Mostre: la Fondazione Alda Fendi presenta “futurBella”, ideata da Raffaele Curi
Un omaggio poetico e suggestivo al Futurismo attraverso uno dei suoi principali e più poliedrici esponenti, Fortunato Depero, per raccontare una creatività che ancora oggi si rivela feconda, innovatrice e rivoluzionaria. Dal 31 maggio la Fondazione Alda Fendi - Esperimenti presenta "futurBella", mostra ideata e curata da Raffaele Curi negli spazi di Rhinoceros, lo spettacolare palazzo nel cuore di Roma progettato da Jean Nouvel per Alda Fendi come luogo di scambio intellettuale e artistico. L'esposizione, in programma fino al 30 novembre con ingresso gratuito, si snoda verticalmente lungo i 6 piani dell'edificio e si ispira ai molteplici aspetti dell'attività di Depero, pittore, scultore, illustratore, scenografo, costumista e designer.
L'itinerario della mostra si apre con le riproduzioni dell'iconica bottiglia di Campari Soda, ideata da Depero nel 1932, e divenuta poi parte dell'immaginario collettivo italiano. A seguire, in un videowall, il pubblico potrà scoprire il "Balli Plastici by Fortunato Depero", con la ricostruzione e la messa in scena del 2009, per la regia di Franco Sciannameo. Nel segno della versatilità artistica di Depero, "futurBella" propone un omaggio ai costumi di Povere creature di Yorgos Lanthimos, che Holly Waddington, vincitrice quest'anno del Premio Oscar per i migliori Costumi del film, ha realizzato ispirandosi proprio all'estetica del Futurismo, oltre che a Schiaparelli e a Courrèges futurista. Nel percorso, con il sottofondo della colonna sonora di Povere creature, saranno esposti scatti del fotografo di scena Atsushi Nishijima. "Era il desiderio di Jean Nouvel quando ha progettato questo palazzo - dice all'Adnkronos Alda Fendi -Doveva essere un quartiere di arte che quando uno entrava poteva dormire, mangiare, ma era assorbito dall'arte e infatti questa è l'aria che si respira. Ci sono anche dei cavedi verticali predisposti per un teatro".
Per ammirare la suggestiva installazione di Raffaele Curi, sempre ispirata al Futurismo, i visitatori dovranno alzare gli occhi in su: sospese in aria, dal soffitto penderanno 60 paia di mutande d’epoca, le stesse che hanno “accarezzato” le donne come Bella Baxter –il ruolo che è valso il Premio Oscar 2024 a Emma Stone nel film di Lanthimos- vissute tra l'età vittoriana e gli inizi del Futurismo, nato nel 1909 a Parigi con la pubblicazione del Manifesto futurista sul quotidiano Le Figaro. "Volevo omaggiare questo magnifico designer dicendo che in Italia anche gli artisti hanno fatto design rendendolo un'arte maggiore. Il primo di essi è stato Depero, con la bottiglia iconica del Campari, che dovrebbe essere ancora più famosa di quella della Coca Cola", spiega all'Adnkronos Raffaele Curi.
Alla serie delle Marionette dei Balli Plastici, ideate nel 1918 e parte della collezione del Museo Mart, sarà invece dedicato il terzo piano dove saranno esposte quattro marionette di Depero, di una altezza compresa tra i 47 e i 75 cm, posizionate all'interno di teche e, come spiega Raffaele Curi, “specchiate sul loro doppio, asfaltato e stridulo”. Nel cavedio, cuore e centro di rhinoceros, saranno proiettati i manifesti delle numerose campagne pubblicitarie ideate da Depero.
Non manca al quarto piano l'omaggio alla letteratura futurista, con il testo della poesia "La fontana malata" firmata da Aldo Palazzeschi, che riproduce attraverso una serie di onomatopee e parole musicali il suono delle gocce d’acqua di una fontana. La poesia è del 1909, anno di nascita del Futurismo: il testo, in italiano e in inglese, verrà mostrato sulle pareti e diffuso in audio, interpretato dalla voce di Raffaele Curi.
E ancora, i pattinatori di "futurAlda" percorreranno sulle rotelle il palazzo in lungo e in largo indossando t-shirt con la scritta futurBella, futurBalla, futurBilla, futurBolla, futurBulla, in diversi colori. "Nulla è più affascinante di un movimento artistico che fa 'tabula rasa' di ogni forma espressiva tradizionale, fornendo la struttura a tutte le successive avanguardie", premette Alda Fendi presentando il nuovo progetto, "Siamo ancora immersi nel futurismo (e nel surrealismo). Quasi nulle le esperienze artistiche che non prendono ispirazione da questi 'ismi'! Uno scherzo futurista che Raffaele Curi 'intona' in questa nuova avventura della mia Fondazione… e le arti minori diventano protagoniste insieme ai più recenti successi cinematografici… e in un mare di mutande…". Come ogni esperimento passato, anche "futurBella" rispecchia appieno lo spirito di un palazzo in cui Alda Fendi ha voluto creare una vera e propria "città dell'arte": il palazzo è un centro di innovazione e creatività, un luogo dove l’arte, l’archeologia e la contemporaneità si incontrano in un dialogo fecondo tra la città eterna e il mondo.
La "mostra esperimento", sempre ad ingresso gratuito, coinvolgerà dunque l'edificio nella sua totalità: ogni piano, scala, ascensore, perfino ogni singolo visitatore sarà permeato dell'energia dello spirito futurista. Un percorso diffuso, coinvolgente e pieno di richiami, che Curi, direttore artistico della Fondazione Alda Fendi, ha concepito perfettamente per rhinoceros: il palazzo di sei piani, pensato sul modello dei Passages di Parigi di Walter Benjamin, offre infatti al visitatore spazi espositivi distribuiti verticalmente, che si integrano senza soluzioni di continuità nell'architettura, in un continuo mescolarsi di linguaggi artistici, esperienze, opportunità, panorami mozzafiato del cuore di Roma. Qui il visitatore può toccare con mano il rapporto tra le suggestioni di ieri e quelle di oggi. Un collegamento innescato da una innovativa collaborazione con il Museo Ermitage, che ha dato vita al dialogo storico e contemporaneo attraverso l’"ospitalità" a capolavori di geni come Michelangelo, El Greco e Picasso.
Cultura
Ritanna Armeni racconta Via Rasella: “I valori della...
Esce il nuovo libro della giornalista: "Descrivo quegli eventi colpita dal fatto che in quella strada non ci sia una lapide e nulla che ricordi quei giovani partigiani"
L'azione di v ia Rasella del 23 marzo del 1944 non è soltanto una pagina di storia imprescindibile nella lotta della Resistenza. I militanti che la misero a segno, ragazzi della classe intellettuale, hanno molto da insegnare ancora oggi. Non enunciarono semplicemente i valori di libertà in cui credevano ma li incarnarono mettendo a repentaglio la loro vita. La giornalista e scrittrice Ritanna Armeni ritorna su uno degli episodi più forti, significativi e tragici dell'occupazione dei tedeschi durante la Seconda guerra mondiale. Nel libro 'A Roma non ci sono le montagne', pubblicato da Ponte alle Grazie, ripercorre quelle ore descrivendole sotto forma di un romanzo da leggere tutto d'un fiato. Mette in luce le vicende personali, i sogni e le speranze dei protagonisti: piccoli tasselli che costituiscono un mosaico composito e variopinto.
Conversando con l'AdnKronos, Armeni sottolinea che il monito più prezioso che l'azione di via Rasella ci ha consegnato è che "i valori della libertà vanno praticati. Quei giovani - che provenivano da una classe sociale non bassa, dal momento che non erano operai ma studenti e professori universitari, avevano degli ideali che praticavano adeguandosi ai tempi che vivevano. Rischiavano la vita tutti i giorni. La loro testimonianza ha anche un grande significato morale per il presente. Noi spesso enunciamo i principi di libertà e di democrazia, ma poi in qualche modo ci adeguiamo alla realtà. A me quello che piace di questi ragazzi è il loro ardore giovanile, un ardore che non fa mai dimenticare che, accanto al principio, c'è l'azione". Certo, puntualizza Armeni, "non sto dicendo che oggi dobbiamo andare a mettere bombe, perché sono una pacifista. Però i valori vanno veramente praticati e ciascuno di noi sa come si può fare. Eravamo in una Roma occupata e sofferente e bisognava dare un messaggio in una situazione di guerra. Ora avremmo tanti modi per fare vivere i nostri messaggi".
Perché, però, concentrare l'attenzione su quei giovani, sulle loro vicende personali? Perché descrivere la grande Storia a partire dalle tante piccole storie che la compongono? "Racconto l'episodio di via Rasella - risponde l'autrice - perché sono rimasta colpita dal fatto che in quella strada non ci sia una lapide e nulla che ricordi il gruppo di partigiani che realizzò l'attacco. Persone eroiche, in qualche modo, perché rischiarono la vita per fare quell'azione contro i tedeschi". Motivo per cui, spiega la giornalista, "ho voluto restituire il loro valore, il loro impegno, la loro abnegazione, la loro passione per la libertà. E' di questo che, in fondo, si tratta. Ho quindi descritto nuovamente i fatti di via Rasella dal punto di vista delle persone che hanno compiuto questo atto".
Un taglio narrativo grazie al quale Armeni ha tratteggiato le esistenze di coloro che misero a segno l'impresa rappresentando "chi erano, quello che avevano fatto prima, i loro sentimenti, le loro letture, i loro amori". La narrazione si sviluppa nell'arco temporale di poche ore ed è scandita da un lento conto alla rovescia che scivola fino al momento fatale. Un espediente che aumenta, mano a mano, il pathos e che mette in luce tutte le fasi dell'evento in modo analitico e avvincente.
Il volume si intitola, non a caso, 'A Roma non ci sono le montagne'. Una scelta che ha una motivazione particolare: "Nelle montagne - argomenta Armeni - il nemico si avvistava prima, ci si poteva nascondere meglio e si creava maggiore solidarietà tra le persone. A Roma, invece, si era esposti in ogni momento al nemico, al massimo ci si rifugiava in un portone o in un convento. Occorreva quindi una capacità maggiore di nascondersi. Soprattutto era molto importante il fatto di non essere traditi. A Roma chiunque ti poteva denunciare, mentre in montagna si era in qualche modo più protetti". In ogni caso, proprio Roma fu teatro "della più importante azione partigiana dell'Europa occupata dal nazismo. In nessuna capitale europea c'è stata una mossa così grande, né a Parigi, né a Oslo, né a Bruxelles. Quello di Rasella rimane l'atto partigiano più importante dell'Europa occupata dalla Wehrmacht".
I fatti di via Rasella, inoltre, hanno fatto salire agli onori delle cronache ancor più rispetto al passato il ruolo delle donne. Le combattenti, segnala Armeni, furono in grado di "rompere un certo tipo di stereotipo, un certo modo di vedere la partigiana. Prima era una staffetta subalterna che, a costo della vita, trasportava le armi obbedendo alla logica della guerra gestita dagli uomini. Le donne di via Rasella, invece, fecero le cose per conto loro: Carla Capponi se decideva di far esplodere un camion di armi tedesche lo faceva. Idem Maria Teresa Regard che, con una bomba nella valigia, andò alla stazione Termini. La mise in un bar dove c'erano i tedeschi e la face esplodere. L'altra cosa che mi ha colpito molto è la provenienza sociale di quei ragazzi: Carlo Salinari, che nel racconto è Spartaco, il nome che assunse in clandestinità, era un grandissimo intellettuale. E' stato in seguito anche preside della facoltà di Lettere dell'Università di Roma; Mario Fiorentini è diventato uno dei più famosi matematici a livello mondiale. A Roma la Resistenza la fecero gli intellettuali anche perché non c'era la classe operaia", conclude Armeni. di Carlo Roma
Cultura
Paolo Cognetti sul Tso: “Quello che mi hanno fatto in...
La denuncia alle Iene dello scrittore de 'Le otto montagne'
A dicembre Paolo Cognetti aveva rivelato di aver essere stato sottoposto a un Tso (Trattamento Sanitario Obbligatorio), ora a 'Le Iene' spiega qualche dettaglio. "In ospedale - dice nel servizio di Gaston Zama andato in onda su Italia 1 - mi hanno legato a un letto con delle cinghie, mi hanno sparato un siringone nella coscia senza dirmi cosa fosse. Secondo me, quello che mi hanno fatto era illegale". E aggiunge: "Mi sono svegliato il giorno dopo a casa mia grazie a mia sorella perché mi aveva portato via".
Lo scrittore ha aperto le porte della sua baita, a Estoul in Valle d’Aosta, dove si rifugia per ritrovare se stesso, raccontando: "Ho subito un Tso per una grave depressione". Ripercorre quei momenti e descrive la diagnosi che ha cambiato il suo modo di vedere la vita: "Mi hanno diagnosticato un disturbo bipolare, che significa avere due fasi: una maniacale e una depressiva. Questa cosa l’ho sempre avuta, da quando ero ragazzo sicuramente". E ancora: "Il problema non è la fase maniacale. Il problema è quando arriva la fase depressiva. Stai a letto, pensi a come suicidarti e che tutta la tua vita è stata inutile. Io volevo attaccare una corda da alpinismo a quella trave e impiccarmi. Non mi hanno mai lasciato solo quest’estate, c’era sempre qualcuno con me. I pensieri suicidari sono molto comuni nella depressione". Nonostante tutto, guarda avanti: "Sto cercando di vivere senza farmaci. Non sono un no vax, ma vorrei vivere senza medicine". Cognetti non si limita a condividere solo momenti difficili: "Sto lavorando a qualcosa di nuovo. Credo che il ciclo della montagna, come lo chiamo io, sia per il momento esaurito. Ci sono tante altre cose nella vita".
Ripercorre anche la sua carriera e i suoi successi: "Con il Premio Strega ho capito che agli occhi del mondo ero uno scrittore. Questa unione è stata molto gratificante. Nel 2021 girano il film 'Le otto montagne' con protagonista Luca Marinelli. È stato qui con me due mesi, l’ho portato in montagna e allenato. La scena di cui vado più orgoglioso è quella in cui balla sulla pietraia, gliel’ho insegnata io". Tuttavia, ammette: "Il successo, la gente che ti riconosce… non è facile. Prima sei un tizio qua nella baita che si fa gli affari suoi e poi ti salutano tutti, ti fermano per strada, arrivano i soldi. Non è facile". Infine, parlando di ispirazioni, Cognetti rivela: "Mi piacerebbe parlare con Vasco Rossi. Trovo tanta verità nelle sue canzoni. La persona con cui vorrei parlare di più adesso è proprio lui".
Cultura
Il fotografo Benedusi ricorda Toscani: “Perdo un...
Amico e maestro, il fotografo scomparso a Cecina a 82 anni "era coraggioso e aperto alle novità - racconta -. E' come se la musica perdesse Bob Dylan"
Non solo un maestro. Per Settimio Benedusi, Oliviero Toscani era "un faro", un carissimo amico e una figura fondamentale nella sua carriera e vita privata. "Lo sto onorando nella maniera che a lui piacerebbe di più: lavorando" dice commosso Benedusi all'Adnkronos, ricordando il celebre fotografo scomparso a Cecina all'età di 82 anni. "Chi era Oliviero per me? Ci sono due metà della questione - spiega Benedusi - come fotografo, ovviamente un enorme maestro, colui il quale ha rivoluzionato il mondo e il linguaggio della fotografia. La sua è stata una rivoluzione totale e definitiva e tutto quello che ha fatto è nuovo e diverso rispetto a quello di altri".
A partire dalla fotografia di moda: "Prima di Oliviero - dice - erano solo belle modelle, dei manichini con vestiti addosso e basta. Lui ha usato la moda per raccontare un’etica, una morale, come faceva con la pubblicità. E' stato davvero rivoluzionario e incommensurabile quello che mi ha dato con il suo lavoro". Nella sua cameretta di adolescente, Benedusi aveva attaccato il poster di una campagna pubblicitaria Jesus Jeans, staccato da un muro della città. "Avevo 15 anni - ricorda - mentre gli altri avevano le immagini dei cantanti io avevo una delle sue prime campagne pubblicitarie, che mi aveva scioccato. Una fotografia semplice, efficace e potente che avevo staccato da una parete e attaccato nella stanza. Questo la dice lunga sul fatto che Oliviero fosse già il mio mito a 15 anni".
Mai avrebbe immaginato di diventare un giorno un suo carissimo amico. "Neanche nei miei sogni più rosei - ammette -. Poi nel tempo, al rispetto e alla conoscenza professionale si è unita quella amicale, anche più forte di quella professionale. Oliviero era una persona eccezione, il contrario di quello che pensa la gente: generoso, coraggioso, simpatico e divertente. Un uomo generoso e aperto alle novità. Se penso mi vengono in mente le infinite risate insieme". Durante il lockdown è stato Benedusi ad aprirgli le porte di Instagram: "Si poteva pensare che gli facesse schifo, perché Oliviero non amava i social - racconta - ma ci si è buttato come un adolescente. Facevamo infinite dirette. Aveva questa bramosia di novità, di essere al passo con i tempi".
Sin dal principio, Benedusi aveva coinvolto Toscani nel progetto 'Ricordi Stampati', ritratti fotografici d'autore per tutti a prezzi popolari. "Lui era nel futuro sempre - ricorda il fotografo - anche una settimana fa al telefono mi parlava di Ricordi Stampati e di come farlo al meglio. Fino a 10 giorni fa stava molto meglio. Era tornato pieno di energia. Io personalmente perdo un faro, un riferimento, una persona alla quale chiedere sempre consiglio. E anche se non lo avessi mai conosciuto direi la stessa cosa. Per chiunque fa il mio mestiere c’è un tempo prima e un tempo dopo Toscani. E' come se morisse Bob Dylan, un musicista che ha cambiato il linguaggio della musica e non a caso era il grande amore di Oliviero. Ecco, così come Bob Dylan ha usato la musica per parlare di politica, etica, e morale, in egual misura Toscani ha usato la fotografia per affrontare questi temi".
Tra i tanti scatti di Toscani ce ne è uno al quale Benedusi è particolarmente legato. "Oliviero parlava sempre del ritratto che fece a Carmelo Bene per Vogue - dice -. Era rivoluzionario rispetto a un'epoca in cui per la rivista si fotografavano modelli con la giacca precisa, perbene. Carmelo Bene arrivò negli studi di Vogue con la patta slacciata, tutto scombinato. Toscani sapeva, da un lato, che era sbagliato e non in linea con quello che si doveva fare ma dall’altro era tutto meravigliosamente perfetto, perché rivoluzionario". (di Federica Mochi)