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Cooperante palestinese in fuga da Khan Yunis: ”14 km a piedi e a Rafah non c’è posto”

''I cecchini israeliani sul tetto della nostra casa ci hanno costretto a evacuare. Netanyahu vuole sterminare la popolazione di Gaza e non eliminare Hamas. La comunità internazionale che fa?''

Cooperante palestinese in fuga da Khan Yunis: ''14 km a piedi e a Rafah non c'è posto''

''Gli israeliani hanno occupato la nostra casa e posizionato una postazione di cecchini sul tetto''. E ''hanno ucciso anche due miei nipoti, quando hanno sparato contro una scuola dell'Unrwa dove c'erano circa diecimila persone''. Ed è a questo punto che il cooperante palestinese Sami Abu Omar, che con la sua famiglia aveva resistito per due mesi a Khan Yunis nel sud della Striscia di Gaza, ha deciso di mettersi in cammino verso Rafah, ancora più a sud. ''Gli israeliani ci hanno fatto uscire alle 5 del mattino da casa. L'hanno presa e hanno distrutto tutto intorno'', racconta ad Adnkronos. ''Eravamo migliaia di persone, ci hanno fatto camminare da Khan Yunis fino a Rafah, 14 chilometri a piedi'', prosegue descrivendo un esodo di massa e dicendo che ''nessuno ha potuto portare niente con sé, solo quello che avevamo addosso''.

Descrivendo una ''situazione gravissima, inimmaginabile'', l'operatore umanitario spiega che ''a Rafah non c'è un buco dove stare'' e lui è riuscito ''pagando un affitto tantissimo, a portare la mia famiglia in una stanza di quattro metri per quattro, insieme ad altre quaranta persone. Anche andare in bagno è un lusso, manca l'acqua per tutto''. Rafah è sovraffollata per la presenza degli ''sfollati dal nord di Gaza'', racconta il coordinatore del centro italiano 'Vik' che descrive ''le strade piene di tantissime persone che un tetto sopra la testa neanche ce l'hanno. Hanno preso due assi di legno e dei sacchi di plastica e con quelli costruito delle baracche''. Ma per tutti, allo stesso modo, ''manca l'acqua e non c'è da mangiare''. Tanto che lui, come ''tutti i palestinesi della Striscia di Gaza, stiamo iniziando a soffrire la fame''.

Eppure Rafah è proprio il luogo dove gli aiuti internazionali entrano, dal valico con l'Egitto. ''Ma quali aiuti? - denuncia Abu Omar - C'è l'assenza totale di assistenza internazionale. La Croce Rossa non sta facendo niente. L'Unrwa distribuisce i pochissimi aiuti che arrivano e poi basta, dopo che hanno ucciso membri del suo staff''. Le parole più dure sono per la Croce Rossa internazionale. ''Se ne vanno in giro restando chiusi nelle loro jeep, dalle 10 del mattino alle 14 e basta. Quelli della Croce Rossa internazionale restano chiusi al caldo e al sicuro in una villa sul mare mentre la gente della Striscia di Gaza muore. E invece dovrebbero proteggere la popolazione'', afferma. ''Noi di Gaza non abbiamo più fiducia in nessuno, vediamo solo gente che muore e tanta corruzione'', aggiunge. La domanda che Abu Omar si fa è: ''dov'è il mondo mentre questo disastro accade? Dov'è l'Italia e il suo sistema di cooperazione? Dov'è l'Europa, la comunità internazionale, il Consiglio di sicurezza dell'Onu?''. E mentre afferma che ''siamo diventati quasi 2,2 milioni di sfollati, l'intera popolazione della Striscia di Gaza'', il cooperante punta il dito contro il primo ministro israeliano Benjamin ''Netanyahu, non vuole eliminare Hamas. Vuole sterminare l'intera popolazione della Striscia di Gaza''.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Esteri

Cecilia Sala, Iran conferma l’arresto: “Ha...

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Il ministro degli Esteri Antonio Tajani: "La trattativa è molto delicata e non è facile. Facciamo il possibile perché i tempi siano brevi"

Cecilia Sala - Agenzia Fotogramma

Cecilia Sala è accusata di aver violato "le leggi della Repubblica islamica dell'Iran". È quanto afferma il dipartimento generale delle relazioni con i media internazionali del ministero della Cultura di Teheran, citato dall'agenzia di stampa ufficiale iraniana Irna, confermando così l'arresto di Sala, avvenuto lo scorso 20 dicembre. Entrata in Iran con visto giornalistico il 14 dicembre, Cecilia Sala si trova in isolamento nel carcere di Evin da oltre 10 giorni.

"Il suo caso - si legge ancora nella dichiarazione citata dall'Irna - è ora nella fase delle indagini. Il suo arresto è avvenuto nel rispetto delle norme vigenti e l'ambasciata italiana a Teheran è stata informata". "Durante questo periodo" - si legge inoltre - a Cecilia Sala "è stato garantito l'accesso consolare ed è stata anche in contatto telefonico con la sua famiglia".

Tajani: "Tempi rilascio non ipotizzabili, trattativa delicata"

I tempi per il rilascio di Sala "non sono ipotizzabili, perché la trattativa è molto delicata e non è facile. Noi facciamo tutto il possibile perché i tempi siano brevi ma non dipende dall'autorità italiana, la situazione è abbastanza complicata per questo abbiamo chiesto il massimo riserbo", ha spiegato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, ospite a Zona Bianca.

"Il dialogo è aperto e noi stiamo cercando in tutti i modi per cercare di riportarla a casa il prima possibile. Il governo sta facendo il massimo", ha detto ancora Tajani assicurando di essere "in stretto contatto con la famiglia costantemente informata da me sull'evoluzione della situazione".

"Le condizioni di salute sono buone. Certamente è preoccupata per la sua condizione di detenzione e spera di uscire dal carcere il prima possibile", ha continuato il ministro.

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Esteri

Moglie sedata e fatta violentare per anni, Pelicot non...

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L'uomo, condannato a 20 anni, non seguirà la strada intrapresa da almeno 15 degli altri 50 imputati nello stesso processo

Francia, scritte per Gisèle Pelicot - Fotogramma /Ipa

Dominique Pelicot, condannato il 19 dicembre a 20 anni di carcere con l'accusa di aver sedato e fatto violentare per anni la moglie Gisèle, non ricorrerà in appello contro la sentenza a 20 anni di reclusione pronunciata a suo carico da un tribunale di Avignone. Ad annunciare che il suo assistito non seguirà la strada intrapresa da almeno 15 degli altri 50 imputati nello stesso processo, è stata la sua legale Béatrice Zavarro a France Info.

51 a processo, tutti condannati

Si è concluso con 51 condanne il processo per gli stupri ai danni di Gisele Pelicot. Il caso è stato seguito in tutto il mondo non solo per l'efferatezza dei reati commessi, ma per il coraggio della vittima. La donna ha deciso di lottare e ha voluto rendere pubbliche le udienze, in modo da allontanare da sé la vergogna e "farla ricadere altrove", come ha spiegato uno dei suoi legali.

La corte penale di Vaucluse ha condannato l'imputato Dominique Pelicot a vent'anni di reclusione. Dominique è stato giudicato colpevole di tutti i capi d'accusa, di aver violentato e sedato la moglie e di averla fatta violentare da decine di uomini, filmandola, per un periodo di dieci anni. Sono stati registrati quasi 200 stupri. L'uomo è stato anche riconosciuto colpevole di aver registrato e posseduto immagini scattate a loro insaputa alla moglie, alla figlia alle ex nuore. La condanna comporta una pena di sicurezza di due terzi - il che implica che per circa tredici anni l'imputato non può aspirare a facilitazioni. La sua situazione inoltre dovrà essere riesaminata per valutare la possibilità di una detenzione di sicurezza, procedura che consente di collocare in un centro di sicurezza socio-sanitario-giudiziario i detenuti che pur avendo scontato la pena presentano un rischio molto elevato di recidiva. La pena inflitta a Pelicot è la massima pena possibile per stupro aggravato.

Nessuno dei 50 co-imputati è stato assolto al processo di Vaucluse. Le condanne inflitte loro - la minima a tre anni - sono inferiori a quelle richieste dall'accusa, che aveva fissato una pena minima di dieci anni per gli stupri, e inferiori in modo netto rispetto a quella dell'imputato. Una progressione di pene con cui - scrive Le Monde - la Corte ha voluto sottolineare la netta differenza tra Pelicot e i co-imputati. Uno di loro, Jean-Pierre M. è stato condannato a dodici anni di carcere. Il pubblico ministero aveva chiesto diciassette anni di reclusione. L'uomo, 63 anni, è stato descritto come il 'discepolo' di Dominique Pelicot. È stato l'unico imputato a non comparire per atti commessi contro Gisèle Pelicot, ma contro la sua stessa moglie, che ha drogato affinché Pelicot potesse violentarla.

In tutto, l'accusa aveva chiesto 652 anni di reclusione contro i 51 accusati, ottenendo alla fine nei loro confronti condanne a trascorrere 428 anni dietro le sbarre, ha calcolato l'Afp. Al termine del processo, i 18 imputati già in custodia sono stati mantenuti in detenzione. Per i 32 imputati liberi, sono stati emessi 23 mandati di cattura con effetto immediato (presi direttamente in custodia). Tre ordini di rinvio a giudizio sono stati emessi a causa delle condizioni di salute di tre imputati (saranno incarcerati in strutture adeguate). Sei imputati sono stati rilasciati, o perché la sentenza emessa copre la custodia cautelare già scontata, o perché la loro pena sarà adeguata direttamente.

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Esteri

Ucraina-Russia, Slovacchia: “Pace? Kiev dovrà cedere...

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Il report degli 007 britannici. Usa annunciano nuovo pacchetto di aiuti a Kiev e consegnano 14,3 miliardi ricavati da beni russi congelati. Caschi blu in Ucraina con tregua, Mosca dice no

Soldato russo in Ucraina - Fotogramma /Ipa

(Adnkronos/Dpa)

Alla strage di soldati nel fronte ucraino, il Cremlino reagisce lanciando degli 'incentivi' per le nuove reclute disposte a combattere. A rivelarlo è un rapporto dell'intelligence britannica, che parla di oltre 1.500 morti e feriti nel solo mese di novembre tra i soldati di Mosca, avvertendo degli sforzi russi per attirare nuove reclute cancellando i debiti di chi si arruola a partire da questo dicembre.

Il presidente russo Vladimir Putin ha promulgato a fine novembre una legge per cancellare i debiti di chi firma un contratto con le forze armate, con un limite massimo di 10 milioni di rubli (circa 92.000 euro). Questo si aggiunge ad altre misure che, secondo Londra, Mosca sta adottando per “avere abbastanza rimpiazzi” per coprire un numero “rapidamente crescente” di vittime.

L'intelligence britannica indica che più di 760.000 militari russi sono stati uccisi o feriti dall'inizio dell'invasione, con una media di 1.523 durante il mese di novembre.

Con questo tipo di “incentivo”, le autorità russe cercherebbero di evitare ulteriori mobilitazioni parziali, poiché tali appelli minano l'immagine del governo e possono incoraggiare l'emigrazione “su larga scala”. Tuttavia, i servizi britannici avvertono anche che “probabilmente aumenteranno le pressioni finanziarie” per un settore bancario già sotto la pressione delle sanzioni e dell'aumento dei tassi di interesse.

Nuovo pacchetto di aiuti Usa a Kiev, consegnati 14,3 miliardi da beni russi congelati

Gli Stati Uniti hanno intanto annunciato un nuovo pacchetto di aiuti alla sicurezza per l'Ucraina da circa 2 miliardi di euro, nel tentativo di fornire aiuto a Kiev prima che il presidente eletto Donald Trump entri in carica il prossimo 20 gennaio.

“Oggi sono orgoglioso di annunciare quasi 2,5 miliardi di dollari in assistenza alla sicurezza per l'Ucraina, mentre il popolo ucraino continua a difendere la propria indipendenza e libertà dall'aggressione russa”, si legge in un comunicato del presidente Joe Biden.

Il premier ucraino Denis Shmigal ha quindi annunciato la consegna, da parte degli Stati Uniti, di 14,3 miliardi di euro ottenuti da beni russi congelati. La consegna, anticipata qualche giorno fa dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, fa parte dei 19 miliardi di euro concordati dagli Stati Uniti insieme ai partner G7, che prevedono un esborso totale di circa 47 miliardi di euro.

“L'accordo corrispondente è stato firmato dal Ministero delle Finanze ucraino e dalla Banca Mondiale”, ha dichiarato Shmigal. I fondi, ha spiegato, “saranno utilizzati per spese sociali e umanitarie”. “Ringraziamo gli Stati Uniti e la Banca Mondiale per aver attuato e sostenuto l'iniziativa che fa pagare alla Russia la sua aggressione contro l'Ucraina”, ha detti Shmigal.

Caschi blu in Ucraina con tregua, Russia dice no

La Russia si oppone intanto al dispiegamento di 'caschi blu' occidentali in Ucraina nel quadro di un eventuale e ancora tutto da negoziare accordo per una tregua, ha affermato il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, in una intervista all'agenzia Tass, dopo che dell'ipotesi avevano parlato di recente anche il Presidente francese, Emmanuel Macron e il Premier polacco, Donald Tusk.

"Non siamo soddisfatti delle proposte avanzate dai rappresentanti del Presidente americano eletto - che ha notoriamente garantito di essere in grado di definire un accordo di pace in Ucraina entro 24 ore dal suo insediamento, il 20 gennaio, ndr - che include lo slittamento dell'adesione dell'Ucraina alla Nato per 20 anni e l'invio in Ucraina un contingente di forze britanniche ed europee", ha dichiarato Lavrov. In precedenza, il Cremlino aveva detto che era "troppo presto per parlare di 'caschi blu'".

Slovacchia: "Pace? Kiev dovrà cedere territori a Mosca"

L'Ucraina potrebbe dover cedere parte del suo territorio per raggiungere la pace con la vicina Russia. A dirlo è stato il ministro della Difesa slovacco, Robert Kalinak, parole che arrivano poco dopo l'offerta, da parte del premier Robert Fico, di ospitare un futuro negoziato di pace tra Kiev e Mosca, un'offerta che il Cremlino ha definito “una delle opzioni”.

“L'Ucraina probabilmente non sa che non si troverà mai tra la Germania e la Svizzera, ma condividerà sempre il suo confine più lungo con la Russia. In questo caso è indubbio chi sia l'aggressore, perché la Russia ha oltrepassato tutte le regole e violato il diritto internazionale, ma bisogna anche vedere cosa succede in altre zone e se abbiamo lo stesso standard per altre dispute”, ha detto Kalinak in un'intervista all'emittente TA3.

Kalinak ha aggiunto che è nell'interesse della Slovacchia che la guerra in Ucraina finisca rapidamente, sostenendo i negoziati e il cessate il fuoco. “Per noi, l'interesse più grande è che la guerra si fermi immediatamente e che ci sia una sorta di negoziato di pace, una sorta di tregua, alla quale tutti noi, ovviamente, possiamo partecipare in qualche modo. Ma è importante che la gente smetta di morire”, ha detto il ministro.

Mosca: "Conquistato centro abitato di Novolenivka"

Il ministero della Difesa di Mosca ha intanto annunciato oggi l'avvenuta conquista del centro abitato ucraino di Novolenivka, nel Donetsk, punto di passaggio in direzione della città di Pokrovsk, di cui Mosca spera di assumere il controllo.

Le forze di Kiev hanno intanto assicurato sempre oggi di aver respinto nelle ultime 24 ore diversi attacchi sferrati in questa zona dalle truppe russe.

Ex calciatore russo Bugayev morto al fronte

L'ex calciatore della nazionale russa Alexei Bugayev è morto mentre combatteva per il suo Paese nell'invasione dell'Ucraina. Lo ha confermato il padre Ivan Bugayev al portale sports.ru: “Purtroppo la notizia della morte di Alexei è vera”, ha dichiarato.

Il 43enne Bugayev, difensore, aveva vinto sette titoli russi e partecipato a Euro 2004 in Portogallo. Ha militato, tra le altre, nella Lokomotiv Mosca e nel Krasnodar, prima di terminare la sua carriera nel 2010. Bugayev era stato condannato a nove anni e mezzo di carcere nel 2023 per traffico di droga e si è arruolato come soldato.

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