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TOMORROW – Trump, processo al traguardo: oggi le arringhe in aula

Da domani, mercoledì 29 maggio, giuria in Camera di Consiglio: il verdetto potrebbe arrivare entro la fine della settimana

Donald Trump (Fotogramma/Ipa)

Entra nelle fase finale oggi il processo a New York contro Donald Trump per i soldi versati alla porno diva Stormy Daniels. Da oggi iniziano, infatti le arringhe finali, prima quella della difesa e poi quella dei procuratori dell'accusa che dovranno convincere la giuria che l'ex presidente è colpevole dei 34 capi di imputazione, contestati per aver falsificato dichiarazioni finanziarie e violato la legge elettorale, per coprire i 130mila dollari, pagati nel 2016 dal suo allora avvocato Michael Cohen per pagare il silenzio di Daniels sul rapporto sessuale, avuto con il tycoon.

L'attesa per le arringhe

Le arringhe arrivano dopo quattro settimane di processo, 20 testimoni, con l'attenzione maggiore rivolta alle testimonianze di Daniels e Cohen, principali accusatori di Trump, in particolare per i dettagli scabrosi rivelati dalla donna riguardo il suo incontro con Trump, contestati dalla difesa come non rilevanti.

Nelle arringhe finali si ritiene che la difesa continuerà a martellare su questo, come sulla inattendibilità come teste sia di Daniels che, in particolare, di Cohen, che è stato condannato per diversi crimini, tra i quali falsa testimonianza sempre in collegamento con questa vicenda Secondo gli esperti legali citati dalla Cnn, i procuratori invece avranno il compito durante l'arringa finale di cucire insieme tutti i pezzi, per dimostrare che anche gli elementi che la difesa ha contestato come non attinenti al caso, puntano alla colpevolezza di Trump.

L'ex procuratrice di New York, Bernarda Villalona, pensa che l'accusa userà l'arringa finale per "raccontare la storia sin dall'inizio", prevedendo quindi che potrà durare diverse ore, a differenza di quella iniziale che durò appena 40 minuti. Non mancheranno anche elementi visivi, come dei veri e propri Power Point per cercare di illustrare con maggiore evidenza ai 12 giurati quelle che si ritengono essere le prove cruciali.

La giuria e il verdetto

Concluse le arringhe finali, il giudice Juan Merchan si rivolgerà alla giuria, dando loro le istruzioni su come valutare e decidere sui capi di accusa, contestati a Trump. E, poi, questo potrebbe succedere già domani, mercoledì 29 maggio, secondo il programma del giudice, i giurati inizieranno le loro deliberazioni sul primo processo penale contro un ex presidente degli Stati Uniti, che ora è di nuovo candidato alla Casa Bianca.

Nel caso dovesse essere considerato colpevole dei 34 capi di imputazione, Trump potrebbe andare anche incontro a una pena detentiva, nell'ordine di alcuni mesi di prigione, secondo l'ex U.S. attorney Harry Litman, intervistato Npr che, però, ritiene che "assolutamente non verrebbe applicata prima di novembre". Passano, infatti, solitamente un paio di mesi tra il verdetto e la sentenza emessa dal giudice, senza contare che Trump presenterebbe immediatamente ricorso congelando così l'applicazione della pena.

Litman ritiene che siano pari a "zero" la possibilità che Trump venga assolto, anche a causa dell'estrema politicizzazione che l'ex presidente ha fatto del processo, usato come piattaforma mediatica ed effettiva - considerando che l'aula si è trasformata in una passerella di leader ed esponenti repubblicani volati a New York per dimostrare solidarietà al candidato presidenziale - per la campagna elettorale.

Non bisogna dimenticare che c'è una terza possibilità, cioè quella che la giuria non riesca a trovare l'unanimità, la cosiddetta hung jury, che costringerebbe il giudice a dichiarare mistrail, ossia l'annullamento del processo, cosa che Trump rivendicherebbe come una vittoria anche se la vicenda potrebbe essere non chiusa per lui. La procura di Manhattan potrebbe infatti decidere di istruire un altro processo, ma - secondo Litman - sarebbe difficile che questo avvenisse prima delle elezioni di novembre, dopo le quali si potrebbe trovare nelle condizioni di procedere contro un presidente eletto.

Per quanto riguarda i tempi, secondo Litman la decisione della giuria potrebbe arrivare anche in settimana, magari entro venerdì pomeriggio. Ma le deliberazioni potranno continuare anche la prossima settimana, e questo sarebbe un'indicazione dei disaccordi tra i giurati che farebbe aumentare le possibilità di un mancato verdetto.

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Esteri

Cercapersone e walkie talkie esplosi, Libano nel panico: la...

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Civili sono terrorizzati dal fatto che dispositivi di uso quotidiano possano esplodere in qualsiasi momento

Militari libanesi - (Afp)

Una psicosi collettiva sta dilagando in Libano dopo le due ondate di attacchi contro Hezbollah con walkie talkie e cercapersone esplosivi che hanno causato decine di morti e migliaia di feriti. L'operazione non rivendicata, ma che in molti hanno attribuito al Mossad, ha anche provocato danni gravissimi agli occhi di molti sopravvissuti, tra cui l'ambasciatore iraniano a Beirut, Mojtaba Amani. Gli ospedali sono saturi e il Paese - già da tempo alle prese con una devastante crisi economica e politica - è in preda al panico.

I civili sono terrorizzati dal fatto che dispositivi di uso quotidiano possano esplodere in qualsiasi momento. E le voci girano ormai senza alcun freno causando ancora più caos. "Si dice che potrebbero esplodere i pannelli solari, le batterie, i frigoriferi, qualsiasi cosa", ha scritto il giornalista Hassan Harfoush sul Daily Mail. "Ho persino detto ai miei genitori di prendere un estintore, nel caso in cui qualcosa esplodesse in casa", ha aggiunto Harfoush che ha descritto le scene dell'orrore - con corpi e volti dilaniati - a cui si è assistito negli ultimi giorni.

I libanesi, scrive la stampa locale, hanno iniziato ad adottare misure drastiche per proteggersi, spegnendo i cellulari, gettando via i dispositivi elettronici e strappando le batterie dai walkie-talkie per il timore che possano essere stati manomessi con esplosivi. In alcuni casi, le persone hanno staccato gli elettrodomestici, persino spento i router wi-fi. Intanto una fonte dell'intelligence statunitense ha rivelato ad Abc News che l'operazione per fabbricare i device esplosi era stata pianificata da almeno 15 anni, coinvolgendo società fittizie.

Una delle principali conseguenze a lungo termine di quanto accaduto sarà che Hezbollah "ora dovrà condurre una caccia alle streghe all'interno dell'organizzazione", ha commentato a Sky News il ricercatore su terrorismo e politica mediorientale, Magnus Norell, evidenziando come la "vittoria tattica per Israele" sia stata "l'interruzione dei sistemi di comunicazione di Hezbollah in un colpo solo".

Ma i nervi dei libanesi sono messi a dura prova anche dal rischio concreto che le esplosioni dei walkie talkie e dei cercapersone siano, come molti osservatori sostengono, il preludio a un'operazione militare su larga scala dello Stato ebraico contro Hezbollah. Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha parlato di una "nuova fase" della guerra, il cui baricentro si sposterà inevitabilmente da Gaza verso il confine nord con il Libano. Il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, nel suo atteso intervento ieri ha definito l'operazione di Israele "un'operazione di guerra".

La tensione è altissima. Aerei militari israeliani hanno sorvolato Beirut, a bassa quota e a velocità superiori di quella del suono, mentre Nasrallah teneva il suo discorso. Negli stessi minuti Hezbollah ha colpito almeno quattro nel nord dello Stato ebraico. Nella notte, poi, c'è stato uno dei più intensi attacchi israeliani nel sud del Libano dal 7 ottobre. L'agenzia libanese Nna sostiene che siano stati condotti 52 raid e le Idf hanno comunicato di aver colpito 100 lanciatori di razzi.

Il punto sulla crisi

L'escalation sembra davvero un passo, ma nella comunità internazionale si ritiene ci sia ancora una finestra di opportunità per risolvere la crisi pacificamente. "Abbiamo parlato a lungo di ciò che accade in Medio Oriente, con grande preoccupazione, ma anche convinti che ci possa ancora essere lo spazio per iniziative diplomatiche'', ha dichiarato ieri sera a Parigi il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, al termine della riunione del formato Quint - con i rappresentanti di Usa, Germania, Francia e Gb - incentrata sulla crisi in Medio Oriente. "Una strada diplomatica esiste", ha confermato il presidente francese, Emmanuel Macron, rivolgendosi ai libanesi e sottolineando che "la guerra non è inevitabile".

Mosca, invece, ha messo in guardia dagli "effetti catastrofici" dell'attacco che ha falcidiato Hezbollah, dicendosi "profondamente preoccupata dai pericolosi sviluppi" in Libano. "Siamo convinti che l'avvio di una operazione militare su vasta scala in Libano avrebbe le conseguenze più distruttive per la sicurezza dell'intero Medio Oriente. E' necessario evitare tale scenario catastrofico", ha affermato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova.

Dall'Iran - che non dimentica anche l'uccisione a luglio del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh - è arrivata invece l'ennesima minaccia di rappresaglia contro Israele, stavolta attraverso il potente capo dei Guardiani della Rivoluzione. Israele riceverà una "risposta terribile" per i suoi attacchi contro Hezbollah, ha tuonato Hossein Salami, denunciando "il crimine atroce commesso dal regime sionista a causa della sua disperazione e dei suoi fallimenti".

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Esteri

Nuovi raid aerei di Israele nel sud del Libano –...

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(Fotogramma/Ipa)

Nuovi raid aerei di Israele contro il sud del Libano. Distrutti centinaia di razzi pronti per essere lanciati in territorio israeliano, e altre infrastrutture militari. I media libanesi denunciano che ci sono stati fra i 50 e i 70 attacchi aerei, concentrati in brevissimo tempo, e che quella di ieri è stata l'operazione più pesante dall'inizio del conflitto a Gaza lo scorso ottobre. Il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant ha anticipato che le azioni militari contro Hezbollah "proseguiranno" e ha parlato di "una nuova fase della guerra".

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Esteri

Israele-Libano, rischio escalation preoccupa Usa e Russia:...

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Wsj: "Pentagono non esclude operazione di terra Tel Aviv nel prossimo futuro". Ma Washington teme che la situazione possa andare fuori controllo

Carro armato israeliano - (Fotogramma)

Crescono i timori per l'avvio di una operazione militare di terra delle forze israeliane nel sud del Libano nel prossimo futuro. Ad essere preoccupati sono non solo gi Usa, ma anche la Russia, che parla di "conseguenza catastrofiche".

Secondo quanto scrive il Wall Street Journal, nei giorni scorsi ne ha parlato il segretario della difesa Lloyd Austin e l'attacco contro Hezbollah con cercapersone e walkie talkie esplosivi dà sostanza a tali timori. Austin e il dipartimento di stato hanno insistito nel sollecitare Israele a dare più tempo alla diplomazia, ma gli Stati Uniti temono che la situazione possa andare fuori controllo.

Russia: "Da operazione vasta scala effetti catastrofici e conseguenze in regione"

Da Mosca a parlare è la portavoce del ministero degli esteri russo, Maria Zakharova. "Date le dimensioni e le potenziali conseguenze degli eventi in corso, siamo profondamente preoccupati dai pericolosi sviluppi in Libano", ha affermato, denunciando le esplosioni dei dispositivi in dotazione agli esponenti di Hezbollah come "cyber attacchi di terrorismo". "Siamo convinti che l'avvio di una operazione militare su vasta scala in Libano avrebbe le conseguenze più distruttive per la sicurezza dell'intero Medio Oriente. E' necessario evitare tale scenario catastrofico", ha aggiunto. Mosca esprime la sua disponibilità per "strette interazioni con partner regionali e internazionali per ridurre le tensioni e stabilizzare la situazione militare e politica".

Wsj: improbabile accordo Israele-Hamas entro fine mandato Biden

Intanto, sempre dalla pagine del Wall Street Journal, alti funzionari statunitensi hanno ammesso che è "improbabile" che Israele e Hamas raggiungano un accordo prima della fine del mandato del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Questo dopo che per mesi diversi esponenti dell'Amministrazione hanno indicato che un cessate il fuoco e un accordo per il rilascio degli ostaggi sia a portata di mano.

La Casa Bianca ha precedentemente affermato che le parti in conflitto hanno già accettato il "90%" del testo dell'accordo, quindi ci sarebbe la speranza di una svolta. Ma diversi funzionari di alto livello della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato e del Pentagono sono piuttosto scettici in merito a un via libera definitivo. "Nessun accordo è imminente" e "non sono sicuro che verrà mai raggiunto", ha affermato uno dei funzionari statunitensi.

Le fonti hanno spiegato che dietro il loro pessimismo ci sono diversi motivi. Il numero dei prigionieri palestinesi che Israele dovrebbe rilasciare in cambio degli ostaggi era uno dei nodi principali, ma si è ancora più complicato dopo la morte di sei rapiti, tra cui un cittadino americano. E l'attacco di due giorni a Hezbollah con cercapersone e walkie-talkie esplosivi, seguito da raid aerei israeliani, ha reso molto più probabile la possibilità di una guerra totale, complicando la strada per una soluzione diplomatica con Hamas.

Un altro problema è che, secondo i funzionari dell'Amministrazione Biden, Hamas prima avanza delle richieste e poi si rifiuta di dire "sì" dopo che gli Stati Uniti e Israele le accettano. L'intransigenza ha frustrato i negoziatori, che ritengono sempre di più che la fazione palestinese non sia seriamente intenzionata a concludere un accordo. I critici hanno anche accusato il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, di sabotare il processo, in parte nel tentativo di placare l'estrema destra della sua coalizione di governo.

Di conseguenza, l'umore all'interno dell'Amministrazione e in Medio Oriente è cupo come non lo è mai stato negli ultimi mesi. "Non c'è alcuna possibilità che accada ora - ha aggiunto un funzionario di un Paese arabo poco dopo l'operazione contro Hezbollah - Tutti sono in modalità attesa fino a dopo le elezioni. L'esito determinerà cosa può accadere nella prossima Amministrazione".

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