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Cultura

Per la prima volta ‘ricostruiti’ i romanzi...

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Per la prima volta ‘ricostruiti’ i romanzi incompiuti di Giovanni Verga

Il professore Gianni Giorgio Forni ha curato gli abbozzi delle pagine de "La duchessa di Leyra" e dei rari appunti presi per "L'onorevole Scipioni" e "L'uomo di lusso"

Per la prima volta 'ricostruiti' i romanzi incompiuti di Giovanni Verga

Per la prima volta sono stati raccolti in volume i documenti superstiti del progetto letterario incompiuto di Giovanni Verga (1840-1922): si tratta delle pagine de "La duchessa di Leyra" e dei rari appunti presi per "L'onorevole Scipioni" e "L'uomo di lusso", i due romanzi che lo scrittore siciliano non scriverà mai. "Abbozzi di romanzi" è il titolo del libro curato da Giorgio Forni, professore ordinario di Letteratura italiana all'Università di Messina, fresco di stampa da Interlinea e inserito nella collana dell'Edizione nazionale delle opere di Giovanni Verga condotta sulla base dei manoscritti.

Dopo i pescatori della famiglia Malavoglia, dopo l'affermazione sociale di Mastro-don Gesualdo come ricco possidente, i romanzi del ciclo dei "Vinti" avrebbero dovuto rappresentare le classi superiori della società: i riti mondani dell'aristocrazia, i vertici del potere politico, l'artista capace di imporsi nello spazio degradato e commerciale della modernità. Per Verga, spiega Forni sulla base delle carte autografe, non si trattava di cimentarsi solo con una diversa "classe sociale", ma di riprodurre una differente condizione antropologica e psicologica in cui la "natura" è quasi interamente mascherata dall'"artificio", l'autentico viene sostituito dall'inautentico, la spontaneità di sentimenti si perde nella vanità esteriore delle forme.

La scommessa di Verga era quella di poter rappresentare in modo oggettivo la scissione costitutiva, verticale del mondo interiore del personaggio di potere nelle sue varie declinazioni (potere mondano nella "Duchessa di Leyra", potere politico nell'"Onorevole Scipioni", potere culturale nell'"Uomo di lusso").

Nel proseguire il ciclo dei "Vinti" Verga si trova anzitutto di fronte a un problema tecnico, spiega Forni: come narrare un ambiente in cui la buona educazione nasconde le passioni, i desideri, i risentimenti, e li traduce in segni impalpabili, in sottintesi, in inflessioni di voce difficili da rendere sulla pagina?

Rispetto al progetto di tre grandi romanzi, in realtà restano ben poche carte, in gran parte relative alla "Duchessa di Leyra". In questo romanzo ciò che era fondamentale era il tono, o per dirla con Verga la capacità di "intonarsi", di rendere evidenti i sottintesi e i "mezzi toni", e l'autore catanese sperimentò (quasi ossessivamente) tante orchestrazioni diverse dei medesimi scorci narrativi che possono sembrare varianti ripetitive e inconcludenti, ma rappresentano invece il tentativo di affrontare la sfida insita nel nuovo romanzo. Per questo gli autografi che ci rimangono della "Duchessa di Leyra" riguardano solo pochissime scene.

La protagonista, scriveva il grande romanziere siciliano, "è come un'intrusa nella società palermitana, ove pure ha le sue relazioni e le parentele - puntigliosa, altera, di un'estrema sensibilità affettiva e d'orgoglio".

Giovanni Verga, spiega Forni, "voleva trovare la misura di uno stile nuovo, ammiccante, increspato da sottili contrasti, fatto di cadenze reticenti e maliziose; deve sperimentarlo, metterlo alla prova, tentare via via accordi e combinazioni come un musicista che deve familiarizzarsi con certi strumenti che si aggiungono all’orchestra. Come riprodurre ad esempio un sorriso falso, un pettegolezzo accennato a mezza voce, un segno maligno e spiritoso di assenso?" Verga ipotizzava dunque una nuova grammatica narrativa e fu qui che Verga egli fallì: scrisse, riscrisse, cercando la "parola giusta", la combinazione esatta di elementi che dessero evidenza alle pulsioni profonde e nascoste dei personaggi.

Il volume degli "Abbozzi di romanzi" raccoglie tutte le carte superstiti dei tre ultimi romanzi del ciclo dei "Vinti" e vi è un'ampia introduzione di Forni che ricostruisce minutamente il percorso compositivo di Verga e anche il procedere del "caso letterario" della mancata conclusione del ciclo dei "Vinti" che condusse il vecchio Verga a chiudersi infine in un accigliato silenzio.

(di Paolo Martini)

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Cultura

Maxxi, Raffaella Docimo farà le veci di Giuli e scatta il...

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Nel ventaglio di ipotesi l'ex presidente della Quadriennale di Roma Umberto Croppi e il direttore della Pinacoteca di Brera Angelo Crespi

Raffaella Docimo

Sarà Raffaella Docimo a fare le veci di presidente della Fondazione Maxxi, ruolo rivestito finora da Alessandro Giuli nominato ministro della Cultura in sostituzione del dimissionario Gennaro Sangiuliano.

Docimo - giornalista pubblicista, membro dell'associazione Amici del Maxxi dal 2016 e docente universitaria e recentemente candidata alle elezioni europee nelle liste di Fratelli d'Italia - è la consigliera anziana del Cda della Fondazione. Sarà lei a gestire il Maxxi dopo l'uscita di Giuli almeno fino alla nomina di un nuovo presidente. E probabilmente non sarà una parentesi breve. Da quanto apprende l'Adnkronos, al Mic travolto dal caso Sangiuliano hanno sul tavolo non poche questioni. A partire dall'organizzazione dell'imminente G7 della Cultura a Napoli.

Nel frattempo negli uffici di via del Collegio Romano è già scattato il toto-nomi. Identificare una figura che abbia le caratteristiche giuste per ricoprire il ruolo di presidente della Fondazione Maxxi, lasciata scoperta dal giornalista neo ministro, non è cosa facile. Lo scenario che si prospetta può avere due direzioni. Una è quella di proseguire sulla linea di una figura di intellettuale, come quella di Giuli. Ma c'è anche la possibilità che il ministero si orienti ora su una figura più 'manageriale', che lasci dunque la parte culturale al direttore artistico e punti maggiormente sull'aspetto di sviluppo economico dell'istituzione museale.

A quanto apprende l'Adnkronos, sono già al vaglio in queste ore diversi curriculum di manager con esperienza. Se però si proseguirà sulla linea della figura di un 'tecnico', sono diversi i nomi che potrebbero essere 'papabili' per guidare il Maxxi. Nel gioco del toto-nomi, uno potrebbe essere quello di Umberto Croppi, ex assessore capitolino alla Cultura della Giunta Alemanno ed ex presidente della Quadriennale di Roma fino al 2023. Piace anche il direttore della Pinacoteca di Brera, Angelo Crespi, docente e manager culturale di lungo corso, al quale a quel punto si chiederebbe di trasferirsi nella Capitale.

Nel frattempo, l'attività di ordinaria amministrazione della macchina museale del Maxxi verrà ora portata avanti da Raffaella Docimo e dallo staff del museo. "Gli uffici sono a pieno regime", rassicurano fonti interne alla Fondazione.

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Cultura

‘Il Milione’ di Marco Polo ritrovato,...

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L'eccezionale scoperta nella Biblioteca Diocesana Ludovico Jacobilli di Foligno

'Il Milione' di Marco Polo ritrovato, individuato nuovo manoscritto

Eccezionale ritrovamento in occasione dei 700 anni dalla morte di Marco Polo (1254-1324): nella Biblioteca Diocesana 'Ludovico Jacobilli' di Foligno (Perugia) è tornato alla luce un manoscritto del "Devisement dou monde/Milione" presente nei cataloghi ma ignoto agli studiosi (è assente da tutti i censimenti del "Milione") che risulta essere l'ultimo dei codici oggi noti in ordine di tempo del testo del grande viaggiatore veneziano (sono 145 raggruppati in diverse famiglie).

Il ritrovamento, che si inserisce nel più ampio lavoro sul "Milione" coordinato da Eugenio Burgio, Marina Buzzoni e Samuela Simion dell’Università Ca' Foscari di Venezia e Antonio Montefusco dell'Università di Nancy, riveste notevole interesse perché aggiunge nuove importanti informazioni riguardo alla trasmissione del testo e alle sue varie versioni.

Il manoscritto è conservato nella Biblioteca Diocesana di Foligno con segnatura "Jacobilli A.II.9" e trasmette la traduzione che gli studiosi chiamano VA, realizzata entro il primo quarto del Trecento nell'Italia nord-orientale. L'importanza di questa traduzione, spiegano i docenti universitari autori della scoperta, risiede soprattutto nell'ampiezza della sua diffusione: il testo di VA venne infatti sottoposto a numerose traduzioni, sia in latino che in volgare, tanto che gran parte dei manoscritti superstiti è, direttamente o indirettamente, una sua emanazione. Essa è quindi la versione in cui il libro di Marco Polo venne più letto e conosciuto in Europa.

La traduzione VA ebbe una prima circolazione in area emiliana e lombarda, anche se poco sappiamo dell’ambiente in cui venne prodotto. In questo manoscritto inoltre il traduttore non esita a tagliare informazioni eterodosse o scabrose, ciò suggerisce che provenga da un ambiente religioso.

Il manoscritto è stato segnalato da Fabio Soncin, dottorando del Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati dell'Università Ca' Foscari di Venezia (sotto la supervisione di Marina Buzzoni), che lo aveva visionato durante una visita a Foligno, mentre è il bibliotecario Ivan Petrini che dalla Biblioteca di Foligno ne ha dato una prima presentazione: manoscritto quattrocentesco, scritto da una sola mano in una minuscola umanistica, è un cartaceo di 110 carte, privo delle carte iniziali e di alcune carte interne. La sua origine e la sua storia sono oscure: fa parte dell'ampio corpus donato da Ludovico Jacobilli (1598-1664) alla biblioteca tra il 1662 e il 1664, ma non è chiaro dove e quando l’erudito folignate ne sia entrato in possesso.

Il professor Simion dell'Università Ca' Foscari, ha riconosciuto la traduzione VA nel codice e il suo lavoro di trascrizione ha già permesso di riconoscere le particolarità e l’importanza del ritrovamento. Solo nei prossimi mesi si potrà aggiungere qualche informazione sulla posizione del manoscritto all’interno della tradizione manoscritta del "Milione", in attesa di uno studio più ampio che sarà pubblicato su una delle riviste principali del settore.

Il ritrovamento avviene pochi giorni prima del convegno "Marco Polo, il libro e l'Asia. Prospettive di ricerca vent'anni dopo", organizzato dall'Università Ca' Foscari a Venezia (Auditorium Santa Margherita – Emanuele Severino), dall'11 al 14 settembre, iniziativa che rientra nel programma ufficiale delle celebrazioni per i 700 anni della morte dell'esploratore veneziano e sostenuta dal Comitato Nazionale, dal Ministero della Cultura, con il patrocinio di Rai Veneto e Rai Cultura.

Una sessione del convegno sarà dedicata all'edizione digitale dell'opera del grande viaggiatore. Tra le attività dell'anno dedicato a Marco Polo anche la pubblicazione della prima edizione digitale dell'opera di Marco Polo, resa disponibile agli studiosi di tutto il mondo e pubblicata da Edizioni Ca' Foscari in open access e open source.

L'ambiente digitale riesce a valorizzare molto meglio del libro cartaceo la mobilità intrinseca al testo trasmesso da tanti manoscritti, redatti in molte lingue diverse (almeno 11), che appartengono a tradizioni culturali differenti. Per questa edizione digitale sono state scelte 12 redazioni e una versione ulteriore del testo (Fr2) che vengono offerte in presentazione sinottica (ovvero affiancate le une alle altre). L'opera digitale, che segue gli standard di codifica internazionali, offre anche un testo critico unitario, in lingua inglese per facilitarne la diffusione sia presso la comunità degli studiosi sia presso il pubblico degli interessati. E’ completata da un glossario dei termini che hanno un importante valore culturale, in particolare i termini che designano persone, animali e cose legate all’Oriente, di mappe interattive dei luoghi toccati da Marco Polo nel suo lungo viaggio; di informazioni bibliografiche di potenziale interesse per il lettore.

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Cultura

Premio ‘Giuseppe Colalucci’, la cerimonia il 27...

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Il riconoscimento, giunto alla decima edizione, vuole ricordare la figura del giornalista, fondatore della storica testata 'Tifone' e grande cronista sportivo romano che dagli anni '50 agli '80 animò il panorama dell’informazione della Capitale

Premio 'Giuseppe Colalucci', la cerimonia il 27 settembre a Roma

Giunge alla decima edizione il 'Premio Giuseppe Colalucci', istituito per ricordare la figura del giornalista, storico fondatore del 'Tifone', e grande cronista sportivo romano che dagli anni '50 agli '80 animò fortemente il panorama dell’informazione della Capitale. Quest'anno la cerimonia di premiazione si terrà a Roma, venerdì 27 settembre alle 20.30, presso il circolo 'Antico Tiro a volo'.

Il Premio - ideato dal presidente dell'Ordine dei giornalisti del Lazio, Guido D'Ubaldo, con l'obiettivo di riscoprire lo spirito vivace dell’informazione sportiva e non - nlle precedenti edizioni ha premiato tante firme del giornalismo e affermati personaggi dello sport, della cultura, dello spettacolo, della politica italiana.

Fra i tanti premiati Roberto Gualtieri, Roberto Mancini, Mario Sconcerti, Gabriele Gravina, Sigfrido Ranucci, Edoardo Leo, Carlo Verdone, Antonello Venditti, Nicola Piovani, Massimo D’Alema, Zdenek Zeman, Carlo Paris, Fabrizio Roncone, Rocco Papaleo, Alessandro Roja, Deborah Serracchiani, Gianni Petrucci, Bruno Giordano, Aldo Cazzullo, Gianni Riotta, Massimo Martinelli, Stefano Barigelli, Gianni Togni, Roberto Mancini e Lorella Cuccarini.

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