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Donald Trump torna Presidente: cosa significa per l’America e il mondo
Ieri, 20 gennaio 2025, è successo qualcosa che, piaccia o no, ha fatto parlare il mondo intero: Donald Trump ha giurato di nuovo come Presidente degli Stati Uniti, diventando il 47º nella storia del Paese. È un ritorno in scena dopo quattro anni fuori dai giochi, un colpo di scena che ha ribaltato pronostici e aspettative. Ha battuto Joe Biden, sì, ma anche quel terzo candidato indipendente che per un po’ sembrava potesse sparigliare le carte in qualche stato cruciale. E così eccoci qui. Curiosità, tensioni, applausi, proteste… un mix esplosivo che ha reso questa giornata indimenticabile.
Ma sai cosa? C’è stato pure un imprevisto. Quel freddo gelido che ti entra nelle ossa e non ti lascia scampo: -10 °C. Un freddo che ha costretto tutti a ripiegare all’interno, nella Rotonda del Campidoglio. Una decisione presa in extremis, roba che non si vedeva dai tempi di Reagan, nel lontano 1985. È lì, in quell’atmosfera raccolta, quasi soffocante, che Trump ha iniziato ufficialmente il suo secondo mandato. Non il solito spettacolo grandioso del National Mall, niente folla oceanica, ma qualcosa di più intimo, ecco. Strano, forse un po’ malinconico ma comunque potente. Come a dire: “Sono tornato e ora si fa sul serio.”
Proviamo a capirci, no? Trump è tornato alla Casa Bianca e, diciamolo, non è successo per magia. Per capire come abbia fatto, dobbiamo tornare indietro e dare un’occhiata a quello che è successo negli ultimi anni. Quando ha lasciato la presidenza nel 2021, il clima era a dir poco esplosivo: c’era stata quella storia del Campidoglio, il 6 gennaio, un caos totale, con i suoi sostenitori coinvolti e accuse che lo hanno seguito ovunque. Insomma, non proprio il modo migliore per salutare la scena politica. Eppure, eccolo di nuovo qua.
Con Biden le cose non sono andate lisce, per niente. Pandemia? Ancora lì, con varianti meno letali ma che continuavano a fare danni. Economia? Un disastro, con una mini-recessione nel 2023 che ha colpito duro. Prezzi alle stelle, benzina, cibo, energia… la gente era esasperata, specialmente chi viveva già con l’acqua alla gola. E sai com’è, quando la vita si fa dura, la gente vuole risposte, soluzioni e Biden, secondo molti, non le ha date.
Trump, astuto com’è, ha preso al volo l’occasione. Ha parlato di “rimettere tutto a posto”, di fare di nuovo grande l’America, di proteggere i confini e ridurre le tasse. Ha girato in lungo e in largo stati chiave come Michigan e Pennsylvania, promettendo muri, sicurezza e lavoro. E poi c’era quella parte di elettori repubblicani che non hanno mai digerito la sconfitta del 2020, convinti che fosse stata una fregatura. Trump ha giocato su questo, lo ha usato per tenere viva la sua base.
Alla fine, nel 2024, Biden ha perso. Non solo per l’insoddisfazione generale, ma anche perché quel terzo candidato, moderato ma piuttosto inutile, ha tolto voti proprio a lui. E così, con margini risicati negli stati più in bilico, Trump si è ripreso la Casa Bianca. Un ritorno che, nel bene o nel male, ha lasciato tutti a bocca aperta.
Gli ospiti internazionali e i grandi assenti
Dentro la Rotonda si respirava un’atmosfera carica di tensioni e curiosità. Tra le personalità di spicco, tutti gli occhi erano puntati su Javier Milei, il presidente argentino. Sì, proprio lui, quello che in passato ha più volte elogiato Trump senza mezzi termini. Le telecamere lo pizzicavano ovunque: chiacchierava con i membri del Congresso repubblicano, gesticolava, sembrava a suo agio. Sembrava, in poche parole, che ci fosse una certa sintonia tra due leader visti come “outsider” nei loro rispettivi mondi.
E poi, un altro nome che ha fatto scalpore: Giorgia Meloni. Premier italiana, unica rappresentante ufficiale dell’UE all’evento. I giornali internazionali – dal New York Times a Le Monde – ne hanno parlato tanto. La vedono vicina a Trump, ideologicamente parlando. Ma dall’Italia? Fonti del Ministero degli Esteri smorzano subito i toni: “Un atto di rispetto istituzionale, niente di più.” Certo, facile a dirlo.
E chi mancava? Gli Obama. Né Michelle né Barack. Nessuna sorpresa, davvero. Michelle, in una nota riportata da Politico, ha detto chiaro e tondo che “non avrebbe senso partecipare a un evento che rappresenta valori e visioni così lontani dai nostri”. E poi c’è stato Viktor Orbán, il premier ungherese, uno che con Trump si è sempre trovato in sintonia. Stavolta però, niente da fare: da Budapest dicono che aveva “altri impegni.” Impegni, eh? Suona quasi ironico.
Il discorso di insediamento
E il discorso? Ah, il discorso… Trump, dopo aver giurato sulla Bibbia come quattro anni fa, è salito sul palco e ha iniziato a parlare. Era atteso, tutti lo sapevano. Fox News, CNN, MSNBC… tutte le emittenti collegate, milioni di persone a guardare, chi con entusiasmo, chi con rabbia, chi solo per curiosità. Un discorso di venti minuti che per alcuni saranno sembrati un’eternità, per altri un soffio.
E cosa ha detto? Beh, ha promesso una “nuova età dell’oro” per l’America. Parole grosse, no? Ha parlato di proteggere il paese da ogni minaccia, interna o esterna. Ma non erano solo parole, erano come un grido di battaglia, qualcosa che o ti infuoca o ti fa alzare il sopracciglio. Per lui, tutto gira intorno a un’idea: rimettere l’America al centro, sempre al centro. Un po’ esagerato? Forse. Ma è Trump e lui sa come far parlare di sé.
Trump ha rimarcato che la sua priorità sarà “proteggere i confini” e “riportare l’ordine nelle città afflitte da criminalità e immigrazione fuori controllo.” Ha poi lanciato un monito ai Paesi alleati, soprattutto in ambito NATO, affermando che “l’America non intende più sostenere da sola il peso della difesa dell’Occidente.” Ha infine aggiunto: “Chi pretende l’aiuto degli Stati Uniti, deve essere pronto a condividere costi e responsabilità.” Un passo ulteriormente polemico ha riguardato le questioni climatiche, con l’annuncio che gli Stati Uniti usciranno definitivamente dal rinnovato Accordo di Parigi e che sarà cancellata ogni forma di adesione a progetti green ritenuti dannosi per la competitività industriale americana.
Nel passaggio finale, Trump ha ripetuto lo slogan che ha caratterizzato la sua nuova campagna elettorale, “America First, Always!” e ha concluso con un riferimento al suo passato: “Nel 2016 vi ho promesso di rendere di nuovo grande l’America. Abbiamo trovato ostacoli, tradimenti e bugie. Ma adesso, da qui, rifacciamo tutto e lo rifacciamo più in grande, meglio di prima”. Un discorso che per molti versi ricalca il registro nazional-populista di cui è stato maestro durante la sua prima avventura presidenziale.
Le prime misure: ordini esecutivi, politica estera e grazia ai coinvolti nell’assalto del Campidoglio
La sera del 20 gennaio, quando tutto sembrava essersi finalmente calmato dopo una giornata intensa, Trump ha fatto subito il botto. Senza perdere tempo, ha firmato una serie di ordini esecutivi che hanno lasciato tutti – chi esterrefatto, chi furioso, chi entusiasta – con qualcosa da dire. Il primo? L’uscita lampo degli Stati Uniti dall’OMS. Sì, hai capito bene. Boom! Una mossa che ha mandato la comunità scientifica su tutte le furie: “E adesso, chi coordina le prossime pandemie?” si chiedono in molti. Ma lui, niente, avanti come un treno.
E non è finita qui. Poco dopo, ha detto addio al Green Deal. Quell’accordo ecologista dei Democratici? Stracciato, via. Perché, secondo lui, le energie rinnovabili sono solo un freno all’America produttiva. E qui già c’era chi urlava al tradimento. Poi, ciliegina sulla torta, ha tagliato le tasse federali alle imprese. “Dobbiamo rimettere in moto il nostro motore interno,” ha detto. E, come se non bastasse, ha riaperto i rubinetti per completare quel famigerato muro col Messico. Il muro, sì, proprio quello. Nuovi fondi, più controlli e via di restrizioni sull’immigrazione. Da una parte applausi scroscianti tra i Repubblicani, dall’altra grida di “politiche divisive!” dai Democratici.
Ma la vera bomba? Quella che ha fatto alzare tutti dalle sedie, è stata la grazia. Ha concesso una sorta di amnistia a chi è stato condannato o attende giudizio per le violenze del 6 gennaio 2021. Sì, proprio quella giornata buia al Campidoglio. Ha detto che vuole “ricucire le ferite, lasciarci il passato alle spalle.” Ma la reazione è stata feroce. “Sta riscrivendo la storia!” hanno urlato in tanti, stampa liberal in testa. E chi lo ferma ora?
Il caso Elon Musk alla Capital One Arena
Una parentesi controversa ha riguardato Elon Musk, presente a Washington in occasione delle celebrazioni ma non invitato ufficialmente alla cerimonia. Il visionario imprenditore, CEO di Tesla, SpaceX e proprietario di alcune piattaforme social, era stato ospite di un evento parallelo organizzato alla Capital One Arena per discutere di nuove tecnologie legate alla difesa. Durante il suo intervento sul palco, Musk avrebbe alzato un braccio in un gesto equivocabile, che alcune testate, tra cui Sky TG24, hanno associato a un saluto di impronta neofascista. Nel giro di poche ore, sui social è esplosa una polemica internazionale. Musk ha respinto ogni accusa, descrivendo quel gesto come un semplice “cenno di saluto mal interpretato”, ma sul web c’è chi chiede che il miliardario venga messo sotto osservazione per l’influenza che esercita su milioni di utenti.
Secondo The Guardian, l’episodio testimonia la delicatezza del contesto politico statunitense attuale: un ambiente in cui i simboli e i gesti hanno un impatto mediatico enorme e possono infiammare il dibattito in pochissimo tempo. L’entourage di Trump ha commentato sbrigativamente la questione, dichiarando che Musk “non rappresenta in alcun modo il pensiero del Presidente e che eventuali malintesi sono solo frutto di superficialità nel giudicare una situazione privata.”
Le proteste dentro e fuori Washington
Fuori dalla Rotonda, mentre i “pezzi grossi” si scambiavano sorrisi e strette di mano, la tensione si tagliava con il coltello. Giorni prima dell’Inauguration Day, già si sentiva l’aria pesante: cortei annunciati, cartelli pronti, gente stufa di sentire sempre le stesse promesse. E così è stato.
Un freddo cane, ma questo non ha fermato le duemila anime che si sono radunate al National Mall. “Not My President,” “Stop Dividing America” – slogan gridati, mani alzate, occhi che bruciavano più del gelo. E poi? Poi ci sono stati sguardi storti, urla da una parte e dall’altra. Sostenitori di Trump e manifestanti a pochi metri, come benzina e fiammiferi. Ma per fortuna la polizia, la Guardia Nazionale e pure agenti in borghese hanno fatto il loro, evitando che le cose degenerassero davvero.
E non era solo Washington. No, no. New York, Los Angeles, Chicago, Seattle… ovunque il malcontento si sentiva forte. In California, per esempio, femministe, ambientalisti e tante altre associazioni si sono messe in marcia, protestando contro politiche che sembrano voler fare un salto indietro nel tempo. E la stampa? Quella progressista è andata giù pesante. Editoriali duri, come quelli di The Nation e Mother Jones, hanno parlato di un’America sull’orlo di nuove fratture, pronte a diventare ancora più profonde. Insomma, mentre dentro si celebrava, fuori si lottava. Due mondi che si sfiorano ma che sembrano sempre più lontani.
La reazione della comunità internazionale
Sul fronte internazionale, le reazioni all’insediamento di Trump sono apparse discordanti. Da un lato, i leader di Cina e Russia hanno manifestato un cauto ottimismo per possibili distensioni: Pechino, in particolare, auspica di riaprire alcuni tavoli commerciali saltati con Biden, pur restando in allerta rispetto alla posizione di Trump sulla questione di Taiwan e sulla guerra tecnologica. Dall’altro lato, i partner storici degli Stati Uniti in Europa, eccezion fatta per l’Italia rappresentata da Giorgia Meloni, hanno adottato un profilo basso, inviando le classiche note di congratulazioni ma evitando discorsi ufficiali o delegazioni di alto livello a Washington.
L’Unione Europea, dalla quale non era presente alcun leader di spicco, rimane guardinga di fronte ai proclami protezionisti di Trump. Dalla Commissione Europea sono trapelate fonti che parlano di “grande preoccupazione” per i potenziali sviluppi sulle politiche commerciali e sulle sanzioni verso aziende europee ritenute troppo invadenti del mercato statunitense. In Medio Oriente, l’Arabia Saudita si è detta aperta a collaborare con la nuova amministrazione, mentre l’Iran ha condannato duramente l’atteggiamento di Trump sulla questione nucleare, rigettando la possibilità di sedersi a nuovi negoziati in queste condizioni.
Nel frattempo, sul piano diplomatico, è probabile che i primi viaggi internazionali della presidenza Trump siano in destinazioni considerate più amichevoli. Secondo alcuni analisti citati da Axios, i paesi del Golfo Persico e Israele potrebbero essere le prime tappe, ricalcando la logica del suo precedente mandato.
Prospettive economiche e di politica interna
Diciamolo chiaro e tondo: la prima vera sfida del nuovo Trump sarà l’economia. La recessione del 2023? Sì, finita, ma l’inflazione è ancora lì che morde… e la crescita? Lenta. Lui ha subito tirato fuori la carta del taglio delle tasse alle imprese. “Stimolare le aziende locali, riportare i soldi dall’estero.” Facile a dirsi, eh? Ma Paul Krugman e altri economisti dicono: “Occhio!” Perché? Perché il debito pubblico potrebbe esplodere e i ricchi potrebbero diventare ancora più ricchi. E i poveri? Peggio.
E poi, c’è la società. Spaccata come non mai. Obamacare, diritti civili, aborto… roba che potrebbe scoppiare da un momento all’altro, soprattutto se la Corte Suprema, che è tutta conservatrice, dovesse mettere mano a certi casi. Trump, nel suo discorso? Zitto su queste cose. Ma gli analisti sono pronti a scommettere che saranno la prossima polveriera. Immagina: California e New York, con governatori democratici, pronti allo scontro con Washington. Uno spettacolo.
E sai cosa c’è ancora? Il pallino di Trump. La riforma del sistema elettorale. Durante i comizi del 2024, ha urlato ai quattro venti: “Il sistema è truccato! Brogli ovunque!” Prove? Zero. Ma ci scommetti che proverà a convincere il Congresso repubblicano a mettere mano a tutto? Limitare il voto anticipato, il voto per posta… insomma, più che una riforma sembra un’ossessione. Vedremo se riuscirà a farla passare.
Il ruolo del Congresso e la sfida dei media
Con un Senato e una Camera dei Rappresentanti leggermente a vantaggio dei repubblicani, Trump parte da una posizione di discreta solidità politica, almeno per i primi tempi. La leadership del Partito Repubblicano sembra al momento intenzionata a sostenere le misure presidenziali, in quanto punta a consolidare il potere nelle istituzioni chiave e a disegnare nuovi equilibri a lungo termine. Tuttavia, esiste anche un’ala più moderata del GOP, che teme possibili derive estreme e ripercussioni su quell’elettorato indipendente che ha garantito ai repubblicani la vittoria in stati un tempo considerati in bilico.
Per quanto riguarda i media, lo scontro con Trump è già accesissimo. L’ex presidente ha più volte definito i grandi network di informazione “fake news,” con particolare acrimonia nei confronti di CNN e MSNBC. È noto che il tycoon ami comunicare direttamente con i suoi elettori attraverso piattaforme social, alcune delle quali, durante la sua assenza dalla Casa Bianca, gli avevano perfino limitato l’uso. Adesso, con un potere istituzionale rinnovato, potrebbe tentare pressioni per limitare la libertà di azione di tali piattaforme, accusate da lui di parzialità e di censura nei confronti di opinioni conservatrici.
Nelle prime conferenze stampa dei portavoce della nuova amministrazione, si è percepito un deciso cambio di tono rispetto all’era Biden. I rapporti con i giornalisti sono apparsi subito tesi, specie quando si è toccato il tema dell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 e della conseguente grazia concessa da Trump. Potremmo assistere a un conflitto istituzionale e mediatico che, se non gestito, rischia di compromettere ulteriormente la fiducia nell’informazione e nelle istituzioni.
Il futuro dell’America sotto il secondo mandato Trump
La giornata del 20 gennaio 2025, con la sua cerimonia a porte semi-chiuse e i tanti provvedimenti annunciati, apre a scenari che potrebbero ridefinire gli assetti geopolitici e interni degli Stati Uniti. Se da un lato molti americani sostengono con entusiasmo questa nuova fase, sperando che la politica economica di Trump rilanci la produzione nazionale e riduca disoccupazione e criminalità, dall’altro lato numerosi cittadini e oppositori temono un ritorno a politiche divisive, isolazioniste e potenzialmente lesive dei diritti civili.
Immagina la scena: piazze che si riempiono, gente che non riesce più a stare zitta. Le proteste partono piano, ma potrebbero trasformarsi in un fiume in piena, soprattutto se le politiche di Trump dovessero colpire duro le fasce più fragili o le comunità etniche. E sì, il Congresso è repubblicano, quindi potrebbe far passare un sacco di leggi. Ma attenzione: governatori democratici, attivisti e cittadini arrabbiati potrebbero trasformare questa legislatura in un campo di battaglia politico come non si è mai visto.
E fuori dagli USA? Altro che calma piatta. Trump, con il suo stile diretto, potrebbe ribaltare tutto: accordi commerciali saltati, alleanze globali traballanti, e un bel “me ne frego” sugli impegni climatici e sull’OMS. L’America prima di tutto, dicono. Ma a che prezzo? La stabilità di regioni già fragili potrebbe andare a farsi benedire e la politica estera americana diventare una partita giocata da solista, senza più preoccuparsi di essere il “leader del mondo libero”.
Ora che la cerimonia è conclusa e Donald Trump si è ufficialmente insediato, le prossime settimane saranno cruciali per comprendere se i toni utilizzati in campagna elettorale si tradurranno immediatamente in azioni concrete o se, come spesso accaduto nella storia americana, si assisterà a un leggero ammorbidimento dovuto ai meccanismi istituzionali di checks and balances.
Un giorno che cambia tutto
Il 20 gennaio 2025, dunque, sarà ricordato come una giornata che ha detto tutto e il contrario di tutto. Un freddo che gelava il respiro, una cerimonia spostata in extremis, un discorso che ha tirato fuori vecchie promesse con una voce che molti avevano quasi dimenticato. E poi quegli ordini esecutivi: una scure calata su anni di politiche opposte, una rottura netta che non lascia spazio a compromessi.
Alla Casa Bianca? Si respira aria di déjà vu. Facce conosciute, uomini d’affari che ritornano in scena, vecchi fedelissimi pronti a ricominciare da dove si erano fermati. Fuori, però, il clima è tutt’altro che disteso: c’è chi esulta, vedendo in Trump un salvatore, un baluardo di libertà e chi teme il peggio – passi indietro su diritti, ambiente, conquiste sociali. E il mondo? Il mondo guarda, incerto, sospettoso, chiedendosi quale ruolo vogliano giocare ora gli Stati Uniti.
Le prossime settimane saranno una prova del fuoco. Ogni scelta, ogni mossa, ogni silenzio saranno analizzati al microscopio. Grandezza promessa o disgregazione temuta: tutto è in gioco, tutto è incerto. Ma una cosa è sicura: con Trump non ci sono mezze misure. O lo ami, o lo detesti. E questa è, nel bene o nel male, la forza di una democrazia viva, caotica, appassionata.
Noi continueremo a raccontarvi tutto. Gli sviluppi, le sfide, i passi avanti o i passi falsi. Perché in momenti così, il nostro compito non è guardare altrove, ma osservare, capire, raccontare. La storia si sta scrivendo ora e spetta a noi leggerla con attenzione, col cuore e con la mente.
Attualità
Festival di Sanremo 2025: Tutto ciò che abbiamo scoperto...
Parlare del Festival di Sanremo non è mai una faccenda semplice. Ogni anno, di solito, ci troviamo sommersi da notizie, indiscrezioni, fotografie e centinaia di opinioni contrastanti. Eppure, puntualmente, quella settimana dedicata alla canzone italiana riesce a catalizzare la nostra attenzione, a tenerci incollati allo schermo come se fosse la prima volta che ne sentiamo parlare. E allora, sì, eccoci di nuovo qui, pronti a raccontarvi tutto quello che occorre sapere, ma in modo un po’ diverso dal solito: con un tono più vicino, più vivo, più pulsante. Perché alla fine, anche se siamo un giornale e c’è un certo distacco formale da mantenere, vogliamo condividere con voi un batticuore autentico. Un batticuore che ogni anno si ripete e che, in qualche strano modo, ci fa sentire parte di una grande famiglia.
SANREMO 2025: PANORAMICA GENERALE E DATE DA SEGNARE
Molti di noi potrebbero star pensando: “Ma siamo già nel 2025, come vola il tempo!” E in effetti sembra ieri che si commentava il trionfo dei vincitori della scorsa edizione ma la kermesse più famosa del nostro Paese è di nuovo dietro l’angolo. Stavolta parliamo di un traguardo davvero importante, ossia la 75ª edizione del Festival di Sanremo.
Le date da cerchiare in rosso sul calendario sono l’11, 12, 13, 14 e 15 febbraio 2025. Cinque serate consecutive, come da tradizione, che verranno trasmesse in diretta televisiva su Rai1, in radio su Radio2 e in streaming su RaiPlay.
L’evento si terrà, come sempre, nel leggendario Teatro Ariston. Quell’Ariston che ci siamo abituati a vedere al centro di polemiche, performance mozzafiato, lacrime di gioia o sguardi imbarazzati, e che fa sempre un certo effetto. Ecco, immaginate di essere anche voi sullo stesso palcoscenico a cantare: c’è un brivido che ti corre lungo la schiena, un brivido che profuma di storia.
NUMERI E CURIOSITÀ DI UN FESTIVAL CHE COMPIE 75 EDIZIONI
Ogni anno, l’organizzazione del Festival ci offre una serie di numeri che, in qualche modo, fanno sorridere e riflettere. A volte si tratta di statistiche un po’ strampalate, altre volte di dati che ci rendono conto di come Sanremo sia un microcosmo di storie e coincidenze incredibili.
Per Sanremo 2025 si contano 30 artisti in gara tra i Big, ciascuno con un brano inedito. Questi 30 progetti musicali sono rappresentati da un totale di 40 persone, perché, tra le fila dei concorrenti, compaiono band, duetti e persino un quartetto.
Da un lato troviamo la più giovane in gara, Sarah Toscano, che ha appena compiuto 18 anni e viene definita come una delle promesse più fresche e disinvolte del panorama pop. Dall’altro, spunta la leggenda di Massimo Ranieri, 73 anni, che ancora una volta si rimette in gioco su quel palco che l’ha visto crescere e in parte, l’ha consacrato.
E poi c’è la questione dei “veterani” che hanno vinto in passato: i numeri ci dicono che sono quattro coloro che già stringono tra le mani un trofeo di Sanremo. È un po’ come quando si mette in tavola un mazzo di carte: qualche asso salta sempre fuori. Nello specifico, figurano i nomi di Ranieri, Giorgia, Simone Cristicchi e Francesco Gabbani.
Non mancano coloro che hanno avuto un passaggio all’Eurovision – o come spettatori o come rappresentanti ufficiali: anche in questo caso troviamo Ranieri, Gabbani e Francesca Michielin. Inoltre, segnaliamo che otto dei brani in concorso sono presentati da artisti che non hanno mai calcato il palco dell’Ariston in gara come Big.
Se diamo un’occhiata ai record di partecipazione, ci sorprende forse scoprire che la più presente in questa edizione è Marcella Bella con le sue nove partecipazioni (due delle quali in compagnia del fratello Gianni). Subito dietro troviamo Ranieri e Noemi con otto presenze ciascuno.
I PROTAGONISTI IN GARA: VETERANI, ESORDI E RITORNI TANTO ATTESI
Sanremo, si sa, è una calamita per chiunque abbia fatto della musica la sua passione di vita. Ci sono quelli che sognano di salirci per la prima volta e c’è chi forse potrebbe dire di non averne più bisogno, perché tanto la notorietà l’ha già conquistata. Eppure, alla fine, il fascino di competere su quel palco ha la meglio su ogni altra considerazione.
Prima di dare uno sguardo più ravvicinato ai singoli nomi e a ciò che si portano dietro, qui ci piace fare una breve riflessione: quanto conta, per la carriera di un musicista, vivere quei cinque giorni intensi all’Ariston? Tantissimo, inutile girarci intorno. A volte, per un giovane emergente, basta un’esibizione ben riuscita per far esplodere la popolarità. Per un big navigato, invece, Sanremo diventa un modo per raccontarsi di nuovo, per mettersi alla prova e provare persino la vertigine del rischio.
Insomma, la formula non è mai scontata. E dietro ogni nome c’è un universo di storie, di sacrifici, di notti insonni, di litigate con i produttori, di idee nate in un bar alle tre del mattino, di successi clamorosi e di bruschi scivoloni.
Le 30 canzoni e i 30 artisti
Prima di dividerli in gruppi ideali (veterani, novità, ecc.), vogliamo darvi una lista – che non è affatto la scaletta di una delle serate, ma giusto un elenco di chi troveremo in competizione:
- Achille Lauro – “Incoscienti giovani”
- Bresh – “La tana del granchio”
- Brunori Sas – “L’albero delle noci”
- Clara – “Febbre”
- Coma_Cose – “Cuoricini”
- Elodie – “Dimenticarsi alle 7”
- Emis Killa – “Demoni”
- Fedez – “Battito”
- Francesca Michielin – “Fango in Paradiso”
- Francesco Gabbani – “Viva la vita”
- Gaia – “Chiamo io chiami tu”
- Giorgia – “La cura per me”
- Irama – “Lentamente”
- Joan Thiele – “Eco”
- Lucio Corsi – “Volevo essere un duro”
- Marcella Bella – “Pelle diamante”
- Massimo Ranieri – “Tra le mani un cuore”
- Modà – “Non ti dimentico”
- Noemi – “Se t’innamori muori”
- Olly – “Balorda nostalgia”
- Rkomi – “Il ritmo delle cose”
- Rocco Hunt – “Mille vote ancora”
- Rose Villain – “Fuorilegge”
- Sarah Toscano – “Amarcord”
- Shablo feat. Guè, Joshua & Tormento – “La mia parola”
- Serena Brancale – “Anema e core”
- Simone Cristicchi – “Quando sarai piccola”
- The Kolors – “Tu con chi fai l’amore”
- Tony Effe – “Damme ‘na mano”
- Willie Peyote – “Grazie ma no grazie”
Questa è la formazione con cui vivremo sorprese e possibili delusioni. E chissà: magari proprio uno di questi brani, sentito per la prima volta tra l’11 e il 15 febbraio, diventerà la colonna sonora della vostra estate o, perché no, del vostro prossimo viaggio in macchina con gli amici.
DAI VETERANI INTRAMONTABILI ALLE NOVITÀ SPIAZZANTI
Se c’è una cosa che caratterizza la selezione di quest’anno, è l’incontro tra due mondi apparentemente distanti. Da una parte i grandi classici, i nomi che si portano dietro un bagaglio di festival, dischi di platino, esperienze televisive e – perché no – qualche ospitata in film o fiction. Dall’altra, figure emergenti che magari hanno sfondato grazie a un talent show, oppure hanno conquistato un bacino di pubblico importante con i social.
Fra i veterani troviamo
- Massimo Ranieri, che ormai fa parte dell’ossatura stessa della musica leggera italiana. Partecipò per la prima volta giovanissimo e oggi si ripresenta con una consapevolezza e un’umiltà che si mischiano alla determinazione di chi vuole dimostrare di avere ancora moltissimo da raccontare.
- Marcella Bella, che con questa colleziona ben nove presenze in gara. Non so se vi è mai capitato di sentire “Montagne verdi” in radio durante un viaggio; se sì, potete immaginare quanto la sua voce abbia fatto parte del nostro bagaglio emotivo.
- Giorgia, che ha un palmarès di tutto rispetto: vinse nel 1995, quando la sua “Come saprei” stregò il pubblico e la giuria e di recente è tornata più volte, mantenendo intatta quella vocalità che – diciamolo – lascia sempre a bocca aperta.
- Simone Cristicchi, che ricordiamo vincitore nel 2007 con “Ti regalerò una rosa”. Cantautore dalla penna poetica e dall’animo sensibile, ha saputo mescolare impegno, delicatezza e un pizzico di follia creativa.
Le novità assolute
Sul fronte opposto, ecco chi si affaccia al Festival per la prima volta fra i Big, come:
- Bresh, rapper genovese dal linguaggio sincero e dalla passione per la melodia, che in passato abbiamo visto come ospite di Emma nella serata dei duetti. Ora, però, gioca da titolare.
- Emis Killa, personaggio di spicco nel mondo rap, che ha segnato l’estate del 2014 con “Maracanà” e ora debutta su un palco che non era mai stato il suo.
- Joan Thiele, poliedrica, con un background familiare internazionale (svizzero-colombiano-campano) e una voce che merita di essere tenuta d’occhio.
Altri nomi, invece, non sono nuovi ai riflettori di Sanremo ma è la prima volta che si esibiscono nella competizione come “Big ufficiali”. Pensiamo a Brunori Sas, che era stato invitato come ospite qualche anno fa, oppure a Lucio Corsi, cantautore toscano già ammirato in alcune serie TV, ma mai in gara con un suo brano inedito.
VOCI E STORIE: I SOLISTI, LE BAND, I DUETTI E I QUARTETTI
All’interno di questa grande squadra, ci sono formazioni di ogni tipo. Non è un modo di dire: la presenza di un quartetto rap come quello formato da Shablo, Guè, Joshua & Tormento dimostra che al Festival può arrivare qualsiasi colore della tavolozza musicale. E magari, in passato, c’era chi si chiedeva: “Ha senso portare la trap, il rap, la musica urbana su quel palco?” Evidentemente sì, perché è parte della realtà musicale contemporanea.
Poi, certo, non mancano le band che qualche anno fa hanno già dimostrato di avere un buon impatto con la platea di Sanremo. The Kolors, per esempio, tornano dopo vari successi radiofonici e televisivi, sempre capitanati da Stash, con quell’energia frizzante che li contraddistingue. Stesso discorso vale per i Modà, che in passato hanno sfiorato la vittoria, regalandoci brani che molti ricordano ancora con affetto.
E come dimenticare i tanti solisti che spaziano dal pop sofisticato al rap puro, dal cantautorato intimistico all’indie più orecchiabile. Pensiamo a Gaia, che unisce le sue radici italiche e brasiliane per creare brani freschi e ballabili, o a Elodie, sempre più affermata e sempre più disposta a sperimentare sonorità differenti.
FOCUS SPECIALE SU ALCUNI BIG: TRIONFATORI, HABITUÉ E PRIME VOLTE
Non basta un elenco per renderci conto di ciò che ognuno di questi artisti rappresenta. Cerchiamo allora di soffermarci su alcuni di loro, partendo proprio da chi ha il carico dell’aver già alzato il trofeo della vittoria, passando poi per chi dell’Ariston ha fatto praticamente casa, per finire con quei coraggiosi che si presentano al cospetto di un pubblico enorme per la prima volta.
CHI HA GIÀ ASSAPORATO LA VITTORIA
Un Festival che vede tra i concorrenti persone che hanno già trionfato è sempre un Festival intrigante. Da un lato, questi artisti arrivano con un’eredità importante, quasi fosse una corona da difendere; dall’altro, la presenza di un ex vincitore può innescare un effetto di sfida e di competizione sana negli altri partecipanti.
- Francesco Gabbani ha vinto due volte, se consideriamo anche la sezione Nuove Proposte: nel 2016 con “Amen” e nel 2017 con “Occidentali’s Karma”, brano che poi l’ha proiettato all’Eurovision. Ora si ripresenta con “Viva la vita” e le sue parole ci fanno pensare a un inno alla gioia e all’esistenza in tutte le sue sfaccettature.
- Massimo Ranieri non ha bisogno di presentazioni. Dalla vittoria con “Perdere l’amore” nel 1988, ha continuato a partecipare saltuariamente, regalandoci sempre interpretazioni di grande classe. Quest’anno si cimenta in “Tra le mani un cuore”, descritta da lui stesso come una sorta di “inno all’amore e all’amicizia”.
- Giorgia, che sappiamo trionfò giovanissima. Ogni anno in cui torna ci si chiede se potrà replicare l’exploit di metà anni Novanta. Il brano “La cura per me” sembra voler parlare di come un sentimento possa evolvere la nostra interiorità.
- Simone Cristicchi, vincitore nel 2007, che ci ha abituati a testi poetici e toccanti. Nel 2025, sarà di scena con “Quando sarai piccola”, un brano che allude al prendersi cura dei propri genitori quando invecchiano – o almeno questa è la suggestione che lascia trasparire dalle sue brevi anticipazioni.
GLI HABITUÉ CHE NON VOGLIONO SMETTERE DI STUPIRE
Ci sono artisti che, pur non avendo mai portato a casa la vittoria finale, restano legati al Festival come un filo sottile che non si spezza mai.
- Noemi è un esempio lampante. Con all’attivo sette partecipazioni, questa volta punta all’ottava con “Se t’innamori muori”. Il titolo fa sorridere ma anche riflettere: quante volte ci siamo sentiti fragili o in pericolo quando ci innamoriamo?
- Elodie, sebbene sia relativamente più giovane di alcuni veterani, ha all’attivo già tre precedenti presenze, sempre nelle parti alte della classifica. Il suo “Dimenticarsi alle 7” promette atmosfere drammatiche: un vero e proprio “dramma” musicale, stando alle sue dichiarazioni.
- Coma_Cose sono alla loro terza partecipazione. L’ultima volta li abbiamo visti con una ballad intensa, “L’addio”; stavolta, con “Cuoricini”, tengono i fan sul filo, senza chiarire se ci sarà ancora una dimensione malinconica o se tornerà la loro vena più ritmata e leggera.
ESORDI E DEBUTTI CORAGGIOSI
Non possiamo non nominare chi, pur provenendo da contesti di successo (radiofonico, discografico o televisivo), non si era mai cimentato a Sanremo.
- Emis Killa, come si diceva prima, è un nome di spicco nella scena rap italiana, ma questa passerella per lui è inedita. “Demoni” potrebbe rivelarsi una sorpresa: un testo intimo, una notte d’amore, un confronto tra luci e ombre?
- Lucio Corsi è un cantautore che gode di grande stima da parte della critica. Il titolo “Volevo essere un duro” suona come una presa in giro della perfezione che tutti cercano di raggiungere. Forse, dietro a quei capelli lunghi e al suo stile un po’ retrò, si nasconde un artista capace di toccare corde profonde.
- Joan Thiele, che in coppia con Elodie si era già tolta la soddisfazione di un David di Donatello per la miglior canzone originale. Ora si mette alla prova con un brano tutto suo, “Eco”, e la curiosità è tanta.
LE NUOVE PROPOSTE 2025: QUATTRO VOLTI IN CERCA DI CONSACRAZIONE
Sanremo non è solo la competizione tra i Big. C’è uno spazio dedicato alla scoperta di nuovi talenti che potrebbero, un giorno, scalare i vertici della canzone italiana. Quest’anno torniamo ad avere una sezione Nuove Proposte a tutti gli effetti, con quattro artisti:
- Vale LP & Lil Jolie – “Dimmi tu quando sei pronto per fare l’amore”
- Settembre – “Vertebre”
- Maria Tomba – “Goodbye (Voglio Good Vibes)”
- Alex Wise – “Rockstar”
Le voci emergenti spesso nascondono storie che meritano di essere raccontate. Vale LP e Lil Jolie, ad esempio, sono amiche di lunga data, accomunate dall’aver frequentato talent show diversi. Ora si ritrovano sullo stesso palco, cercando di affermare un messaggio che, almeno dal titolo, sembra un inno alla libertà di espressione e all’intimità sincera.
Settembre – il cui nome all’anagrafe è Andrea – ha solo 24 anni, eppure ha già accumulato un discreto successo sui social grazie alla sua partecipazione a un talent televisivo. “Vertebre” sembra un pezzo che parla di fragilità e forza al tempo stesso, un binomio che spesso appartiene ai giovanissimi.
Maria Tomba viene da un’edizione recente di “X Factor” e a quanto pare, ha un carattere piuttosto schietto e senza filtri. Il suo pezzo si intitola “Goodbye (Voglio Good Vibes)”: dal titolo, ci si aspetta qualcosa di energico e forse un po’ provocatorio. L’idea di abbandonare le negatività per abbracciare le “good vibes” è sempre affascinante.
Alex Wise, infine, è uno di quei casi di cantanti che escono dal mondo dei talent con un seguito solidissimo, e nonostante non abbia vinto il suo programma, ha conquistato il pubblico per sensibilità e interpretazione. “Rockstar” potrebbe essere la chiave per farlo conoscere anche a chi non segue i talent: un brano, magari, dal sapore di rivincita?
I CONDUTTORI: CARLO CONTI E LE SPALLE CHE ANIMERANNO LE CINQUE SERATE
Dicevamo che l’Ariston è un simbolo, e chi lo abita con costanza, come conduttore e direttore artistico, diventa a sua volta un’icona. Carlo Conti torna a guidare la macchina di Sanremo 2025 dopo varie esperienze passate di successo. Il suo stile di conduzione è sempre stato garbato e sorridente, a volte fin troppo rassicurante, ma è innegabile che sappia tenere le redini di uno show che, tra imprevisti e tempi televisivi strettissimi, può diventare una giungla.
La scelta dei co-conduttori si presenta piuttosto variegata e probabilmente, strategica per conquistare fasce diverse di pubblico. Ecco come sono state organizzate le cinque serate:
- Prima serata: Conti dovrà “convincere” due suoi amici storici, i colleghi toscani Leonardo Pieraccioni e Giorgio Panariello (ancora da confermare al 100%), a condividere il palco. Uno sketch che, già solo a pensarci, evoca la comicità tipica delle loro reunion.
- Seconda serata: spazio a un trio eterogeneo composto da Bianca Balti, Cristiano Malgioglio e Nino Frassica. L’idea sembra quella di mischiare eleganza, stravaganza e umorismo surreale.
- Terza serata: un tris tutto al femminile – e che tris: Miriam Leone, Elettra Lamborghini e Katia Follesa. Sarà interessante vedere come queste tre personalità, tanto diverse, si integreranno davanti alle telecamere.
- Quarta serata: la coppia formata da Mahmood e Geppi Cucciari promette musica e comicità. Mahmood, due volte vincitore di Sanremo (nel 2019 con “Soldi” e nel 2022 in coppia con Blanco), porterà certamente la sua sensibilità, mentre Geppi è sempre una garanzia di ironia pungente e intelligente.
- Serata finale: in un’atmosfera ormai incandescente, saliranno sul palco Alessandro Cattelan, Alessia Marcuzzi e si vocifera che ci saranno altre sorprese. In particolare, Cattelan sarà poi anche alla guida del “Dopofestival”, un format che punta a commentare a caldo tutto ciò che è accaduto sul palco e magari anche dietro le quinte.
LA SCALETTA: LE SERATE, LE COVER E LA FINALE
Il Festival di Sanremo 2025 si snoderà su cinque serate, come da copione, ma qualche piccola novità c’è sempre.
- Prima serata (martedì 11 febbraio): apriamo le danze con tutti i 30 artisti in gara. Sarà un tour de force, un assaggio di ciò che ognuno di loro ha da offrire. Sentiremo tutte e 30 le canzoni, una dopo l’altra, e potremo farci un’idea generale.
- Seconda serata (mercoledì 12 febbraio): solo 15 di quei 30 si esibiranno (gli altri 15 si esibiranno la sera successiva). Questo spezzettamento serve anche a dare più spazio a presentazioni e ospiti. Nella stessa serata, ascolteremo 2 delle Nuove Proposte.
- Terza serata (giovedì 13 febbraio): come detto, sarà il turno degli altri 15 Big in gara, più le restanti 2 Nuove Proposte. Spesso la terza serata si rivela cruciale, perché consente al pubblico di riascoltare i brani e farsi un’idea più chiara sulle preferenze.
- Quarta serata (venerdì 14 febbraio): tradizionalmente è dedicata alle cover e si conferma anche quest’anno. I 30 Artisti in gara si presenteranno con ospiti speciali (italiani o internazionali) per reinterpretare brani celebri, pubblicati entro il 31 dicembre 2024. Queste esibizioni spesso diventano il momento più colorato e imprevedibile del Festival, dove un duetto improbabile può trasformare un palco in una festa o in un momento di struggente emozione. Le cover, quest’anno, non conteranno per la classifica finale ma ci sarà comunque un vincitore di serata. La stessa sera, avverrà anche la finale delle Nuove Proposte: ne restano in gara solo 2 e da lì uscirà il vincitore o la vincitrice della categoria.
- Quinta serata (sabato 15 febbraio): la Finale vera e propria, in cui tutti i 30 Big torneranno a cantare il proprio brano. A fine puntata, conosceremo i cinque più votati (non in ordine) e dopo una votazione ulteriore, sapremo finalmente chi si aggiudicherà il 75° Festival di Sanremo.
Un altro aspetto del Festival che non va sottovalutato è il PrimaFestival e il Dopofestival.
- Il PrimaFestival andrà in onda prima di ciascuna serata e sarà condotto da Bianca Guaccero, Gabriele Corsi e Mariasole Pollio. Un appuntamento breve ma utile per scaldare i motori, per scoprire gossip, per rubare qualche dichiarazione al volo dagli artisti in gara.
- Il Dopofestival, invece, torna su Rai1 dall’11 al 14 febbraio, e sarà condotto da Alessandro Cattelan. Sarà l’occasione per analizzare a caldo i momenti salienti, i retroscena, gli eventuali scivoloni e i colpi di genio dei concorrenti.
IL REGOLAMENTO E IL SISTEMA DI VOTAZIONE: GIURIE E TELEVOTO
Arriviamo alla parte che, talvolta, genera dibattiti infiniti: come vengono decretati i vincitori? Chi decide le sorti di un artista e di una canzone? Anche quest’anno il meccanismo è stato calibrato per bilanciare i diversi tipi di voto.
Le tre giurie
- Televoto: lo strumento principe, che dà voce a chi segue il Festival da casa. Spesso è proprio il pubblico a far pendere l’ago della bilancia in una direzione inattesa, premiando un brano che le giurie “tecniche” magari sottovalutano.
- Giuria della Sala Stampa, Tv e Web: composta dai giornalisti accreditati, è una giuria che, almeno in teoria, dovrebbe avere uno sguardo professionale e critico sulla musica e sulle performance.
- Giuria delle Radio: novità che conferma quanto le emittenti radiofoniche, di fatto, siano canali fondamentali per il successo di un brano.
Come funzionano le votazioni nelle diverse serate
- Prima serata: ascoltiamo tutte e 30 le canzoni. La valutazione spetta alla Sala Stampa, Tv e Web. Alla fine, le prime cinque posizioni in classifica (senza svelare l’ordine preciso) verranno comunicate. Un modo per creare aspettative, scommesse e chiacchiere nel giorno seguente.
- Seconda e terza serata: ognuna vede l’esibizione di 15 Big. Qui, a votare saranno il Televoto e la Giuria delle Radio. Al termine di ciascuna serata, sapremo quali 5 si stanno momentaneamente distinguendo, ma senza conoscerne la gerarchia esatta.
- Quarta serata (cover): tutti e 30 gli Artisti tornano sul palco con ospiti vari. Stavolta la votazione è la somma di Televoto (34%), Giuria Sala Stampa, Tv e Web (33%) e Giuria delle Radio (33%). Viene proclamato il vincitore di questa “serata cover”. In più, c’è la finale delle Nuove Proposte, che decreterà il vincitore della categoria.
- Quinta serata: si esibiscono di nuovo tutti e 30 i Big, con la votazione di tutte e tre le giurie. Dopo le esibizioni, si compone una classifica generale e vengono annunciate le prime cinque posizioni (sempre senza ordine). Poi avviene una nuova votazione soltanto su quei cinque, con l’obiettivo di stabilire il vincitore assoluto, il secondo, il terzo, il quarto e il quinto classificato.
I misteri e le sospensioni
Una peculiarità del regolamento prevede che Rai e il Direttore Artistico possano decidere se, durante la quarta e la quinta serata, divulgare o meno la classifica generale delle 30 canzoni. Potrebbero anche condividerla solo parzialmente, per mantenere il pathos e l’effetto sorpresa. Ed è proprio in quei momenti che, da casa, qualcuno potrebbe esultare o imprecare, a seconda di come sta andando il proprio beniamino.
CONSIDERAZIONI FINALI: SANREMO COME RITO COLLETTIVO
A questo punto, abbiamo tracciato un quadro abbastanza dettagliato – o almeno ci abbiamo provato – della situazione di Sanremo 2025. Ma, se ci fermiamo per un attimo a riflettere, c’è un aspetto che va oltre i nomi, le canzoni, le giurie e gli ascolti: Sanremo è un rito collettivo.
Provate a pensarci. Non importa se vivete in un piccolo paese di provincia o in una grande città, se siete appassionati di musica rock o se di solito ascoltate solo canzoni straniere. Quando arriva la settimana sanremese, in qualche modo tutto cambia. È come un riflesso pavloviano: le nonne rispolverano le loro polemiche (“Eh, una volta era tutta un’altra storia”), i ragazzi iniziano a fare pronostici e i social si riempiono di meme, commenti, critiche e difese a spada tratta di questo o quell’artista.
C’è qualcosa di profondamente legato alla nostra identità nazionale in questo Festival, nel bene e nel male. È un’occasione in cui ci sentiamo uniti, ci scambiamo messaggi su WhatsApp la sera per dire “Hai sentito che bella quella canzone?” oppure “Oddio, ma come si è vestito quell’altro?!”. E, nel frattempo, dentro di noi, riscopriamo magari la voglia di canticchiare un ritornello appena sentito, di emozionarci per una dedica che ci ha colpito.
Forse, alla fine di tutto, Sanremo rimane un pretesto per parlare di noi, della nostra società, del nostro modo di concepire lo spettacolo e la musica. E che siate fan sfegatati o critici incalliti, ammettiamolo: un occhio allo schermo finiremo per darlo tutti, almeno per capire di cosa parlano gli altri o per unirci al grande dibattito.
Quest’anno, la presenza di veterani come Ranieri e Marcella Bella potrà farci ricordare i tempi in cui le canzoni d’amore erano più lente e avevano un retrogusto nostalgico. L’arrivo di nuovi rapper e trapper ci metterà davanti alla realtà di una scena musicale in costante evoluzione. Chi invece ama la melodia classica italiana troverà rifugio in chi, come Giorgia o Cristicchi, mantiene una scrittura intima. Chi predilige un mix di suoni e contaminazioni potrà puntare su Rkomi, Fedez, Tony Effe, o su chiunque decida di osare.
E non dimentichiamo che persino le cover di venerdì possono regalarci interpretazioni che saranno ricordate per anni (chi non ha in mente, per esempio, alcuni duetti passati alla storia proprio nella serata delle cover?). Anche se, stavolta, quelle esibizioni non concorreranno per la classifica, sappiamo quanto possano incidere sul percorso di un artista in gara, almeno a livello di percezione generale.
Chiudiamo questa lunga panoramica con una riflessione forse un po’ banale ma che ci sembra veritiera: Sanremo è e rimane uno spettacolo unico, che racchiude una parte fondamentale della cultura pop italiana. Non sono tante le manifestazioni che riescono a creare un senso di appartenenza e dibattito così accesi, e non parliamo solo di musica. Si discute di abiti, di costumi, di parole dette o non dette, di possibili conflitti, di ospiti internazionali e improbabili apparizioni sul palco.
Dall’11 al 15 febbraio 2025, tutti gli sguardi saranno puntati su quell’Ariston che, nonostante cambi di scenografia e di conduzione, rimane un piccolo teatro di provincia dai velluti rossi e dai ricordi indelebili. Un luogo in cui passione, emozione e speranza si intrecciano, mescolandosi a quelle sonorità che varcano i confini del tempo.
E allora noi, qui dalla nostra postazione, saremo pronti a raccontarvi ogni sfumatura, ogni colpo di scena, ogni classifica parziale che verrà pubblicata, e a condividere con voi l’entusiasmo – o la delusione – che ogni esibizione susciterà. Sappiamo bene che, in quei cinque giorni, una semplice canzone può diventare colonna sonora di un intero anno, o di un ricordo che rimarrà scolpito nella nostra storia personale.
Sanremo 2025 è ormai alle porte. Siete pronti a farvi travolgere da tutto questo? Forse sì, forse no, o forse vi state già lamentando che “era meglio quando c’era Pippo Baudo” (un classico!), ma a conti fatti non potrete tirarvi indietro. Ne parleranno i vostri amici, i vostri parenti, i colleghi in ufficio; ne parlerà il web e lo vedrete apparire in qualsiasi notifica social. Sarete in qualche modo parte di questo grande spettacolo collettivo, fosse anche solo per criticare, per commentare uno scivolone in diretta o per innamorarvi di una nuova voce che non conoscevate.
In fondo, questo è Sanremo: un festival che, per una manciata di giorni, riesce ancora a farci battere il cuore. A noi che scriviamo, a voi che leggete e a chiunque creda che la musica – quella sì – possa ancora offrire un pizzico di magia.
Questo lungo approfondimento spera di avervi regalato qualche spunto in più, qualche dettaglio curioso e magari una prospettiva meno rigida su uno degli eventi più popolari dell’anno. Ed ora non ci resta che dirvi: ci si vede all’Ariston, fisicamente o virtualmente, con la speranza di assistere a esibizioni memorabili. Che la musica inizi a suonare e che ognuno trovi la propria colonna sonora in uno di questi 30 brani. Buon Festival a tutti, perché Sanremo – nonostante le critiche, i dibattiti, i record di ascolti o le contestazioni – resta sempre e comunque Sanremo. E scusate se è poco.
Attualità
Addio a David Lynch: il maestro che ha riscritto il cinema
Addio a David Lynch: il maestro che ha riscritto il cinema
David Lynch ci ha lasciati. Se ne è andato quel visionario che ha saputo trasformare il cinema in qualcosa di più di un semplice schermo. Una notizia che ti colpisce come un pugno allo stomaco, anche se non ti aspettavi che potesse farlo. Perché, volente o nolente, Lynch era parte del nostro immaginario, uno di quei nomi che restano impressi.
E pensare che tutto è iniziato in un posto quasi anonimo, Missoula, Montana. Una cittadina immersa nella natura, con i suoi boschi, i cieli infiniti e quel silenzio che ti entra dentro. Lì, il 20 gennaio 1946, nasce David Keith Lynch. Chi l’avrebbe mai detto che quei paesaggi tranquilli, quasi fuori dal tempo, avrebbero poi plasmato una mente così complessa? Forse era proprio quel contrasto, quella calma apparente, a nascondere già tutto il potenziale per qualcosa di grande, qualcosa di diverso. Lynch era già un artista prima ancora di saperlo. O forse lo sapeva da sempre.
Da ragazzo, Lynch fa le valigie e parte. Si lascia alle spalle i silenzi e i cieli aperti del Montana per buttarsi nelle città, quelle grandi, dove senti il caos sotto la pelle. Vuole inseguire l’arte, sentirla addosso, sporcarci le mani. Si iscrive alla Pennsylvania Academy of the Fine Arts. Qui non è che studia il cinema come lo farebbe chiunque altro, no. Per lui è una questione di pelle, di visioni. Dipinge, si sporca di colori e poi si accorge che non basta. Che c’è qualcosa che manca, che le immagini ferme non riescono a dire. Così inizia a giocare col movimento, con il tempo. E il cinema diventa la sua tela, ma una tela viva, che respira, che ti parla e ti confonde. Era questo, per lui. Non è che raccontava storie. Le faceva vivere, ti ci buttava dentro. Emozioni, frammenti, pezzi di qualcosa che capisci e non capisci nello stesso momento.
Ed è così che, nel 1977, arriva Eraserhead. Un film che è molto più di un film: è un incubo in pellicola, un viaggio nell’inconscio che lascia turbati e affascinati. E da lì, il mondo capisce che Lynch non è come gli altri. Non segue le regole. Le riscrive.
Twin Peaks: il fenomeno che ha cambiato tutto
“Chi ha ucciso Laura Palmer?”. Quattro parole che, nel 1990, tengono milioni di spettatori incollati allo schermo. Twin Peaks non è solo una serie TV. È un evento culturale. Una rivoluzione.
L’idea di ambientare un mistero così complesso in una piccola cittadina americana è geniale. Ma Lynch va oltre: ci regala un mondo fatto di personaggi indimenticabili, atmosfere che mescolano il familiare con il surreale e una colonna sonora che sembra venire da un altro pianeta. Non è solo una storia di omicidio. È una riflessione sulla dualità dell’essere umano, sulla corruzione dell’anima e sul confine sottile tra reale e sovrannaturale.
La poetica del mistero
Lynch ha sempre amato il mistero. Non quello semplice, da risolvere. Ma quello che ci mette di fronte a domande senza risposta, quello che ci lascia con un senso di inquietudine e meraviglia. Pensate a Mulholland Drive (2001). Un film che è un enigma dentro un sogno, una dichiarazione d’amore e odio a Hollywood e ai suoi falsi miti.
Oppure Blue Velvet (1986), con quella scena iniziale che è già un manifesto: una città tranquilla, il prato verde, i fiori colorati… e poi una scoperta inquietante, che ci svela gli abissi nascosti sotto la superficie. Lynch ci invita a guardare oltre, a non fermarci alle apparenze.
Non solo cinema
David Lynch. Parlare di lui come regista è riduttivo, quasi ingiusto. Era molto di più. Un pittore che usava la cinepresa come fosse un pennello. Un musicista che creava melodie con le immagini. Un filosofo che non dava risposte, ma ti lasciava con mille domande. Ogni suo progetto era un salto nel vuoto, un invito a seguire strade che non sai dove portano. E la cosa incredibile è che riusciva a farti sentire al sicuro anche nel caos.
Certo, ha vinto premi: la Palma d’Oro per Cuore Selvaggio, l’Oscar alla carriera. Ma chi se ne importa dei premi? Quello che conta davvero è l’impronta che ha lasciato in chi ha avuto il coraggio di guardare il mondo con i suoi occhi. Perché non è facile. Lynch ti sfida, ti scuote, ti porta dentro i suoi sogni – o i suoi incubi – e ti costringe a sentire tutto, fino in fondo. E quando esci da quel viaggio, non sei più lo stesso.
Negli ultimi anni, Lynch aveva rallentato. Una battaglia contro l’enfisema lo aveva costretto a ridurre la sua attività pubblica. Eppure, non aveva mai smesso di condividere pensieri e idee, attraverso interviste, progetti e i suoi canali personali. Anche lontano dai riflettori, era una fonte di ispirazione.
Un addio che lascia il segno
È difficile accettare che non ci sarà un altro film, un altro progetto firmato David Lynch. Ma il suo lavoro rimane. I suoi mondi, i suoi personaggi, le sue atmosfere continueranno a vivere, a ispirare. Lynch ci ha insegnato a non avere paura del buio, a esplorare l’ignoto, a lasciarci trasportare dall’inatteso.
Grazie, David, per averci fatto sognare, tremare e riflettere. Per averci ricordato che il cinema è molto più di una storia. È un viaggio. E tu sei stato il nostro miglior compagno di viaggio.
“Keep your eye on the doughnut, not on the hole.” (David Lynch)
Attualità
Quel mostro invisibile: la storia di Debora e la sua lotta...
Non è mai facile raccontare il dolore, quello invisibile. Ma è ancora più difficile viverlo sulla propria pelle ogni giorno, sapendo che non se ne andrà. Debora lo sa bene: tutto è cominciato con un fastidio al collo, qualcosa di apparentemente banale. Aveva venticinque anni, una vita davanti e mai avrebbe immaginato che quel piccolo dolore sarebbe diventato il primo segnale di una battaglia senza fine. Ora, a trentanove anni, ripercorre quegli anni con lucidità ma anche con un filo di amarezza.
Debora ci pensa, con la faccia che mescola amarezza e rassegnazione. “I sintomi? Ce li avevo già da anni, ma mica li prendevo sul serio”, dice con un sorriso stanco. All’inizio erano dolori strani, un po’ al collo, poi giù fino alla schiena, alle gambe. Roba che uno pensa: stress, posture sbagliate, forse l’età. Niente che ti mandi subito dal medico, insomma. E invece. Le analisi, le visite, i farmaci buttati giù come caramelle senza effetto. Un girotondo di speranze e delusioni. Finché, un giorno, un reumatologo non mette insieme i pezzi di questo puzzle maledetto: fibromialgia. E te lo dice così, dritto in faccia, senza giri di parole: “Non si cura. Non davvero. Devi imparare a viverci.” Boom. Ti casca il mondo addosso. E in quel momento capisci che niente sarà più semplice. Niente.
È una condizione che prosciuga. Non solo le energie ma anche la pazienza, la fiducia, la voglia di affrontare le giornate. Il dolore è costante, spesso insopportabile. A volte, persino sorridere diventa un gesto che richiede uno sforzo immenso. Debora lo sa bene: i muscoli del viso così tesi da dover usare un bite notturno per alleviare la rigidità della mascella. Ma è il dolore invisibile a fare più male. Quello che gli altri non vedono, che non riescono a capire.
“Non sembri malata.” Quante volte si è sentita dire questa frase? E quante volte ha dovuto spiegare, giustificare, difendersi? Il medico del lavoro, un giorno, ha persino insinuato che stesse fingendo. Una pugnalata, più che un dubbio. “Non è facile far capire agli altri che il dolore c’è, anche se non si vede”, confessa. E questa incomprensione è una ferita che non si rimargina mai del tutto.
Per ventun anni, Debora ha lavorato in fabbrica. Un ambiente ostile per chiunque, figuriamoci per chi deve affrontare una malattia debilitante. Temperature estreme, movimenti ripetitivi, il peso del giudizio altrui. Ma lei ha resistito. Ha continuato, giorno dopo giorno, anche quando il suo corpo sembrava gridare basta. Finché non è arrivato un problema serio, l’ennesimo: un’ernia espulsa al collo, con il rischio concreto di perdere l’uso di un braccio. A quel punto, anche i colleghi e i superiori hanno dovuto arrendersi all’evidenza. Ma la sensazione di dover sempre dimostrare qualcosa non l’ha mai abbandonata.
Eppure, in mezzo a tanto buio, Debora ha trovato anche qualche spiraglio di luce. Uno di questi è arrivato grazie a un fisioterapista con una marcia in più. Non solo competenze tecniche, ma anche una formazione da mental coach. “Mi ha insegnato a credere di nuovo in me stessa”, racconta. Quando è arrivata nella sua clinica, il muscolo del braccio sembrava svanito. In pochi mesi, grazie a esercizi mirati e tanta forza di volontà, quel braccio è tornato a funzionare. Un piccolo miracolo che le ha ridato speranza: la dimostrazione che, con il medico giusto, si può davvero fare la differenza.
Ma non è solo una questione fisica. La fibromialgia colpisce anche e forse soprattutto, a livello psicologico. Debora ha visto amiche abbandonare il lavoro, persone cadere in depressione, altre ancora lottare contro l’indifferenza generale. E poi c’è il peso economico: la malattia non è riconosciuta tra i livelli essenziali di assistenza del sistema sanitario italiano. Questo significa che ogni visita, ogni terapia, ogni aiuto deve essere pagato di tasca propria. Un fardello pesante, per chi già vive una situazione complicata.
Proprio da questo senso di oppressione è nata l’idea di raccontare la sua storia. Un giorno, Debora si è imbattuta in una giovane regista con un progetto ambizioso: realizzare un cortometraggio sulle vite di chi combatte contro malattie invisibili. “Quel mostro invisibile” è il titolo del cortometraggio che racconterà la sua battaglia contro la fibromialgia. Le riprese inizieranno a Napoli il 26 gennaio e anche se Debora non potrà essere presente fisicamente, ci sarà comunque. Con un videomessaggio rivolto ai medici, ai malati, a tutti coloro che vogliono capire.
Cosa si può fare in quindici minuti? Non molto, direbbe qualcuno. Ma Debora ci crede: è sufficiente per aprire una porta, per accendere una scintilla. Questo cortometraggio, “Quel mostro invisibile”, non è un film qualunque. Vuole gridare una verità scomoda, quella che tanti non vogliono ascoltare: la fibromialgia è reale. Ti logora, ti piega, ma non ti spezza se trovi il modo di reagire. Ecco, quindici minuti per mostrare tutto: il dolore che ti annienta, le persone che non ti credono, i soldi che finiscono in cure e terapie. E poi quella forza che ti risale da dentro, quella voglia testarda di non mollare, di guardare il mostro negli occhi e dirgli: “Tu non mi avrai.”
Debora spera che questo film breve non resti uno dei tanti. Desidera che tocchi, che scuota, che faccia male ma che, allo stesso tempo, dia speranza. Anche se cambierà solo un’idea, solo una piccola mentalità, sarà un passo avanti. E Debora è pronta a scommetterci tutto.
“Non cerco compassione”, dice. “Voglio solo che ci sia riconoscimento, rispetto. Voglio che chi soffre non si senta più solo e che chi non conosce questa malattia impari a guardare oltre le apparenze.”
Perché, alla fine, la fibromialgia è questo: un mostro invisibile che ti accompagna ogni giorno. Ma che, con la giusta consapevolezza, si può affrontare. E se anche una sola persona, guardando il cortometraggio, troverà un po’ di forza o di speranza, allora tutto questo sarà servito a qualcosa.