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Ucraina, Dunaev (Riac): Putin vince? “Azzardato dirlo, è fase di stallo”

Parla all'Adnkronos l'esperto del Russian International Affairs Council (Riac) e collaboratore di Carnegie Politika. Sulle elezioni presidenziali russe fissate il 17 marzo? "Putin senza rivali ma pesano proteste mogli soldati"

Il presidente della Federazione russa, Vladimir Putin (Afp)

La guerra in Ucraina "è in fase di stallo: non c'è un progresso né da una parte né dall'altra" anche se nelle ultime settimane "stiamo assistendo a un'offensiva russa in particolare vicino a Avdivka", la città situata nell'oblast' di Donetsk. "I russi stanno cercando di colpire anche altre parti del fronte ma da lì a dire che il presidente russo Vladimir Putin stia vincendo la guerra è un po' troppo azzardato dirlo". Ad affermarlo all'Adnkronos è Alexander Dunaev, esperto del Russian International Affairs Council (Riac) e collaboratore di Carnegie Politika, commentando la situazione della guerra in Ucraina e sottolineando che uno dei fattori decisivi saranno le forniture di armi a Kiev.

"E' difficile fare una stima sull'evoluzione del conflitto nel medio - lungo periodo ma penso che la situazione attuale di stallo in cui entrambi gli schieramenti non riescono a sfondare le difese dell'avversario si manterrà probabilmente per i prossimi 2-3 mesi", spiega l'esperto. "Gli ucraini possono perdere Avdivka se i russi continueranno a mandare migliaia e migliaia di soldati anche se stanno registrando perdite tremende. Il mese di novembre su questo fronte è stato il peggiore dall'inizio della guerra. Se i russi continuano a prescindere delle perdite ad attaccare e prendono Avivka penso che sarà un colpo abbastanza duro per l'Ucraina ma non credo porterà a uno sfondamento del fronte e alla sconfitta di Kiev".

L'idea che Putin stia vincendo la guerra in Ucraina, osserva Dunaev, "deriva dal fatto che gli ucraini hanno cercato di fare una controffensiva o piuttosto un'offensiva a pieno titolo e non ci sono riusciti. Ma ci sono state troppe aspettative legate a questa offensiva ucraina. In primavera si parlava di arrivare al mare di Azov e pure di entrare in Crimea. Questo non è successo e molti osservatori hanno sostenuto che l'Ucraina avesse praticamente sprecato un'occasione per riprendersi i territori persi. Ma - sottolinea l'esperto - se escludiamo questi giudizi troppo emotivi e se guardiamo alla mappa Putin non sta vincendo la guerra. Che cosa ha ottenuto militarmente quest'anno? Bakhmut e basta. Nient'altro ed era una città di una decina di migliaia di abitanti prima della guerra. Non era un obiettivo come Kharkiv o Kherson. Era simbolico piuttosto che militare o strategico". Dal punto di vista militare, quindi, rileva l'osservatore, "non hanno ottenuto nulla. E' vero che sono riusciti a frenare l'offensiva ucraina ma non sono riusciti ad avanzare".

Ora, rileva, "se guardiamo in prospettiva il futuro della guerra dipenderà da diversi fattori" e in particolare dalle forniture in armi all'Ucraina. "Il fallimento dell'offensiva ucraina è dovuto alla mancata fornitura occidentale di armi a Kiev. Alcune armi, poi, erano inagibili. Sono le forniture di armi che incideranno sul futuro della guerra".

"Se i paesi occidentali, gli Usa in primis, continueranno a fornire tempestivamente le armi di cui Kiev ha bisogno, allora l'Ucraina - spiega Dunaev - riuscirà a fermare l'offensiva russa e magari a fare una controffensiva. Se questo aiuto dovesse venire a mancare invece sarebbe un problema per Kiev ma non penso che succeda. In fin dei conti frenare la macchina militare russa è nell'interesse dell'occidente in generale e degli Stati Uniti in particolare".

Il 17 marzo prossimo in Russia si svolgeranno le elezioni presidenziali. Putin non ha ufficializzato la sua candidatura - potrebbe farlo nel corso della conferenza del prossimo 14 dicembre - anche se appare scontata. Per Dunaev il presidente russo "non ha rivali" in vista delle elezioni presidenziali "ma dovrà gestire il problema delle proteste delle mogli dei soldati russi che al momento non si fermano". Putin, che è attualmente al suo quarto mandato come presidente della Russia, "controllando i mass media e avendo il monopolio sull'informazione tv per forza vincerà le elezioni". Anche l'offensiva russa in corso in Ucraina "avrà un suo peso sulla campagna presidenziale. Sta facendo la guerra da due anni e deve raggiungere un risultato. Se i russi riusciranno a conquistare la città do Advika Putin potrebbe presentarla come una grande vittoria", osserva Dunaev.

Dal punto di vista politico, sottolinea l'esperto, "adesso di certo non ha rivali all'interno della Russia, la sua posizione sembra abbastanza solida soprattutto dopo che ha eliminato Yevgeny Prigozhin", il leader del gruppo Wagner morto in un incidente aereo ad agosto scorso. Un "Prigozhin - sottolinea - che non ha cercato di sfidarlo ma che al contrario ha cercato di scendere a patti con lui ma avendo infranto alcuni accordi che aveva con Putin è stato ucciso. E' stato un messaggio chiaro alle elite: se fate qualcosa che non dovete fare ecco la fine che vi aspetta", rileva Dunaev.

Dal punto di vista interno, rileva l'esperto, "la situazione sembra abbastanza sicura se non fosse per la protesta delle mogli dei soldati russi. Questo è un problema: se queste mogli non si fermano, e per ora non demordano, sarà un problema politico importante per Putin perché da una parte le autorità non possono cedere alle loro insistenze - Putin non vuole mai mostrare la propria debolezza- ma da un'altra parte dichiarare un'altra mobilitazione vista la reazione molto negativa dopo la mobilitazione dell'anno scorso prima delle elezioni diventa una cosa molto poco probabile".

Le autorità russe, aggiunge Dunaev, "non possono essere troppo duri con le mogli dei soldati russi" e per questo "la tattica adottata dalle autorità russe è piuttosto cercare di comprare la fedeltà di queste donne con sussidi... Ma il problema al momento resta aperto. Vediamo come riusciranno a gestire questo problema che rappresenta un pericolo per il regime. Per il resto non ci sono rivali per Putin", aggiunge.

Ieri intanto Putin è tornato dal suo viaggio negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita. Si tratta di uno dei rari viaggi all'estero del presidente russo dopo il mandato di arresto per crimini internazionali spiccato nei suoi confronti il 17 marzo 2023 dalla Corte penale internazionale (Cpi). Chiaramente la visita di Putin in Arabia Saudita, osserva l'esperto, "ha un risvolto economico in quanto la Russia con Riad sono tra i maggiori produttori di petrolio. L'importante era mettersi d'accordo per ridurre la produzione di petrolio e per mantenere i prezzi a un livello confortevole per entrambi i paesi". Gli Emirati Arabi, invece, sottolinea Dunaev, "sono diventati un punto nodale per i russi che con Abu Dhabi possono cercare di ottenere delle tecnologie o delle merci che sono sotto sanzioni. Gli Usa tra l'altro stanno facendo pressioni sugli Emirati Arabi affinché chiudano questi canali di esportazioni".

L'altro risvolto importante di questi viaggi, osserva Dunaev, "è che Putin in questo modo dimostra che non è isolato sulla scena internazionale. Lo fa vedere agli occidentali, ai paesi asiatici e all'elettorato russo. Dimostra che nonostante gli sforzi dei paesi occidentali la Russia non è isolata". Anche l'incontro con il presidente iraniano Ebrahim Raisi a Mosca oggi è importante per la Russia. "L'Iran è diventato uno dei partner fondamentali dopo l'invasione dell'Ucraina del 24 febbraio del 2022 anche perché continua a fornire armi alla Russia. Per Mosca è importante mantenere questo contatto. E' un incontro molto pragmatico e che punta a mandare avanti la loro collaborazione".

Infine c'è anche il conflitto in Medio Oriente. A livello tattico l'attacco di Hamas ad Israele lo scorso 7 ottobre, spiega Dunaev, "ha portato un certo vantaggio al presidente russo perché da un lato ha sviato l'attenzione della comunità internazionale dal conflitto in Ucraina e dall'altro ha complicato la situazione per gli Usa, che sono lo sponsor principale dell'Ucraina dal punto di vista militare, perché devono organizzare gli aiuti sia per Israele che l'Ucraina".

La guerra in Medio Oriente, rileva l'esperto, "è stato un fattore che ha avuto un suo peso ad ottobre e novembre" ma l'effetto dovrebbe essere un po' svanito "siccome la situazione in Medio Oriente non si è estesa e non ha scatenato una guerra generale nella regione come poteva succedere se Hezbollah avesse deciso di attaccare dal Libano. Il conflitto è rimasto, per quanto sia tragico, limitato alla Striscia di Gaza e come dimensione non è paragonabile al conflitto in Ucraina. Le forze in campo non sono comparabili", aggiunge Dunaev.

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Esteri

“Lo scontro Trump-Bergoglio è già iniziato”,...

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Per Robert Gorelick, i cattolici americani sono più vicini a Trump che al Papa

Donald Trump e Papa Francesco

È stato presentato al Centro Studi Americani il libro di Maria Antonietta Calabrò, giornalista vaticanista, “Il trono e l’altare” (Cantagalli). All’incontro hanno partecipato Francesco Clementi, ordinario di diritto pubblico comparato alla Sapienza e autore di “Città del Vaticano” (il Mulino); Robert Gorelick, fondatore di Globintech, già capocentro della Cia a Roma; Gregory Alegi, professore di storia americana alla Luiss; Mario Caligiuri, presidente della Società italiana di intelligence e ordinario all’Università della Calabria; la moderazione è stata a cura di Giorgio Rutelli, vicedirettore Adnkronos.

L'ex agente Cia: "Cattolici Usa più vicini a Trump che a Bergoglio"

“I cattolici americani sono più vicini a Trump che a Papa Francesco”. È netto Robert Gorelick, ex capocentro della Cia a Roma, nel suo intervento. “Quando ero ragazzino a New York, i cattolici erano blue collar, operai, e la religione di appartenenza influiva: irlandesi, italiani e polacchi in certi casi formavano un blocco. Oggi no, la situazione è talmente variegata. Anche i cosiddetti latinos non sono una realtà uniforme, vengono messi insieme dalla stampa ma tra cubani e messicani o tra venezuelani e honduregni c’è grande differenza”.

Quando gli si chiede se Bergoglio avrà un impatto sulla seconda presidenza Trump, è scettico: “Ci sarà una differenza di tono nel dialogo tra Washington e il Vaticano rispetto alla fase Biden, ma le parole del Papa non condizionano la politica estera americana. I temi su cui il pontefice può avere un impatto sono l’aborto, la migrazione e il clima. Ma bisogna ricordare che l’opinione pubblica italiana è sempre al corrente delle mosse della Santa Sede, negli Usa questa attenzione non c’è”.

Gorelick ha raccontato che durante il suo mandato romano (2003-2008) a Washington non erano interessati alle faccende vaticane. “I miei capi mi avevano detto di non mandare relazioni sul Papa. C’è stato uno scambio di informazioni, da entrambe le parti, sui rischi per l’incolumità del pontefice, su possibili attentati. E poi su questioni umanitarie. Ma l’intelligence americana non aveva interesse a seguire gli affari interni della Chiesa”.

"Scontro Trump-Bergoglio già iniziato, basta vedere le nomine"

Gorelick, che ha detto di aver letto il libro di Calabrò con “gli occhi della spia”, ha poi parlato dell’ostilità tra Trump e Bergoglio, già emersa durante il primo mandato, ci sono due segnali importanti: la nomina come ambasciatore presso la Santa Sede di Brian Burch, presidente di Catholic Vote e noto critico del pontefice. Una figura vicina all’arcivescovo Viganò, l’ex nunzio negli Stati Uniti accusato di scisma, scomunicato e nemico del Papa. Dall’altra parte, la recentissima nomina del cardinale Robert Walter McElroy ad arcivescovo di Washington, che aveva definito il muro al confine tra Stati Uniti e Messico voluto da Trump “inefficace e grottesco”. Lo scontro insomma è già in atto, e si acuirà sulla Cina (con cui il Vaticano ha confermato l’accordo sui vescovi nell’ottobre 2024) e su Gaza. “Un punto di incontro, invece, ci potrà essere sull’approccio alla guerra in Ucraina e sulla questione dell’ideologia di genere”, conclude l’ex agente segreto.

"Il trono e l'altare"

Il libro di Maria Antonietta Calabrò racconta una storia inedita di guerra in Vaticano, focalizzandosi su scandali finanziari, intrighi di potere e segreti che hanno scosso la Santa Sede negli ultimi 25 anni, e seguiti in prima persona dall’autrice. Attraverso documenti, fonti aperte e testimonianze dirette, Calabrò ricostruisce un quadro di lotte interne, ricatti e manipolazioni che hanno coinvolto alti prelati, politici e persino servizi segreti. L'opera analizza in dettaglio casi controversi come l'acquisto del Palazzo di Londra, Vatileaks e la scomparsa di Emanuela Orlandi, spesso usata come arma di distrazione di massa, mettendo in luce l'opacità del sistema finanziario vaticano e i conseguenti tentativi di riforma di Papa Francesco. Che alla fine, con fatica e con varie trappole messe a tutela del sistema precedente, è riuscito a portare trasparenza nelle finanze della Chiesa.

Alla presentazione si è dato particolare spazio al rapporto tra Stati Uniti e Vaticano, caratterizzato da influenza, tensioni e divergenze. Si racconta nel dettaglio l’appoggio americano all'elezione di Papa Francesco, in particolare grazie a figure come il cardinale Dolan, ma allo stesso tempo si analizzano le frizioni sorte per lo scandalo McCarrick e le accuse dell’arcivescovo scomunicato Carlo Maria Viganò. L'accordo Vaticano-Cina e le posizioni di Papa Francesco su temi come immigrazione e multilateralismo hanno creato ulteriori attriti con l'amministrazione Trump.

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Esteri

Italiano arrestato in Venezuela, Tajani convoca incaricato...

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Il ministro degli Esteri su X: "Protestiamo con forza per mancanza informazioni su detenzione"

Antonio Tajani - (Fotogramma)

"Ho fatto convocare stamani l’incaricato d’affari del Venezuela per protestare con forza per la mancanza di informazioni sulla detenzione del cittadino italiano Alberto Trentini e per contestare l’espulsione di 3 nostri diplomatici da Caracas. L’Italia continuerà a chiedere al Venezuela di rispettare leggi internazionali e volontà democratica del suo popolo". Così in un post su X il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

Alberto Trentini, chi è e cosa è successo

E' di ieri l'appello al governo italiano da parte dei familiari di Alberto Trentini, cooperante italiano di cui non si hanno più notizie da quando è stato fermato il 15 novembre scorso dalle autorità del Venezuela. La famiglia, in una nota diffusa con l’avvocato Alessandra Ballerini, chiede di "porre in essere tutti gli sforzi diplomatici possibili e necessari, aprendo un dialogo costruttivo con le istituzioni Venezuelane, per ripotare a casa Alberto e garantirne l'incolumità".

Alberto Trentini è un cooperante italiano della Ong Humanity & Inclusion. Fondata nel 1982, la Ong lavora in una sessantina di Paesi "al fianco delle popolazioni vulnerabili, specialmente quelle con disabilità". Laurea in storia moderna e contemporanea all'Università Ca' Foscari, prima di collaborare con Humanity & Inclusion Trentini, di origini veneziane, ha lavorato nel campo della cooperazione internazionale in tutto il mondo.

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Esteri

Accordo tra Israele e Hamas raggiunto solo in parte –...

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(Fotogramma/Ipa)

L'accordo tra Hamas e Israele per un cessate il fuoco a Gaza è solo in parte raggiunto. Anche se come scrive Haaretz che cita una fonte israeliana i negoziati sono ancora in corso. Secondo fonti palestinesi è stato raggiunto un accordo di cessate il fuoco a Gaza, ma il suo annuncio è stato ritardato a causa di disaccordi sui meccanismi di attuazione. Per il Wall Street Journal, che cita fonti arabe, il leader de facto di Hamas a Gaza, Muhammad Sinwar, è d'accordo in linea di principio con i termini dell'accordo per il rilascio degli ostaggi e il cessate il fuoco.

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