinta ad intraprendere questa strada?
“Da quando ero piccola ho sempre amato il mondo dello spettacolo. Ricordo che appena trovavo una spazzola in giro per casa, la prendevo e iniziavo a cantare, ballare e ad inventare storie. A scuola, non perdevo occasione di partecipare alle recite; ero sempre in prima linea. Da lì ho capito che quello poteva essere il mio mondo. La recitazione mi rende viva e mi fa provare emozioni intense. Per questo, mi impegno ogni giorno con tutta me stessa per inseguire il mio sogno.”

Sarai la Madrina della prossima edizione del Catania Film Fest, che si terrà dal 13 al 17 novembre 2024. Cosa significa per te questo ruolo e quale contributo speri di portare al festival?
“Sono molto emozionata di poter ricoprire un ruolo così importante, tornare nella mia città Catania e aprire le porte del festival. Spero di portare tanta freschezza e gioia, e di contribuire al successo di questo evento che valorizza il cinema indipendente.”

Il Catania Film Fest è un importante evento per il cinema indipendente. Secondo te, qual è il valore di questi festival per i giovani attori e per l’industria cinematografica in generale?
“Ieri in un’intervista dicevo che i festival avvicinano le persone al mondo del cinema e permettono di approfondire le proprie conoscenze. Avere l’opportunità di vedere film che in sala sono spesso difficili da trovare è un’occasione preziosa. Tantissime scuole ed università parteciperanno al programma del festival, e questa adesione mi rende molto felice.”

Guardando alla tua esperienza professionale, c’è un ruolo o un progetto che consideri particolarmente significativo nel tuo percorso?
“Sicuramente il ruolo di Maria Grazia in Confusi mi ha segnato particolarmente. Avere la possibilità di interpretare un personaggio per un mese intero è una sfida bellissima: ti permette di creare e cucirti il personaggio addosso, di viverlo davvero dall’inizio alla fine.”

Quali sono i tuoi progetti futuri?
“Ci sono dei progetti di cui purtroppo non posso ancora parlare, ma che saranno molto entusiasmanti. Soprattutto, continuerò a studiare ed a formarmi, perché credo che lo studio faccia davvero la differenza in questo mestiere.”

Quali attori o registi ti ispirano di più nel tuo lavoro, e con chi sogni di collaborare in futuro per continuare a crescere professionalmente?
“Mi piacerebbe interpretare un ruolo action, magari sullo stile di Lara Croft—sarebbe davvero divertente! Vorrei lavorare con Ferzan Ozpetek, per la sua grande delicatezza nella narrazione. Spero di avere la possibilità di esplorare sempre di più in questo mestiere, passando dalla recitazione alla televisione, o anche alla radio.”

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Cultura

L’evoluzione dei graffiti nell’arte: intervista a Nico...

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Nico “Lopez” Bruchi è un artista poliedrico: pittore, fotografo, video-maker ed attivista sociale, incarna l’arte nella sua totalità. La sua passione per la creatività si manifesta in ogni campo in cui si esprime.

Nato a Volterra, in una famiglia di creativi, “Lopez” si è immerso fin da giovane nelle subculture urbane come lo skateboard e la street art, che hanno profondamente influenzato il suo percorso artistico e di cui, ed in breve tempo, è diventato uno dei punti di riferimento più importanti.

Oggi ricopre il ruolo di direttore artistico della EDFcrew, un ambizioso progetto di arte sociale che si dedica alla riqualificazione urbana. Con questo collettivo, Bruchi realizza decine di interventi artistici all’anno, trasformando spazi trascurati in opere d’arte, e continua a lavorare come direttore creativo su scala internazionale, collaborando a progetti innovativi che uniscono arte, design e impegno sociale. Lo incontriamo per parlare di urban art.

Cosa sono i graffiti per te?

Sono la più antica e necessaria espressione e affermazione dell’esistenza umana. Nascono nella preistoria e sono antecedenti alla scrittura. Sono cambiati i modi, ma non abbiamo mai smesso di farne, quindi si può dire che siano la più primordiale forma espressiva che abbiamo. Sono da sempre anche una forma di appropriazione di spazi e concetti, per questo motivo sono stati spesso generati in occasione di ribellione di manifestazioni di dissenso, con desiderio d’imponenza, d’invasione di spazi pubblici per autoproclamare sovversivi messaggi alla popolazione. Sono stati vera e propria pubblicità, decorazione, espressione di potenza e ricchezza (affreschi nelle ville), raffigurazione del divino (affreschi nelle chiese).

Per me, però, tutto nasce con i graffiti di Fernando Oreste Nannetti, meglio noto come NOF4, uno degli ospiti del manicomio di Volterra che, durante gli anni di reclusione, incise con le fibbie delle cinture tutte le mura esterne del padiglione manicomiali, creando un vero e proprio diario della sua mente. Considerato un capolavoro dell’Art Brut, il graffito di Nannetti, nella sua cripticità, riportava autoaffermazioni della sua esistenza e personali definizioni del proprio essere, tra le più leggibili, si distingueva questa: “…io sono un astronautico ingegnere minerario nel sistema mentale. Questa è la mia chiave mineraria. Sono anche un colonnello dell’astronautica astrale e terrestre.”

Crescere circondato da un’opera così potente ti lascia un segno profondo. La prima volta che scrissi su un muro avevo circa 7 anni, usando un pezzo di alabastro che un artigiano lasciava fuori dalla sua bottega per farci disegnare. Anni dopo, intorno ai 14, scoprii i graffiti “a bomboletta”, come i chiamo io. Praticando skateboard da rollerblading ero spesso negli skatepark ed inevitabilmente inciampai in alcuni writers milanesi e svizzeri. Rimasi affascinato e qualche anno più tardi cominciai dilettarmi nell’uso degli spray.

Vivendo a Volterra, con le sue antiche mura vincolate come beni storici, per evitare denunce iniziai a sperimentare coi graffiti nell’ex manicomio abbandonato. Passavo le giornate da solo a esercitarmi con gli spray. Quel luogo divenne il centro dei graffiti a Volterra, e per rispetto di NOF4, mi sono sempre impegnato a proteggere il suo lavoro, raccontando la sua storia agli artisti e invitandoli a dipingere altrove.

Come hai incontrato la EDFcrew?

Un giorno, un amico (Daniele Orlandi a.k.a. Umberto Staila) mi invitò a una jam di graffiti a Pontedera, dove parteciparono artisti da tutta Italia. Fu stupendo e a fine evento, lui e il suo socio (Niccolò Giannini a.k.a. Joke) mi proposero di entrare nella loro crew, la EDFcrew. Da quel momento, la mia vita cambiò e la crew divenne la mia priorità. Oggi, 20 anni dopo, sono il direttore artistico della EDFcrew, composta da sei artisti e molte figure professionali. I graffiti, da mezzo per esplorarmi e affermarmi, si sono trasformati in uno strumento di creatività sociale e comunitaria, diventando il motore della mia rivoluzione personale.

I graffiti e le opere d’arte urbana hanno attraversato un incredibile viaggio culturale, trasformandosi da attività clandestina a fenomeno celebrato ed integrato nella società contemporanea. 

Nel corso degli anni, i graffiti hanno subito una straordinaria trasformazione culturale, passando dall’essere una forma clandestina di espressione ad un fenomeno celebrato ed integrato nella società. Artisti come me hanno contribuito a questo cambiamento, trasformando i graffiti in opere d’arte che suscitano riflessioni e dialoghi. Si è verificata una separazione tra il ‘Writing’ puro, che si basa sull’auto-affermazione egotica attraverso la scrittura del proprio nome, e i graffitisti figurativi che desideravano esprimersi senza i rischi del Writing clandestino.

Gli artisti figurativi, partendo dal concetto di graffiti “Puppet”, hanno evoluto il loro stile, dedicando più tempo alla creazione rispetto ai rapidi interventi clandestini sui treni. Con il tempo, i graffiti si sono spostati in spazi legali, più adatti alla realizzazione di opere complesse e decifrabili anche da chi non appartiene alle Street Cultures. Molti artisti hanno partecipato a jam su muri concessi dalle istituzioni, portando all’integrazione dei graffiti nell’ambiente urbano e alla nascita di movimenti come la Street Art e il muralismo. Grazie a internet, i graffiti hanno raggiunto una diffusione globale, entrando anche nei musei e nel mercato dell’arte. 

E cosa succederà alle città invase dai murales, quando questi inevitabilmente si deterioreranno?

I murales che contengono un forte valore concettuale ed estetico rimarranno nei ricordi di chi li ha vissuti. Le città si evolvono costantemente, e i murales deteriorati potranno aggiungere un fascino ‘neorealista’ a certi quartieri, o essere restaurati o sostituiti. La natura effimera del muralismo lo rende affascinante: alcune persone potrebbero stancarsi, ma altri continueranno a trovare ispirazione nella loro bellezza, proprio come accade per le grandi opere d’arte.

Noi della EDFcrew ci impegniamo a creare arte sociale, coinvolgendo le comunità nei processi creativi e producendo murales che portano la loro voce. Chiudo dicendo che per molti (e mi metto anch’io tra questi) questa forma d’arte non è che l’inizio di un percorso artistico che poi, col tempo, prende nuove strade contemporanee dell’arte.

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Interviste

Intervista esclusiva a Lola Abraldes, protagonista...

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Lola Abraldes ci racconta il suo percorso in Margarita, la nuova serie legata all’universo di Floricienta (Flor speciale come te) e le sfide per interpretare Daisy, in una trama piena di colpi di scena. Ricordiamo che la serie narra le vicende della figlia di Flor e Massimo.

Lola Abraldes, a soli 21 anni, è già una promessa nel mondo dello spettacolo. È attrice, ballerina, cantante, modella e ha una determinazione che emerge chiaramente sin da bambina. La sua carriera ha radici profonde: a soli sei anni ha iniziato a lavorare nelle pubblicità, spesso al fianco di suo padre Flavio Abraldes, anche lui attore, che è stato una guida importantissima per lei. Con il suo sostegno e i suoi consigli, Lola ha affrontato ogni sfida con una sicurezza davvero invidiabile.

Ma non è solo il talento di famiglia a distinguerla: Lola ha sempre avuto una passione innata per l’arte, alimentata dai suoi studi di teatro e danza, iniziati a sette anni, e dal canto, che ha aggiunto alla sua formazione quattro anni fa. Il suo grande sogno? Lavorare con Cris Morena, un sogno che l’ha accompagnata fin da quando guardava Casi Ángeles, affascinata dal personaggio di Mar. E questo sogno, con grande determinazione, è riuscita a realizzarlo.

Lola ha dovuto insistere molto con i suoi genitori per partecipare ai primi casting. Non era facile per loro accettare che una bambina così piccola volesse già entrare in un mondo così competitivo. Ma alla fine ha prevalso la sua caparbietà e da quel momento non si è più fermata. Ha iniziato a fare pubblicità, ha continuato a studiare e poco a poco si è fatta strada nel mondo del cinema e della TV.

Nel 2021 arriva la svolta: ottiene un ruolo da coprotagonista nel film Como mueren las reinas. Un’esperienza che per lei ha significato tantissimo, perché è stato lì che ha capito di voler recitare per il resto della vita. Quei giorni lunghi sul set, per la prima volta così intensi, le hanno dato la certezza che il suo sogno stava prendendo forma.

Ma la vera sfida arriva con Margarita, una serie firmata da Cris Morena. Lola ha affrontato un casting lunghissimo e inizialmente non era stata selezionata per il laboratorio della serie. Ma la sua perseveranza è stata premiata: dopo qualche settimana, è stata richiamata per partecipare, e alla fine, tra cinque attrici, è stata scelta per interpretare Daisy. Un momento di felicità indescrivibile per lei.

Il personaggio di Daisy non è affatto semplice. Cresciuta tra bugie e inganni, Daisy non conosce la sua vera identità e Lola ha lavorato mesi per costruire un ruolo così complesso. Ogni scena è stata analizzata a fondo, ogni dettaglio studiato. Grazie alla sua formazione artistica, Lola ha saputo dare a Daisy una profondità che rende il personaggio credibile e coinvolgente.

Lola ha lavorato duramente per far emergere in Daisy il conflitto tra la voglia di conoscere la verità e la paura di affrontarla. Daisy, infatti, sceglie inconsciamente di vivere nella menzogna, per evitare il dolore di scoprire chi è davvero. Un personaggio pieno di sfumature, che Lola ha reso unico, grazie anche all’aiuto della sua coach di recitazione e di suo padre, sempre presente a darle consigli.

Il rapporto tra Daisy e la vera Margarita, interpretata da Mora Bianchi, è stato uno degli aspetti più interessanti da sviluppare. La loro amicizia nella vita reale ha reso tutto più semplice: ore e ore passate insieme sul set hanno creato una complicità autentica che si riflette anche nei loro personaggi. E questa autenticità è ciò che rende il legame tra Daisy e Margarita così vero e coinvolgente sullo schermo.

Anche la relazione tra Daisy e Merlín, interpretato da Nicolás Goldschmidt, ha rappresentato una grande sfida per Lola. Dopo aver subito tanto dolore a causa di Merlín, Daisy trova la forza di perdonarlo, dimostrando la sua dolcezza e la sua capacità di comprendere. Una delle scene più intense, ci racconta Lola, è stata quella sull’isola, dove Daisy affronta Merlín chiedendogli “Perché mi fai questo?”. Quella battuta, inserita da Lola stessa, ha dato ancora più profondità al suo personaggio e alla scena.

Non è mancata la pressione da parte del fandom di Floricienta, una serie amatissima che ha lasciato un’eredità importante. Lola ha sentito questa responsabilità, ma ha affrontato tutto con grande rispetto, riguardando la serie originale per immergersi completamente nel contesto e fare suo il ruolo di Daisy.

E per il futuro? Lola ha le idee molto chiare. Vuole continuare a recitare, esplorare nuovi personaggi, nuovi paesi, nuove storie. Sogna di lavorare in Italia o in Spagna, due paesi che ama moltissimo e continua a formarsi per crescere sempre di più come attrice.

L’intervista con Lola Abraldes ci ha regalato uno sguardo unico sul suo percorso, fatto di determinazione, passione e tanto talento. Una giovane artista che ha sempre creduto nei suoi sogni e che, con impegno e sacrificio, li sta realizzando uno dopo l’altro. E noi non vediamo l’ora di vedere dove la porteranno i prossimi passi.

La nostra intervista esclusiva

Ciao, Lola! È un vero onore averti con noi di Sbircia la Notizia Magazine per questa esclusiva in Italia. Siamo davvero entusiasti di poter raccontare la tua storia ai nostri lettori e scoprire di più su di te e sul tuo percorso. Sei un talento emergente che sta conquistando il cuore di molti e avere l’opportunità di parlare con te è un privilegio. Grazie per aver accettato questa intervista.

Hai iniziato a lavorare nel mondo dello spettacolo giovanissima, partecipando in pubblicità e lavori di modella già a sei anni. Quanto ti ha aiutato questa esperienza iniziale ad affrontare i casting e il ruolo di Daisy in “Margarita”? C’è qualcosa che hai imparato in quegli anni, magari anche dai lavori insieme a tuo padre Flavio Abraldes?

Lavorare nel mondo della recitazione fin da piccola mi ha aiutato tantissimo ad affrontare i lunghi casting di Margarita. Mi ha dato una formazione solida non solo nella recitazione, ma anche nella danza e nel canto, poiché la mia esperienza precedente mi aveva già insegnato molto sul mondo dell’arte. Grazie ai miei lavori precedenti, sapevo già come studiare i copioni, come pormi davanti alla telecamera e come comportarmi sul set. Inoltre, i consigli che mio padre mi ha sempre dato mi hanno permesso di affrontare i casting con molta sicurezza e calma. È stato un processo lungo e difficile, ma sono riuscita a rimanere in piedi senza permettere alla pressione di abbattermi. Se non avessi fatto tanti casting durante la mia infanzia e non avessi già sperimentato cosa significhi non essere scelta per un progetto, il processo di selezione per Margarita sarebbe stato impossibile per me.

Fin da bambina, guardavi “Casi Ángeles” e sognavi di lavorare nelle produzioni di Cris Morena, ispirata dal personaggio di Mar. Raccontaci cosa hai provato quando hai saputo che eri stata ammessa alla scuola “Otro Mundo” di Cris Morena, e qual è stato per te il momento più emozionante di questo percorso, passando da fan a parte integrante di questo mondo che tanto ammiravi?

Come dici tu, ero una grande fan di Casi Ángeles, e vedere Mar mi ha ispirata a diventare attrice. Entrare in Otro Mundo è stato un sogno che si realizzava per me, perché era lo spazio dove potevo imparare arte tutto il giorno, tutti i giorni, come avevo sempre desiderato. E, inoltre, sotto la guida della grande Cris Morena. Quando ho saputo di essere stata ammessa a Otro Mundo, ho pianto di gioia abbracciata a mia madre, ansiosa di iniziare a imparare da Cris. Il momento più emozionante di quel percorso è stato poche settimane dopo, quando Cris mi ha invitato a un incontro per conoscerci. Abbiamo parlato a lungo e mi ha detto che era interessata a me e che le piaceva molto il mio lavoro. Mi ha raccontato che dal giorno in cui ci siamo incontrate per la mia audizione, aveva il desiderio di sedersi a parlare con me. È stata una conversazione molto piacevole e mi ha consigliato di continuare a formarmi con la stessa energia e voglia.

Il processo di selezione per il ruolo di Daisy è stato particolarmente intenso e competitivo, passando attraverso due fasi di casting e poi un laboratorio con altre quattro attrici in lizza per lo stesso ruolo. Qual è stata, secondo te, la chiave del tuo successo in quelle audizioni, e come hai vissuto quei momenti di incertezza, specialmente quando inizialmente ti avevano detto che non eri stata scelta?

“Credo che la chiave del successo sia stata mantenere la sicurezza in me stessa, lavorare duramente nonostante la stanchezza e appoggiarmi sui miei compagni di cast, amici e famiglia. Ho sempre mantenuto un buon rapporto con le altre ragazze che facevano il casting per Daisy, consigliandoci a vicenda, trattandoci con affetto e rispetto. Questo è stato fondamentale perché ha evitato che si creasse un ambiente ostile e competitivo. La mia famiglia è stata sempre presente, sostenendomi nei giorni in cui mi sentivo più giù o insicura, aiutandomi a ritrovare le energie per continuare. Inoltre, mio padre Flavio mi aiutava molto a provare le scene a casa. Continuavo a prendere lezioni per crescere e formarmi come artista.”

Daisy è un personaggio complesso, cresciuto in un mondo di bugie senza conoscere la verità sulla sua identità, adottata da Delfina solo per sfruttare l’eredità di Margarita. Come hai costruito il carattere di Daisy per renderlo autentico, e quali sono state le sfide emotive più grandi nel rappresentare il conflitto interiore di un personaggio che vive in un inganno così profondo?

“Il laboratorio (o casting) che abbiamo fatto per la serie è stato molto lungo e questo mi ha dato mesi per costruire la personalità di Daisy e conoscerla a fondo. L’ho conosciuta a tal punto che l’ho fatta mia. Mio padre Flavio e la nostra coach di recitazione, Cecilia Echague, sono stati di grande aiuto per trovare tutte le sfaccettature di Daisy e trasformarla in un personaggio profondo e complesso. Ho preso ogni scena del copione e l’ho analizzata a fondo, cercando tutti i colori e i dettagli. Ho dedicato molto tempo e passione. La sfida più grande nel rappresentare il conflitto interno di Daisy è stata far sì che lei davvero non volesse scoprire la sua vera identità. Nel corso della sua vita, Daisy ha molti indizi che la portano a sospettare di non essere chi crede di essere e ho dovuto trovare una giustificazione per il suo non voler approfondire la ricerca. Ho deciso di rendere Daisy una ragazza che sceglie di vivere nella menzogna. Lei sa che ci sono cose che non quadrano, ma per evitare dolore e sofferenza, inconsciamente sceglie di non indagare e di essere felice nonostante il piccolo vuoto che sente. È il suo meccanismo di difesa.”

Hai studiato teatro e danza fin da quando avevi sette anni, e canto da quattro anni. Quanto è stato importante il tuo background artistico nel dare vita al personaggio di Daisy? Come queste esperienze ti hanno aiutato a portare profondità e credibilità a un ruolo che richiede non solo recitazione, ma anche un’espressività fisica e vocale che la rendono così unica?

“La mia formazione artistica è stata fondamentale per dare vita a Daisy. Essendo un personaggio molto complesso con molti conflitti interni, ho avuto bisogno di molta tecnica recitativa per interpretarla senza problemi. Tutta quella formazione mi ha permesso di creare una dualità in Daisy, con il dilemma del sapere e non sapere, e del credere e non credere. Daisy è una ragazza molto dolce e calma, con tanto amore da dare ma che soffre e piange molto. Tutto questo l’ho costruito grazie alla mia esperienza e formazione passata.”

In “Margarita”, il legame tra Daisy e la vera Margarita è intriso di una drammaticità inconsapevole, poiché entrambe vivono immerse in una bugia e sono ignare delle loro vere identità. Come hai lavorato insieme a Mora Bianchi per creare questa intensa e delicata amicizia tra due personaggi che, pur non sapendolo, sono in competizione per una vita che non appartiene loro?

“L’amicizia tra Daisy e Margarita si è sviluppata in modo molto naturale, perché con Mora abbiamo costruito quella stessa amicizia nella vita reale. Tante ore insieme, risate e conversazioni profonde ci hanno dato una complicità assolutamente autentica, che ci ha aiutato entrambe sul set. Credo che questa sia stata la chiave per far sì che il nostro legame nella fiction apparisse così genuino e naturale. Inoltre, ci ha permesso di goderci le ore sul set e di supportarci emotivamente mentre eravamo lontane dalle nostre famiglie – la serie è stata girata in Uruguay.”

La relazione tra Daisy e Merlin è ricca di tensione e segreti: inizialmente Daisy non conosceva la vera identità di Merlin e le sue motivazioni, ma dopo la rivelazione di questo, la dinamica tra loro è cambiata profondamente. Qual è stata la sfida più grande nel rappresentare questa transizione e c’è una scena tra voi che ti ha toccato o lasciato una huella?

“La sfida più grande nel rappresentare questa transizione è stata far sì che Daisy si permettesse di condividere lo stesso spazio con Merlin, dopo che lui le aveva causato tanto dolore. Ci sono riuscita facendo sì che Daisy, con la sua dolcezza e bontà, capisse che lui non aveva agito con cattive intenzioni e che era una persona giusta e nobile. Una scena molto importante per me in questo rapporto è quella che loro hanno sull’isola, nella capanna. In quella scena, lei dice a Merlin che sa che lui non l’ha amata. A un certo punto gli dice: ‘Perché mi fai questo?’. Aggiunsi io quella battuta, perché mi sembrava importante per rappresentare ciò che Daisy sentiva e come lei si chiedeva davvero perché fosse necessario soffrire così. È stata anche molto bella da girare.”

Interpretare Daisy significa entrare a far parte di un universo legato a “Floricienta”, una serie iconica con una fanbase molto affezionata. Hai avvertito la pressione di soddisfare le aspettative di chi ha amato la serie originale e come hai gestito questa responsabilità, specialmente sapendo che i fan attendevano con ansia di scoprire cosa fosse successo a Flor e Massimo?

Sì, ho sicuramente sentito molta pressione da parte del fandom di Floricienta, ma posso dire che ho sempre affrontato questo personaggio e questo progetto con grande rispetto. Ho rivisto Floricienta prima di iniziare le riprese, per comprendere meglio il contesto e capire a fondo la storia precedente, il che è stato fondamentale per le riprese. Inoltre, come fan di Floricienta, mi piace che il pubblico continui a provare tanto amore per Massimo e Florencia, proprio come ne provo io.

Hai avuto un percorso unico e affascinante nel mondo dello spettacolo, dai primi passi nelle pubblicità fino ai ruoli di spicco in serie TV e film. C’è un momento nella tua carriera che consideri particolarmente significativo, un punto in cui hai sentito di aver trovato veramente la tua strada? Come il sostegno dei tuoi genitori, inizialmente restii a farti entrare nel mondo dello spettacolo, ha influenzato le tue scelte?

Sì, per me è stato fondamentale il mio ruolo nel film Como mueren las reinas. È stato il mio primo progetto da coprotagonista e il periodo di riprese è stato lungo. Essere sul set tutti i giorni per la prima volta mi ha fatto capire che questo era davvero il mio sogno e che volevo recitare su un set per il resto della mia vita. Il sostegno dei miei genitori è stato sempre fondamentale per me, perché, una volta che hanno capito che questo era davvero il mio sogno, hanno iniziato a supportarmi al 100%, con tutto il loro amore e la loro dedizione. Questo è stato importantissimo per me, perché mi ha fatto sentire sempre accompagnata dalle persone che amo di più.”

Guardando al futuro, ci sono ruoli o storie che sogni di esplorare come attrice? Hai un progetto o un personaggio che senti particolarmente vicino e che ti piacerebbe interpretare?

“Guardando al futuro, sogno semplicemente di continuare a recitare per tutta la vita. Di esplorare personaggi completamente diversi, girando in Paesi diversi e per progetti diversi. Sogno di continuare a formarmi e crescere come attrice, e di affrontare storie di ogni tipo. Mi piacerebbe molto partecipare a un progetto in Spagna o Italia, poiché sono due Paesi che amo e adoro le persone che li abitano. Mi farebbe tantissimo piacere vivere lì per un po’ di tempo.”

Cosa diresti a chi, come te, sogna di entrare nel mondo dello spettacolo e affronta le sfide dei primi casting e delle prime delusioni? Qual è il consiglio più importante che hai ricevuto e che vorresti condividere con chi sta muovendo i primi passi in questo ambiente?

“Direi loro di lottare per i propri sogni. Con tanto impegno, lavoro e dedizione, i sogni si realizzano. Bisogna essere pronti ad affrontare il rifiuto, il vuoto e la tristezza, ma se riusciamo a superare quei momenti, quelli belli arriveranno. I miei genitori mi hanno sempre consigliato di continuare a crescere, di non lasciarmi abbattere dalle difficoltà e di non permettere che l’opinione di un direttore di casting mi definisse. Penso che questo sia molto importante, perché è facile sentirsi ‘poco talentuosi’, ‘brutti’ o ‘inadeguati’ quando un direttore di casting non ti sceglie per un ruolo. Ma bisogna tenere presente che non dipende da noi. Spesso non si viene scelti perché stavano cercando qualcos’altro, o per mille ragioni che non hanno a che fare con la bellezza, il talento o le capacità di una persona. È importante ricordarselo per poter essere felici in questa carriera.”

Se potessi tornare indietro e incontrare la Lola bambina che guardava “Casi Ángeles” con gli occhi pieni di sogni, cosa le diresti ora? Come ti senti sapendo che ogni passo ti ha portato esattamente a dove volevi essere, recitando in una serie firmata da Cris Morena?

“Sarebbe meraviglioso poter parlare qualche minuto con la Lola bambina. Le direi che tutti i suoi sforzi valgono la pena. Che perdere tanti compleanni, tante serate in pigiama con le amiche e tanti viaggi per continuare a formarsi o girare progetti più piccoli, varrà la pena. Le direi di credere in se stessa, di permettersi di divertirsi e giocare con la sua arte. Di non prendersi tutto troppo sul serio. Che tutti i suoi sogni si realizzeranno.”

Sebbene siamo ancora all’inizio, i fan sono già curiosi: ci sarà una seconda stagione di “Margarita” o i 40 episodi sono gli unici in programma? Hai qualche anticipazione che puoi svelarci?

Mi piacerebbe potervi raccontare tutto, ma per ora posso solo dirvi che sono molto entusiasta di tutto ciò che sta accadendo con Margarita. Presto arriveranno cose meravigliose che mi emozionano tantissimo. Una seconda stagione? Lo spero tanto! Sarebbe bellissimo. Mettendoci tanto impegno e desiderio, potrebbe essere possibile, quindi continuiamo a sognarla finché si realizza 💘”

Parlando un po’ della tua vita privata, se posso chiedere, sei fidanzata? E se sì, il tuo compagno condivide la tua stessa passione per la recitazione o è impegnato in un settore diverso?

“Non sono fidanzata, sono sola ma circondata da famiglia e amici che amo profondamente e con cui mi godo la vita.”

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