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Geolier: “A Sanremo solo in napoletano e con messaggio di rispetto”

Il dominatore delle classifiche 2023 parla del suo primo festival: "Nella serata delle cover un omaggio al grande rap italiano". Il sogno nel cassetto? "Portare Napoli oltre i confini italiani". All'Eurovision? "Magari".

Geolier:

"Se mi avessero detto che a Sanremo non avrei potuto cantare in napoletano? Non ci sarei andato". Parola dello schiettissimo Geolier, trionfatore delle classifiche dell'anno appena concluso con l'album 'Il coraggio dei bambini' e ora in gara a Sanremo 2024 con 'I p' me, tu p' te' e secondo i bookies tra i favoriti per la vittoria. "Non sono favorito, ho già vinto riportando il dialetto napoletano nella casa delle canzoni, che, prima che italiane, sono napoletane", replica il rapper 23enne, all'anagrafe Emanuele Palumbo.

All'Adnkronos che gli chiede se ci sia stata una trattativa per portare il brano in slang partenopeo al Festival, risponde di "no": "Ne ho parlato con Amadeus e lui ha detto: non ci sono problemi, vieni con il napoletano. E a quel punto per me è diventato quasi un obbligo andare in studio e fare un pezzo per Sanremo", sorride.

Unica concessione nel testo di 'I p' me, tu p' te', una frase in italiano, seppure con inizio in napoletano: "E stev pnzann a tutte le cose che ho fatto/e tutto quello che ho perso, non posso fare nient'altro". Una carezza al pubblico che non capisce il napoletano? "No veramente una scelta artistica, perché in studio era nata così e così l'abbiamo voluta lasciare. Diventava brutto cambiarla per metterla forzatamente in napoletano", sottolinea.

Il brano di Sanremo è stato scritto dallo stesso Emanuele con Davide Simonetta e Paolo Antonacci, "volevamo dare un messaggio sul rispetto che si deve quando una storia finisce: non bisogna stare insieme per abitudine, andare avanti per inerzia, sapere andare ognuno per la propria strada". 'I p' me, tu p' te' è il primo brano di un nuovo album: "Sì ma tornerò in studio solo dopo Sanremo, abbiamo già delle cose ma è ancora in lavorazione", spiega.

In tanti si fanno domande sull'impatto nel pubblico del centro nord del testo in napoletano. Ma per Geolier parla quanto accaduto nell'ultimo anno, quando 'Il coraggio dei bambini', tutto in napoletano si è piazzato in vetta a tutte le classifiche, ascoltato da millennials e generazione Z in tutta Italia: "Quello che mi piace - spiega l'artista - è l'iconicità che si è creata intorno al napoletano in questi anni. La cosa che mi fa felice è che i ragazzi che non capiscono si vanno a guardare i testi in napoletano e le traduzioni in italiano. Vogliono capire e imparare le frasi in napoletano. Questa per me è la cosa più bella".

Geolier non si sente un pionere, piuttosto il custode di una tradizione gloriosa: sull'affermazione del napoletano come lingua affrontabile dal grande pubblico, dice, "prima di me e dei musicisti miei coetanei e prima delle serie tv degli ultimi anni, da Gomorra a Mare Fuori, ci sono stati Eduardo, Totò, Pino Daniele, Massimo Troisi, Gigi D'Alessio, che hanno spianato la strada. Noi semplicemente stiamo raccogliendo i frutti e siamo fortunati che loro abbiano seminato", afferma.

Sul percorso verso il festival dice ironico: "Mi ammazza. Mi colpisce l'intensità di questi giorni. In due giorni a Milano credo di aver fatto 130-140 interviste. Ho parlato con ventimila persone... Tante cose da mettere nel bagaglio di vita. Come dice Gigi D'Alessio: dopo l'Ariston puoi andare a cantare pure al Madison Square Garden senza problemi, per la pressione che ti mette". E poi c'è la meraviglia del primo impatto con l'orchestra del festival: "Per uno come me, abituato alla musica creata con l'elettronica, vedere i maestri e tutti i musicisti gasati sul mio pezzo è stata una cosa spettacolare, il pezzo prende mille punti", dice.

Il suo rapporto con Sanremo nasce da spettatore bambino, seduto sul divano accanto ai genitori e ai nonni che seguivano il festival: "Ho un ricordo bellissimo di mio nonno che tifava per Massimo Ranieri. Io allora lo guardavo perché lo guardavano loro, adesso, grazie ad Amadeus, non è più così. Amadeus ha portato al festival la musica che piace ai ragazzi di oggi. E i ragazzi accendono loro la tv per guardare il festival, votano, seguono. Amadeus ha creato un altro festival nel festival". E il FantaSanremo? "Conosco un po' il fenomeno ma non so se farò tutte quelle cose sul palco (gesti e parole che portano punti al fantagioco, ndr.)...", risponde.

Per la serata delle cover, non rivela quale brano porterà, ma qualcosa lo svela: "Non sarà un omaggio ad un artista napoletano, farò un omaggio al mio mondo al rap. Al rap italiano".

Per niente impaurito dalla diretta tv ("io sono molto sincero e spontaneo, parlo come mangio, quello che penso dico", dice ridendo), Geolier di due cose è sicuro: "Cercherò di cantare benissimo e di essere vestito benissimo. Ci tengo".

Geolier ha appena annunciato la tripletta allo Stadio Maradona, primo artista in assoluto ad affrontarla. "Tre come gli scudetti del Napoli", puntualizza subito con soddisfazione. Che emozione ti dà e quale emozione vorresti dare tu a chi ci sarà nei tuoi primi stadi? "Io so quello che voglio dare, l'emozione che provo io in questo momento non la so nemmeno decifrare. Non so spiegare che sto provando, è tutto talmente enorme, immenso. Io voglio fare una spettacolo per la città, perché se io farò questi tre concerti è perché le persone di Napoli mi seguono, quindi voglio fare una festa per loro, non per me. Voglio che siano tre giorni di festa per la città di Napoli".

Dopo Sanremo e la tripletta allo stadio di Napoli, il prossimo sogno nel cassetto? "Io avevo un unico sogno, fare musica. Quindi mi sento fortunato. Ma mi piacerebbe portare Napoli oltre l'Italia". Per esempio all'Eurovision? "Magari", conclude.

(di Antonella Nesi)

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Spettacolo

Anche Francesco De Gregori è stato una matricola: la prova...

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A condividerlo sul suo profilo Instagram è il produttore cinematografico Malcom Pagani. Lo scatto mostra due pagine del libretto universitario, ormai consumate dal tempo

Dal profilo Instagram del produttore cinematografico Malcom Pagani

Anche i 'grandi' della musica hanno un passato da matricola universitaria. Sui social spunta la foto del libretto d'iscrizione all'Università degli Studi di Roma di un ex studente d'eccezione : Francesco De Gregori. A condividerlo sul suo profilo Instagram è il produttore cinematografico Malcom Pagani. Lo scatto mostra due pagine del libretto, ormai consumate dal tempo.

Sulla prima c'è una foto ingiallita di un giovanissimo De Gregori, capellone - un po' alla Beatles - sorridente ed elegantissimo: indossa una camicia, probabilmente bianca, e una cravatta scura. Gli occhi sono sempre gli stessi, nessun occhiale scuro - ormai tratto distintivo del cantautore romano - a coprirli. Sotto la diapositiva la sua firma...leggibile. Sulla seconda, invece, spunta la scritta: "Immatricolato al primo anno del corso di Laurea in Filosofia nell'Anno Accademico 1969/70". I ricordi universitari sono un po' come le canzoni, restano indelebili.

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Spettacolo

Negrita, a marzo il nuovo album ‘Canzoni Per Anni...

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Ad anticipare il progetto discografico il singolo 'Noi Siamo Gli Altri', in uscita venerdì 17 gennaio

I Negrita

Il 2025 si preannuncia come un anno di grandi novità per i Negrita! Dopo aver celebrato i 30 anni di carriera con un concerto sold-out all'Unipol Forum di Milano lo scorso 27 settembre, la band annuncia per la prima volta il titolo del nuovo disco in uscita a marzo: 'Canzoni Per Anni Spietati'. Un concept album molto atteso, pubblicato da Universal, che rappresenta un vero e proprio atto di libertà creativa e di pensiero e arriva a sei anni di distanza dall'ultimo lavoro in studio.

Ad anticipare questo nuovo capitolo, venerdì 17 gennaio sarà disponibile in radio e su tutte le piattaforme 'Noi Siamo Gli Altri', una ballata profonda e viscerale che celebra l’autenticità e la libertà di pensiero. Con un testo potente, i Negrita danno voce agli emarginati e ai liberi pensatori, riaffermando la loro identità e la volontà di andare oltre le convenzioni. 'Noi Siamo Gli Altri' è un punto fermo su chi sono e cosa vogliono dire i Negrita, un manifesto che rappresenta il cuore del concept album, un’ode alla resistenza e alla ricerca dell'autenticità.

Viviamo un’epoca confusa e violenta - spiega la band - e le semplificazioni continue non aiutano a capire la realtà delle cose, anzi, spesso le complicano. Dire o sentire continuamente: destra o sinistra, rosso o nero, progressisti o conservatori, etc, non significa più niente, i tempi sono cambiati, i centri di potere sono cambiati, ma è evidente che il detto 'divide et impera' continua ancora a funzionare, infatti dividere in tifoserie per comandare meglio è un processo in atto ogni giorno qui in Occidente. Molte parole come democrazia, giustizia o libertà stanno mutando di significato fino addirittura ad annullare o capovolgere il senso originale".

"Noi Negrita - aggiungono - come molte altre persone, siamo stanchi di questa condizione e vogliamo dirlo, rimarcarlo a gran voce e addirittura cantarlo. Non ci riconosciamo in queste semplificazioni bugiarde. Non siamo allineati e non ci sentiamo rappresentati da nessuno purtroppo, ma almeno abbiamo un pensiero libero. Siamo dei liberi pensatori che fanno ormai fatica a sognare un mondo migliore, anche se non smetteremo mai di provarci. Noi siamo gli altri".

Il singolo è stato preceduto dal primo inedito 'Non Esistono Innocenti Amico Mio', pubblicato il 27 settembre scorso. Presentato live durante la grande festa per celebrare i 30 anni di carriera, il brano ha subito catturato l’attenzione per il suo testo intenso e la carica emotiva, confermando i Negrita come una delle band più autentiche e critiche del panorama musicale italiano. Con queste premesse, i Negrita torneranno sul palco con 'Negrita - Canzoni Per Anni Spietati Tour', in partenza ad aprile, toccherà i principali club italiani. Il pubblico avrà l’occasione di ascoltare per la prima volta live i brani del nuovo disco accanto ai grandi successi che hanno segnato la loro storia.

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Spettacolo

‘Acab’ a 13 anni dal film è ancora più attuale:...

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Al centro gli scontri tra celere e No Tav con Giallini, che torna a interpretare Mazinga, Giannini e Bellè

Una scena della serie 'Acab' - Netflix

A 13 anni dall’uscita al cinema di 'Acab' diretto da Stefano Sollima, i 'tre celerini bastardi' tornano sullo schermo nell’omonima serie Netflix diretta da Michele Alhaique e ispirata all’omonimo libro di Carlo Bonini.

La trama

Il racconto parte da una notte di feroci scontri in Val di Susa. Una squadra del Reparto Mobile di Roma resta orfana del suo capo, che rimane gravemente ferito. Quella di Mazinga (che dopo il film torna a essere interpretato da Marco Giallini), Marta (Valentina Bellè) e Salvatore (Pierluigi Gigante), però, non è una squadra come le altre, è Roma, che ai disordini ha imparato a opporre metodi al limite e un affiatamento da tribù, quasi da famiglia.

La serie Netflix in 6 episodi

Da domani, 15 gennaio, su Netflix in 6 episodi - prodotti da Cattleya (parte di ITV Studios) - 'Acab' "è un serie che abbiamo ritenuto urgente da raccontare perché tratta il tema universale e attuale della dialettica tra ordine e caos", spiega la vicepresidente per i contenuti italiani di Netflix Tinny Andreatta. Questa "è una storia che utilizza gli stilemi di un genere, action e crime, ma va al di là per affondare lo sguardo su un sistema complesso che è la rabbia repressa, la disillusione dei nostri protagonisti, poliziotti e società che li circonda", ha aggiunto Andreatta.

Il film è uscito quando la ferita del G8 di Genova e della caserma Diaz bruciava ancora. La serie, invece, arriva in giorni animati da scontri in alcune città italiane, a partire da Roma e Milano, per Ramy Elgaml: il ragazzo che ha perso la vita dopo un inseguimento con le forze dell’ordine, il 24 novembre a Milano. "A distanza di anni il tema del conflitto resta attuale ma qualcosa è cambiato: c'è più consapevolezza, a partire dal fatto che la polizia ha una scuola di ordine pubblico, ai reparti mobili vengono date in dotazione le body cam e, soprattutto, le donne hanno fatto ingresso nella celere", spiega Bonini. Secondo il giornalista e co-sceneggiatore è difficile "rispettare il confine tra uso legittimo e illegittimo della forza, in quei momenti concitati le decisioni vengono prese in 20 secondi e in condizioni di stress altissimo" ed è per questo che "sulla condizione psicologica ed emotiva dei poliziotti ci dovrebbe essere maggiore attenzione".

Presente in conferenza anche Stefano Sollima, qui nel ruolo di produttore esecutivo: "Il film è stata un’esperienza che mi ha segnato sia dal punto di vista lavorativo che umano. Mi ha insegnato ad avere il giusto punto di vista su ciò che si racconta. E questa è una storia che puoi girare solo facendo un passo indietro senza giudicare niente e nessuno, portando il pubblico a riflettere e a porsi delle domande".

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