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Omicidio Senago, Impagnatiello: “Ho ucciso Giulia, ma non so il perché”

L'imputato in aula per l'interrogatorio di 5 ore

Alessandro Impagnatiello e Giulia Tramontano (Fotogramma)

L'apparenza più che i fatti. In un interrogatorio, infarcito di bugie e omissioni, Alessandro Impagnatiello sembra più interessato a difendere la sua immagine che a restituire quanto accaduto un anno fa quando uccise a coltellate la compagna Giulia Tramontano e il loro figlio, Thiago, che portava in grembo. La voce incerta, difficile da sentire nelle dichiarazioni spontanee della prima udienza del 18 gennaio, lascia spazio a un racconto ben costruito, ma poco convincente nell'interrogatorio, durato circa cinque ore. Dal banco degli imputati confessa l'omicidio e di aver nascosto il corpo, ma soprattutto ammette il suo "castello di bugie" per tenere in piedi due relazioni parallele - da un lato Giulia e dall'altro la collega di lavoro - un mare "in cui io stesso sono annegato".

Messo all'angolo dalle due donne che gli chiedono un incontro, l'ex barman si tira indietro e disvela la sua vera paura. "Chiesi di incontrarci fuori dal lavoro perché quello ero un ambiente in cui avevo una certa responsabilità, ci tenevo particolarmente alla mia immagine, alla stima dei colleghi. Avrebbero fatto crollare la mia immagine lavorativa, avrebbero fatto cadere l'ipotesi di una promozione, al vedermi umiliato e distrutto davanti ai colleghi, io mi sono opposto". L'incontro a tre, in programma il 27 maggio del 2023, diventa un faccia a faccia tutto al femminile, e nell'attesa del ritorno a casa a Senago, Impagnatiello pensa all'immagine distrutta", quell'apparenza da tutelare che torna anche pochi minuti prima di affondare il coltello contro la "donna della mia vita". 

Sono le ore 19 quando Giulia varca la porta d'ingresso del loro appartamento in via Novella a Senago. "Non era agitata né arrabbiata, ma distaccata. Parlammo, fu una conversazione molto breve, senza toni accesi perché c'era poco da dire, non era più il momento di false verità. Sarebbe tornata a Napoli e di quel bambino non avrei più avuto notizie. Continuava a dirmi che questo bambino non lo avrei più visto" racconta con lucidità il 31enne. Poi le parole diventano più incerte. "Giulia stava preparando in cucina qualcosa per sé quando sentii un piccolo lamento, si era fatta male a un dito affettando dei pomodori. Le chiesi se aveva bisogno di aiuto, ma non mi rispose". Lei raggiunge la sala per prendere i cerotti in un cassetto, mentre lui afferra un coltello da cucina e si posiziona alle spalle: "L'ho colpita all'altezza del collo, Giulia non si è difesa. Il numero di fendenti non è mai stata un'informazione a mia disposizione, solo in cella con un servizio in tv ho saputo di averle sferrato 37 colpi".

Il resto è "insensata follia" con il tentativo di far sparire il corpo di Giulia Tramontano, "di ridurla in cenere" prima cercando di bruciarla con l'alcol nella vasca da bagno, quindi, ritentando di appiccare le fiamme quando il cadavere era nel box, infine caricandolo in macchina dopo aver fatto fare la spola tra cantina e garage. E di un delitto, fatto tutto da solo, Alessandro Impagnatiello svela un dettaglio macabro: prima di abbandonarla tra le sterpaglie "andai a pranzo da mia madre in auto e in auto c'era il cadavere di Giulia".

L'imputato, reo confesso, tenta di difendersi dall'aggravante della premeditazione raccontando che il tappeto in sala non era stato spostato per il delitto "ma lavato la mattina ed era steso" e sul divano senza macchie "non l'ho coperto, né spostato. Quella notte tra il 27 e il 28 maggio (del 2023, ndr.) non ho dormito, ho ripulito tutto l'appartamento". Ma la notte del femminicidio inizia anche il tentativo di sviale le indagini con l'ex barman che risponde al telefono di Giulia fingendosi lei, con il racconto di un allontanamento volontario. Bugie che si aggiungono al precedente falso test del Dna realizzato per convincere l'altra donna che il bambino che aspetta Giulia non era suo figlio.

E Impagnatiello mente ancora quando racconta del cloroformio comprato con un nome falso, sulle ricerche fatte mesi prima con le parole 'ammoniaca feto' ma soprattutto sul veleno, trovato nel suo zaino e che, rivela l'autopsia, somministrava da tempo a Giulia tanto che anche il feto ne aveva traccia. "Ho somministrato il veleno a Giulia due volte, dopo il 4 maggio, a distanza di 2-3 giorni. Le ho messo il veleno nella bocca socchiusa, mentre dormiva, non per recare del male a Giulia, ma per provocarle un aborto. Il mio più grosso timore era che quel bambino potesse farmi perdere Giulia, l'esclusivo scopo del veleno era di interrompere l'arrivo di questo bambino".

Perché Alessandro ha ucciso Giulia? La domanda risuona nell'aula, ma la risposta non dà consolazione. "E' una domanda che mi sono fatto miliardi di volte e che continuerò a farmi altre migliaia di volte, è una domanda che non avrà mai risposta. Non ci sarà mai un motivo per questa violenza, questa aggressività" spiega mentre la mamma della vittima, Loredana Femiano, continua a seguire l'udienza guardando la foto della 29enne. E' un'"altalena di emozioni contrastanti" la gravidanza: da un lato la voglia di una famiglia, dall'altro il timore che Giulia le chiedesse di essere più presente, mettendo a rischio la carriera.

L'uomo spavaldo che "ama l'apparenza" si oppone all'interruzione di gravidanza della compagna perché "non sarei riuscito ad assumermi la responsabilità di un aborto nei confronti di Giulia, della sua famiglia e della mia". Il 31enne che vuole "essere perfetto agli occhi degli altri" e che per mesi riesce a vivere due relazioni parallele, alla fine crolla per "l'umiliazione" che la sua doppia vita può avere sulla professione.

Da un lato il barman che festeggia il babyshower e sceglie il colore del passeggino di Thiago, dall'altro l'uomo che è lusingato dalle attenzioni della collega "oggetto del desiderio di tutti, ma che sceglie me: mi sono sentito come stregato". Un doppio volto capace di mentire a lungo, anche dopo l'omicidio. "Una parte di me sapeva dove fosse Giulia ma l'altra la cercava, non credeva a quella realtà. Non sono stato sincero per alcuni mesi, fantasticavo non solo con gli altri, ma anche a me stesso". Un racconto che anche in quest'udienza, a tratti, è sembrato finzione.

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Cronaca

Donna uccisa a colpi di arma da fuoco in casa, ferito...

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E' accaduto a Vago di Lavagno (Verona). Fermato in un primo momento il marito, ma secondo alcune fonti sembrerebbe da escludere un suo coinvolgimento

Ambulanza e auto dei carabinieri  - (Fotogramma)

Una donna di 58 anni è morta oggi pomeriggio verso le 14 nella sua villetta di Vago di Lavagno (Verona) uccisa da alcuni colpi di arma da fuoco. Ferito gravemente anche il figlio di 15 anni che è stato trasportato d'ugenza all’ospedale di Borgo Trento dove versa in gravi condizioni, probabilmente nel tentativo di difendere la madre.

Il marito di 60 anni è stato fermato in un primo momento dai carabinieri di Verona, ma alcune fonti riferiscono che sembrerebbe sia da escludere un suo coinvolgimento.

Sul posto si è recato il sostituto procuratore di Verona Paolo Sachar, la polizia scientifica e i carabinieri che stanno cercando di ricostruire l’esatta dinamica dei fatti.

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Cronaca

Morto Maurizio Bologna, l’attore e regista aveva 58...

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Il decesso per un infarto fulminante

Maurizio Bologna  - (Foto dal suo profilo Facebook)

E' morto oggi per un infarto fulminante l'attore e regista palermitano Maurizio Bologna, 58 anni. "Esprimo il mio cordoglio per la prematura scomparsa dell’attore Maurizio Bologna. Oltre a essere una maschera riconosciuta anche a livello nazionale, avendo partecipato a diverse produzioni teatrali, cinematografiche e televisive di successo, Maurizio Bologna è stato uno dei grandi protagonisti nel corso dell’ultimo Festino che ha celebrato i 400 anni di Santa Rosalia. Ai familiari rivolgo la mia vicinanza e quella dell’amministrazione comunale", ha dichiarato il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla.

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Cronaca

12 minuti tempo minimo per dialogo medico-paziente, podcast...

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Presentato al congresso dell'Associazione italiana per lo studio del dolore

 - FOTOGRAMMA

Un podcast per ridurre incomprensioni tra medici e pazienti è stato presentato oggi al Congresso Aisd (Associazione italiana per lo studio del dolore) a Bergamo. Si va dai 22 minuti della Svezia e degli Usa ai 15 della Francia, ai 9 della Gran Bretagna, ai 5 di Austria e Ungheria, al minuto scarso di Paesi come Malawi e Bangladesh. L'Italia? Tra i 9 e i 12 minuti della media europea. Sono i tempi di consultazione e dialogo tra medici e pazienti rilevati da una ricerca del 'British Medical Journal' in 67 Paesi del Mondo. Secondo l'Organizzazione mondiale delle sanità 12 minuti è il tempo minimo necessario per stabilire una relazione efficace. E si chiama proprio così, '12 Minuti', il podcast ideato da Helaglobe e realizzato partendo dalle storie reali raccolte da medici e professionisti sanitari e dalle oltre 70 associazioni e federazioni di pazienti nel progetto 'Insieme Per'. Un podcast per ridurre incomprensioni e limitare aggressioni nelle intenzioni degli autori.

Il podcast in 10 puntate è stato presentato oggi da Davide Cafiero, managing director Helaglobe, e Gabriele Finco, presidente Aisd. La serie utilizzerà lo schema della simulazione con sceneggiatori, attori e doppiatori professionisti della Milk Studios. Si andranno a ricreare i momenti di incontro e di scontro nei diversi step del percorso di cura e in setting ben definiti. Gli autori hanno recitato oggi alcune scene leggendo reali dialoghi tra pazienti e medici e ottenendo una grande partecipazione emotiva dei presenti.

"Il tempo e i 12 minuti sono un elemento decisivo, ma non l'unico che influenza il rapporto tra pazienti e professionisti sanitari - sottolinea Cafiero - Nelle nostre ricerche abbiamo capito che è necessario anche dare voce al 'non detto'. Mettere, cioè, in condizione entrambi i soggetti della diade medico-paziente di 'ascoltare' cosa sta vivendo/pensando l'altro nel momento dell'interazione verbale. E' questo il punto di forza di questo progetto e al termine della sua diffusione misureremo scientificamente se ha prodotto risultati efficaci".

Dalla ricerca che darà vita al podcast è emerso, ad esempio, che i pazienti lamentano "non adeguate competenze" da parte dei clinici nei momenti di interazione che hanno lungo il percorso di cura (alla comunicazione di diagnosi, alla definizione di terapia, agli incontri successivi). Ma esplorando anche il punto di vista del medico, è stato segnalato un deficit in capo al paziente: l'incapacità di quest'ultimo di comprendere i vincoli e le regole che 'costringono' il medico e che lo inducono ad assumere (o non assumere) certi comportamenti. Da questo 'gap' enorme di empatia e comprensione reciproca nascono insoddisfazione, frustrazione e, purtroppo, in alcuni casi episodi di rabbia e violenza di cui sono vittima medici e professionisti sanitari soprattutto nei pronto soccorso.

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