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Gender Gap, Minozzi (Iris Ceramica Group): “Cambiare cultura per superarlo”

Ci vuole un impegno, un commitment, che sia duraturo, coerente e forte per cambiare i pregiudizi che stanno dietro al gender gap sul lavoro. E occorre la consapevolezza che la presenza femminile in azienda e nei ruoli apicali è una ricchezza. Infine, ci vuole pazienza. Perché tutto parte dai retaggi culturali che ancora ci portiamo dietro, che non si trasformano da un giorno all’altro. Ma qualcosa si sta muovendo.

Di gender gap e discriminazioni abbiamo parlato con Federica Minozzi, ceo di Iris Ceramica Group, azienda italiana con base a Fiorano Modenese, leader nel settore delle ceramiche e dunque in un settore di ‘manifattura pesante’, storicamente appannaggio maschile.

Con Minozzi abbiamo iniziato dal punto della situazione delle donne nel mondo del lavoro, in particolare nelle posizioni apicali e in settori tradizionalmente maschili come quello in cui opera la sua azienda.

Lavorare su pregiudizi e retaggi storici

“Sicuramente la situazione è destinata a migliorare – spiega Minozzi – però al momento la vedo ancora abbastanza complessa. La ricerca ‘Women Count 2022 – The Pipeline’ osserva che l’inserimento nel mondo del lavoro delle donne è maggiore dove c’è già una forte presenza femminile. Nei mondi più pesanti da un punto di vista produttivo, di cui l’industria ceramica chiaramente fa parte, l’inserimento di nuove donne è al di sotto del 20%. E’ una situazione che in qualche modo soffre ancora di un sistema culturale di pregiudizi per certi aspetti abbastanza importanti, che si può cambiare solo lavorando profondamente sulla cultura e su questi bias”.

Pregiudizi e bias legati a retaggi storici, continua la ceo di Iris Ceramica Group: “Nonostante mio padre fosse anche molto aperto a questo gender gap, fu il primo nell’industria ceramica a nominare una donna manager negli anni Settanta e questa signora, tra l’altro, ha avuto anche tre figli, si trattava però di eccezioni e soprattutto questa signora lavorava nella parte amministrativa”.

“Secondo me – spiega – soprattutto in certi ruoli, tanto più all’interno delle fabbriche, è difficile trovare uno spazio per inserire delle donne a livello apicale. Noi quindi le abbiamo inserite tanto a livello degli uffici marketing e comunicazione, però c’è una parte più industriale dove per una serie di vari motivi, anche perché si ritiene magari un lavoro duro fisicamente, le donne hanno ancora meno spazio”.

Ma il sistema produttivo sta cambiando molto, si sta automatizzando in modo rapidissimo, come sottolinea la manager: “Per esempio due anni fa in America, nel cuore del conservatore Tennessee, ho dato la responsabilità di una fabbrica pesante a una donna, un’ingegnere chimico, e sta performando estremamente bene; quindi, io credo che ci sia spazio oggi, anche in quei sistemi produttivi nuovi che sono più legati al lavoro delle macchine e a delle competenze anche tecniche”.

Precisa la ceo: “Non trovo più attuale neanche il concetto che ci sono poche donne laureate o con conoscenze tecniche importanti, è chiaro che oggi sono spesso anche persone più giovani; quindi, ci possono essere due pregiudizi che intervengono contemporaneamente: l’allergia alla donna e l’allergia alla gioventù”.

‘Allergia alla donna e allergia alla gioventù’

È un problema tipicamente italiano, evidenzia Mingozzi: “All’estero e tanto più in America la gioventù è vista come un plus, purché uno sia capace chiaramente e abbia certe doti. In Italia spesso c’è questo preconcetto che le persone giovani sono inesperte; questo credo che sia anche legato proprio a un fattore culturale perché noi diamo poche opportunità ai giovani di fare carriera rapidamente e quindi è oggettivamente vero, poiché i giovani non hanno spesso un tipo di esperienza a livello di ruoli di leadership che consente di sentirsi sicuri nell’affrontare certe sfide”.

Insomma si tratta di un circolo vizioso, che riguarda anche gli uomini ma con una differenza. “La Mckinsey pubblica ogni anno un report che si chiama ‘Women in the Workplace’ che ha evidenziato che, mentre le donne vengono inserite nelle aziende per ciò che hanno già realizzato nel passato, gli uomini vengono inseriti con una visione delle loro potenzialità future, e questo è curioso perché nella donna l’inesperienza viene vissuta più negativamente che in un uomo e anche questo credo che sia un fattore culturale, perché non c’è un motivo logico oggettivo, è proprio un bias cognitivo. Secondo me anche su questi aspetti bisogna lavorare molto da un punto di vista culturale”.

Competenza, gioventù, risultati e potenzialità. Questi potrebbero essere considerabili come punti di resistenza che le donne incontrano. Ma nello specifico come donna e come professionista quali punti di esistenza ha dovuto affrontare Minozzi, essendo diventata molto giovane ceo di Iris ceramica Group Italia?

Lo chiarisce lei stessa: “Questa resistenza, questi pregiudizi li ho vissuti molto sulla mia pelle quando sono entrata in azienda. Ai tempi con grande entusiasmo sono entrata direttamente in azienda dopo gli studi, quindi totalmente inesperta. Tra l’altro in quel periodo, nel ’97, c’era ancora meno presenza femminile e tanto meno ad alto livello. Quindi io mi rendevo conto che le persone a lavoro, soprattutto i dirigenti, mi vedevano praticamente come la figlia del proprietario che in qualche modo ‘va sopportata’”.

La possibilità per le donne di dimostrare il proprio valore

E qui Minozzi tocca un punto importante: nonostante l’ulteriore pregiudizio dell’essere la figlia del proprietario e nonostante il padre Romano, fondatore nel 1961 dell’azienda, le abbia sempre chiesto molto più di quello che pretendeva dai manager uomini, lei ha avuto almeno “la possibilità di mostrare quello che valevo, mentre magari molte altre donne nel mio settore della ceramica a parità di condizioni, a parità di capacità possono non aver avuto questa opportunità di essere viste in modo oggettivo per i loro risultati”.

“Questo, secondo me, è uno spreco perché diverse ricerche hanno dimostrato che le aziende con più presenza femminile nei ruoli di leadership hanno fino a un 50% di probabilità in più di performare con profitti al di sopra della media del proprio settore e questa probabilità aumenta in modo direttamente proporzionale alla quantità di presenza femminile nei ruoli direttivi”, sottolinea la manager.

In sostanza, è una ricchezza per l’azienda avere donne in posizioni apicali: “I pregiudizi per assurdo contrastano completamente con le realtà date dai numeri oggettivi e anche questo è curioso, perché gli imprenditori dovrebbero guardare i numeri”, rimarca.

Leadership maschile e femminile

E i numeri si spiegano anche col differente approccio nel modo di esercitare il potere tra uomini e donne. “Le donne – afferma la manager – hanno più propensione a creare ambienti di lavoro condivisibili, più aperti al confronto, al dialogo onesto e alle opinioni altrui. E hanno anche maggiore propensione a prendersi cura dell’altro, quindi a occuparsi magari delle persone che possono essere in difficoltà con il carico di lavoro. Le donne nei team tendono a svolgere anche il lavoro del collega pur senza prendersene i meriti se in difficoltà, e questo porta poi a raggiungere i risultati in tempi più rapidi e in modo più efficace”.

“Credo da una mia riflessione personale che noi donne in qualche modo siamo geneticamente ancora predisposte per prenderci cura, per essere empatiche banalmente perché ancora geneticamente abbiamo l’istinto di allevare la prole e quindi abbiamo uno stile di leadership più empatico e meno autoritario. Questo credo che in qualche modo favorisca il lavoro di squadra”, continua Minozzi sottolineando come nel mondo di oggi, “che ha un livello di complessità sempre crescente in modo anche rapido, il l lavoro di squadra sia quello che fa la differenza per raggiungere dei risultati, perché è una persona da sola può anche essere un genio, ma difficilmente ha tutte le competenze necessarie per affrontare le sfide” attuali.

Nelle ‘vecchie generazioni’ la manager vede “ancora ancora un approccio mediamente più autoritario, quello che io chiamo un po’ il ‘maschioalfismo’”, ma “sicuramente la generazione Z è inclusiva e più etica a livello valoriale, quindi nei giovani vedo maggiore apertura anche da parte dei degli uomini verso il confronto, verso la diversity in generale, sia essa di genere, di colore o di provenienza”.

Fondamentale il commitment dell’azienda

Come si porta tutto ciò in azienda? Intanto per cambiare la cultura Iris Ceramica Group ha promosso oltre 4000 ore di formazione extra in azienda a livello annuale e ha creato un sistema più flessibile a livello sia di marketing sia di orari di lavoro. Una necessità, quella di conciliare famiglia e lavoro, sentita soprattutto dalle donne, sulle cui spalle ricade ancora quasi la totalità della cura della famiglia e che non a caso è uno dei fattori che alimenta il gender gap.

Allo stesso tempo l’azienda ha creato “un ambiente molto attento anche al rispetto delle donne, quindi il sistema di whistleblowing per la segnalazione di fenomeni di bullismo, di mancanza di rispetto, e una cultura dove si è spiegato agli uomini che anche la battuta che sembra simpatica o un complimento potrebbero non essere percepiti come tali, ma come un’invasione della propria intimità o della propria libertà di scelta, anche solo banalmente su come vestirsi, pettinarsi o truccarsi”.

“Vale sempre la pena fare formazione e spiegare perché: tante volte ho notato che alcuni uomini non si rendono proprio conto, sono davvero in buona fede convinti che certe cose facciano piacere alle donne e quando si spiega che non è così, dopo un primo momento magari di incredulità, se sono aperti – chiaro che ci vuole una certa intelligenza anche empatica nei confronti dell’altro – capiscono”, afferma Mingozzi.

Ovviamente ci possono essere anche persone resistenti ma qui deve intervenire una decisione forte dell’azienda, che deve agire in base ai propri valori e stabilire “su che manager vuole puntare” e su quali no, e questi sono messaggi molto chiari, perché, conclude Minozzi, “il commitment dell’azienda è fondamentale per cambiare la cultura”.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Se il papà mangia male è la figlia a pagarne le...

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Immagina che la salute dei tuoi figli possa essere influenzata dalla tua dieta, persino prima che nascano. E no, non parliamo dei nove mesi di gravidanza delle mamme, ma delle cattive abitudini dei papà. Questo è quanto è emerso da una recente scoperta scientifica pubblicata su JCI Insight che ha rilevato che, se un padre ha il colesterolo alto prima della nascita dei figli, le sue figlie femmine potrebbero affrontare un rischio significativamente maggiore di contrarre malattie cardiache, mentre i maschi sembrano non essere colpiti da questo effetto.

Utilizzando topi come modello, i ricercatori dell’Università della California hanno scoperto che le alterazioni nei piccoli frammenti di Rna presenti nello sperma dei padri influenzano il rischio di aterosclerosi nelle figlie. L’aterosclerosi è una condizione in cui le arterie si ostruiscono a causa dell’accumulo di grassi, colesterolo e altre sostanze, formando delle placche. Queste placche, chiamate ateromi, si sviluppano sulle pareti interne delle arterie e possono ridurre il flusso sanguigno. Col tempo, l’aterosclerosi può portare a gravi problemi di salute come ictus o malattie cardiovascolari.

Lo studio

I ricercatori hanno utilizzato topi incapaci di eliminare correttamente il colesterolo dal sangue, rendendoli suscettibili all’aterosclerosi. I topi maschi sono stati alimentati con una dieta ricca di colesterolo e poi è stato analizzato l’impatto sui loro figli.

I risultati hanno mostrato che solo le figlie femmine dei topi esposti a un alto livello di colesterolo hanno sviluppato un aumento significativo dell’aterosclerosi, mentre i maschi non hanno mostrato lo stesso effetto. Questo ha portato a indagare se ci fosse una trasmissione genetica specifica tramite lo sperma dei padri.

Il ruolo degli sncRNA

Gli scienziati hanno scoperto che gli sncRNA, piccoli frammenti di Rna presenti nello sperma, erano alterati nei topi con colesterolo alto. Questi “messaggeri” genetici sembrano trasmettere informazioni sullo stato di salute dei genitori e influenzare lo sviluppo del feto, in particolare le arterie delle figlie femmine.

Perché solo le femmine?

La ricerca non ha ancora chiarito completamente perché solo le femmine siano colpite, ma si ipotizza che gli ormoni, come gli estrogeni, possano interagire diversamente con queste informazioni genetiche, aumentando il rischio di malattie cardiache nelle figlie.

Il rischio di malattie cardiovascolari nelle donne aumenta dopo la menopausa, quando i livelli di estrogeni, che hanno un effetto protettivo sul cuore, diminuiscono. Dopo la menopausa, il rischio di malattie cardiovascolari nelle donne può superare quello degli uomini.

I tassi di mortalità femminili per questo genere di malattie sono più elevati rispetto agli uomini, specialmente in età avanzata. Le donne tendono anche a presentare sintomi diversi o meno tipici di malattia cardiaca, il che può influenzare o ritardare la diagnosi e il trattamento.

Colesterolo e il futuro delle generazioni

“Le nostre scoperte offrono nuove intuizioni su come le condizioni di salute dei genitori, come il colesterolo alto, possano avere un impatto diretto sulla salute cardiovascolare dei figli – hanno dichiarato i ricercatori dell’Università della California -. Questo studio suggerisce che i piccoli Rna presenti nello sperma possono fungere da mediatori di questi effetti, trasmettendo informazioni sullo stato di salute dei genitori e influenzando il rischio di malattie cardiache nelle generazioni future. È fondamentale considerare questi meccanismi nella prevenzione e nella gestione delle malattie cardiovascolari.”

In Italia, il colesterolo alto è una preoccupazione significativa per la salute pubblica. Secondo i dati più recenti, circa il 30% della popolazione adulta italiana ha livelli di colesterolo totale superiori ai valori raccomandati. In particolare, gli uomini tendono ad essere più colpiti, con una prevalenza di circa il 35% rispetto al 25% delle donne. Questo studio sottolinea ulteriormente l’importanza di gestire il colesterolo alto per prevenire non solo le malattie cardiovascolari, ma anche potenziali effetti sui propri figli.

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Cristiano Ronaldo: “Non pressiamo i nostri figli”, ma...

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Cosa vuoi fare da grande? Il calciatore, come papà. Oppure, il medico, l’avvocato, il notaio, l’odontoiatra…basta che sia come papà, o come mamma.

In una recente intervista rilasciata al suo amico ed ex compagno di squadra Rio Ferdinand, Cristiano Ronaldo ha parlato del suo rapporto con i figli, in particolare con il primo genito, Cristiano Ronaldo Junior. Dopo aver riconosciuto con orgoglio la competitività dei suoi figli, la stella portoghese ha invitato a non mettere troppa pressione su di loro solo perché figli di persone famose.
Una riflessione buona, in realtà, anche per chi Vip non è: tanti genitori ‘pretendono’ (a volte anche senza virgolette) che i loro figli abbiano una carriera come la propria, che facciano successo in un determinato campo, senza chiedersi quali siano le conseguenze di questa pressione sulla salute dei figli.

Cristiano Ronaldo e la pressione sui figli

Le parole pronunciate dal campione portoghese a TheFiveUk sono un monito per tutti i genitori: “Ero sul Mar Rosso un paio di giorni fa, giocando a padel tutti i giorni. Capita che io e Cristiano Jr ci arrabbiamo, non parliamo per un paio di giorni. Ecco perché sono felice, anche il piccolo Matteo sta diventando competitivo, mi piace. Dimostra che hanno personalità”. Opinabile? Decisamente.

Il 14enne Cristiano Jr sembra aver ereditato la passione del padre e gioca nelle giovanili dell’Al Nassr, in Arabia Saudita, la stessa di Cristiano Ronaldo ‘senior’. Nonostante l’attenzione di Cr7 nel non mettere troppe pressioni sul figlio, il ragazzo sta seguendo non solo la carriera del padre, ma anche le squadre in cui gioca: ha giocato anche nelle giovanili della Juventus e del Manchester United.

Cristiano Ronaldo Jr. nell’Under 9 della Juventus_fotogramma

Eppure, a quell’età non è facile avere le idee chiare su cosa fare da grande, neanche se si è figli di Cristiano Ronaldo. Anzi, la straordinaria carriera del cinque volte Pallone d’Oro potrebbe orientare le scelte prima ancora che i tempi siano maturi. Lo stesso vale per qualsiasi genitore che svolge un lavoro economicamente e socialmente apprezzato.

“In questo momento – continua l’attaccante dell’Al Nassr – Cristiano vuole diventare un calciatore, ma non gli metto troppa pressione. Ha 14 anni, ha già la pressione di essere il figlio di Cristiano Sr. Lasciamogli fare i suoi errori, ma spero che in futuro possa essere un giocatore professionista. Se non diventa un giocatore, forse farà un altro lavoro, ma lo sosterrò sempre. Non possiamo fare pressione sui nostri figli perché siamo famosi”.

Peccato che questo succeda ancora troppo spesso anche tra la gente comune.

L’impatto delle aspettative genitoriali sulla salute mentale

Un’ampia ricerca condotta dalla American Psychological Association ha rilevato che il 40% dei giovani che percepiscono una pressione costante da parte dei genitori sviluppa sintomi di ansia o depressione. Questi sintomi, collegati al desiderio di non deludere le aspettative, portano spesso a una riduzione dell’autostima e a un aumento dei livelli di stress. Non solo i genitori, spesso è la società stessa, il confronto con gli altri, il foglio bianco sulla scritta futuro a deprimere i giovani.

Uno studio del Journal of Child Psychology and Psychiatry ha confermato che circa il 30% dei bambini che si sentono sotto pressione manifesta ansia da prestazione, con particolare incidenza tra gli atleti e i giovani impegnati in competizioni accademiche o artistiche​. Molti giovani atleti hanno dichiarato di sentirsi costantemente spinti a raggiungere standard irrealistici dai propri genitori, entrando in un circolo vizioso di stress e frustrazione.

Carriere influenzate dalle pressioni familiari

Il tema delle pressioni familiari diventa ancora più complesso quando si parla di scelte di carriera. Secondo uno studio del Child Development Journal, il 60% dei figli di genitori celebri sente di dover seguire le orme dei propri genitori, anche se solo il 35% di loro è realmente interessato a quel campo. Questo scontro tra aspettative e desideri personali può portare a una mancanza di autenticità nelle scelte professionali e a una maggiore insoddisfazione.

La conferma più lampante arriva dalla University of Michigan, che in uno studio ha evidenziato che i giovani che seguono carriere imposte dai genitori mostrano un tasso di insoddisfazione professionale del 45%, contro il 28% di quelli che scelgono autonomamente il proprio percorso.

La situazione in Italia

In Italia, la pressione delle aspettative genitoriali è altrettanto rilevante. Secondo una ricerca del Centro Studi Censis, circa il 40% dei giovani italiani che provengono da famiglie di successo sente l’obbligo di seguire la stessa carriera dei genitori, anche se solo il 20% di loro ha un reale interesse per quel campo. Questo fenomeno è particolarmente evidente nel settore legale e medico, dove molti figli di avvocati e medici si sentono costretti a intraprendere le stesse professioni.

In aggiunta, un’indagine condotta dall’Università di Bologna ha rivelato che il 35% dei giovani italiani che seguono carriere imposte dai genitori sviluppa sintomi di ansia o depressione entro i primi cinque anni di lavoro. Il 45% di loro ha ammesso di provare un forte conflitto interiore, diviso tra il desiderio di soddisfare le aspettative familiari e la volontà di perseguire i propri interessi.

Quella appena descritta è una realtà tanto persistente da trovare spazio nel cinema, come accade nella brillante commedia “Se Dio vuole” scritta e diretta da Edoardo Falcone. Tommaso De Luca (interpretato da Marco Giallini) è un affermato cardiochirurgo, felice della sua vita fin quando suo figlio Andrea, studente di Medicina, rivela di voler diventare sacerdote. Un duro colpo per il padre, che ancor prima di sapere che il figlio abbandonerà definitivamente gli studi, si chiede ad alta voce: “Ma perché buttare la propria vita a fare il prete? Il prete è un mestiere anacronistico, sarebbe come fare lo spazzacamino, l’arrotino, lo zampognaro. Io non lo voglio un figlio zampognaro!”. Un momento di rabbia e delusione, magistralmente interpretato da Marco Giallini che racconta uno spaccato di vita sociale.

Le pressioni sociali e la società dell’immagine

Il problema delle pressioni genitoriali non riguarda solo le famiglie celebri, ma riflette una più ampia tendenza sociale a glorificare il successo e le performance. Un rapporto della World Health Organization ha sottolineato che il 70% dei giovani in Europa vive in contesti familiari che esaltano il successo accademico o professionale come misura principale di realizzazione personale. Questa visione riduttiva del successo, centrata sulla performance, può creare un ambiente soffocante per le nuove generazioni, già alle prese con un futuro incerto.

Secondo il Global Health Journal, un ambiente familiare più inclusivo e supportivo ridurrebbe i rischi di stress e ansia del 30%, migliorando notevolmente la salute mentale dei giovani e consentendo loro di fare scelte di carriera più consapevoli e autentiche. Possiamo scegliere da che parte andare.

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Giorgetti: “Emergenza demografica? Conseguenze sulla...

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L’emergenza demografica dovrebbe diventare un argomento nell’agenda europea. Lo ha sostenuto con chiarezza il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, in una nota diffusa al termine della sessione dell’Ecofin a porte chiuse, a Budapest, dedicata alla demografia e alle conseguenze sulla sostenibilità economica e sociale dei Paesi europei.

“Come Italia sosteniamo questa iniziativa – ha affermato Giorgetti sulla necessità di rendere comune il problema della crisi demografica -. L’auspicio è che il dibattito non si esaurisca con la denuncia di una condizione simile a molti Paesi, compresa l’Italia, ma diventi oggetto di riflessioni e proposte della commissione”.

Crisi demografica: problema europeo

“Prudentemente la commissione in questi anni non si è mai occupata di dare raccomandazioni su un tema ritenuto delicato – ha aggiungo il ministro – ma è anche vero che il Pnrr affronta diversi aspetti non secondari, come la necessità di implementare gli asili nido per rendere possibile la coesistenza della maternità con la partecipazione al lavoro. Il fattore demografico, non dimentichiamolo, ha implicazioni su moltissimi aspetti comprese produttività e crescita: quando parliamo della competitività del sistema europeo inevitabilmente dobbiamo anche ricordare che le corti giovani sono più produttive e tendono a essere più ricettive delle trasformazioni dei cambiamenti”.

Le parole del ministro arrivano in seguito alla riunione informale dei ministri dell’Economia e Finanze europei. Il think tank Bruegel ha così presentato un’analisi per sostenere con chiarezza che il calo demografico avrà conseguenze ingenti sul futuro economico dei Paesi membri.

Il calo della popolazione, in sintesi, metterà a dura prova i sistemi di welfare e le finanze pubbliche nei prossimi decenni. Dall’analisi, come riporta Reuters, è emerso che l’invecchiamento della società europea ridurrà il numero di persone con un lavoro e che pagano le tasse, aumentando al contempo il numero di coloro che percepiscono la pensione e necessitano di maggiore assistenza sanitaria.

Anche se si permettesse all’immigrazione di continuare ai ritmi attuali, una soluzione già inaccettabile per molti Paesi europei, non basterebbe a compensare il calo della popolazione in età lavorativa. In assenza di un’immigrazione netta, il numero di persone nella fascia di età lavorativa 20-64 anni in Europa diminuirà di circa un quinto, passando da 264 milioni nel 2022 a 207 milioni nel 2050.

E, anche se l’Unione europea (attualmente composta da 450 milioni di cittadini) accettasse poco più di un milione di immigrati all’anno, ciò compenserebbe meno della metà del calo della popolazione in età lavorativa.

Oltre l’immigrazione, secondo il think tank, servirà una migliore gestione dei costi dell’assistenza sanitaria e dell’assistenza a lungo termine, nonché la riforma dei sistemi pensionistici e sanitari. Secondo il rapporto sull’invecchiamento della popolazione del 2024 della Commissione europea, nel 2070 per ogni 10 persone inattive con più di 65 anni ci saranno solo 14 persone occupate, in calo rispetto alle 22 del 2022.

La proposta italiana crea polemiche

Lo stesso ministro Giorgetti, mentre sottolineava la necessità di introdurre nell’agenda europea la questione demografica, promuoveva degli sgravi fiscali a chi ha almeno due figli. Stando a quanto anticipato da Il Foglio, il ministro avrebbe esposto il progetto che mira a “cambiare le regole delle detrazioni fiscali” a favore di chi sceglie di avere figli, “anche a costo di eliminare o rivedere “le agevolazioni per chi invece non ne ha”. Il tutto a prescindere dal reddito.

In vista della manovra di Governo, si parla di maggior sussidi alle mamme dipendenti o con partita iva. Ma per tutti gli altri?

La notizia ha già attirato numerose polemiche. Sui social, infatti, si sono scagliati in molti contro la presunta decisione del ministro che – se approvata in manovra – costerà un aumento delle tasse a chi figli non ne ha.

“Noi che abbiamo quattro gatti siamo figli di un Dio minore”, scrive qualche utente su X. O ancora, si legge sui social: “Pagheranno i single? In un Paese in cui mancano servizi non dovrebbero essere prioritari asili nido accessibili e sostegno economico a chi vuole figli, ma non può permetterseli? E che fine farà chi i figli non può averli?”.

Per il momento nulla di ufficiale. Ma che la denatalità sia già un problema evidente è sotto gli occhi di tutti. “Oggi in Italia viviamo una situazione di iniquità perché non si pagano le tasse in base alla composizione famigliare ma solo in base al reddito e quindi è iniquo il fatto che una famiglia con più figli paghi le stesse tasse di una famiglia composta da una sola persona“. Gigi De Palo, presidente della fondazione per la Natalità e ideatore degli Stati Generali della Natalità, plaude alla proposta del ministro dell’Economia: “Anche perché – osserva all’Adnkronos – i cittadini di domani pagheranno la pensione anche a chi i figli non li ha voluti o non li ha potuti fare. Tutti dovrebbero tifare per questo tipo di politiche famigliari”.

De Palo riflette sull’idea del ministro: “Avendo parlato più volte con Giorgetti, so che questa cosa ce l’ha molto chiara. Ora si tratta di trasformarla insieme a tutto il governo. La natalità è una questione economica del Paese, non di un ministero della famiglia senza portafoglio. Quindi, ben venga che sia il ministro dell’Economia a fare questo ragionamento, speriamo che il governo lo segua. Il mio auspicio, – tenendo presente la levata di scudi che c’è stata attorno all’assegno unico – è che questa proposta porti ad una convergenza di tutto il Parlamento, di tutte le forze politiche perché stiamo andando verso un punto di non ritorno. O lo facciamo il prima possibile, o tutti si dovranno assumere tutte le responsabilità, non solo chi ha governato. Perché anche dall’opposizione sento una serie di ragionamenti, per esempio sulla sanità, ma l’unico modo per investire seriamente sulla sanità non è mettendo soldi sulla sanità ‘tout court’ ma parallelamente vanno messi soldi sulle famiglie per non fare andare la sanità in default”.

“Se l’opposizione farà opposizione in maniera intelligente, creando una situazione di non conflittualità su questo tema, potrà aiutare – ha concluso De Palo -. Ora c’è la proposta del ministro, c’è sempre stata la volontà politica della presidente del Consiglio, se anche l’opposizione mostra volontà politica in tal senso allora si fa strada e si cambia la storia, invertendo la tendenza”.

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