Meningite, alto tasso di mortalità e cause diverse: ecco sintomi e rischi
La malattia che ha ucciso una studentessa italiana a Berlino colpisce a tutte le età, quella batterica è più pericolosa e fatale in 1 caso su 6
La meningite "rimane una delle principali sfide globali per la salute pubblica". Lo scrive l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sul suo portale, in un focus in cui fa un bilancio dell'impatto della malattia su cui si sono riaccesi i riflettori dopo la morte della studentessa italiana di 23 anni, Lara Ponticiello, in Erasmus a Berlino. Giovane vittima di una patologia che, come spiega l'agenzia Onu per la salute, può essere "devastante", è caratterizzata da "un alto tasso di mortalità" e in grado di determinare "gravi complicazioni a lungo termine". Epidemie di meningite si registrano in tutto il mondo, ricorda l'organizzazione. E sono diversi i microrganismi che possono causarla: batteri, virus, funghi, parassiti. A preoccupare in particolare medici e autorità sanitarie, per via del suo grave impatto, è la meningite batterica: circa 1 persona su 6 che contrae questo tipo di meningite muore, e 1 su 5 presenta gravi complicazioni, segnala l'Oms, evidenziando che "il modo più efficace per fornire una protezione duratura" è ricorrere ai "vaccini" esistenti, che sono "convenienti e sicuri".
Cos'è, sintomi e rischi della meningite
Come si manifesta la malattia e quali rischi comporta? La meningite, spiegano gli esperti, è l'infiammazione dei tessuti che circondano il cervello e il midollo spinale; può essere fatale, come testimonia anche la cronaca, e richiede cure mediche immediate. I sintomi più comuni sono rigidità del collo, febbre, confusione o stato mentale alterato, mal di testa, nausea e vomito. Ma le caratteristiche cliniche dei pazienti variano a seconda della causa, del decorso della malattia (acuto, subacuto o cronico), del coinvolgimento cerebrale (meningoencefalite) e delle complicanze sistemiche (sepsi). Anche ferite, tumori e farmaci causano un piccolo numero di casi. Ma è la meningite batterica il tipo pericoloso più comune e può purtroppo portare a decesso in poco tempo dalla scoperta dei sintomi, anche 24 ore. Colpisce persone di qualsiasi età. Contro alcune delle principali cause batteriche esistono trattamenti e vaccini efficaci, ma "la meningite rimane una minaccia significativa in tutto il mondo", ribadisce l'Oms.
Le cause principali della meningite batterica
Esistono 4 cause principali di meningite batterica acuta: meningococco (Neisseria meningitidis), pneumococco (Streptococcus pneumoniae), emofilo (Haemophilus influenzae), streptococco di gruppo B (Streptococcus agalactiae). Questi batteri sono responsabili di oltre la metà dei decessi dovuti a meningite a livello globale e causano altre malattie gravi come sepsi e polmonite. Importanti cause di meningite sono anche altri batteri come Mycobacterium tuberculosis, salmonella, listeria, streptococchi e stafilococco, ma anche virus come enterovirus e parotite, e ancora funghi (soprattutto il cryptococcus) e parassiti come l'ameba.
Chi è a rischio
Chi è a rischio? I bambini piccoli, senz'altro, ma non solo. I neonati sono maggiormente a rischio di streptococco di gruppo B, i bambini di meningococco, pneumococco e Haemophilus influenzae. Gli adolescenti e i giovani adulti sono particolarmente a rischio di malattia da meningococco, mentre gli anziani di malattia da pneumococco.
In Italia nel 2007 è stata attivata una sorveglianza nazionale delle malattie batteriche invasive. Secondo gli ultimi dati, rispetto al biennio 2020-2021 (in cui c'era stata una riduzione complici le misure anti-Covid), nel 2022 si è osservato un aumento nel numero di segnalazioni da emofilo, da pneumococco e, in misura inferiore, da meningococco (in particolare nell'ultimo trimestre). Nel complesso, per i 3 i patogeni si è osservato un tipico andamento stagionale, con un maggiore numero di casi segnalato durante il periodo invernale, si evidenzia sul portale Epicentro dell'Istituto superiore di sanità (Iss). Nel 2022 l'incidenza in Italia dei casi di malattia invasiva determinati dai 3 patogeni è stata pari a 0,1 casi/100.000 abitanti per meningococco, 1,74 per pneumococco e 0,32 per emofilo. Nel primo semestre 2023, secondo il rapporto ad interim pubblicato dall'Iss, si sono registrati nel Paese un totale di 1.268 casi, tra malattie invasive da N. meningitidis (48), S. pneumoniae (930), H. influenzae (177) e meningiti da altri batteri.
Cronaca
Quinta malattia: aumentano casi in Europa, boom negli Usa
Gli esperti: "Guardia alta nei gruppi a rischio"
Mamme e papà si accorgono della sua presenza quando le guance dei loro bambini diventano all'improvviso rossastre. E' questa eruzione cutanea uno dei sintomi più caratteristici del parvovirus B19, meglio noto come quinta malattia, infezione che nei bambini e negli adulti sani è relativamente lieve o anche asintomatica, ma in alcuni gruppi di persone, come immunodepressi o affetti da patologie ematologiche tipo anemia falciforme, e nelle donne in gravidanza, può essere più grave. Dopo un crollo ai tempi della pandemia, gli esperti segnalano un'impennata: i casi sono in aumento in Europa, e negli Usa si rileva un vero boom. A fare il punto un focus dedicato alla malattia infettiva sulla rivista scientifica 'Jama' online.
I dati
I numeri raccolti dai Cdc (Centri americani per il controllo e la prevenzione delle malattie) rendono l'idea, vengono definiti "impressionanti": considerando tutte le fasce d'età, la quota di persone con anticorpi IgM contro il parvovirus B19, segno di infezione recente, è aumentata da meno del 3% nel 2022-2024 al 10% nel giugno 2024. Tra i bimbi di 5-9 anni, la percentuale è addirittura balzata dal 15% nel 2022-2024 al 40% nel giugno 2024. E tra i campioni di plasma raccolti, la quota con un'elevata concentrazione di Dna del parvovirus è aumentata dall'1,5% di dicembre 2023 al 19,9% di giugno 2024.
Come si trasmette
L'infezione si trasmette principalmente tramite goccioline emesse con tosse o starnuti da una persona infetta. La crescita dei casi registrata negli Usa ha spinto i Cdc a emettere di recente un avviso sanitario al riguardo, anche perché non esiste un vaccino o una terapia antivirale per l'infezione.
Dato l'aumento di quest'anno, "gli operatori sanitari devono davvero stare in guardia" sull'infezione da parvovirus B19 tra i pazienti ad alto rischio, è il monito lanciato su 'Jama Medical News' da Alfonso Hernandez-Romieu, funzionario medico del Centro nazionale per l'immunizzazione e le malattie respiratorie dei Cdc. Probabilmente, è l'analisi degli esperti, non è una coincidenza che le infezioni da parvovirus B19 siano sembrate diminuire durante i primi anni della pandemia di Covid, quando Dad e distanziamento introdotti per fermare Sars-CoV-2 hanno ridotto al minimo i contatti tra i bambini. Nel 2018-2019, i livelli più alti di test positivi, che erano quelli rilevati tra i bambini dai 3 ai 5 anni, erano dal 2% al 5%, osserva Hernandez-Romieu. Nel 2021-2022, in pandemia, i tassi di quella fascia d'età sono scesi a meno dell'1%. Ma ora sembra che il parvovirus B19 stia recuperando il tempo perduto "seguendo lo stesso schema di tanti altri patogeni" come il virus respiratorio sinciziale (Rsv), evidenzia Alasdair Munro, National Institute for Health and Care Research del Regno Unito.
Sintomi e contagio
La ridotta esposizione durante la pandemia ha portato a una ridotta immunità della popolazione, consentendo "una notevole ripresa", ha spiegato Munro. Nonostante un notevole aumento delle infezioni da parvovirus B19 a livello locale, precisa però l'esperto, "non abbiamo notato alcun aumento della gravità delle infezioni o un cambiamento nella natura delle complicazioni", ha affermato Munro. Per la maggior parte delle persone, è solo qualcosa che fa starnutire. Secondo i Cdc, non tutti i contagiati sviluppano sintomi. Tra le persone sane, chi si ammala invece in genere sviluppa sintomi in 2 fasi: la prima inizia circa una settimana dopo l'infezione e dura circa 5 giorni, con febbre, malessere, dolori muscolari. Ed è in questo lasso di tempo che il parvovirus B19 è più contagioso (complici cariche virali più alte e tosse e starnuti).
Una settimana o dieci giorni dopo questa fase, inizia la seconda, quando i bambini spesso sviluppano l'eruzione cutanea rosso vivo sul viso, da cui deriva il soprannome 'malattia della guancia schiaffeggiata'. A quel punto, però, quando è ormai chiaro che si è trattato di quinta malattia, i pazienti non sono più contagiosi. Il rossore sulle guance potrebbe essere seguito da 1 a 4 giorni dopo da un'eruzione cutanea in altre parti del corpo o dolore alle articolazioni. La maggior parte delle persone necessita solo di trattamenti per alleviare i sintomi. Nelle persone a rischio, l'infezione può portare a complicazioni più gravi, anche se in una piccola percentuale di casi, perché il parvovirus B19 infetta i precursori dei globuli rossi nel midollo osseo, il che può causare anemia, soprattutto nelle persone immunodepresse o con disturbi emolitici cronici, osserva Hernandez-Romieu.
L'infezione in gravidanza
Se le donne incinte trasmettono l'infezione al feto, la maggior parte dei casi si risolve senza problemi, ma possono verificarsi complicazioni (anemia fetale o altro) circa nel 5-10%, secondo i Cdc. Il parvovirus B19 in gravidanza non è stato associato come le infezioni da Zika e Oropouche a malformazioni congenite, informa Laura Riley, direttrice del Dipartimento di ostetricia e ginecologia alla Weill Cornell Medicine. È tra l'altro probabile che la maggior parte delle donne incinte che scoprono di essere state esposte al parvovirus B19 non contraggano l'infezione. Questo perché, secondo i Cdc, c'è una certa immunità nella popolazione: all'età di 40 anni oltre il 70% degli adulti presenta anticorpi rilevabili. "La buona notizia è che molti ne hanno sofferto da bambini" e non l'avranno più, dice Riley suggerendo alle donne incinte che scoprono di essere state esposte al parvovirus B19 o presentano sintomi di informare il medico, tenendo presente che anche se hanno l'infezione e trasmettono il virus al feto "non significa che andrà tutto male", ma solo che saranno monitorate.
In conclusione, suggerisce Hernandez-Romieu, sebbene questa infezione causi solo sintomi lievi, se non nulli, nei bambini e negli adulti sani, i medici dovrebbero avvertire i pazienti ad alto rischio del recente aumento dei casi e discutere misure per ridurre al minimo il rischio seguendo le linee guida previste per la prevenzione delle infezioni virali respiratorie.
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