I precedenti tra il deputato M5S e quello della Lega
Dopo la maxi rissa alla Camera durante la discussione sul ddl Calderoli, prosegue il 'duello' tra maggioranza e opposizione. Le tossine della bagarre scoppiata nell'emiciclo di Montecitorio non sono ancora state smaltite, e lo dimostra la movimentata discussione di questa mattina in Aula, dove le opposizioni - che hanno contestato il resoconto stenografico della seduta di ieri chiedendo di sostituire la parola "disordini" con "aggressione" - sono tornate a intonare "Bella ciao" costringendo il presidente di turno Sergio Costa a sospendere la seduta.
La zuffa che ha visto coinvolto, suo malgrado, il deputato del Movimento 5 Stelle Leonardo Donno, finito in infermeria con una prognosi di tre giorni, è inevitabilmente l'argomento del giorno in Transatlantico. Esponenti della Lega raccontano come tra il collega grillino e quello del Carroccio Igor Iezzi - che ha provato più volte a colpire Donno, come si vede nitidamente nei video della rissa - ci siano stati dei precedenti. Uno di questi episodi risalirebbe ad alcuni mesi fa: "Donno è venuto vicino alla mia postazione, come al solito a minacciare con discussione viso a viso. Ma nulla di che, se non che è un provocatore", racconta Iezzi all'Adnkronos all'indomani del caos.
Anche l'altro parlamentare della Lega accusato da Donno per l'aggressione, Stefano Candiani, ricorda il cattivo sangue che corre tra il pentastellato e Iezzi, non da ieri: "Donno è un provocatore, Iezzi uno a cui non piace farsi mettere i piedi in testa. Sia in Aula che in Commissione i due hanno avuto discussioni". Candiani poi ribadisce di non aver mai messo le mani addosso a Donno: "Non c'è stato nessun contatto tra me e lui, l'ho redarguito col dito e gliene ho gridate di ogni quando si è avvicinato a Calderoli. Ho temuto per il ministro: cosa sarebbe accaduto se fosse caduto all'indietro?".
La trasmissione di La7 'L'aria che tira' ha provato a far riappacificare Donno e Iezzi ospitandoli per un confronto a distanza, ma senza successo. "Donno ha compiuto un'aggressione nei confronti di un ministro. Se ha un minimo di onestà intellettuale ammetterà che io non l'ho colpito. Lui chiede scusa per aver aggredito Calderoli?", ha detto Iezzi, in collegamento con il programma tv. Pronta la risposta di Donno: "Chiedo scusa io ai cittadini italiani perché c'è gente del genere che rappresenta purtroppo anche loro ed è indegno. Questi sono disonorevoli. Iezzi è un soggetto pericoloso". "L'unico pericoloso sei tu, che aggredisci e minacci", la controreplica di Iezzi.
Oggi, intanto, l'Ufficio di Presidenza di Montecitorio ha convocato i 12 deputati coinvolti a vario titolo nella rissa. Nel pomeriggio in Aula dovrebbero essere annunciate le sanzioni per i deputati protagonisti della bagarre.
Politica
Trump presidente, Schlein: “Brutta notizia per Italia...
La segretaria del Pd: "Chi festeggia smetterà presto per effetto dazi"
Una "brutta notizia", certo. "Per l'Europa e per l'Italia", dice Elly Schlein. Ma il voto americano e la vittoria di Donald Trump nelle elezioni Usa 2024 vengono letti anche come un avvertimento dai dem italiani. Perchè quello che è considerato il 'campione' del sovranismo, del populismo, del sessismo ha stravinto stanotte negli Usa. Nonostante i processi, l'assalto a Capitol Hill, nonostante una campagna oltre ogni limite del politicamente 'scorretto'. Ed è un dato che impone un riflessione, oltre che la reazione a spingere per un'Europa più forte.
A partire dagli "investimenti comuni" e da "una propria autonomia strategica" a livello geopolitico, argomenta Schlein che lega Giorgia Meloni, la presidente premiata da Elon Musk, al trumpismo: "Quello che vediamo non è molto diverso da quello che già stiamo vedendo con l'estrema destra al governo in questo Paese". Schlein mette in guardia chi oggi esulta per la vittoria del tycoon, come Matteo Salvini: "Chi oggi lo festeggia per ragioni di bandiera smetterà presto quando gli effetti di una nuova politica protezionistica colpiranno le imprese e in lavoratori in Europa e anche qui nel nostro Paese".
Per la segretaria del Pd l'unica reazione possibile è rafforzare l'Ue, di cui la presidenza Trump potrebbe mettere a rischio una tenuta già minata - è la preoccupazione dem - dalle spinte sovraniste di Orban e delle destre crescenti. "Serve uno slancio forte dell'Unione europea, in modo coeso, in modo unito, che rimetta al centro una politica di investimenti comuni - dice Schlein - come è stata quello del Next generation Eu, in grado di generare una vera politica industriale europea, che possa guidare l'innovazione e anche la conversione ecologica perché chi ha vinto negli Stati Uniti nega apertamente l'emergenza climatica".
Insomma, un modello alternativo. "Noi speravamo che andasse in un altro modo perché non ci riconosciamo, né mai ci riconosceremo, in una idea di società dove i miliardari, che ieri festeggiavano chiusi in una stanza con Trump, si ergono a paladini del ceto medio che si è impoverito quando sono loro stessi quelli che si sono arricchiti sfruttando il lavoro. Noi continuiamo ostinatamente a costruire un'alternativa a questa idea di società qui in Italia".
L'ex-commissario Paolo Gentiloni va dritto al punto: "L'America ha scelto Donald Trump. Ora molto dipenderà dall'Europa. Deve essere più unita e più forte". Perchè, come sottolinea Stefano Bonaccini, per l'Ue "si aprono scenari di grande incertezza, di fronte a una nuova autarchia americana, con Trump che ci ha indicato come avversari. Ma è proprio nei momenti più difficili che servono lucidità e determinazione. Verrebbe da dire: non sia la volta buona che ci si svegli, comprendendo che serve una Europa con politiche economiche, fiscali, sociali e di difesa comuni". Lo ribadisce anche Dario Nardella: ora "il sogno di David Sassoli diventa un imperativo.L'Europa deve darsi una vera politica estera e dotarsi di una vera difesa comune".
Ma quanto accaduto negli Usa impone anche una riflessione: "Non si può rispondere sventolando il vessillo di un populismo di sinistra", sottolinea Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento Ue alludendo ad altre reazioni nel campo progressista italiano. Per Debora Serracchiani "a noi sta imparare la lezione o ignorarla, continuare a coltivare l'orto sicuro delle nostre certezze valoriali o fare i conti con le asprezze, le incertezze e i bisogni di persone in carne e ossa che misurano i soldi, cui dell'Europa, della Russia o della Cina importa poco o nulla". La "sberla", come la definisce, di Trump impone un cambio di passo: "Oggi possiamo decidere di diventare rapidamente adulti, affrontare i temi scomodi che muovono le masse, offrire una proposta alternativa e convincente. Oppure possiamo rassegnarci pensosamente ad accompagnare un declino delle democrazie occidentali il cui sentiero sembra già tracciato".
Politica
Il governo guarda a Trump: ora Italia più forte in Ue, su...
Rapporto privilegiato Meloni-Musk possibile 'ponte' per ruolo chiave in Europa
Da una parte c'è il partito, Fratelli d'Italia, e l'entusiasmo di una destra che ha la meglio sulla sinistra "in barba ai pronostici", dall'altra c'è il governo, che si tiene alla larga da 'tifoserie', e che per ora sta alla finestra, "con il faro dell'interesse nazionale da tutelare". Mentre Matteo Salvini cavalca la vittoria lampo di Donald Trump e marca le distanza - "penso che altri, anche nel centrodestra, la pensassero in maniera diversa", si affretta a dichiarare il leader della Lega di buon mattino - l'aria che si respira a Palazzo Chigi è di attesa, aspettando di capire l'America che verrà quando The Donald farà ritorno alla Casa Bianca. Con una convinzione tuttavia di segno positivo: "Da questo voto l'Italia esce rafforzata in Europa. Meloni aveva già cercato convergenza con gli Usa a guida dem e aveva centrato l'obiettivo, ora alla Casa Bianca arriverà un Presidente della stessa 'famiglia' politica", quella dei conservatori.
Il rapporto privilegiato Meloni-Musk
"Italia e Stati Uniti sono Nazioni 'sorelle', legate da un’alleanza incrollabile, valori comuni e una storica amicizia. È un legame strategico, che sono certa ora rafforzeremo ancora di più. Buon lavoro Presidente", scrive Giorgia Meloni diretta al tycoon, affidando le sue congratulazioni e quelle del governo italiano a X, la piattaforma di Elon Musk, pedina fondamentale nella campagna elettorale del Presidente repubblicano, per lui un ruolo chiave nella nuova amministrazione che si insedierà a gennaio. Tra la premier italiana e il patron di Tesla, SpaceX e Starlink, oltre che di X, i rapporti sono eccellenti, elemento non secondario ora che Trump si appresta a tornare alla guida degli States.
Solo a settembre scorso era stata Meloni a volere che fosse l'uomo più ricco del mondo a consegnarle a New York il prestigioso 'Global Citizen Award' dell’Atlantic Council, una scelta che in molti, a torto o ragione, avevano inquadrato in una strategia di avvicinamento della presidente del Consiglio al fronte repubblicano. Entrambi abituati a remare controcorrente, un passato comune da 'underdog' in grado di rovesciare i pronostici, tra i due si trattava in realtà del terzo incontro, dopo il primo a Palazzo Chigi e quello, altrettanto 'chiacchierato', sul palco di Atreju. Non ci sono conferme di contatti tra la premier e Musk in giornata, "difficile", viene spiegato, viste le ore concitate vissute dal numero uno di Tesla e la brutta influenza che ha costretto Meloni a casa. Ma oggi in molti vedono nell'imprenditore sudafricano, naturalizzato statunitense, il 'ponte' tra Roma e Washington, l'uomo chiave per gettare le basi di un rapporto privilegiato che potrebbe fare di Meloni l'interlocutore di riferimento di Trump in Europa, accanto a quel Viktor Orbàn da sempre schierato dalla parte del candidato repubblicano.
Il faro resta l'interesse nazionale
"In realtà - si dice convinto chi è vicino alla premier - lei non ha bisogno di biglietti di presentazione, perché è capace di entrare in empatia con chiunque e lo ha dimostrato in questi due anni: da Von der Leyen a Biden, senza dimenticare che è con un socialista, Edi Rama, che ha firmato il tanto contestato Memorandum con l'Albania. E Draghi? Meloni era l'unica che l'ex premier aveva contro, eppure con lei aveva il rapporto migliore e più franco". Anche con Trump, è la convinzione, "andrà allo stesso modo, tanto più che si fa riferimento alla stessa famiglia, agli stessi valori, quelli dei conservatori". Ma il "faro" del governo, viene rimarcato da più voci, resta quello "dell'interesse nazionale", che Meloni è pronta a far valere "al netto dell'interlocutore che ha davanti, perché è il ruolo che le compete".
L'incognita Ucraina
Una precisazione che rimbalza da più fronti, alimentata probabilmente dai 'fantasmi' che accompagnano l'ascesa di Trump alla Casa Bianca. Primo tra gli altri il timore di un'inversione di rotta sul conflitto in Ucraina, ma anche di un ritorno alla politica trumpiana dei dazi e di paletti più stringenti nell'impegno degli alleati sul bilancio della Nato. Sul primo e ultimo grattacapo proprio ieri, nel corso delle dichiarazioni alla stampa con il segretario generale della Nato Mark Rutte a poche ore dal Super Tuesday, Meloni ha ribadito l'incrollabile sostegno a Kiev, nonché il ruolo dell'Italia, "leader nella Nato per qualità e quantità d'azione", nell'Alleanza.
Lo spettro dei dazi
Quanto alla questione del protezionismo a 'stelle e strisce', è stato il sottosegretario alla presidenza Giovanbattista Fazzolari a mal celare la preoccupazione in seno al governo: "Speriamo di no, è presto per dirlo...", la sua stringata dichiarazione a Fanpage. E anche il ministro agli Affari esteri e leader di Fi Antonio Tajani ha espresso l'auspicio "che non ci siano scelte che penalizzino le esportazioni del nostro Paese, perché l'export rappresenta il 40% del Pil, quindi mi auguro che possano esserci posizioni di apertura per i prodotti italiani che dobbiamo esportare anche verso il mercato americano''. Due indizi che fanno una prova. Segno che, al netto della vittoria della destra americana, qualche timore che agita il governo italiano per l'America che verrà c'è. Ma chi ha sentito Meloni in queste ultime ore mostra ottimismo. "Si cercherà una sintesi su tutto - viene spiegato - e il fatto di avere di fronte un interlocutore della tua 'famiglia' politica, con una matrice di battaglie e valori comuni sicuramente è un valore aggiunto non da poco".
Politica
De Luca sfida Schlein ma il Nazareno ribadisce: “Non...
Tra dem perplessità su modi e tempi scontro ma segretaria decisa su rinnovamento - Bonaccini, 'si vota tra un anno, ora pensiamo a Emilia e Umbria'
Lo rottura ora è ufficiale. La norma per il terzo mandato è passata martedì 5 novembre nel consiglio regionale campano. Nel Pd un solo astenuto, la consigliera Bruna Fiola. Gli altri tutti con Vincenzo De Luca contro l'indicazione della segretaria Elly Schlein. Tra i parlamentari dem non si parla d'altro in Transatlantico. Nel corridoio fumatori si vede anche la segretaria, silente per il momento con i cronisti. Per il Nazareno parla Igor Taruffi e fa sapere che la prova di forza del presidente De Luca "non sposta di un millimetro la posizione del Pd nazionale sul limite dei due mandati per le cariche monocratiche. Al di là del voto in consiglio quindi Vincenzo De Luca non sarà il candidato presidente sostenuto dal Pd alle prossime elezioni regionali".
Un muro contro muro, durissimo e palese. A Schlein che aveva chiuso al terzo mandato, come è stato per Stefano Bonaccini o Antonio Decaro, e chiesto un rinnovamento, la risposta di De Luca e del gruppo dem in consiglio regionale suona come una porta in faccia. I consiglieri sono più 'fedeli' al loro presidente che a Schlein? "E' sempre stato così, non è una novità", commenta un deputato campano che ricorda come al congresso i vertici dem della regione sostennero in blocco Stefano Bonaccini. Tutti tranne Marco Sarracino, attuale responsabile Sud della segreteria Schlein.
Le perplessità Dem
In Transatlantico però c'è una perplessità trasversale sullo scontro in atto, aperto da De Luca a cui Schlein non si è sottratta. Per i modi e per i tempi. In Campania si vota tra un anno, mentre tra 10 giorni ci sono Emilia Romagna e Umbria al voto. Lo dice Bonaccini così: "Si vota tra un anno e non tocca adesso stabilire il candidato. Mi concentrerei su Emilia e Umbria ora". Ma per Schlein, che aveva promesso di chiudere con i 'cacicchi' sin dal suo primo intervento all'assemblea nazionale dem da neosegretaria, le cose andavano chiarite qui ed ora. E la promessa di rinnovamento stavolta, a differenza di altre leadership dem in passato, mantenuta.
"Avevamo chiesto di rinviare il voto a dopo le regionali, per discuterne con calma. E' De Luca ad aver deciso di accelerare. E' andato dritto e la segretaria non poteva non reagire, ha fatto chiarezza", dicono dalle parti di Schlein. E chi è stato coinvolto in prima persona nelle interlocuzioni col presidente campano riferisce: "Noi le abbiamo provate tutte, Schlein compresa. Ma quando ti trovi di fronte un muro, di fronte a chi ti dice 'io mi candido comunque', le mediazioni stanno a zero". E ora? "C'è tempo e modo di recuperare, non ci possiamo permettere di consegnare alla destra la Campania", diceva ieri Debora Serracchiani ribadendo oggi il concetto a chi la interpella alla Camera.
E ancora Bonaccini: "C'è una legge nazionale che prescrive il limite dei due mandati. Io, come noto, l'avrei anche cambiata. Ma è ovvio che le leggi si rispettano. È stato fatto un lavoro enorme in questi anni da parte della giunta De Luca e sono certo che sia interesse di tutti valorizzarne i risultati insieme a tutta la coalizione. Poi, a tempo debito, ci metteremo a sedere e troveremo la soluzione più giusta per le prossime elezioni''.
Appunto, il tempo non manca. Mario Casillo, capogruppo del Pd nel consiglio regionale della Campania, eletto con ben 41.000 voti, dopo la 'rivolta' di oggi torna subito a invocare il dialogo. E la cosa non è passata inosservata ai piani alti del Nazareno. Dice Casillo: "De Luca non ha detto che si vuole candidare perché il presidente ha riconosciuto che il percorso della candidatura passerà per un ragionamento dell'alleanza. Mi auguro assolutamente che ci saranno degli incontri di dialogo nei modi e nei tempi giusti. Le elezioni regionali qui saranno tra un anno, abbiamo tutto il tempo e noi siamo convinti che ci sarà un percorso che possa portare a ricongiungere due posizioni che in questo momento sembrano distanti".
Il governo e la pistola scarica di De Luca
Del resto, la 'pistola' di De Luca alla fine potrebbe rivelarsi scarica. Non è detto che la norma sul terzo mandato vada in porto. Il governo potrebbe impugnarla. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, si limita a rispondere con un "adesso vediamo" ai cronisti che gli chiedono se il governo impugnerà la legge campana.
Più netto Edmondo Cirielli: "Premesso che parlo non come esponente del governo ma come politico perché non seguo la materia, io penso che il governo impugnerà'' questa legge perché è una ''normativa regionale chiaramente in contrasto con quella nazionale'', dice il viceministro degli Esteri e deputato di Fdi ai cronisti in Transatlantico.
Anche Forza Italia si pronuncia con una nota congiunta dei capigruppo Maurizio Gasparri e Paolo Barelli: "Siamo esterrefatti per l'ostinazione con cui De Luca porta avanti una causa persa. Fa approvare normative, nel tentativo illusorio di regalarsi un terzo mandato alla guida della Campania, andando in palese contrasto con le norme vigenti. Siamo certi che il governo impugnerà questo testo e che decisioni molto chiare saranno assunte dalla Corte Costituzionale".