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Israele: “Vogliamo distruggere Hamas che è minaccia per Occidente, non i palestinesi”

"Questa guerra ci è stata imposta, non abbiamo scelta, il 7 ottobre ha cambiato tutto", questo è stato il messaggio ad un gruppo di parlamentari italiani ed europei in visita di solidarietà in Israele

Le auto carbonizzate dei ragazzi massacrati al festival Supernova

"Questa guerra ci è stata imposta, non abbiamo scelta, il 7 ottobre ha cambiato tutto, dobbiamo difenderci, cacciare Hamas da Gaza. L'Europa ci deve capire, è una minaccia per tutto l'Occidente". In due giorni di visita in Israele, questo è stato il messaggio ripetuto più volte ad un gruppo di parlamentari italiani ed europei in visita di solidarietà in Israele, un paese in guerra ancora sotto choc per l'atroce violenza del 7 ottobre e la drammatica vicenda degli ostaggi.

"Parlate delle atrocità. Hamas è un terrorismo organizzato, è un nemico comune dell'Occidente, del mondo libero, aprite gli occhi. E' una guerra ideologica, vogliono distruggere Israele. Noi non vogliamo distruggere i palestinesi o occupare Gaza. Vogliamo distruggere Hamas, perché dobbiamo pensare al futuro, non possiamo avere una guerra ogni due anni", dichiara Shelly Tal Meron, deputata del partito di opposizione Yesh Atid, ricevendo la delegazione alla Knesset, il parlamento israeliano.

"E' una guerra diversa dalle precedenti, una guerra esistenziale. Sono di centrosinistra, il 7 ottobre ha cambiato il mio modo di vedere", aggiunge Micky Biton, del partito di Benny Gantz. E sottolinea come molti degli israeliani uccisi nei kibbutz fossero pacifisti, "sognatori di pace che hanno incontrato dei mostri". "Ci siamo ritirati da Gaza nel 2005 -ricorda - ma da lì ci hanno sempre attaccato, il denaro è stato speso per i tunnel di Hamas, non per lo sviluppo... Bisogna prima eliminare Hamas, poi si potrà dare una vita migliore agli abitanti di Gaza". Per il futuro serve una "intesa anche con i paesi Arabi, l'Egitto, la Giordania, il Marocco".

Quattro parlamentari italiani - Susanna Campione e Antonio Baldelli di Fratelli d'Italia, e Naike Gruppioni e Mauro Del Barba, di Iv - hanno partecipato alla missione, organizzata da Elnet, una Ong israeliana nata per rafforzare i rapporti fra Israele e l'Europa, di cui la Ceo per l'Italia è Roberta Anati. E' stato un viaggio intenso di due giorni per raccontare cosa è oggi Israele, un paese in guerra dove ovunque, fin dall'arrivo all'aeroporto, campeggiano le foto degli ostaggi rapiti da Hamas. Dove vi sono meno di dieci milioni di abitanti e quasi tutti conoscono qualcuna delle oltre 1200 persone uccise o degli ostaggi rapiti il 7 ottobre, hanno un figlio nell'esercito o sono stati richiamati, in cui 250mila persone sono state sfollate dalle aree al confine con il Libano e Gaza.

"Il 7 ottobre è una svolta nella nostra storia", dice un portavoce dell'esercito, Arye Shallcar, uno dei 400mila riservisti richiamati in servizio, che ha accolto la delegazione nell'obitorio di Shura, dove si lavora faticosamente per identificare i corpi smembrati e irriconoscibili delle oltre 1200 vittime, un centinaio delle quali ancora senza nome. Iniziato alle 6.30 del mattino, l'attacco è avvenuto in tre ondate attraverso 22 punti del confine mentre venivano sparati razzi su tutto il territorio. Ci sono state due ondate ciascuna di un migliaio di terroristi di Hamas che hanno attaccato 30 comunità, seguite da una terza di abitanti di Gaza, che hanno partecipato al massacro e saccheggiato le case. E oltre ai morti, dai bebè di pochi mesi agli anziani, c'è il dramma delle violenze e le mutilazioni sessuali delle donne. Degli stupri che si teme siano anche stati ripetuti sugli ostaggi.

"Gaza deve essere de-radicalizzata, vogliamo una Gaza pacifica", afferma Daniel Meron, vicedirettore del ministero degli Esteri. "Ogni razzo è un doppio crimine di Hamas, è lanciato contro i civili da postazioni fra le case civili", aggiunge Lior Hayat, portavoce del ministero degli Esteri.

"Andiamo verso una nuova realtà di sicurezza, Hamas non può più governare Gaza, non abbiamo scelta, non volevamo questa guerra", spiega il colonnello Peter Lerner, in un briefing all'interno dell'ospedale Ichilov a Tel Aviv, in cui ricorda gli sforzi per evacuare i civili e gli accordi per l'invio di camion di aiuti umanitari. "La tregua, ottenuta grazie alla pressione militare, è durata 7 giorni. Gli ostaggi liberati sono in tutto 110, ma ne rimangono 137. Hamas poteva estendere la tregua, ma non hanno voluto rilasciare le donne", continua Lerner, spiegando che ora si è entrati in una nuova fase, con la ripresa della guerra e l'obiettivo di liberare tutti gli ostaggi.

I tunnel costruiti da Hamas "rappresentano una sfida a 360 gradi, abbiamo già trovato più di 800 ingressi in scuole, asili, moschee. Dobbiamo procedere con cautela. In ogni ospedale abbiamo trovato armi, esplosivi, ingressi di tunnel", dice ancora Lerner. "Il nostro focus è Gaza, ma c'è anche il fronte del Libano, da cui vengono sparati i razzi di Hezbollah. Ed è l'Iran che tira le fila", aggiunge ripetendo un concetto più volte ripetuto dai diversi interlocutori incontrati. Lo ha ricordato anche Biton, per il quale "uno degli obiettivi era uccidere la pace con l'Arabia Saudita".

Ma al di là degli incontri, a raccontare cosa abbia rappresentato il 7 ottobre per Israele, sono anche i luoghi visitati in due giorni. La città di Sderot, dove nell'attacco di quella mattina è stata distrutta la stazione di polizia, che oggi è stata completamente evacuata. Ma c'è anche l'immenso cimitero delle auto dei partecipanti al rave Supernova, con un migliaio di auto, alcune crivellate di proiettili, più di 200 bruciate e contorte, qualcuno dei pick up bianchi usati dagli assalitori di Hamas, che hanno ucciso 364 ragazzi. Ci sono luoghi pieni di dolore, come le case sventrate del kibbutz Kfar Aza, i segni dei proiettili sui muri, il piccolo armadio bianco dove Michael e Amalya, di 9 e 6 anni, sono rimasti nascosti per 13 ore, mentre i genitori venivano uccisi e la sorellina Abigal, per fortuna rilasciata pochi giorni fa dopo aver compiuto 4 anni da ostaggio, veniva rapita.

C'è il grande ospedale Ichilov a Tel Aviv, dove pediatria, terapia intensiva e reparto dialisi sono stati trasferiti nei sotterranei per non dover spostare i pazienti in caso di lanci di razzi. Tre piani di parcheggio sotterraneo sono stati predisposti per trasformarsi in un ospedale completo sotto terra in caso di emergenza.

"Quello che appare con chiarezza venendo in Israele è che tutto è cambiato. Non si combatte più la stessa guerra di territorio, non è nemmeno una questione religiosa. È una nuova guerra di civiltà, lanciata da regimi terroristici contro le democrazie liberali dell’occidente. Gli stessi Palestinesi ne sono in tanti modi vittime al pari degli israeliani. E loro ci ammoniscono: al pari nostro", commenta Del Barba al termine del viaggio.

"Essere in Israele dove le cose stanno accadendo significa avere una visione diversa da quella che arriva dalla tv e i giornali. Si percepisce la tragedia che si consuma quotidianamente dal 7 ottobre... di questa sofferenza bisogna parlare, non può essere ignorata, così come si deve denunciare la violenza subita dalle donne israeliane, che stanno passando sotto silenzio.. non ci sono violenze di serie A e serie B", sottolinea Susanna Campione.

"Non dobbiamo dimenticare mai la ferocia dell’attacco terroristico di Hamas contro Israele del 7 ottobre scorso... Israele oggi difende, come fa da sempre, la sua democrazia e libertà rivendicando il diritto all’esistenza del suo popolo.. Il conflitto non riguarda una disputa territoriale, ma la difesa dei comuni valori", nota Naike Gruppioni, secondo la quale "le libertà dell’Occidente si difendono in questo momento sotto le mura di Gerusalemme". "Hamas ha portato via la vita nei modi più crudeli agli israeliani", ma anche ai palestinesi usati come "scudi umani".

“Abbiamo constatato da vicino l’orrore dell’attacco terroristico ai danni di Israele dello scorso 7 ottobre. Al popolo di Israele va la nostra solidarietà, ribadendo il suo diritto a esistere e a tutelare la sicurezza dei suoi cittadini"- dice Antonio Baldelli- Nessun odio al mondo può giustificare tanto orrore. È indifferibile trovare una soluzione per una pace duratura, consci che questo conflitto ha radici profonde. Per sostenere gli indifesi e proprio per porre le basi d’una pace duratura, continua l'impegno umanitario italiano per Gaza, in coordinamento anche con Israele, tramite l'invio di medici pediatri negli Emirati Arabi Uniti e l'arrivo della nave Vulcano in Egitto".

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Esteri

“Lo scontro Trump-Bergoglio è già iniziato”,...

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Per Robert Gorelick, i cattolici americani sono più vicini a Trump che al Papa

Donald Trump e Papa Francesco

È stato presentato al Centro Studi Americani il libro di Maria Antonietta Calabrò, giornalista vaticanista, “Il trono e l’altare” (Cantagalli). All’incontro hanno partecipato Francesco Clementi, ordinario di diritto pubblico comparato alla Sapienza e autore di “Città del Vaticano” (il Mulino); Robert Gorelick, fondatore di Globintech, già capocentro della Cia a Roma; Gregory Alegi, professore di storia americana alla Luiss; Mario Caligiuri, presidente della Società italiana di intelligence e ordinario all’Università della Calabria; la moderazione è stata a cura di Giorgio Rutelli, vicedirettore Adnkronos.

L'ex agente Cia: "Cattolici Usa più vicini a Trump che a Bergoglio"

“I cattolici americani sono più vicini a Trump che a Papa Francesco”. È netto Robert Gorelick, ex capocentro della Cia a Roma, nel suo intervento. “Quando ero ragazzino a New York, i cattolici erano blue collar, operai, e la religione di appartenenza influiva: irlandesi, italiani e polacchi in certi casi formavano un blocco. Oggi no, la situazione è talmente variegata. Anche i cosiddetti latinos non sono una realtà uniforme, vengono messi insieme dalla stampa ma tra cubani e messicani o tra venezuelani e honduregni c’è grande differenza”.

Quando gli si chiede se Bergoglio avrà un impatto sulla seconda presidenza Trump, è scettico: “Ci sarà una differenza di tono nel dialogo tra Washington e il Vaticano rispetto alla fase Biden, ma le parole del Papa non condizionano la politica estera americana. I temi su cui il pontefice può avere un impatto sono l’aborto, la migrazione e il clima. Ma bisogna ricordare che l’opinione pubblica italiana è sempre al corrente delle mosse della Santa Sede, negli Usa questa attenzione non c’è”.

Gorelick ha raccontato che durante il suo mandato romano (2003-2008) a Washington non erano interessati alle faccende vaticane. “I miei capi mi avevano detto di non mandare relazioni sul Papa. C’è stato uno scambio di informazioni, da entrambe le parti, sui rischi per l’incolumità del pontefice, su possibili attentati. E poi su questioni umanitarie. Ma l’intelligence americana non aveva interesse a seguire gli affari interni della Chiesa”.

"Scontro Trump-Bergoglio già iniziato, basta vedere le nomine"

Gorelick, che ha detto di aver letto il libro di Calabrò con “gli occhi della spia”, ha poi parlato dell’ostilità tra Trump e Bergoglio, già emersa durante il primo mandato, ci sono due segnali importanti: la nomina come ambasciatore presso la Santa Sede di Brian Burch, presidente di Catholic Vote e noto critico del pontefice. Una figura vicina all’arcivescovo Viganò, l’ex nunzio negli Stati Uniti accusato di scisma, scomunicato e nemico del Papa. Dall’altra parte, la recentissima nomina del cardinale Robert Walter McElroy ad arcivescovo di Washington, che aveva definito il muro al confine tra Stati Uniti e Messico voluto da Trump “inefficace e grottesco”. Lo scontro insomma è già in atto, e si acuirà sulla Cina (con cui il Vaticano ha confermato l’accordo sui vescovi nell’ottobre 2024) e su Gaza. “Un punto di incontro, invece, ci potrà essere sull’approccio alla guerra in Ucraina e sulla questione dell’ideologia di genere”, conclude l’ex agente segreto.

"Il trono e l'altare"

Il libro di Maria Antonietta Calabrò racconta una storia inedita di guerra in Vaticano, focalizzandosi su scandali finanziari, intrighi di potere e segreti che hanno scosso la Santa Sede negli ultimi 25 anni, e seguiti in prima persona dall’autrice. Attraverso documenti, fonti aperte e testimonianze dirette, Calabrò ricostruisce un quadro di lotte interne, ricatti e manipolazioni che hanno coinvolto alti prelati, politici e persino servizi segreti. L'opera analizza in dettaglio casi controversi come l'acquisto del Palazzo di Londra, Vatileaks e la scomparsa di Emanuela Orlandi, spesso usata come arma di distrazione di massa, mettendo in luce l'opacità del sistema finanziario vaticano e i conseguenti tentativi di riforma di Papa Francesco. Che alla fine, con fatica e con varie trappole messe a tutela del sistema precedente, è riuscito a portare trasparenza nelle finanze della Chiesa.

Alla presentazione si è dato particolare spazio al rapporto tra Stati Uniti e Vaticano, caratterizzato da influenza, tensioni e divergenze. Si racconta nel dettaglio l’appoggio americano all'elezione di Papa Francesco, in particolare grazie a figure come il cardinale Dolan, ma allo stesso tempo si analizzano le frizioni sorte per lo scandalo McCarrick e le accuse dell’arcivescovo scomunicato Carlo Maria Viganò. L'accordo Vaticano-Cina e le posizioni di Papa Francesco su temi come immigrazione e multilateralismo hanno creato ulteriori attriti con l'amministrazione Trump.

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Esteri

Italiano arrestato in Venezuela, Tajani convoca incaricato...

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Il ministro degli Esteri su X: "Protestiamo con forza per mancanza informazioni su detenzione"

Antonio Tajani - (Fotogramma)

"Ho fatto convocare stamani l’incaricato d’affari del Venezuela per protestare con forza per la mancanza di informazioni sulla detenzione del cittadino italiano Alberto Trentini e per contestare l’espulsione di 3 nostri diplomatici da Caracas. L’Italia continuerà a chiedere al Venezuela di rispettare leggi internazionali e volontà democratica del suo popolo". Così in un post su X il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

Alberto Trentini, chi è e cosa è successo

E' di ieri l'appello al governo italiano da parte dei familiari di Alberto Trentini, cooperante italiano di cui non si hanno più notizie da quando è stato fermato il 15 novembre scorso dalle autorità del Venezuela. La famiglia, in una nota diffusa con l’avvocato Alessandra Ballerini, chiede di "porre in essere tutti gli sforzi diplomatici possibili e necessari, aprendo un dialogo costruttivo con le istituzioni Venezuelane, per ripotare a casa Alberto e garantirne l'incolumità".

Alberto Trentini è un cooperante italiano della Ong Humanity & Inclusion. Fondata nel 1982, la Ong lavora in una sessantina di Paesi "al fianco delle popolazioni vulnerabili, specialmente quelle con disabilità". Laurea in storia moderna e contemporanea all'Università Ca' Foscari, prima di collaborare con Humanity & Inclusion Trentini, di origini veneziane, ha lavorato nel campo della cooperazione internazionale in tutto il mondo.

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Esteri

Accordo tra Israele e Hamas raggiunto solo in parte –...

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(Fotogramma/Ipa)

L'accordo tra Hamas e Israele per un cessate il fuoco a Gaza è solo in parte raggiunto. Anche se come scrive Haaretz che cita una fonte israeliana i negoziati sono ancora in corso. Secondo fonti palestinesi è stato raggiunto un accordo di cessate il fuoco a Gaza, ma il suo annuncio è stato ritardato a causa di disaccordi sui meccanismi di attuazione. Per il Wall Street Journal, che cita fonti arabe, il leader de facto di Hamas a Gaza, Muhammad Sinwar, è d'accordo in linea di principio con i termini dell'accordo per il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco.

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