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Caso Yara, procura chiede archiviazione pm. Bossetti si oppone: “Lei ha mentito”

Contraddizioni nei verbali, Ruggeri indagata per depistaggio e frode processuale su Dna

Caso Yara, procura chiede archiviazione pm. Bossetti si oppone:

"Abbiamo chiesto che non gli sia consentito di accedere a questi reperti, né ora né mai, né per la revisione né per niente altro". La dichiarazione del pm di Bergamo Letizia Ruggeri resa alla procura di Venezia e contenuta nell'ultimo atto della difesa di Massimo Bossetti, condannato in via definitiva all’ergastolo per l'omicidio di Yara Gambirasio, sarà presto valutata dal gip Alberto Scaramuzza - lo stesso che aveva sollecitato approfondimenti sulla magistrata indagata per frode in processo e depistaggio - ma mediaticamente riaccende fin da ora l'attenzione sui campioni di Dna che la difesa ha potuto visionare solo lo scorso 13 maggio, a ormai dieci anni dal match genetico con Ignoto 1.

Il 17 luglio prossimo il gip Scaramuzza dovrà pronunciarsi sulla richiesta della procura di Venezia di archiviare l'indagine sul pm Ruggeri e sull'opposizione presentata dall'avvocato Claudio Salvagni, istanza che ha già superato il vaglio di ammissibilità. I due provvedimenti - visionati dall'Adnkronos - svelano dettagli nuovi su quella che è la prova regina contro Bossetti, ma gettano anche ombre su presunte ipotesi di dirottare il processo.

Al centro della disputa c'è la conservazione dei 54 campioni di Dna - estratti dagli abiti di Yara e contenenti la traccia mista di vittima e carnefice - spostati dal frigo dell'ospedale San Raffaele all'ufficio Corpi di reato del tribunale di Bergamo. Un cambio di destinazione che interrompendo la catena del freddo (i reperti erano conservati a 80 gradi sotto zero) potrebbe aver compromesso il materiale biologico e la possibilità di nuove analisi. Un trasferimento che sarebbe stato deciso dal pm Letizia Ruggeri senza attendere il provvedimento della corte d'Appello di Bergamo, giudice dell'esecuzione, ignorando l'allarme dei carabinieri sul rischio di deterioramento dei campioni di Dna e pregiudicando così la possibilità di un giudizio di revisione che la difesa da tempo persegue.

Cosa succede adesso - Sono due le questioni su cui il gip di Venezia dovrà fare chiarezza: se il pubblico ministero di Bergamo era consapevole che spostando i campioni di Dna avrebbe potuto comprometterne l'integrità e se questa scelta abbia avuto come fine quello di depistare le indagini.

La tesi della procura - La procuratrice aggiunta di Venezia Paola Mossa non ha dubbi: Letizia Ruggeri ha agito con "correttezza". Nelle richiesta di archiviazione di cinque pagine si ricorda che nel novembre del 2018 - poco dopo la sentenza della Cassazione su Bossetti - i carabinieri del Reparto operativo di Bergamo chiedono di indicare la destinazione dei reperti che verranno spostati in tribunale solo il 2 dicembre dell'anno successivo, a testimoniare "nessuna 'ansia di distruzione'" da parte del pubblico ministero "ma solo richieste e provvedimenti conformi al dettato normativo e alle autorizzazioni ricevute".

"E' vero che nel provvedimento di confisca la corte d'Assise fa riferimento alla non opportunità di provvedere, allo stato, alla distruzione dei reperti, e che il deposito degli stessi in luogo non dotato di congelatori ne avrebbe probabilmente alterato l'integrità; ma è altrettanto vero che quel provvedimento interviene solo il 15 febbraio 2020" quando le provette sono già da due mesi e mezzo all'ufficio Corpi di reato. Una "soluzione di prudenza da parte del giudice" i cui costi economici avrebbe dovuto comportare "l'ipotesi di una responsabilità sotto il profilo contabile per il pubblico ministero" scrive la procura. Soprattutto "non vi era poi alcuna ragione perché la Ruggeri dovesse 'temere', così da volerlo impedire, il giudizio di revisione e con esso la possibilità di pervenire a un risultato diverso. La prova scientifica su cui si fonda il giudizio di responsabilità a carico del Bossetti è risultata assolutamente solida e non vi sono elementi per ritenere che accertamenti successivi e ulteriori possano inficiarla".

Per la procuratrice aggiunta di Venezia, "i dati acquisiti durante le indagini e valorizzati in sede dibattimentale consentono di affermare la perfetta corrispondenza" tra Ignoto 1 e Bossetti, conformità che "non è stata mai posta in dubbio neanche dalla difesa" ed "è dato non superabile". Dunque "deve ritenersi privo di qualunque fondamento un interesse del pubblico ministero - la bontà del cui operato è attestata anche dalla Corte di Cassazione che riconosce a coloro che si erano occupati delle indagini ‘caparbietà e competenza’ - a sottrarre quei reperti ad accertamenti ulteriori che mai potrebbero mettere in discussione quel risultato".

Bossetti non ci sta - Di tutt'altro tono l'opposizione della difesa di Bossetti che chiede il rinvio a giudizio della pm Letizia Ruggeri, la quale "nessun diritto aveva a distruggere i campioni, provvedimento riservato esclusivamente al giudice", ordinando il 2 dicembre del 2019 il trasferimento delle 54 provette in tribunale "quando già aveva avuto conoscenza dell’autorizzazione del giudice dell'esecuzione alla difesa di esaminare i campioni", ok arrivato tre giorni prima. "Ha agito in modo consapevole (conoscendo le norme e ignorando anche l’allarme prospettatole dai carabinieri), in modo tale da rendere i reperti biologici inservibili per nuove indagini" si legge nell'istanza di 43 pagine.

Avrebbe così messo in atto "una attività criminale, un abuso inaccettabile, una violenza gratuita" distruggendo i campioni di Dna che hanno portato alla condanna di Massimo Bossetti e che, "se sottoposti a nuovo esame (ancora possibile in stato di corretta conservazione come affermato dai consulenti tecnici Lago e Casari al pm di Venezia), avrebbero potuto scagionarlo". Questi reperti "sono stati distrutti non per caso fortuito o forza maggiore, non è stata una casuale interruzione di energia elettrica a bloccare i frigoriferi in laboratorio, a provocare lo scongelamento delle provette, ma una attività ordinata da chi quei reperti li doveva, per legge, custodire. Ora, ed è confessorio, si è avuta la conferma del perché di tale volontaria e scientifica distruzione: 'abbiamo chiesto che non gli sia consentito di accedere a questi reperti, né ora né mai, né per la revisione né per niente altro'" si legge nell'istanza della difesa che riporta una frase delle dichiarazioni spontanee del 13 febbraio del 2023 del pm Letizia Ruggeri.

Le rivelazioni nei verbali - Affermazione che se legata a quella del professor Giorgio Casari davanti all'allora procuratore vicario di Venezia Adelchi D'Ippolito - "mi venne quasi spontaneo chiedere come mai allora non si accolse quella insistente richiesta della difesa del Bossetti di procedere in contraddittorio ad una nuova comparazione del Dna con il materiale (i 54 campioni, ndr) …anche perché e voglio ribadirlo anche in questa sede tale comparazione era a mio giudizio assolutamente possibile. Il professor Previderé mi ha risposto dicendomi che, in una situazione del genere, appariva più opportuno non ripetere un esame che, a fronte della scarsità del materiale genetico e di possibili contaminazioni, avrebbe potuto dare risposte ambigue e di fatto non significative vale a dire un non risultato" - rappresenta per la difesa Bossetti un'"inquietante presa di coscienza: quell'esame, se ripetuto, "non avrebbe restituito il medesimo risultato, 'smontando' così, una inchiesta dai costi esorbitanti. Ed è per questo che, a fronte di una autorizzazione 'imprevista', andavano distrutti".

Le contraddizioni a verbale - Su quelle provette chi conosce il caso non dimentica le domande fatte sempre dal procuratore D'Ippolito alla Ruggeri (riportate nella prima opposizione della difesa): "Le contesto e la porto a conoscenza del fatto che il professor Casari e il colonnello Lago (Ris di Parma, ndr) hanno qui detto, da me interrogati, che l’esame era assolutamente ripetibile e che c’era del Dna sufficiente per poter effettuare una nuova comparazione e vedere se quel Dna era effettivamente oppure no il Dna di Bossetti, che si poteva fare…".

Le risposte di Letizia Ruggeri - che spiazzano. "Ma assolutamente no, ma abbiamo tutto un processo in cui - mette a verbale la pm -…ho tutti i verbali del processo in cui è emersa una cosa completamente diversa. Ma…cioè sono anche abbastanza meravigliata". E aggiunge: "Si, certo, qualcosa magari si tira fuori, ma.. ma non.. ma non con questa certezza in questi termini con cui mi viene prospettato adesso, nel modo più assoluto. Io so che era un materiale assolutamente…cioè i rimasugli assolutamente scadente, inidoneo per qualsiasi altra comparazione e ripetizione di esame. Cioè il Dna di Bossetti, così bello, così limpido, di cui abbiamo parlato per tutte queste udienze, così inequivocabile, da quei reperti non verrà mai più fuori. Questo è quello che loro hanno detto a me. Per cui rimango veramente sorpresa".

Le provette nascoste per falsare i processi? - Per Bossetti c'è anche un'altra precedente 'colpa' della magistrata che è il volto dell'inchiesta sull'omicidio di Yara. "Non ha mai dichiarato in alcun modo, l'esistenza dei 54 reperti biologici, non l'ha fatto all'udienza preliminare, quando la difesa insisteva per giungere a un incidente probatorio, non l'ha fatto quando ha domandato di acquisire la consulenza genetica al fascicolo del dibattimento come accertamenti irripetibili, non l'ha fatto quando ha conosciuto la sentenza di secondo e terzo grado", ma "è rimasta in silenzio, in assoluto silenzio, un assordante e clamoroso silenzio" si legge nell’opposizione alla richiesta di archiviazione.

"Sono proprio quei reperti, tenuti opportunamente nascosti, per evitare la formazione della prova in dibattimento, che dovevano essere assolutamente distrutti per evitare che venisse, anche nella fase esecutiva, in superficie la verità, ovverosia che tre gradi di giudizio sono stati completamente falsati, proprio per effetto di quel 'nascondimento'". I campioni di Dna "non solo non erano esauriti, ma erano idonei per nuove analisi, come affermato dai testimoni qualificati". Un silenzio che per la difesa, che con 'sorda ostinazione' prova a riaprire il processo, ha impedito di dimostrare, e oggi rende ancora più complicato farlo, che il match tra Ignoto 1 e Massimo Bossetti è un "clamoroso errore".

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Cronaca

Superenalotto, numeri combinazione vincente oggi 4 gennaio

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Centrati due '5' che vincono 99.636 euro ciascuno

Superenalotto - Fotogramma

Nessun '6' né '5+1' al concorso del Superenalotto di oggi, sabato 4 gennaio 2025. Centrati invece due '5' che vincono 99.636 euro ciascuno. Il jackpot per il prossimo concorso sale a 55,3 milioni di euro.

Quanto costa la schedina

La schedina minima nel concorso del SuperEnalotto prevede 1 colonna (1 combinazione di 6 numeri). La giocata massima invece comprende 27.132 colonne ed è attuabile con i sistemi a caratura, in cui sono disponibili singole quote per 5 euro, con la partecipazione di un numero elevato di giocatori che hanno diritto a una quota dell'eventuale vincita. In ciascuna schedina, ogni combinazione costa 1 euro. L'opzione per aggiungere il numero Superstar costa 0,50 centesimi.

La giocata minima della schedina è una colonna che con Superstar costa quindi 1,5 euro. Se si giocano più colonne basta moltiplicare il numero delle colonne per 1,5 per sapere quanto costa complessivamente la giocata.

I punteggi vincenti

Al SuperEnalotto si vince con punteggi da 2 a 6, passando anche per il 5+. L'entità dei premi è legata anche al jackpot complessivo. In linea di massima:

- con 2 numeri indovinati, si vincono orientativamente 5 euro;

- con 3 numeri indovinati, si vincono orientativamente 25 euro;

- con 4 numeri indovinati, si vincono orientativamente 300 euro;

- con 5 numeri indovinati, si vincono orientativamente 32mila euro;

- con 5 numeri indovinati + 1 si vincono orientativamente 620mila euro.

Come so se ho vinto

E' possibile verificare eventuali vincite attraverso l'App del SuperEnalotto. Per controllare eventuali schedine giocate in passato e non verificate, è disponibile on line un archivio con i numeri e i premi delle ultime 30 estrazioni.

La combinazione vincente di oggi

Questa la combinazione vincente del concorso di oggi, sabato 4 gennaio 2025, del Superenalotto: 31, 42, 43, 63, 83, 86. Numero Jolly: 37. Numero Superstar: 86.

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Cronaca

Omicidio Piersanti Mattarella, nuova inchiesta: possibile...

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Gli inquirenti non confermano, la famiglia mantiene il riserbo. Nelle sentenze emersa la politica di rinnovamento del Presidente della Regione siciliana 'dalle carte in regola'

Piazza Piersanti Mattarella a Milano - Fotogramma

Alla vigilia del 45esimo anniversario dell'omicidio dell'ex Presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella ci potrebbe essere una svolta nell'inchiesta. La Procura di Palermo, come scrive oggi Repubblica, avrebbe iscritto nel registro degli indagati due persone indicate come i sicari del politico democristiano ucciso sotto la sua abitazione il 6 gennaio del 1980, sotto gli occhi della moglie e dei due figli. Anche se gli inquirenti, interpellati dall'Adnkronos, non confermano. Mentre la famiglia, che sulle vicende giudiziarie e sulle indagini, ha sempre mantenuto il massimo riserbo, continua su questa linea e preferisce non commentare le ultime novità.

Un politico, Piersanti Mattarella, fratello del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che alla fine degli anni Settanta aveva provato ad attuare una politica di rinnovamento, lasciando fuori dai palazzi gli intrecci con la mafia.

Le sentenze: cosa dicevano i giudici

Proprio come scrivevano i giudici nelle sentenze che si sono susseguite negli anni nei processi sugli omicidi politici. L’attività dell'ex presidente della Regione siciliana, Piersanti Mattarella, "appariva assai pericolosa", "in quanto ispirata a una genuina politica di rinnovamento, anche in virtù del controllo che aveva cominciato ad esercitare nei confronti del Comune" di Palermo.

"Fra le iniziative più innovative e rischiose adottate da Piersanti Mattarella vi era stata l’acquisizione dell’elenco dei funzionari regionali nominati collaudatori di opere pubbliche, che gli consentiva di verificare quali gruppi controllassero la materia dei pubblici appalti e di intervenire di conseguenza nel modo più efficace al fine di renderli trasparenti", si legge nella sentenza sulla strage di Bologna, nel capitolo relativo all'omicidio del Presidente "dalle carte in regola".

E ancora: con l’avvento di Piersanti Mattarella alla presidenza della Regione siciliana, "per la prima volta gli interessi affaristico-mafiosi, che col tempo si erano consolidati in seno al potere politico in sede comunale e regionale, erano stati messi in discussione (ed erano a rischio), e proprio ad opera di un esponente della Democrazia Cristiana, il partito che fino ad allora aveva detenuto il potere in Sicilia in forma indiscussa e aveva assicurato alla mafia, in un regime di sostanziale egemonia, la gestione di tutti i più importanti affari della vita economica siciliana, a cominciare dagli appalti delle opere pubbliche". In questo contesto, "la assoluta indisponibilità di Mattarella a qualsiasi tipo di compromesso poneva a repentaglio quegli equilibri tra le amministrazioni pubbliche e gli interessi mafiosi che attraverso altri soggetti era stato ormai da tempo possibile creare e mantenere".

L'omicidio

Era la mattina del 6 gennaio 1980, quando l’onorevole Piersanti Mattarella, presidente della Regione Siciliana, in occasione dell'Epifania, uscì di casa con la famiglia per recarsi a messa. Come d’abitudine, ogni volta che usciva per ragioni di carattere privato, non aveva (in quanto non voleva) la scorta. Alle 12.45, insieme al figlio Bernardo, di vent’anni, scendeva nel garage della propria abitazione, posto in fondo a uno scivolo che dava su via Libertà, distante da casa circa quindici metri, per prelevare la propria auto Fiat 132. In retromarcia si portava sul passo carraio per far salire la moglie Irma Chiazzese sul sedile anteriore e la suocera sui sedili posteriori. Il figlio stava chiudendo le porte del garage e del cancello che dallo scivolo immetteva sulla pubblica via.

"All’improvviso un giovane dell’età apparente di 20-25 anni, che indossava un piumino azzurro o blu ed era a volto scoperto, si accostava al lato sinistro della vettura e, dopo avere invano tentato di aprire la portiera anteriore, esplodeva alcuni colpi d’arma da fuoco contro l’on. Mattarella, che, seduto alla guida, si accasciava verso destra e veniva parzialmente coperto dalla moglie, che si era piegata su di lui poggiandogli le mani sul capo al fine di fargli da scudo", si legge nelle carte. "Il giovane si dirigeva verso una Fiat 127 bianca sulla quale si trovava un complice armato, con il quale parlava in modo concitato e dal quale riceveva un’altra arma, indi tornava a sparare sull’on. Mattarella dal finestrino posteriore destro della Fiat 132- si legge ancora con il freddo linguaggio burocratico - I due assassini si davano quindi alla fuga e la Fiat 127 veniva ritrovata alle successive ore 14:00, distante poche centinaia di metri dal luogo del delitto. Risultava rubata verso le ore 19:30 del giorno precedente".

Per l’omicidio fu usato, per primo, un revolver calibro 38, la cui rigatura era basata su otto righe destrorse (di possibile provenienza americana o tedesca o spagnola), e per secondo un revolver cal. 38 Special Colt, con sei impronte di rigatura sinistrorse. Come dà atto anche la sentenza di primo grado sugli omicidi politici, Mattarella era "riuscito inoltre a far varare la legge sulla programmazione regionale della spesa pubblica, attraverso la quale poteva razionalizzare e rendere costanti, ancorandoli a criteri oggettivi e di carattere generale, i vari flussi di spesa". "Tutto questo (e altro), se da un lato impediva arbitrarie attribuzioni di spesa, dall’altro andava a ledere interessi consolidati in seno alla mafia e al contesto che intorno ad essa gravitava- si legge -Posto che l’eliminazione di Mattarella era nell’interesse comune di tutte le famiglie mafiose a causa della politica che egli perseguiva, di rinnovata trasparenza nell’assegnazione degli appalti".

Negli anni, dopo l'assoluzione di Gilberto Cavallini e Valerio 'Giusva' Fioravanti, era stato fatto da alcuni collaboratori di giustizia anche il nome di un boss mafioso, Nino Madonia. Oggi ergastolano.

Il collaborante Francesco Di Carlo, sentito in sede di riapertura dell’istruzione dibattimentale, ha rivelato di avere appreso da Bernardo Brusca "che il killer che aveva esploso i colpi di arma da fuoco all’indirizzo del Mattarella si identificava nella persona di Nino Madonia… Non bisogna dimenticare che tutti i collaboranti che hanno reso dichiarazioni sugli esecutori materiali del delitto sono concordi nell’indicare il Nino Madonia come uno dei killer del Presidente della Regione siciliana. Ma quel che è più rilevante è il fatto che il Di Carlo ha riferito di avere, vedendo la fotografia sui giornali di Valerio Fioravanti, commentato con lo stesso Brusca il fatto, rilevando come il Nino Madonia somigliasse moltissimo al terrorista nero", dice la sentenza.

E oggi, a distanza di 45 anni dal terribile omicidio, si potrebbe essere a una svolta. Anche se il condizionale è d'obbligo. (di Elvira Terranova)

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Cronaca

Roma, arriva la zona rossa a Termini ed Esquilino: cosa...

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Già aumentato il livello di presenza delle forze dell’ordine nell’area

Stazione Termini - (Fotogramma)

'Zona rossa' alla stazione Termini e all’Esquilino a Roma per aumentare ulteriormente i livelli di sicurezza. Le tempistiche brevi per l’attuazione del dispositivo sono confermate da fonti del Viminale che sottolineano comunque come sia stato già significativamente aumentato il livello di presenza delle forze dell’ordine nell’area e nelle altre stazioni della Capitale.

Da inizio 2023 a oggi, infatti, sono state realizzate 198 operazioni straordinarie 'ad alto impatto', con l’impiego complessivo di 14.300 unità tra Forze dell’ordine, Polizia locale e personale di altri Enti: 158.850 i soggetti controllati, di cui 67.656 stranieri; 504 i soggetti arrestati e 1.579 quelli denunciati; 82 gli stranieri espulsi; 79 le armi sequestrate; 23.276 i veicoli controllati; 1.846 gli esercizi pubblici ispezionati e 138 i lavoratori in nero o irregolari individuati all’esito delle attività.

Zona rossa, cosa significa

'Zone rosse' sono state istituite in occasione del Capodanno in diverse città. Si tratta di aree urbane dove viene vietata la presenza di soggetti pericolosi o con precedenti penali, con i prefetti che potranno quindi disporne l’allontanamento.

Lo strumento ha già dato positivi risultati nel corso della sua prima applicazione a Firenze e Bologna dove, complessivamente, negli ultimi 3 mesi del 2024 sono stati 105 i soggetti destinatari di provvedimenti di allontanamento su 14mila persone controllate.

Le misure possono essere applicate in aree urbane come le zone della movida, caratterizzate da un’elevata concentrazione di persone e attività commerciali e dove si registrano spesso episodi di microcriminalità (furti, rapine), violenza (risse, aggressioni), vandalismo, abuso di alcol e degrado.

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