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70 anni da vegetariano, la scelta dell’attore 89enne Edoardo Torricella

"Chi non mangia carne ha qualcosa in più dal punto di vista intellettuale"

Edoardo Torricella

Ha lavorato con Roberto Rossellini, Marco Bellocchio e Federico Fellini. Dal 1968 al 2018 ha fondato e diretto la compagnia teatrale 'Il Gruppo'. Edoardo Torricella, attore e anche regista, che domani spegnerà le 89 candeline, ha festeggiato i 70 anni da vegetariano. A soli 19 anni l'attore - nato a Milano e che tra le varie interpretazioni vanta anche il San Paolo negli 'Atti degli Apostoli' di Rossellini - nel 1954 decide di astenersi dal mangiare carne e pesce, manifestando così la vicinanza agli animali. "E' stata una scelta di vita, ero appena maggiorenne e mi sono posto il problema: sono nato qui dove mangiamo in un certo modo, le origini emiliane dove lo zampone era di casa, ma a mille chilometri la mucca è sacra, il maiale anche, perché devo mangiare i cadaveri degli animali?". Così Torricella si racconta all'Adnkronos Salute. "Chi non mangia carne, è una mia considerazione dopo 70 anni, ogni 7 anni fa uno scatto intellettuale: è più portato verso l'armonia. Dovrebbero provarlo tutti", suggerisce.

"All'epoca - spiega - la mia famiglia era preoccupata: 'Crescerà questo ragazzo?', si chiedevano. Io decisi di darmi un anno, ne avevo 18, e vedere come sarebbe andata senza la carne e il pesce. Ho approfondito anche l'aspetto scientifico dell'essere vegetariano, ho studiato. Vedendo che poi tutto andava bene, a 19 anni ho scelto definitivamente". Oggi che l'essere vegetariani, vegani o crudisti è quasi di moda, cosa pensa della sua scelta fatta 70 anni fa? "Io vedo che ci sono giovani che tendenzialmente lo vogliono fare, ma poi lo fanno superficialmente - risponde il maestro - Anche negli anni '60 era così con gli hippy. Ma come facciamo nel terzo millennio a mangiare ancora i cadaveri degli animali? Mi fa piacere che i giovani si avvicinano alla dieta vegetariana, ma deve essere una scelta di vita, come la mia".

Ad esempio, a pranzo cosa ha mangiato? "Pasta e fagioli che ha quasi tutti gli amminoacidi che servono all'uomo, è la carne dei poveri, poi una frittatina con l'insalata e due mandrini. Sono a posto e non ho ucciso nessun animale". L'anno scorso il Consiglio dei ministri ha concesso il vitalizio a Torricella, l'assegno previsto dalla legge Bacchelli per i cittadini illustri nel mondo delle arti e della cultura che versino in stato di necessità economica.

Per far capire come fosse avanti rispetto ai tempi la scelta di Edoardo Torricella di essere vegetariano, basta citare un episodio della sua carriera. "Negli anni '70 - ricorda - proposi alla Rai un radiodramma che si chiamava 'Mutante K12', dove si affrontava con toni surreali anche il tema dell'essere vegetariano. Non se ne fece nulla. Allora interessavano di più altri temi come l'operaismo, si pensava che gli operai potevano insegnarci ad essere attori. Sappiamo come è andata a finire". Oggi il maestro Torricella sta lavorando ad una autobiografia. "Sto scrivendo un libro che parla di me con delle considerazioni sulla vita e altro, anche dell'essere da 70 anni vegetariano. Una scelta che rifarei", conclude.

Torricella negli anni ha espresso diverse scelte di rottura anche come artista, con le esperienze del Teatro d'Avanguardia fin dal 1961 con Carmelo Bene, e poi con il Teatro del Nonsenso o il Teatro Aereo, e nello stesso tempo con Peppino De Filippo. Ha lavorato per la Rai interpretando lo 'scomodo' Don Lorenzo Milani o il folle Matematicus con Bellocchio e il professore Russo in 'Giulietta degli Spiriti' di Fellini.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Cronaca

Il discorso del generale Masiello piace agli esperti...

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Il Capo di Stato Maggiore ha detto ieri che "l'esercito è fatto per prepararsi alla guerra"

(Fotogramma)

Se gli utenti social si sono divisi, tra gli esperti raccoglie approvazione il discorso del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, generale di Corpo d'Armata Carmine Masiello, che all'inaugurazione dell'anno accademico e scolastico degli istituti di formazione dell'Esercito ha sferzato i commilitoni dicendo che "l'esercito è fatto per prepararsi alla guerra".

Il generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica militare e attuale presidente della Fondazione Icsa, commenta all'Adnkronos: "Il nostro è un Paese in cui passa inosservato un ministro della Difesa emerito che, senza batter ciglio, pensa e si adopera per riconvertire l'esercito in una costola della Protezione Civile, o dove i militari impiegati in supplenza per una funzione propria del ministro dell'Interno, quella dell'ordine pubblico e della sicurezza, eccedono per numero quelli impiegati nelle decine di missioni internazionali, o dove chiunque si senta in pericolo per carenza di controllo del territorio, crimini di strada e così via invoca l'intervento dell'esercito e si allarma invece quando un capo di Stato Maggiore richiama l’attenzione generale sulla missione propria delle Forze Armate, relegando implicitamente e giustamente tutto il resto a supporto -doveroso- in situazioni di emergenza".

"La polemica alimentata dalle parole del generale Masiello è certamente il segno di una incultura della difesa dominante, conosciuta, dura da combattere ma in qualche maniera scusabile - continua il generale Tricarico -. Ciò su cui invece non dovrebbero essere ammesse attenuanti è la scarsa o nulla attenzione che larga parte del mondo della politica dedica alle Forze Armate, non fosse altro che per il fatto che esse ogni anno spendono più di trenta miliardi di denaro pubblico, per l’impiego del quale non si sentono che stucchevoli, dilettantesche e superficiali considerazioni non degne neppure di un bar. Quanti ospedali si potrebbero costruire con un F35 o cose di questo tipo?". "Quando il mondo brucia e un pensiero serio su come gestire questa transizione al buio è doveroso in tutti, soprattutto da parte di chi è alla guida della cosa pubblica - prosegue il generale Tricarico -. Bene ha fatto quindi Masiello a sfidare l'ipocrisia dominante e a richiamare implicitamente l'attenzione sui doveri elusi da parte di molti".

"L'auspicio pertanto è che la polemica suscitata si tramuti in un confronto serio su come gestire questa fase della nostra storia mai così densa di insidie e che le dichiarazioni sintetiche e di carattere generale del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito vengano 'spacchettate' in approfondimenti concreti sul futuro della nostra Difesa e sulla collaborazione internazionale, ad iniziare dall’ambito europeo, abbandonato anche esso ad un vasto quanto vacuo coro declaratorio privo di alcuna concretezza", conclude il generale Tricarico.

Secondo il generale Marco Bertolini, già comandante del Coi e della Folgore, Masiello ha "dato voce a una realtà che prescinde dalla situazione attuale. Non vedo nelle sue parole un assurdo richiamo alla necessità della guerra o addirittura l'auspicio di un conflitto che tutti speriamo non ci sia. Vedo semplicemente un richiamo alla realtà".

"Le forze armate - sottolinea il gen. Bertolini - servono a prepararsi per la guerra, senza la prospettiva della quale sarebbe sufficiente una buona forza di polizia o una buona protezione civile; e a tale eventualità si devono preparare, acquisendo così capacità che se necessario possono essere utili anche in altri contesti, come in caso di calamità naturali, come dimostrato ripetutamente, o nelle cosiddette operazioni di pace". "A livello nazionale c'è stata un'interpretazione ideologica del dettato costituzionale - continua il gen. Bertolini - secondo cui con l’articolo 11 l'Italia non si limita a ripudiare la guerra, ma ad 'abolirla' addirittura, facendo ipocritamente finta che si tratti di un fenomeno del passato, anacronistico, che non ci riguarda. Ma se fossimo stati più onesti con noi stessi, avremmo già visto con la guerra nei vicinissimi Balcani e con quelle conseguenti alle 'primavere Arabe', che riguarda anche i nostri tempi e la nostra area geografica ".

"L'esercito basa la propria efficacia sulla tecnologia, ma anche e ancora sulla massa, principio essenziale dell’'arte della guerra' come dimostra il conflitto in Ucraina. In altre parole, c'è bisogno di molti uomini - sottolinea il gen. Bertolini – addestrati e forti fisicamente, nonché motivati a perseguire gli interessi del proprio paese. Invece, l'Esercito è stato anemizzato dal punto di vista numerico, ridotto a un contenitore di ‘professionisti’, mettendo in sordina dal punto di vista semantico il termine 'soldato' per sostituirlo con 'volontari' o con i retorici richiami alle 'donne e uomini delle Forze armate', come se si trattasse di un’attività lavorativa qualsiasi. Che si sia arrivati all’assurdo dei sindacati per un’attività che si distingue dalle altre proprio per la loro assenza, era quindi prevedibile". "Se ci fosse bisogno, non potremmo improvvisare il reclutamento di ingenti quantità di uomini - prosegue il gen. Bertolini – ma non abbiamo più riserve a cui attingere, avendo abolito la leva che le produceva e lo strumento è fatto da quelli che definiamo ‘volontari’ o ‘professionisti’, come se il termine ‘soldato’ puzzasse, sempre più vecchi, mentre la guerra è roba per giovani, purtroppo". "Masiello ha dato voce, approfittando delle preoccupanti contingenze attuali, a una realtà che per gli addetti ai lavori era nota da sempre ma non si poteva proclamare a chiara voce perché turbava l'opinione pubblica", ha concluso il gen. Bertolini.

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Cronaca

Cancro seno, 1 donna su 3 interrompe la terapia ormonale...

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Cinieri (Fondazione Aiom),: "Con mancata aderenza aumenta probabilità di ricadute e morte". Al 26esimo congresso nazionale Aiom lanciata prima campagna di informazione"

Cancro seno, 1 donna su 3 interrompe la terapia ormonale rischiando una recidiva

Una donna su tre con tumore della mammella interrompe la terapia ormonale. Dal primo al quinto anno dall’inizio della cura, la percentuale di adesione diminuisce del 25,5%. Con gravi conseguenze, sia per la paziente perché la mancata aderenza determina un aumento del rischio di recidiva e di morte, che per il servizio sanitario per i maggiori costi per le cure e le ospedalizzazioni determinati dal ritorno di malattia. I dati emergono dalla revisione sistematica pubblicata sulla rivista 'The Breast', in cui sono stati analizzati 26 studi, in ognuno dei quali sono state prese in esame in media più di 5.000 pazienti con carcinoma mammario, valutando l’aderenza al trattamento ormonale adiuvante, cioè successivo alla chirurgia, e la persistenza in terapia per i cinque anni di solito raccomandati. Risultati confermati anche dal sondaggio su 1000 donne con tumore del seno. Il 35% afferma infatti di non considerarsi aderente alla terapia ormonale (il 18% non lo è completamente, il 17% solo talvolta). Le cause? Paura degli effetti collaterali, dimenticanza, ignoranza dei reali benefici della terapia o aspetti psicologici. E quasi la metà (47%) non sa che la mancata aderenza può causare la recidiva della malattia.

Per migliorare il livello di consapevolezza delle pazienti sull’assunzione delle cure ormonali nelle dosi e nei tempi indicati dall’oncologo, Aiom e Fondazione Aiom promuovono la prima campagna nazionale di informazione sul tema, che include, oltre al sondaggio, un opuscolo distribuito nei principali centri di oncologia, webinar per i pazienti e attività social. Il progetto, realizzato con la sponsorizzazione non condizionante di Lilly, è presentato oggi al 26esimo Congresso nazionale Aiom, in corso a Roma.

Nel 2023, in Italia, sono stati stimati 55.900 nuovi casi di carcinoma della mammella, il più frequente in tutta la popolazione. La terapia ormonale è indicata nelle forme ormonosensibili, che costituiscono circa il 70% del totale. "La terapia adiuvante, cioè successiva alla chirurgia – afferma Saverio Cinieri, presidente di Fondazione Aiom - può essere considerata uno dei maggiori successi in oncologia negli ultimi trent’anni. Ciononostante, si stima che una paziente su tre non assuma la terapia ormonale adiuvante come prescritto dal medico. Questa condizione è associata a un aumento del rischio di recidiva e della mortalità e, più in generale, degli interventi di assistenza sanitaria, rappresentando un danno sia per i pazienti che per il sistema. Maggiore aderenza significa minor rischio di ospedalizzazione, minori complicanze associate alla malattia, maggiore sicurezza ed efficacia dei trattamenti, incremento della sopravvivenza e riduzione dei costi per le terapie. È importante che le pazienti siano consapevoli dei benefici della terapia adiuvante e siano informate su tutti gli aspetti della terapia: durata, scelta dello schema di trattamento ed entità degli effetti collaterali. Oggi esistono cure non solo molto più efficaci di un tempo, ma anche in grado di migliorare la qualità di vita".

In base al sondaggio promosso da Aiom e Fondazione Aiom, il 76% delle pazienti riferisce all’oncologo gli effetti collaterali. Nonostante l’88% ritenga di aver ricevuto dal clinico informazioni adeguate, quasi la metà (47%) non è consapevole che la mancata aderenza può causare la recidiva della malattia.

"La comunicazione tra oncologo e paziente è fondamentale come azione di rinforzo per migliorare i livelli di assunzione delle cure e far comprendere che la terapia endocrina rappresenta, di fatto, un vero e proprio 'salvavita' – spiega Massimo Di Maio, presidente eletto Aiom -. I farmaci utilizzati possono causare effetti collaterali come vampate di calore, stanchezza, dolori articolari o nausea. È importante che l’oncologo fornisca alla paziente indicazioni, anche sugli stili di vita sani, per contrastare questi disturbi".

Tra i motivi che portano a sospendere la terapia endocrina, "vi sono non solo gli effetti collaterali e la scarsa consapevolezza dei benefici - sottolinea Di Maio - ma anche la dimenticanza. Le pazienti, cioè, non si ricordano di assumere il farmaco. In un’altra metanalisi, condotta dall’Università del Colorado e pubblicata sul Journal of Clinical Oncology, sono stati analizzati 33 studi che avevano coinvolto complessivamente più di 375.000 donne sul tema dell’aderenza alla terapia ormonale per il tumore al seno e su come migliorarla. Sono stati sperimentati diversi modi per memorizzare questo appuntamento fisso, attraverso lettere, sms, notifiche sullo smartphone, telefonate o portapillole 'intelligenti', che hanno avuto un effetto significativo nel migliorare l’assunzione della cura nelle dosi e nei tempi prescritti dal medico".

Se assunta correttamente, la terapia ormonale adiuvante può ridurre del 40% le recidive tumorali e di un terzo la mortalità per carcinoma mammario. "Consiste nella somministrazione di farmaci che bloccano l’attività degli estrogeni, ormoni normalmente prodotti dall’organismo, ma responsabili dell’insorgenza e sviluppo di almeno due terzi dei tumori mammari – afferma Alessandra Fabi, membro del Direttivo nazionale Aiom -. Si può attuare in sequenza dopo la chemioterapia oppure da sola. I farmaci ormonali sono somministrati per via orale in compresse e, in alcuni casi, per via intramuscolare. A seconda del meccanismo di azione, si distinguono in antiestrogeni, inibitori dell’aromatasi e analoghi dell’LH-RH. Gli inibitori dell’aromatasi sono assunti per via orale e sono indicati nelle donne in postmenopausa. Sono utilizzati in genere dopo l’intervento chirurgico, per impedire le recidive. Nelle donne con neoplasia mammaria in fase avanzata, è indicata la terapia con inibitori dell’aromatasi in associazione a molecole chiamate inibitori delle cicline. Questa associazione permette un potenziamento dell’efficacia della terapia ormonale e di posticipare la chemioterapia, con grandi vantaggi in termini di qualità di vita e di minori tossicità. Nelle pazienti con tumore del seno in stadio precoce ad alto rischio di recidiva, è indicata la terapia adiuvante con gli inibitori delle cicline in combinazione con la terapia ormonale".

"Sappiamo che, nel carcinoma mammario, il rischio di recidiva resta elevato anche a distanza di 20 anni dalla diagnosi – conclude Fabi -. Per questo viene proposta l’ormonoterapia. Ciononostante, dalla revisione sistematica pubblicata su 'Breast' è emerso che, dopo cinque anni, tanto l’aderenza quanto la persistenza alla terapia hanno raggiunto valori medi attorno al 66%, riducendosi progressivamente dal primo al quinto anno. Nello studio, le donne più attente sono state le 50-65enni. La minore aderenza delle più giovani è determinata dal timore degli effetti collaterali provocati dai farmaci, soprattutto a carico di fertilità e sessualità. La minore aderenza nelle più anziane, invece, è legata soprattutto alla contemporanea presenza di altre malattie, alla scarsa alfabetizzazione sanitaria, al decadimento delle funzioni cognitive e alla mancanza di supporto sociale".

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Cronaca

Tumori eredo-familiari, al via campagna Aiom contro disagio...

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Presentata al 26esimo congresso nazionale Aiom. Gli oncologi, '64% portatori di geni Brca soffre di depressione, garantire a tutti test genetici e adeguato supporto'

Tumori eredo-familiari, al via campagna Aiom contro disagio psicologico

Il 64% dei portatori dei geni Brca1 e Brca2 soffre di disagio psicologico. Il 16% lamenta depressione mentre il 47% sostiene di avere sintomi lievi o moderati di ansia. Sono tutti problemi riscontrati, senza grandi differenze, sia tra i pazienti oncologici che fra i portatori di varianti patogeniche. Da qui la doppia esigenza di garantire a tutti anche in Italia l’accesso a test genetici e un adeguato sostegno non solo medico ma anche psicologico. Per questo Fondazione Aiom (Associazione italiana di oncologia medica) e Aiom hanno lanciato nei mesi scorsi il progetto 'I Tumori Eredo-Familiari' realizzato in collaborazione con l’associazione no profit We Will Care. Si pone l’obiettivo di informare e sensibilizzare tutta la popolazione su queste forme di cancro e sulla necessità di ampliare i controlli medici per monitorarle. Sono già stati realizzati un opuscolo, webinar, talk show, survey e altre attività con le quali si vuole raggiungere i pazienti e i loro familiari. E’ una campagna realizzata con il contributo non condizionante di AstraZeneca ed è presentata in occasione della seconda giornata del 26esimo Congresso nazionale Aiom.

"Fino all’8% di tutti i casi di cancro presenta una variante patogenetica in grado di aumentare il rischio oncologico - sostiene Saverio Cinieri, presidente Fondazione Aiom -. Secondo gli ultimi dati, complessivamente in Italia sono almeno 31.000 i pazienti che hanno un tumore eredo-familiare. Non esistono solo i geni Brca ma anche molti altri che incrementano le possibilità d’insorgenza di neoplasie più o meno frequenti. Spesso i pazienti non sono a conoscenza della propria condizione così come i parenti più stretti. Sono uomini e donne che devono essere considerati 'sorvegliati speciali' anche perché da alcuni anni sono disponibili test genetici per le diverse forme di tumori ereditari. Esami di fondamentale importanza, con i quali è possibile mettere a punto percorsi di prevenzione primaria molto efficaci e, nel caso, diagnosi molto precoci".

Al Congresso nazionale Aiom sono presentati i risultati di un doppio sondaggio condotto da Fondazione Aiom su oltre 500 pazienti e caregiver. Dalla survey emerge che solo il 33% dei malati ha ottenuto una diagnosi precoce di cancro. Otto su dieci hanno incontrato difficoltà ad eseguire il test genetico e di questi il 64% lamenta tempi d’attesa troppo lunghi. Analoga situazione per il 52% dei parenti che ha dovuto effettuare l’esame.

"La presenza di un gene non comporta inevitabilmente una neoplasia ma determina gravi difficoltà anche a livello psicologico - proseguono i professori Massimo Di Maio (presidente eletto Aiom) e Giuseppe Curigliano (Consigliere nazionale Aiom) -. E’ quindi necessario fare chiarezza e spiegare ai cittadini che non viene ereditato un cancro ma solo una maggiore possibilità di svilupparlo. Bisogna evitare i facili allarmismi e invece sfruttare strumenti efficaci e precisi come i test genetici. Sono esami che consentono anche una selezione più accurata delle terapie efficaci o meno in base alla presenza di specifiche varianti genetiche. E’ questo il caso delle mutazioni a carico dei geni Brca1/Brca2 nel tumore dell’ovaio e della mammella. Possiamo sfruttare la ‘medicina di precisione’ per potenziare le cure anti-cancro e al tempo stesso controllare l’evoluzione della malattia".

Secondo la survey solo il 20% dei pazienti è riuscito ad ottenere il sostegno da parte di un psiconcologo. Oltre il 90% di loro si dichiara soddisfatto del servizio ottenuto. "Un test genetico positivo può essere fonte di incertezza verso il proprio futuro - conclude Nicola Silvestris, Segretario nazionale Aiom -. Per questo è necessario un team medico multidisciplinare al servizio di una persona a rischio nella quale deve essere presente anche uno psiconcologo. Un portatore di un’alterazione genetica, che poi sviluppa un tumore, deve poter usufruire di un supporto durante e dopo la fase delle cure".

In Italia vivono "oltre 150mila persone con mutazioni del gene Brca e sono passati oltre 20 anni da quanto sono state scoperte e poi studiate. Non interessano solo le donne e quindi i tumori femminili, anche gli uomini possono ereditarle e trasmetterle a loro volta ai figli. Per esempio, sono presenti nell’oltre 10% dei casi più gravi e metastatici del carcinoma prostatico. La maggior parte di queste persone - conclude Silvestris - non sa di essere portatore dell’alterazione molecolare e del conseguente incremento di rischio oncologico. Con la campagna intendiamo promuovere tra tutta la popolazione una maggiore coscienza su un aspetto non secondario della prevenzione del cancro".

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