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Come affrontare l’educazione sessuale in base all’età: la guida pratica

Condom Profilattico Mamma Figlio Canva

Un fondo di 500mila euro per l’educazione sessuale nelle scuole è diventato il centro di una polemica che riflette le profonde divergenze ideologiche del nostro Paese. La decisione di destinare questi fondi alla formazione degli insegnanti sulla fertilità, anziché a corsi diretti per gli studenti, ha acceso il dibattito sull’importanza e il ruolo dell’educazione sessuale. È davvero superfluo insegnare ai giovani il rispetto di sé, la consapevolezza del proprio corpo e i principi base delle relazioni umane? Per rispondere a queste domande, possiamo guardare alle linee guida internazionali dell’Oms e dell’Unesco, che da anni indicano la strada per un’educazione sessuale completa e progressiva e rispettosa delle fasi di crescita, evidenziando un aspetto spesso trascurato: la centralità della famiglia in questo processo.

Le linee guida internazionali sottolineano che l’educazione sessuale non può essere una responsabilità esclusiva della scuola. La famiglia è il primo luogo in cui i bambini apprendono i valori, sviluppano la loro identità e imparano a relazionarsi con gli altri. Questo ruolo non si limita a fornire norme di comportamento, ma include il compito fondamentale di offrire ai giovani un ambiente sicuro in cui possano esplorare le proprie emozioni, porre domande e ricevere risposte adeguate.

La scuola, dal canto suo, fornisce un complemento indispensabile, con contenuti scientifici e metodologie educative pensate per affrontare i temi in modo sistematico e appropriato all’età. Quando famiglia e scuola collaborano, il risultato è un percorso educativo che non solo informa, ma forma i ragazzi, aiutandoli a diventare individui consapevoli e rispettosi.

Perché iniziare presto è essenziale

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’educazione sessuale dovrebbe iniziare già nella scuola primaria, idealmente tra i 5 e gli 8 anni, una fase in cui i bambini stanno sviluppando le loro prime capacità relazionali e sociali. Questo non significa esporre i bambini a contenuti inappropriati o prematuri, ma piuttosto introdurre argomenti fondamentali come il rispetto per il proprio corpo, il riconoscimento dei confini personali e la valorizzazione delle diversità. A quest’età, i bambini stanno sviluppando le loro prime capacità sociali e stanno imparando a relazionarsi con il mondo che li circonda. Inserire in questo percorso educativo temi come l’empatia e il rispetto per gli altri aiuta a costruire una base solida per affrontare le sfide emotive e relazionali che incontreranno negli anni successivi. In questo contesto, la famiglia gioca un ruolo cruciale, perché è spesso il primo punto di riferimento per i bambini.

L’idea di parlare di educazione sessuale ai bambini può sembrare controintuitiva, ma le linee guida internazionali sottolineano che il focus in questa fase è su temi semplici, come la capacità di identificare situazioni che generano disagio e la consapevolezza di poter chiedere aiuto a un adulto di fiducia. Questo tipo di apprendimento, spesso veicolato attraverso il gioco e la narrazione, non solo rafforza la sicurezza personale, ma prepara il terreno per affrontare argomenti più complessi durante la pubertà.

Spiegare il funzionamento del corpo umano (usando parole scientifiche e non dando soprannomi agli organi genitali), insegnare il rispetto dei confini personali e normalizzare il dialogo su emozioni e diversità sono compiti che i genitori possono svolgere con naturalezza, attraverso il gioco e la narrazione.

L’intervento della scuola, in questa fase, rafforza e amplia quanto appreso in famiglia. Temi come l’empatia, il rispetto per gli altri e il riconoscimento delle emozioni vengono trattati in un ambiente collettivo, aiutando i bambini a trasferire queste competenze nel contesto sociale.

La pubertà e il bisogno di risposte

Quando i ragazzi entrano nella fascia d’età compresa tra i 9 e i 12 anni, si trovano a vivere cambiamenti significativi, sia fisici che emotivi. La pubertà porta con sé trasformazioni che, se non spiegate, possono generare ansia, confusione e insicurezza. È qui che il dialogo tra genitori e figli diventa essenziale. È in questa fase che l’educazione sessuale inizia a includere argomenti più concreti, come i cambiamenti del corpo, l’igiene personale e le prime nozioni sulle relazioni interpersonali. Ma non si tratta solo di fornire informazioni biologiche: spiegare cosa sta succedendo al corpo, rassicurare sui cambiamenti e fornire un contesto per comprendere le emozioni aiuta i ragazzi a vivere questa fase con maggiore serenità.

La scuola supporta questo processo fornendo informazioni scientifiche e strumenti per gestire situazioni complesse, come il bullismo o l’inizio delle prime relazioni. Un aspetto cruciale di questa fase educativa è il consenso. Insegnare ai giovani che il rispetto dei confini altrui è fondamentale, e che il proprio corpo appartiene solo a loro, getta le basi per una vita relazionale sana e rispettosa. Per questo il ruolo della famiglia rimane centrale, perché i genitori sono spesso il primo punto di riferimento emotivo per i ragazzi. Essere presenti, ascoltare senza giudizio e offrire risposte adeguate sono modi per costruire un rapporto di fiducia che dura nel tempo.

Purtroppo, in molti contesti, questi temi sono ancora considerati tabù, e i giovani crescono senza strumenti adeguati per affrontare situazioni difficili o per proteggersi da eventuali abusi. Le linee guida internazionali insistono sull’importanza di normalizzare queste conversazioni, integrandole in un quadro più ampio di educazione alla salute e al benessere.

Adolescenza, il momento delle grandi domande

Tra i 12 e i 15 anni, l’educazione sessuale assume una dimensione ancora più centrale. È durante l’adolescenza che i giovani iniziano a interrogarsi sulle relazioni sentimentali e sul significato della sessualità. Le linee guida dell’Oms e dell’Unesco raccomandano di affrontare questi temi in modo aperto e rispettoso, offrendo ai ragazzi informazioni scientifiche e strumenti pratici per prendere decisioni consapevoli.

In questa fase, si introducono argomenti come la contraccezione, la prevenzione delle infezioni sessualmente trasmissibili e la parità di genere. Tuttavia, l’educazione sessuale non si limita alla prevenzione. Una parte fondamentale del percorso è dedicata alla costruzione di relazioni basate sul rispetto reciproco e sull’empatia. Gli adolescenti imparano a riconoscere stereotipi di genere e dinamiche di potere, acquisendo consapevolezza del loro ruolo in una società più inclusiva ed equa.

La famiglia, in questa fase, può fornire una guida preziosa, offrendo ai ragazzi una prospettiva valoriale e un contesto di supporto emotivo. Parlare apertamente di temi come la contraccezione, il rispetto delle differenze e la prevenzione delle infezioni sessualmente trasmissibili non solo informa, ma aiuta i giovani a prendere decisioni consapevoli. La scuola integra e completa questo percorso con programmi strutturati, che affrontano anche stereotipi di genere e dinamiche di potere. Quando famiglia e scuola lavorano insieme, i ragazzi non ricevono solo informazioni, ma sviluppano anche le competenze relazionali e il pensiero critico necessari per navigare nelle complessità della società moderna.

Questo approccio olistico non è solo educativo, ma trasformativo. Studi internazionali dimostrano che i giovani che ricevono un’educazione sessuale completa non solo sono meno propensi a comportamenti rischiosi, ma sviluppano anche una maggiore autostima e capacità di comunicazione.

Verso l’età adulta: scelte consapevoli

L’ultima fase del percorso educativo, rivolta ai ragazzi dai 15 anni in su, è forse la più complessa e sfidante. In questo momento, l’educazione sessuale deve affrontare temi come l’orientamento sessuale, l’identità di genere e i diritti riproduttivi, argomenti spesso oggetto di dibattiti culturali e ideologici. Tuttavia, ignorare queste questioni significa lasciare i giovani senza strumenti per comprendere e affrontare la propria realtà.

La famiglia può fornire un sostegno fondamentale, aiutando i giovani a riflettere sui propri valori e a comprendere il significato delle loro scelte. La scuola, invece, offre un quadro di riferimento scientifico e neutrale, promuovendo il rispetto per le diversità e la parità di trattamento.

Le linee guida sottolineano l’importanza di affrontare questi temi con un approccio basato sui diritti umani, che promuova il rispetto delle diversità e la parità di trattamento. Questo non solo aiuta i ragazzi a costruire relazioni più sane, ma li prepara anche a diventare cittadini consapevoli e responsabili. L’obiettivo, in questa fase, è formare non solo individui consapevoli della propria sessualità, ma anche cittadini responsabili e attenti ai diritti altrui.

Perché investire nell’educazione sessuale?

L’educazione sessuale completa, secondo i dati dell’Oms, non solo riduce il rischio di gravidanze precoci e infezioni sessualmente trasmissibili, ma ha anche un impatto positivo sulla qualità delle relazioni e sulla salute mentale dei giovani. Paesi che hanno adottato programmi completi e basati su evidenze scientifiche registrano tassi più bassi di comportamenti rischiosi e una maggiore inclusività nelle scuole. Studi dimostrano che i giovani che ricevono un’educazione sessuale di qualità non solo sono meno propensi a comportamenti rischiosi, ma sviluppano relazioni più rispettose e una maggiore consapevolezza dei propri diritti.

Il recente dibattito in Italia sul taglio dei fondi evidenzia l’importanza di un approccio integrato, in cui famiglia e scuola collaborino per offrire ai giovani un’educazione sessuale che sia al tempo stesso informativa e formativa. Privare i giovani di queste opportunità significa rinunciare a costruire una società più consapevole, inclusiva e rispettosa. Come ci insegnano le linee guida internazionali, l’educazione sessuale non è un lusso, ma una necessità per il benessere delle future generazioni.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Tutti i vantaggi dell’allattamento al seno per il bambino e...

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allattamento al seno

L’allattamento al seno è uno dei gesti più naturali e vitali che una madre possa fare per il suo bambino. Non solo fornisce i nutrienti essenziali per una crescita sana, ma diventa anche un momento di connessione profonda tra madre e figlio. Il latte materno è un vero e proprio elisir di vita, ricco di sostanze bioattive che proteggono il neonato dalle malattie e ne stimolano lo sviluppo fisico e psicologico.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il latte materno è la scelta migliore per il benessere del neonato. Raccomanda che il bambino venga alimentato esclusivamente con latte materno per i primi sei mesi di vita, per poi continuare anche dopo l’introduzione di alimenti complementari, fino ai due anni di età o oltre, secondo il desiderio della madre e del bambino. Ma perché è così fondamentale?

I benefici per il bambino

Il latte materno è un alimento completo che contiene tutti i nutrienti essenziali per la crescita sana del neonato. “Acidi grassi polinsaturi, proteine, ferro e sostanze bioattive: il latte materno è una vera e propria medicina naturale”, spiega il dottor Marco Grassi, ginecologo presso l’ospedale ‘C. e G. Mazzoni’ di Ascoli Piceno. Ma non è solo una questione di nutrizione. “L’allattamento stimola anche lo sviluppo psicomotorio e intestinale del bambino e protegge dalla comparsa di patologie come obesità, diabete di tipo 2 e disturbi gastrointestinali”, aggiunge Grassi. I bambini allattati al seno, infatti, corrono meno rischi di contrarre infezioni come diarrea, vomito e otiti, oltre a sviluppare una maggiore resistenza ai virus.

La ricerca ha dimostrato che l’allattamento favorisce anche l’acquisizione di nuove abitudini alimentari, poiché i bambini che ricevono il latte materno sono più disposti a esplorare nuovi cibi e sapori. Eppure, gli effetti positivi non si limitano alla salute fisica: il legame emotivo che si crea tra madre e figlio durante l’allattamento è profondo e fondamentale per il benessere psicologico del bambino.

I benefici per la madre

Ma l’allattamento non è solo un beneficio per il bambino. Anche la mamma raccoglie i frutti di questo legame speciale. “Oltre a favorire una ripresa più rapida dopo il parto grazie all’ossitocina, che accelera il recupero fisico, l’allattamento aiuta la mamma a tornare in forma, contribuendo alla perdita del peso accumulato durante la gravidanza”, spiega Grassi. Ma i vantaggi non finiscono qui: l’allattamento riduce anche il rischio di malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2 e osteoporosi.

Inoltre, l’allattamento al seno ha effetti positivi sul piano psicologico della madre. La produzione di ossitocina durante l’allattamento non solo favorisce l’attaccamento al bambino, ma aiuta anche a combattere la depressione post-partum, migliorando l’autostima della madre. Un gesto che, oltre a nutrire, nutre anche il cuore della mamma.

Quando l’allattamento non è possibile

Non sempre l’allattamento al seno è possibile. In alcuni casi, per motivi di salute o altre difficoltà, le madri potrebbero non essere in grado di allattare. In questi casi, è essenziale che la mamma riceva informazioni adeguate e supporto per prendere la decisione migliore per la salute del suo bambino. “La consapevolezza è fondamentale. La scelta di allattare al seno o meno deve essere fatta nel rispetto delle condizioni di salute della madre e del neonato”, sottolinea il dottor Grassi.

Come allattare correttamente: i consigli dell’esperto

Per godere appieno dei benefici dell’allattamento, è importante seguire alcune semplici regole. “Allattare ‘a richiesta’ è fondamentale, poiché il neonato ha bisogno di poppare tra le 8 e le 14 volte al giorno nei primi mesi. È il bambino che stabilisce il ritmo della poppata”, consiglia Grassi.

Anche la posizione e l’attacco sono cruciali per evitare fastidi come dolori ai capezzoli o mastite. “Una corretta postura aiuta a prevenire questi inconvenienti, e non c’è un tempo fisso per ogni poppata, è il bambino che decide quando ha mangiato abbastanza”, spiega il ginecologo. L’allattamento esclusivo al seno è altrettanto importante nei primi sei mesi, anche per l’idratazione: quando ha sete, il bambino si attacca al seno e riceve anche acqua.

Infine, è meglio evitare l’uso di tettarelle e biberon nei primi mesi, poiché potrebbero interferire con l’allattamento naturale e compromettere l’attacco del bambino al seno. E non c’è bisogno di lavare il seno dopo ogni poppata, poiché le ghiandole dell’areola provvedono già a una pulizia naturale.

In definitiva, l’allattamento al seno è una delle esperienze più belle e benefiche per la salute del bambino e della madre. “Nonostante le difficoltà iniziali che alcune donne possono affrontare, con il giusto supporto e le informazioni adeguate, l’allattamento è un’esperienza che, oltre a essere nutriente, è estremamente gratificante”, conclude il dottor Marco Grassi. Un gesto che unisce, nutre e protegge, creando un legame che dura tutta la vita.

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“Motivi comprensibili”, niente ergastolo per doppio...

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Un verdetto che lascia il paese intero attonito, una sentenza che sta scuotendo la coscienza collettiva: la Corte d’Assise di Modena ha condannato Salvatore Montefusco a 30 anni di reclusione, e non all’ergastolo come richiesto dalla Procura, per il duplice omicidio di Gabriela Trandafir e di sua figlia Renata, uccise a fucilate il 13 giugno 2022 a Castelfranco Emilia. La motivazione che ha scatenato il dibattito politico e sociale è quella della “comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il reato“, un concetto che ha suscitato indignazione tra le vittime e in ampi settori della politica.

Una sentenza che scuote

Il caso di Gabriela Trandafir e della figlia Renata ha sollevato un velo doloroso su una realtà che, purtroppo, continua a essere troppo spesso invisibile: la violenza di genere. La sentenza, emessa dalla Corte d’Assise di Modena, ha condannato Montefusco, un uomo di 70 anni, per aver ucciso la sua compagna e la figlia di lei. Sebbene l’imputato avesse collaborato con la giustizia, le attenuanti generiche, tra cui la confessione e l’atteggiamento collaborativo, sono state considerate in modo tale da ridurre la pena da quella che la Procura avrebbe voluto, ovvero l’ergastolo, a una condanna di 30 anni di carcere.

Barbara Iannuccelli, avvocata che assiste la famiglia delle vittime, ha definito la decisione “un messaggio grave”, affermando che tale sentenza rappresenta un segnale pericoloso nella lotta contro il femminicidio e la violenza di genere. Le sue parole, cariche di incredulità, riflettono la delusione per una decisione che considera in modo disgiunto le circostanze emotive dell’assassino rispetto alla brutalità del crimine stesso. “Questa sentenza ci riporta indietro nel tempo, quando omicidi di questo tipo venivano giustificati con la gelosia o le difficoltà familiari. Il messaggio che passa è grave: legittimiamo l’idea che in una situazione conflittuale, un uomo possa eliminare il problema a colpi di fucile”, ha dichiarato l’avvocato, che ha aggiunto come il testimone diretto, il figlio della vittima, avesse fornito una testimonianza cruciale nel processo.

Il caso ricorda la sentenza emessa nel 2016, che riguardava l’omicidio di Olga Matei, quando la corte d’appello aveva ridotto la pena per l’assassino, ritenuto in preda a una “tempesta emotiva” dovuta alla gelosia. Anche in quel caso, l’elemento umano, la comprensione dei motivi che avevano spinto l’autore al crimine, era stato preso in considerazione, creando un precedente che ha suscitato ampie polemiche.

Un messaggio che non può passare inosservato

L’incredulità di Iannuccelli è condivisa da numerosi esponenti politici, che non hanno mancato di esprimere il loro disappunto per la decisione dei giudici. Il ministro per gli affari regionali, Roberto Calderoli, ha commentato: “Non capisco come possano esserci motivi ‘umanamente comprensibili’ per uccidere a fucilate due donne. Come è possibile giustificare un atto così crudele? Non ho parole.” Calderoli ha aggiunto che, sebbene trent’anni o l’ergastolo possano apparire simili in pratica, è la motivazione dietro la pena a destare preoccupazione.

Anche il ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella, ha espresso forti perplessità sulla sentenza. “Se ciò che emerge dagli stralci pubblicati fosse confermato, la decisione conterrebbe elementi discutibili e certamente preoccupanti che rischierebbero di produrre un arretramento nella lotta contro i femminicidi e la violenza maschile sulle donne”, ha dichiarato. Secondo Roccella, il problema non è la pena inflitta, ma il ragionamento alla base della decisione: “Colpisce il principio secondo cui ‘la situazione familiare’ avrebbe ‘indotto’ l’imputato a compiere il tragico gesto, rendendo ‘umanamente comprensibili’ i motivi del reato. È un nesso causale pericoloso che potrebbe minare lo sforzo di cambiamento culturale contro la violenza di genere”.

La deputata del PD, Ilenia Malavasi, ha definito la sentenza “un insulto alle donne” e ha accusato i giudici di aver dato troppa importanza alle attenuanti, minimizzando le circostanze aggravanti del crimine. “Questa è la risposta che la giustizia dà alla violenza di genere? Un giudizio che riduce un duplice femminicidio a una mera conflittualità familiare? Un messaggio che rischia di legittimare la violenza maschile contro le donne”, ha detto la Malavasi, criticando l’uso di espressioni che sembrano avallare la cultura patriarcale e la giustificazione di atti violenti.

Luana Zanella, capogruppo di Avs alla Camera, ha rincarato la dose, affermando che le motivazioni della sentenza rappresentano “un pericoloso precedente” nel contrasto alla violenza di genere. “C’è ancora molto lavoro da fare per abbattere la cultura patriarcale che emerge anche nei tribunali”, ha commentato, sottolineando come una tale giustificazione possa alimentare la percezione che gli uomini possano risolvere i conflitti con la violenza.

Le critiche politiche e le richieste di cambiamento

La politica, nel suo complesso, ha risposto a questa sentenza con un coro di proteste che non lascia spazio a interpretazioni. Il Movimento 5 Stelle, attraverso la deputata Stefania Ascari, ha espresso il suo profondo turbamento per le motivazioni adottate dalla Corte d’Assise di Modena. Secondo Ascari, la giustificazione di un omicidio sulla base di “forti conflitti familiari” e di una condizione psicologica di “profondo disagio” è una riduzione inaccettabile della violenza di genere. “Queste motivazioni evidenziano le criticità di un sistema giudiziario che tende a giustificare la violenza e che non riesce a comprendere la gravità del fenomeno”, ha detto Ascari, chiedendo un cambiamento radicale nella formazione dei magistrati, degli avvocati e di tutti gli operatori del sistema giudiziario.

In una nota congiunta, le parlamentari del Movimento 5 Stelle nella commissione bicamerale di inchiesta sul femminicidio e la violenza di genere hanno sottolineato come la decisione della Corte di Assise di Modena rappresenti “un passo indietro”, soprattutto alla luce dei progressi ottenuti con le battaglie delle donne. “Questa sentenza riduce l’assassinio di due donne a un conflitto familiare”, hanno commentato le parlamentari, sollecitando la necessità di un’educazione giuridica che affronti il problema della violenza maschile contro le donne.

Anche Ilenia Malavasi, deputata del PD, ha espresso forti preoccupazioni, denunciando come il linguaggio utilizzato nella sentenza possa portare alla riabilitazione del vecchio delitto d’onore sotto nuove vesti. “Se le motivazioni della Corte non vengono correttamente interpretate e messe in discussione, rischiamo di legittimare la violenza e di dare spazio a giustificazioni che non hanno fondamento”, ha dichiarato.

Un’analisi che va oltre la sentenza

La sentenza della Corte di Assise di Modena, purtroppo, non è un caso isolato. Negli ultimi anni, si sono susseguite decisioni che hanno sollevato interrogativi sulle reali intenzioni della giustizia nel contrastare il femminicidio e la violenza di genere. La tendenza a considerare le dinamiche familiari e i conflitti come attenuanti in omicidi di questo tipo è un tema che continua a riaffiorare nelle aule di tribunale, minando la percezione di equità e giustizia per le donne.

Le critiche al sistema giudiziario sono rivolte soprattutto alla sua incapacità di trattare la violenza di genere con la necessaria severità. Le legislazioni più recenti, che hanno cercato di rafforzare la protezione delle donne, sembrano spesso non essere supportate da un’efficace interpretazione giuridica. “Le parole giuste sono fondamentali per cambiare la cultura della violenza”, ha detto Maria Elena Boschi, deputata di Italia Viva, sottolineando come il linguaggio giuridico possa perpetuare pregiudizi che vanno a minare gli sforzi per superare la cultura patriarcale.

La decisione della Corte d’Assise di Modena non è solo una questione giuridica, ma anche un problema sociale. “Le motivazioni di questa sentenza rischiano di far riemergere il delitto d’onore sotto nuove vesti”, ha dichiarato Mara Carfagna, deputata di Noi Moderati. Secondo Carfagna, l’idea che ci possano essere motivi “comprensibili” per un femminicidio mina le fondamenta di una società che dovrebbe invece proteggere le vittime e condannare senza esitazioni i colpevoli.

Le parole della sorella di Gabriela Trandafir, “l’ergastolo è per noi”, riassumono il dolore e l’amarezza di chi resta. Per i familiari delle vittime, questa sentenza rappresenta una sconfitta, non solo personale ma collettiva. È il fallimento di un sistema che, invece di tutelare le donne, sembra giustificare chi le uccide.

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Bambino inquadrato allo stadio, la scuola gli annulla la...

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Bambino Inquadrato Stadio Assenza Scuola Social

Antonio Gramsci diceva che “Il calcio è il regno della lealtà umana esercitata all’aria aperta”. Ecco, proprio l’area aperta, unita alle telecamere della televisione, ha incasinato Sammy, il giovanissimo tifoso del Newcastle che aveva saltato la scuola per andare a seguire in trasferta la propria squadra del cuore.

Non che lui se ne fosse fatto un problema, mentre celebrava a pugni chiusi e con un grande sorriso la vittoria dei Magpies a danno dell’Arsenal durante la semifinale di andata della Carabao Cup. La sua esultanza, però, è stata trasmessa in diretta televisiva e così la giustificazione apportata alla sua assenza non è stata ritenuta valida dalla scuola che ha scritto ai genitori del piccolo, presenti con lui allo stadio.

La lettera della scuola ai genitori

“Gentili genitori, vi informiamo che l’assenza di Sammy per martedì 7 gennaio 2025 sarà ora classificata come non autorizzata a causa della copertura mediatica che lo mostrava ad una partita di calcio a Londra. Non esitate a contattarci se desiderate discutere ulteriormente questo argomento”, ha scritto la scuola.

Dopo la partita, la pagina Facebook di Away Day Tours ha condiviso un’immagine di Sammy, colto in un momento di festa durante la trasmissione dal vivo, con la didascalia scherzosa che ha attirato l’attenzione di innumerevoli tifosi: “Questo giovane è stato colto a festeggiare la straordinaria vittoria del Newcastle sull’Arsenal. Ha saltato la scuola quel giorno, portando la sua famiglia a ricevere la seguente e-mail. Momenti come questi sono ciò che il calcio rappresenta. E diciamocelo, era un viaggio di geografia!”

Incluso nel post c’era lo screenshot di un’email inviata dalla scuola ai genitori di Sammy.

Le assenze in Inghilterra

Il riferimento “alla lezione di geografia” ha convinto i tifosi a schierarsi dalla parte del piccolo tifoso e della sua famiglia, ma perché l’assenza risulta ingiustificata anche se i genitori ne erano a conoscenza?

Alla base c’è una diversa disciplina della presenza scolastica. In Inghilterra, le assenze non giustificate da scuola possono comportare sanzioni pecuniarie per i genitori. Questo sistema di multe è stato implementato per incentivare la frequenza scolastica regolare e contrastare il fenomeno dell’abbandono o del disinteresse verso la scuola, aumentato considerevolmente dopo la pandemia.

Se un bambino salta la scuola senza l’autorizzazione del dirigente scolastico per almeno cinque giorni, i genitori possono ricevere una multa di £80. Se la multa non viene pagata entro 21 giorni, l’importo raddoppia a £160.

Se un genitore riceve una seconda multa per lo stesso bambino entro un periodo di tre anni, l’importo della multa sarà immediatamente di £160. Dopo la terza infrazione, le autorità possono considerare azioni legali alternative, che potrebbero includere procedimenti penali.

L’intento del governo è quello di promuovere una frequenza scolastica regolare e affrontare le disparità nelle politiche di sanzione tra diverse autorità locali. Nel 2022-2023, sono state emesse quasi 400.000 multe per assenze non autorizzate, con una prevalenza di casi legati a famiglie che prenotano vacanze durante il periodo scolastico.

Confronto con altri Paesi

In altri paesi europei, come la Francia e la Germania, esistono normative simili:

  • Francia: I genitori possono essere multati fino a €1.500 per aver portato i figli in vacanza durante il periodo scolastico senza autorizzazione del dirigente scolastico;
  • Germania: Le multe variano a seconda dello stato federale e possono arrivare fino a €1.000. Le autorità possono anche segnalare i genitori alla polizia per infrazioni ripetute.

Vista l’assenza di un solo giorno, comunque, nessuna conseguenza grave per Sammy. Anzi, un po’ di notorietà e il sorriso per la vittoria dei Magpies, che hanno battuto per 2-0 l’Arsenal e si preparano con più calma alla gara di ritorno del 5 febbraio al St. James’ Park.

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