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In Italia due under 34 su tre vivono con i propri genitori, ma non per scelta

Bamboccioni o troppo “poco ricchi”? Padoa-Schioppa o Luca Medici, alias Checco Zalone?
Dagli ultimi dati Istat emerge che sempre più under 34 italiani vivono con i genitori: due su tre sono ancora sotto il tetto della propria famiglia.

Il rapporto Annuale Istat certifica il peggioramento del trend. Il 67,4% dei giovani tra i 18 e i 34 anni che vivono con i propri genitori, un dato che dal 2002 al 2022 è aumentato di 8 punti percentuali. Traducendo i numeri in parole, il concetto è lampante: il lavoro non basta (l’Italia vive un ottimo momento sotto il profilo del livello occupazionale), servono stipendi più alti soprattutto per le nuove generazioni.

La correlazione tra lavoro e indipendenza emerge chiaramente dai dati Istat: nelle Regioni in cui c’è il picco di giovani che vivono con i loro genitori c’è anche un tasso di disoccupazione particolarmente alto in quella fascia di età. In Campania, in cui è stata registrata la quota maggiore di under 34 che abita con la famiglia, la percentuale è salita al 74,5%, mentre al Centro Nord è sotto la media nazionale, ad eccezione delle Marche, in cui il 74,5% dei maggiorenni sotto i 34 anni vive ancora con i genitori.

La povertà tra i giovani

A meno di eccezionali fortune, il lavoro resta l’unico modo per generare reddito e diventare autonomi. Diventa allora dirimente osservare che ai giovani italiani tra i 15 e i 24 anni viene riservata la metà dei tre milioni di contratti a tempo determinato. Esattamente l’opposto di cosa serve ai giovani per fare un progetto di vita credibile, senza il timore di essere schiacciati dai debiti.

Povertà e crisi demografica sono intrinsecamente collegate perché avere un figlio costa. E costa sempre di più, seguendo l’andamento del mercato che negli ultimi anni ha visto un diffuso aumento dei prezzi a cui, in Italia, non è corrisposto un aumento dei salari.

Dinamiche ancora più evidenti tra i giovani, costretti a fare una “nuova gavetta” dopo il percorso universitario che già li porta a entrare nel mondo del lavoro più tardi degli altri cittadini europei.

Il risultato è tanto logico, quanto sconfortante: in Italia più sei giovane, più sei povero. Lo dimostrano ampiamente i dati Istat relativi al 2023, da cui emerge che nella penisola l’incidenza di povertà assoluta più elevata si registra per i minori di 18 anni (il 14% rispetto al 9,8% della media della popolazione, 1,3 milioni di minori), seguiti dai 18-34enni e dai 35-44enni (11,9 e 11,8%).

Non che le altre fasce della popolazione vivano nell’oro: nel 2023 sono peggiorati gli indicatori di povertà assoluta, che ha colpito il 9,8% degli individui e l’8,5% delle famiglie raggiungendo “livelli mai toccati negli ultimi 10 anni”, come certifica lo stesso Istituto nazionale di statistica.

Le retribuzioni per i giovani

Nel corso del 2022, la retribuzione lorda media annua dei giovani 15-34 anni dipendenti nel settore privato si è fermata a 15.616 euro, ben al di sotto dei 22.839 euro complessivamente rilevati nel settore.

Il rapporto ‘Giovani 2024: Bilancio di una generazione‘ mette in luce un ulteriore aspetto: un po’ come “chi fa del male” per Alessandro Manzoni, i contratti a tempo determinato fanno male due volte ai giovani. Oltre a non dare alcuna garanzia sul futuro, infatti, in molti casi non coprono neanche un intero anno e generano retribuzioni più basse: chi ha contratti stabili guadagna in media 20.431 euro, mentre quelli con contratti a termine e stagionali si fermano rispettivamente a 9.038 euro e 6.433 euro.

Sul punto, bisogna osservare che chi ha contratti di un anno o meno non giova neanche di una rivalutazione del salario, finendo spesso disoccupato dopo la scadenza del primo periodo di lavoro.

Numeri che obbligano ad una riflessione, allo stesso modo dei due under 34 italiani su tre che vivono ancora con i propri genitori, mentre in media gli europei lasciano casa a 26,4 anni.

Va un po’ meglio nel settore pubblico dove i giovani lavoratori (15-34 anni) hanno raggiunto una retribuzione lorda media annua di 23.253 euro nel 2022, una volta e mezza quella del settore privato. Tuttavia, l’inflazione ha eroso il potere d’acquisto e le retribuzioni reali hanno registrato un -1,7% nel privato e al -7,5% nel pubblico.

Il rapporto dimostra come i giovani sentano questa pressione e subiscano l’incertezza sul proprio futuro. Le preoccupazioni legate all’ingresso nel mondo del lavoro dominano infatti nelle teste dei giovani, impauriti anche da persistenti rischi di ricatti, molestie o vessazioni sul posto di lavoro (rischi percepiti dal 17,5% dei giovani).

Sostegni per i giovani

Non mancano le misure per aiutare i giovani, a partire dallo sgravio contributivo per i datori di lavoro che assumano a tempo indeterminato o trasformino un contratto da determinato a indeterminato, assumendo un under 36.

La situazione, d’altronde, è ben nota da anni ai rappresentanti politici tanto che persino quell’infelice espressione “bamboccioni” fu usata nel 2007 dall’allora ministro dell’Economia Padoa-Schioppa per annunciare un contributo per garantire affitti agevolati agli under 30. Purtroppo per i giovani e per la demografia dello stivale non si è proseguiti su quella strada, se non con sparute iniziative locali come quella promossa un anno fa dal Comune di Milano per sostenere le giovani coppie in affitto.

Demografia e povertà

Poveri nel conto in banca (per chi ce l’ha), poveri di numero, dato che il numero dei giovani italiani continua a diminuire: già nel 2021, esclusa la Bulgaria, l’Italia aveva raggiunto la più bassa incidenza nella Ue di 18-34enni sulla popolazione (17,5% contro il 19,6% della media Ue27).

E meno soldi ci sono, meno figli si fanno nella logica di un effetto domino che travolgerà soprattutto i giovani, come ha recentemente osservato Fabrizia Lapecorella (Ocse): “Questo quadro preoccupante pone a carico delle nuove generazioni l’aumento della spesa e limita la possibilità delle giovani generazioni di beneficiare dell’investimento pubblico per sostenere la rivoluzione verde e digitale e affrontare rischi futuri e incerti”.

Grida di aiuto che restano inascoltate anche a causa della crisi demografica, che mette le nuove generazioni in posizione di minoranza oggettiva con gli annessi problemi, anche di salute mentale dei giovani che si riavvicina ai livelli della pandemia.
Oltre al crescente numero di italiani under 34 che vivono con i propri genitori, il rapporto Istat dimostra che, dopo la riduzione del 2021 (causa Covid), l’indice di salute mentale è sceso ulteriormente nel 2023 (da 68,2 del 2022 a 66,5). Poveri, pochi e tristi.

Con questo scenario, i numeri della fuga dei cervelli destano meno clamore: nel 2021, quasi 18 mila giovani laureati hanno deciso di lasciare il paese, +281% rispetto al 2011! Un esodo che dipende dalla instabilità lavorativa, ancora più grave nel Sud Italia, dove la disoccupazione giovanile è tre volte superiore rispetto al Nord.

Quindi, se avessero i soldi, i giovani lascerebbero casa?

La risposta arriva dal citato rapporto ‘Giovani 2024’ ed è chiara: affrancarsi dai genitori è una delle priorità dei giovani italiani, ma serve un lavoro stabile e ben retribuito.

Il confronto con il tenore di vita e gli stipendi con gli altri Paesi europei preoccupa i giovani italiani, particolarmente tentati dal trasferirsi all’estero nonostante le agevolazioni per tornare in Italia.

Più poco ricchi, che bamboccioni. Più Luca Medici, che Padoa Schioppa.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Se il papà mangia male è la figlia a pagarne le...

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Immagina che la salute dei tuoi figli possa essere influenzata dalla tua dieta, persino prima che nascano. E no, non parliamo dei nove mesi di gravidanza delle mamme, ma delle cattive abitudini dei papà. Questo è quanto è emerso da una recente scoperta scientifica pubblicata su JCI Insight che ha rilevato che, se un padre ha il colesterolo alto prima della nascita dei figli, le sue figlie femmine potrebbero affrontare un rischio significativamente maggiore di contrarre malattie cardiache, mentre i maschi sembrano non essere colpiti da questo effetto.

Utilizzando topi come modello, i ricercatori dell’Università della California hanno scoperto che le alterazioni nei piccoli frammenti di Rna presenti nello sperma dei padri influenzano il rischio di aterosclerosi nelle figlie. L’aterosclerosi è una condizione in cui le arterie si ostruiscono a causa dell’accumulo di grassi, colesterolo e altre sostanze, formando delle placche. Queste placche, chiamate ateromi, si sviluppano sulle pareti interne delle arterie e possono ridurre il flusso sanguigno. Col tempo, l’aterosclerosi può portare a gravi problemi di salute come ictus o malattie cardiovascolari.

Lo studio

I ricercatori hanno utilizzato topi incapaci di eliminare correttamente il colesterolo dal sangue, rendendoli suscettibili all’aterosclerosi. I topi maschi sono stati alimentati con una dieta ricca di colesterolo e poi è stato analizzato l’impatto sui loro figli.

I risultati hanno mostrato che solo le figlie femmine dei topi esposti a un alto livello di colesterolo hanno sviluppato un aumento significativo dell’aterosclerosi, mentre i maschi non hanno mostrato lo stesso effetto. Questo ha portato a indagare se ci fosse una trasmissione genetica specifica tramite lo sperma dei padri.

Il ruolo degli sncRNA

Gli scienziati hanno scoperto che gli sncRNA, piccoli frammenti di Rna presenti nello sperma, erano alterati nei topi con colesterolo alto. Questi “messaggeri” genetici sembrano trasmettere informazioni sullo stato di salute dei genitori e influenzare lo sviluppo del feto, in particolare le arterie delle figlie femmine.

Perché solo le femmine?

La ricerca non ha ancora chiarito completamente perché solo le femmine siano colpite, ma si ipotizza che gli ormoni, come gli estrogeni, possano interagire diversamente con queste informazioni genetiche, aumentando il rischio di malattie cardiache nelle figlie.

Il rischio di malattie cardiovascolari nelle donne aumenta dopo la menopausa, quando i livelli di estrogeni, che hanno un effetto protettivo sul cuore, diminuiscono. Dopo la menopausa, il rischio di malattie cardiovascolari nelle donne può superare quello degli uomini.

I tassi di mortalità femminili per questo genere di malattie sono più elevati rispetto agli uomini, specialmente in età avanzata. Le donne tendono anche a presentare sintomi diversi o meno tipici di malattia cardiaca, il che può influenzare o ritardare la diagnosi e il trattamento.

Colesterolo e il futuro delle generazioni

“Le nostre scoperte offrono nuove intuizioni su come le condizioni di salute dei genitori, come il colesterolo alto, possano avere un impatto diretto sulla salute cardiovascolare dei figli – hanno dichiarato i ricercatori dell’Università della California -. Questo studio suggerisce che i piccoli Rna presenti nello sperma possono fungere da mediatori di questi effetti, trasmettendo informazioni sullo stato di salute dei genitori e influenzando il rischio di malattie cardiache nelle generazioni future. È fondamentale considerare questi meccanismi nella prevenzione e nella gestione delle malattie cardiovascolari.”

In Italia, il colesterolo alto è una preoccupazione significativa per la salute pubblica. Secondo i dati più recenti, circa il 30% della popolazione adulta italiana ha livelli di colesterolo totale superiori ai valori raccomandati. In particolare, gli uomini tendono ad essere più colpiti, con una prevalenza di circa il 35% rispetto al 25% delle donne. Questo studio sottolinea ulteriormente l’importanza di gestire il colesterolo alto per prevenire non solo le malattie cardiovascolari, ma anche potenziali effetti sui propri figli.

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Cristiano Ronaldo: “Non pressiamo i nostri figli”, ma...

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Cosa vuoi fare da grande? Il calciatore, come papà. Oppure, il medico, l’avvocato, il notaio, l’odontoiatra…basta che sia come papà, o come mamma.

In una recente intervista rilasciata al suo amico ed ex compagno di squadra Rio Ferdinand, Cristiano Ronaldo ha parlato del suo rapporto con i figli, in particolare con il primo genito, Cristiano Ronaldo Junior. Dopo aver riconosciuto con orgoglio la competitività dei suoi figli, la stella portoghese ha invitato a non mettere troppa pressione su di loro solo perché figli di persone famose.
Una riflessione buona, in realtà, anche per chi Vip non è: tanti genitori ‘pretendono’ (a volte anche senza virgolette) che i loro figli abbiano una carriera come la propria, che facciano successo in un determinato campo, senza chiedersi quali siano le conseguenze di questa pressione sulla salute dei figli.

Cristiano Ronaldo e la pressione sui figli

Le parole pronunciate dal campione portoghese a TheFiveUk sono un monito per tutti i genitori: “Ero sul Mar Rosso un paio di giorni fa, giocando a padel tutti i giorni. Capita che io e Cristiano Jr ci arrabbiamo, non parliamo per un paio di giorni. Ecco perché sono felice, anche il piccolo Matteo sta diventando competitivo, mi piace. Dimostra che hanno personalità”. Opinabile? Decisamente.

Il 14enne Cristiano Jr sembra aver ereditato la passione del padre e gioca nelle giovanili dell’Al Nassr, in Arabia Saudita, la stessa di Cristiano Ronaldo ‘senior’. Nonostante l’attenzione di Cr7 nel non mettere troppe pressioni sul figlio, il ragazzo sta seguendo non solo la carriera del padre, ma anche le squadre in cui gioca: ha giocato anche nelle giovanili della Juventus e del Manchester United.

Cristiano Ronaldo Jr. nell’Under 9 della Juventus_fotogramma

Eppure, a quell’età non è facile avere le idee chiare su cosa fare da grande, neanche se si è figli di Cristiano Ronaldo. Anzi, la straordinaria carriera del cinque volte Pallone d’Oro potrebbe orientare le scelte prima ancora che i tempi siano maturi. Lo stesso vale per qualsiasi genitore che svolge un lavoro economicamente e socialmente apprezzato.

“In questo momento – continua l’attaccante dell’Al Nassr – Cristiano vuole diventare un calciatore, ma non gli metto troppa pressione. Ha 14 anni, ha già la pressione di essere il figlio di Cristiano Sr. Lasciamogli fare i suoi errori, ma spero che in futuro possa essere un giocatore professionista. Se non diventa un giocatore, forse farà un altro lavoro, ma lo sosterrò sempre. Non possiamo fare pressione sui nostri figli perché siamo famosi”.

Peccato che questo succeda ancora troppo spesso anche tra la gente comune.

L’impatto delle aspettative genitoriali sulla salute mentale

Un’ampia ricerca condotta dalla American Psychological Association ha rilevato che il 40% dei giovani che percepiscono una pressione costante da parte dei genitori sviluppa sintomi di ansia o depressione. Questi sintomi, collegati al desiderio di non deludere le aspettative, portano spesso a una riduzione dell’autostima e a un aumento dei livelli di stress. Non solo i genitori, spesso è la società stessa, il confronto con gli altri, il foglio bianco sulla scritta futuro a deprimere i giovani.

Uno studio del Journal of Child Psychology and Psychiatry ha confermato che circa il 30% dei bambini che si sentono sotto pressione manifesta ansia da prestazione, con particolare incidenza tra gli atleti e i giovani impegnati in competizioni accademiche o artistiche​. Molti giovani atleti hanno dichiarato di sentirsi costantemente spinti a raggiungere standard irrealistici dai propri genitori, entrando in un circolo vizioso di stress e frustrazione.

Carriere influenzate dalle pressioni familiari

Il tema delle pressioni familiari diventa ancora più complesso quando si parla di scelte di carriera. Secondo uno studio del Child Development Journal, il 60% dei figli di genitori celebri sente di dover seguire le orme dei propri genitori, anche se solo il 35% di loro è realmente interessato a quel campo. Questo scontro tra aspettative e desideri personali può portare a una mancanza di autenticità nelle scelte professionali e a una maggiore insoddisfazione.

La conferma più lampante arriva dalla University of Michigan, che in uno studio ha evidenziato che i giovani che seguono carriere imposte dai genitori mostrano un tasso di insoddisfazione professionale del 45%, contro il 28% di quelli che scelgono autonomamente il proprio percorso.

La situazione in Italia

In Italia, la pressione delle aspettative genitoriali è altrettanto rilevante. Secondo una ricerca del Centro Studi Censis, circa il 40% dei giovani italiani che provengono da famiglie di successo sente l’obbligo di seguire la stessa carriera dei genitori, anche se solo il 20% di loro ha un reale interesse per quel campo. Questo fenomeno è particolarmente evidente nel settore legale e medico, dove molti figli di avvocati e medici si sentono costretti a intraprendere le stesse professioni.

In aggiunta, un’indagine condotta dall’Università di Bologna ha rivelato che il 35% dei giovani italiani che seguono carriere imposte dai genitori sviluppa sintomi di ansia o depressione entro i primi cinque anni di lavoro. Il 45% di loro ha ammesso di provare un forte conflitto interiore, diviso tra il desiderio di soddisfare le aspettative familiari e la volontà di perseguire i propri interessi.

Quella appena descritta è una realtà tanto persistente da trovare spazio nel cinema, come accade nella brillante commedia “Se Dio vuole” scritta e diretta da Edoardo Falcone. Tommaso De Luca (interpretato da Marco Giallini) è un affermato cardiochirurgo, felice della sua vita fin quando suo figlio Andrea, studente di Medicina, rivela di voler diventare sacerdote. Un duro colpo per il padre, che ancor prima di sapere che il figlio abbandonerà definitivamente gli studi, si chiede ad alta voce: “Ma perché buttare la propria vita a fare il prete? Il prete è un mestiere anacronistico, sarebbe come fare lo spazzacamino, l’arrotino, lo zampognaro. Io non lo voglio un figlio zampognaro!”. Un momento di rabbia e delusione, magistralmente interpretato da Marco Giallini che racconta uno spaccato di vita sociale.

Le pressioni sociali e la società dell’immagine

Il problema delle pressioni genitoriali non riguarda solo le famiglie celebri, ma riflette una più ampia tendenza sociale a glorificare il successo e le performance. Un rapporto della World Health Organization ha sottolineato che il 70% dei giovani in Europa vive in contesti familiari che esaltano il successo accademico o professionale come misura principale di realizzazione personale. Questa visione riduttiva del successo, centrata sulla performance, può creare un ambiente soffocante per le nuove generazioni, già alle prese con un futuro incerto.

Secondo il Global Health Journal, un ambiente familiare più inclusivo e supportivo ridurrebbe i rischi di stress e ansia del 30%, migliorando notevolmente la salute mentale dei giovani e consentendo loro di fare scelte di carriera più consapevoli e autentiche. Possiamo scegliere da che parte andare.

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Giorgetti: “Emergenza demografica? Conseguenze sulla...

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L’emergenza demografica dovrebbe diventare un argomento nell’agenda europea. Lo ha sostenuto con chiarezza il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, in una nota diffusa al termine della sessione dell’Ecofin a porte chiuse, a Budapest, dedicata alla demografia e alle conseguenze sulla sostenibilità economica e sociale dei Paesi europei.

“Come Italia sosteniamo questa iniziativa – ha affermato Giorgetti sulla necessità di rendere comune il problema della crisi demografica -. L’auspicio è che il dibattito non si esaurisca con la denuncia di una condizione simile a molti Paesi, compresa l’Italia, ma diventi oggetto di riflessioni e proposte della commissione”.

Crisi demografica: problema europeo

“Prudentemente la commissione in questi anni non si è mai occupata di dare raccomandazioni su un tema ritenuto delicato – ha aggiungo il ministro – ma è anche vero che il Pnrr affronta diversi aspetti non secondari, come la necessità di implementare gli asili nido per rendere possibile la coesistenza della maternità con la partecipazione al lavoro. Il fattore demografico, non dimentichiamolo, ha implicazioni su moltissimi aspetti comprese produttività e crescita: quando parliamo della competitività del sistema europeo inevitabilmente dobbiamo anche ricordare che le corti giovani sono più produttive e tendono a essere più ricettive delle trasformazioni dei cambiamenti”.

Le parole del ministro arrivano in seguito alla riunione informale dei ministri dell’Economia e Finanze europei. Il think tank Bruegel ha così presentato un’analisi per sostenere con chiarezza che il calo demografico avrà conseguenze ingenti sul futuro economico dei Paesi membri.

Il calo della popolazione, in sintesi, metterà a dura prova i sistemi di welfare e le finanze pubbliche nei prossimi decenni. Dall’analisi, come riporta Reuters, è emerso che l’invecchiamento della società europea ridurrà il numero di persone con un lavoro e che pagano le tasse, aumentando al contempo il numero di coloro che percepiscono la pensione e necessitano di maggiore assistenza sanitaria.

Anche se si permettesse all’immigrazione di continuare ai ritmi attuali, una soluzione già inaccettabile per molti Paesi europei, non basterebbe a compensare il calo della popolazione in età lavorativa. In assenza di un’immigrazione netta, il numero di persone nella fascia di età lavorativa 20-64 anni in Europa diminuirà di circa un quinto, passando da 264 milioni nel 2022 a 207 milioni nel 2050.

E, anche se l’Unione europea (attualmente composta da 450 milioni di cittadini) accettasse poco più di un milione di immigrati all’anno, ciò compenserebbe meno della metà del calo della popolazione in età lavorativa.

Oltre l’immigrazione, secondo il think tank, servirà una migliore gestione dei costi dell’assistenza sanitaria e dell’assistenza a lungo termine, nonché la riforma dei sistemi pensionistici e sanitari. Secondo il rapporto sull’invecchiamento della popolazione del 2024 della Commissione europea, nel 2070 per ogni 10 persone inattive con più di 65 anni ci saranno solo 14 persone occupate, in calo rispetto alle 22 del 2022.

La proposta italiana crea polemiche

Lo stesso ministro Giorgetti, mentre sottolineava la necessità di introdurre nell’agenda europea la questione demografica, promuoveva degli sgravi fiscali a chi ha almeno due figli. Stando a quanto anticipato da Il Foglio, il ministro avrebbe esposto il progetto che mira a “cambiare le regole delle detrazioni fiscali” a favore di chi sceglie di avere figli, “anche a costo di eliminare o rivedere “le agevolazioni per chi invece non ne ha”. Il tutto a prescindere dal reddito.

In vista della manovra di Governo, si parla di maggior sussidi alle mamme dipendenti o con partita iva. Ma per tutti gli altri?

La notizia ha già attirato numerose polemiche. Sui social, infatti, si sono scagliati in molti contro la presunta decisione del ministro che – se approvata in manovra – costerà un aumento delle tasse a chi figli non ne ha.

“Noi che abbiamo quattro gatti siamo figli di un Dio minore”, scrive qualche utente su X. O ancora, si legge sui social: “Pagheranno i single? In un Paese in cui mancano servizi non dovrebbero essere prioritari asili nido accessibili e sostegno economico a chi vuole figli, ma non può permetterseli? E che fine farà chi i figli non può averli?”.

Per il momento nulla di ufficiale. Ma che la denatalità sia già un problema evidente è sotto gli occhi di tutti. “Oggi in Italia viviamo una situazione di iniquità perché non si pagano le tasse in base alla composizione famigliare ma solo in base al reddito e quindi è iniquo il fatto che una famiglia con più figli paghi le stesse tasse di una famiglia composta da una sola persona“. Gigi De Palo, presidente della fondazione per la Natalità e ideatore degli Stati Generali della Natalità, plaude alla proposta del ministro dell’Economia: “Anche perché – osserva all’Adnkronos – i cittadini di domani pagheranno la pensione anche a chi i figli non li ha voluti o non li ha potuti fare. Tutti dovrebbero tifare per questo tipo di politiche famigliari”.

De Palo riflette sull’idea del ministro: “Avendo parlato più volte con Giorgetti, so che questa cosa ce l’ha molto chiara. Ora si tratta di trasformarla insieme a tutto il governo. La natalità è una questione economica del Paese, non di un ministero della famiglia senza portafoglio. Quindi, ben venga che sia il ministro dell’Economia a fare questo ragionamento, speriamo che il governo lo segua. Il mio auspicio, – tenendo presente la levata di scudi che c’è stata attorno all’assegno unico – è che questa proposta porti ad una convergenza di tutto il Parlamento, di tutte le forze politiche perché stiamo andando verso un punto di non ritorno. O lo facciamo il prima possibile, o tutti si dovranno assumere tutte le responsabilità, non solo chi ha governato. Perché anche dall’opposizione sento una serie di ragionamenti, per esempio sulla sanità, ma l’unico modo per investire seriamente sulla sanità non è mettendo soldi sulla sanità ‘tout court’ ma parallelamente vanno messi soldi sulle famiglie per non fare andare la sanità in default”.

“Se l’opposizione farà opposizione in maniera intelligente, creando una situazione di non conflittualità su questo tema, potrà aiutare – ha concluso De Palo -. Ora c’è la proposta del ministro, c’è sempre stata la volontà politica della presidente del Consiglio, se anche l’opposizione mostra volontà politica in tal senso allora si fa strada e si cambia la storia, invertendo la tendenza”.

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